Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-02-07, n. 201800820

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-02-07, n. 201800820
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800820
Data del deposito : 7 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/02/2018

N. 00820/2018REG.PROV.COLL.

N. 10366/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10366 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati G A, L L, E M Z, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

contro

Ministero dell'Interno, Ministero dello Sviluppo Economico, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

-OMISSIS-.) non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, Sezione Terza, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la revoca della concessione di un contributo finanziario in seguito all’adozione di un’informativa interdittiva antimafia.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dei Ministeri dell'Interno e dello Sviluppo Economico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2017 il Cons. S S e uditi per le parti l’Avvocato E M Z, anche per delega dell’Avv. L L, e l'Avvocato dello Stato Attilio Barbieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Il Prefetto di Napoli ha adottato in data 18 marzo 2002 l’informativa antimafia in danno della società -OMISSIS-, ritenendo sussistenti i tentativi di infiltrazione mafiosa.

In precedenza il Prefetto aveva disposto l’accesso, ai sensi degli artt. 1 e 1 bis del D.L. n. 629/82, della Commissione Interforze al fine di accertare l’individuazione degli effettivi titolari della società -OMISSIS- s.r.l. e l’eventuale esistenza di elementi sintomatici, attestanti tentativi di infiltrazione mafiosa volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società interessata.

1.1 - All’esito dell’istruttoria il Prefetto ha accertato che:

- la società -OMISSIS-(della quale era socio il sig. -OMISSIS-unitamente al sig.-OMISSIS-e ad altri) deteneva il 50% del capitale sociale della -OMISSIS-, azienda infiltrata dalla camorra in quanto sottoposta a confisca da parte del Tribunale di Napoli;

- la stessa società -OMISSIS- era stata sottoposta ad indagini per la proposta di una misura di prevenzione patrimoniale;

- dalle indagini della DDA era emerso che la -OMISSIS-, attraverso il sig.-OMISSIS-(sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per tre anni), sarebbe stata una filiazione della -OMISSIS- che avrebbe fatto capo al clan -OMISSIS-, gravitante nell’orbita del clan di -OMISSIS-;

- la società -OMISSIS-aveva avuto un’escalation economico-finanziaria insieme al sig. -OMISSIS-che costituiva l’anello di congiunzione tra la famiglia -OMISSIS-e il clan -OMISSIS-, così come il sig. -OMISSIS-costituiva il legame tra i -OMISSIS-ed il clan -OMISSIS-.

Dagli atti istruttori era quindi emerso che il Sig. -OMISSIS-doveva ritenersi soggetto controindicato ai fini antimafia: il Comando Provinciale dei Carabinieri lo aveva inserito tra i soggetti facente parte dell’associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.).

Il signor -OMISSIS-, inoltre, era soggetto esperto nello specifico settore della produzione e della vendita di calcestruzzo, che costituiva l’oggetto dell’attività imprenditoriale della società -OMISSIS-, i cui soci e l’amministratore erano i figli di -OMISSIS-.

Le indagini sono state quindi estese anche a tale società, amministrata da -OMISSIS-, figlio di -OMISSIS-.

In seguito all’accesso presso la società, è emerso in sede istruttoria che il sig. -OMISSIS-era presente nei locali dell’opificio al momento dell’accesso.

Il Gruppo Ispettivo Antimafia ha quindi ritenuto che - tenuto conto dell’esperienza nello specifico settore – -OMISSIS-, padre di -OMISSIS-, pur non ricoprendo cariche sociali nella società -OMISSIS-, avrebbe potuto di fatto gestire l’attività, condizionandone le scelte gestionali.

E’ emerso, inoltre, che la società -OMISSIS- -OMISSIS-, di cui -OMISSIS-era socio, aveva la medesima sede della -OMISSIS-, che tra le società fornitrici della -OMISSIS- vi era anche la -OMISSIS- -OMISSIS-, e che vi erano cointeressenze economiche tra le due società.

Sulla base di questi plurimi elementi il Prefetto ha ritenuto sussistente il tentativo di infiltrazione mafiosa nei confronti della società appellante.

2. - Tale provvedimento è stato impugnato dinanzi al TAR per la Campania unitamente al provvedimento applicativo, emesso dal Ministero delle Attività Produttive, di revoca di un contributo concesso a tale società ai sensi della L. n. 488/92.

3. - Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto il ricorso sia avverso l’interdittiva antimafia che contro il provvedimento di revoca del contributo, ritenendo immune dai vizi dedotti il provvedimento prefettizio.

4. - Avverso tale decisione ha proposto appello la società appellante gravando i soli capi di sentenza relativi all’interdittiva antimafia, deducendo, con il primo motivo, i vizi di insufficienza dell’istruttoria e di carenza di motivazione.

5. Ha rilevato, in particolare, che le autorità di P.S. si sarebbero espresse in termini dubitativi affermando di “non poter escludere” il pericolo di infiltrazione, non avendo acquisito sicuri elementi tali da poterlo affermare.

Ciò avrebbe dovuto indurre ad un approfondimento istruttorio, e non all’adozione del provvedimento interdittivo.

La Commissione di accesso avrebbe accertato che gli effettivi titolari della società sarebbero stati i figli di -OMISSIS-, non avendo trovato elementi certi dai quali desumere che questi avesse un potere gestorio della società: l’appellante ha quindi dedotto che dalla mera presenza del padre presso la società non avrebbe potuto desumersi la sua interferenza gestionale.

Il tentativo (art. 56 c.p.) richiederebbe la presenza di atti idonei diretti in modo non equivoco alla infiltrazione o al condizionamento: gli esiti delle indagini, invece sarebbero contraddittori.

Neppure facendo riferimento alla prova presuntiva potrebbe desumersi ragionevolmente il rischio di condizionamento, in quanto la presenza del padre presso la società non avrebbe un significato univoco, potendo spiegarsi con il semplice rapporto di parentela, e neppure gli ulteriori elementi valorizzati dal TAR potrebbero corroborare tale giudizio prognostico.

Nessun rilievo avrebbero i giudizi negativi resi su altre società ritenute collegate per i rapporti parentali: le indagini istruttorie avrebbero escluso forme di cointeressenze commerciali con altre imprese, idonee a far ricadere sulla società appellante criticità reali.

Il provvedimento interdittivo si fonderebbe, quindi, su mere suggestioni.

6. - Con il secondo motivo di appello ha dedotto la società appellante che il TAR non si sarebbe pronunciato su un ulteriore profilo: quello della paventata mafiosità di -OMISSIS-e dei suoi familiari.

I signori -OMISSIS-, infatti, sarebbero stati assolti dalle accuse di partecipazione a clan camorristici: l’interdittiva si fonderebbe, quindi, su un presupposto smentito dal giudice penale.

L’appellante ha quindi concluso chiedendo la riforma della sentenza di primo grado.

7. - L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto dell’impugnativa.

Le parti hanno prodotto scritti difensivi a sostegno delle rispettive tesi.

8. - L’appellante ha in più occasioni chiesto il rinvio della causa in pendenza della decisione, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, sulla propria istanza di autotutela relativamente alla revoca del contributo concesso ex L. 488/92, atto meramente consequenziale all’interdittiva impugnata.

La causa, già fissata per l’udienza pubblica del 2 marzo 2017, è stata rinviata dal Collegio all’udienza del 27 giugno 2017. E’ stata quindi nuovamente rinviata all’udienza del 21 dicembre 2017, nella quale l’appellante ha chiesto un ulteriore differimento.

Il Collegio ha ritenuto di non poter concedere un ulteriore rinvio tenuto conto della risalenza nel tempo della controversia (il provvedimento interdittivo risale all’anno 2002, ed il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è stato incardinato nell’anno 2004), tenuto anche conto che l’istanza di autotutela si riferisce ad un atto che – benché conseguenziale all’interdittiva impugnata - non costituisce neppure oggetto del presente giudizio, tenuto conto che il capo di sentenza relativo all’impugnativa della revoca del contributo non è stato gravato con il ricorso in appello.

9. - Pertanto, all’udienza pubblica del 21 dicembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

10. - L’appello è infondato e va, dunque, respinto.

11. - Prima di passare ad esaminare il merito dell’appello, è opportuno richiamare, sinteticamente, taluni principi espressi dalla Sezione in tema di interdittiva antimafia (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):

- l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata» (tali norme riproducono principi già contenuti nella normativa precedente, applicabile alla fattispecie in esame);

- quanto alla ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;

- ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;

- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;

- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

- pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

- quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del «più probabile che non», che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto;

- nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una «influenza reciproca» di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;

- una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione;

- hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

A questi principi enucleati di recente dalla Sezione, occorre aggiungere quelli che sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza:

- non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del «più probabile che non» - il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell'attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012, n. 4708;
Cons. Stato n. 3057/10;
1559/10;
3491/09);

- la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall'utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, n. 5130 del 2011;
Cons. Stato, n. 2783 del 2004;
Cons. Stato, n. 4135 del 2006);

- l'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (in termini, Cons. Stato, n. 4724 del 2001);

- tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, n. 7260 del 2010);

- gli elementi raccolti ai fini dell’interdittiva antimafia non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento a carico dell’impresa attenzionata da parte della criminalità organizzata (Cons. Stato Sez. III, 07-11-2017, n. 5143).

Svolte queste premesse, è possibile esaminare i motivi di appello.

12. - Per ragioni logiche è opportuno invertire l’ordine di trattazione dei motivi di impugnazione, tenuto conto che il rischio di condizionamento mafioso è correlato alla figura del Sig. -OMISSIS-e alla sua incidenza sulla gestione della società interdetta – amministrata dal figlio -OMISSIS-: secondo l’appellante, -OMISSIS-sarebbe stato erroneamente considerato soggetto controindicato ai fini antimafia, in quanto mai condannato per l’associazione di stampo mafioso, né sottoposto a misure cautelari per tale reato o a misure di prevenzione.

13. - La doglianza non può essere condivisa.

La contiguità del Sig. -OMISSIS-con gli ambienti malavitosi della criminalità organizzata risulta dagli atti istruttori sui quali si fonda il provvedimento impugnato, in precedenza richiamati (relazione conclusiva della Commissione Interforze nominata con decreto del Prefetto di Napoli dell’8 gennaio 2001), da cui emerge la sua vicinanza a soggetti strettamente legati con i clan -OMISSIS- e -OMISSIS-.

Come già ricordato, non occorre la condanna per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. o per altro reato con l’aggravante di cui all’art. 7 della L. n. 203 del 1991 per giustificare l’adozione di un provvedimento interdittivo antimafia, in quanto si tratta di una misura di prevenzione che anticipa la soglia della rilevanza penale.

La doglianza deve essere quindi respinta.

14. - Anche il primo motivo di appello non può trovare accoglimento alla stregua dei principi già espressi in precedenza in merito alla rilevanza dei legami familiari (Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743): nel caso di specie, la valutazione in merito al rischio di permeabilità mafiosa sulla gestione dell’impresa -OMISSIS- non si appalesa illogica o irragionevole tenuto conto, non solo dello strettissimo rapporto di parentela esistente tra l’Amministratore della società ed il soggetto controindicato (rispettivamente figlio e padre), ma anche dalla specifica esperienza del padre nel settore di attività in cui opera l’impresa del figlio. La presenza del padre presso gli uffici della società, al momento dell’accesso, conferma questa valutazione induttiva che a sua volta trova ulteriore conferma nei rapporti di affari intercorrenti tra la società del figlio e quella di cui il padre è socio, tenuto anche conto che ambedue le società hanno la stessa sede legale.

Ricorrono, quindi, molteplici elementi a sostegno dell’attendibilità della valutazione compiuta dalla Prefettura, tanto da potersi ritenere – secondo la logica del “più probabile che non” – che attraverso l’influenza del sig. -OMISSIS-la società gestita dal figlio -OMISSIS-potesse subire condizionamenti da parte della criminalità organizzata.

Poiché l’interdittiva antimafia risponde alla logica della massima anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi a prove certe sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazioni malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività economica, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata (Cons. Stato Sez. III, 07-11-2017, n. 5143;
Cons. Stato Sez. III, 25-10-2017, n. 4940).

Non è dunque necessario che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 56 c.p., trattandosi di una misura che esula dall’ambito penale, come già ricordato nelle premesse (§ 11).

Né può ritenersi sussistente il vizio di difetto di istruttoria, in quanto gli elementi acquisiti in sede istruttoria – anche dopo l’accesso disposto dal Prefetto – presentano, se visti in modo complessivo e non parcellizzato, un significato univoco alla stregua del principio del “più probabile che non” in ordine al rischio di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata.

La valutazione compiuta dal Prefetto non presenta, dunque, vizi logici né risulta affetta da carenza di istruttoria o di motivazione.

13. - In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e va, dunque, confermata la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.

14. - Quanto alle spese del grado di appello, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

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