Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-03-13, n. 201401243
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Testo completo
N. 01243/2014REG.PROV.COLL.
N. 02539/2013 REG.RIC.
N. 02929/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2539 del 2013, proposto da:
Autostrada del Brennero S.p.A. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti M C, C G, con domicilio eletto presso M C in Roma, viale Liegi, 32;
contro
A Spa, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono
ope legis
domiciliati;
nei confronti di
Provincia Autonoma di Trento, Regione Trentino Alto Adige, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica rappresentati e difesi dall'avv. Mario Santaroni, con domicilio eletto presso Studio Legale Santaroni in Roma, via di Porta Pinciana N.4;
Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Renate Von Guggenberg, Maria Larcher, Stephan Beikircher, Cristina Bernardi, Michele Costa, con domicilio eletto presso Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa, 24;
Codacons-Coordinamento di Associazioni per la Tutela dell'Ambiente e dei Diritti di Utenti e Consumatori, Associazione Utenti Autostrade, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
;
sul ricorso numero di registro generale 2929 del 2013, proposto da:
Consorzio dei Comuni della Provincia di Bolzano Societa' Cooperativa, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Volpe, Christoph Perathoner, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;
Comunità Comprensoriale di Salto-Sciliar (Bz), Comune di Cornedo All'Isarco, Comune di Fie' Allo Sciliar, in persona del legale rappresentante in carica rappresentati e difesi dagli avv.ti Christoph Perathoner, Francesco Volpe, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;
contro
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dell'Economia e delle Finanze, A Spa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati;
nei confronti di
Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Renate Von Guggenberg, Maria Larcher, Stephan Beikircher, Laura Fadanelli, Michele Costa, con domicilio eletto presso Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa, 24;Autostrada del Brennero Spa;
per la riforma
quanto al ricorso n. 2539 del 2013:
della sentenza del T.a.r. del Lazio – Sede di Roma - Sezione III n. 00149/2013, resa tra le parti, concernente affidamento in concessione delle attività di costruzione relative alla realizzazione degli investimenti di adeguamento e manutenzione straordinaria dell'autostrada a22 Brennero-Modena
quanto al ricorso n. 2929 del 2013:
della sentenza del T.a.r. del Lazio –Sede di Roma - Sezione III n. 00140/2013, resa tra le parti, concernente affidamento in concessione delle attivita' di costruzione relative alla realizzazione degli investimenti di adeguamento e di manutenzione straordinaria dell'autostrada a22 Brennero-Modena di km 314
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A Spa e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Provincia Autonoma di Trento e di Regione Trentino Alto Adige e di Provincia Autonoma di Bolzano e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di A Spa e di Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Consigliere F T e uditi per le parti gli Avvocati M C, C G, l'Avvocato dello Stato C M Pna, Fabrizio Imbardelli (su delega di Mario Santaroni) Michele Costa ed Andrea Manzi (su delega di Francesco Volpe);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Ricorso n. 2529/2013 avverso la sentenza n. 149/2013;
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sede di Roma - ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto dall’odierna parte appellante Autostrada del Brennero s.p.a. volto ad ottenere l’annullamento del bando di gara indetto dall’A spa recante “ Affidamento in concessione delle attività di costruzione relative alla realizzazione degli investimenti di adeguamento e di manutenzione straordinaria dell’Autostrada A22 Brennero-Modena di km 314, di completamento della realizzazione degli interventi previsti nella convenzione sottoscritta in data 29 luglio 1999 tra A spa e la società Autostrada del Brennero spa, successivamente integrata con la convenzione aggiuntiva del 6.5.2004, della gestione e manutenzione dell’Autostrada A22 Brennero-Modena, nonché la realizzazione degli investimenti previsti dall’art.47, comma 1, del decreto legge 31 maggio 2010, n.78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.122, che ha modificato l’art.8- duodecies del decreto legge 8 aprile 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2008 n.101” dell’8 settembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie speciale Contratti pubblici – n.107 del 12 settembre 2011, della direttiva n.311 del 10 agosto 2011 emanata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.
La originaria parte ricorrente aveva esposto di essere la titolare della concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del Brennero con scadenza 30.4.2014.
Avverso detti atti, mercè il ricorso introduttivo del giudizio, l’odierna appellante aveva proposto sei articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti l’odierna appellante aveva gravato l'avviso di rettifica e di riapertura dei termini relativi alla gara de qua , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie speciale Contratti Pubblici - n. 93 del 10.8.2012, deducendo a tal fine ulteriori tre doglianze.
Il primo giudice ha analiticamente vagliato le dedotte censure, premettendo a tale disamina il convincimento in materia di impugnativa dei bandi di gara secondo il quale l'onere di immediata impugnazione delle clausole del bando sussiste solo allorquando esse impediscono la stessa partecipazione alla procedura di gara, rinvenendosi la loro immediata lesività proprio nell'immediato effetto preclusivo cui consegua per l'interessato un provvedimento negativo avente carattere meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta.
Da tale principio il T ha fatto discendere il corollario per cui potevano ritenersi ritualmente formulate le censure con cui era stata contestata la legittimità della indizione della gara per inosservanza dell'art. 8- duodecies del decreto legge n.59/2008 e per incompetenza dell'A a ricevere le offerte presentate dalle concorrenti.
Ha quindi esaminato dette due doglianze, respingendole.
Quanto alla prima di esse (volta giustappunto a contestare la stessa indizione della gara pubblica per violazione dell'art.8 duodecies , comma 2, del D.L. n.59/2008, convertito con legge n.101/2010) ha rammentato che la Commissione europea ritualmente interessata dalle Autorità italiane, aveva escluso la compatibilità con la normativa comunitaria di qualsiasi forma di proroga della concessione in argomento (ciò anche a seguito degli impegni assunti in precedenza dal Governo Italiano per l'archiviazione di altre procedure di infrazione riguardanti casi simili) non escludendo in alcun modo la costituzione tra gli enti locali interessati di una società di corridoio, dopo aver fissato le condizioni in presenza delle quali l'istituzione della società de qua poteva ritenersi compatibile con l'ordinamento comunitario.
Tale soluzione non era stata ritenuta percorribile in quanto la Ragioneria Generale dello Stato, dopo aver valutato gli impatti sulla finanza pubblica della istituzione della citata società di corridoio, non aveva ritenuto tale soluzione conforme al dettato normativo nella parte in cui il citato art.8 duodecies prevedeva che eventuali soluzioni alternative alla gara dovessero assicurare uguali introiti per il bilancio dello Stato.
Parimenti è stata disattesa la prima delle doglianze dedotte con i motivi aggiunti (prospettante l'incompetenza dell'A a ricevere le domande di partecipazione alla gara de qua alla luce del disposto di cui all'art.36 del d.lg. n.98/2011 e dell'art.11 del d.l. n.216/2011).
Ad avviso del T la reiezione di tale articolata doglianza si imponeva in quanto il quadro normativo (art.36 del d.lg. n.98/2011 e dell'art.11 del d.l. n.216/2011;comma 5 del d.L. n.216/2011;art.12, comma 79, del d.l. n.95/2012) non escludeva il persistere della competenza dell’A a ricevere le offerte.
Invero la stessa società originaria ricorrente - pur riconoscendo che l'A era competente nella materia de qua alla data di pubblicazione dell'avviso di rettifica (10 agosto 2011) - tuttavia aveva contestato la legittimità dell’operato di quest’ultima in quanto era stato previsto come termine ultimo per la presentazione delle domande di partecipazione la data del 2 ottobre 2012.
Ed alla detta data la stessa A non era più competente a ricevere le suddette domande, le quali avrebbero dovuto essere presentate direttamente al Ministero delle Infrastrutture.
Da ciò la prospettazione del vizio di incompetenza.
Senonchè – ha rilevato il primo giudice - l'autonoma fase procedimentale attinente alla presentazione delle domande era stata disciplinata dall'A allorchè quest'ultima risultava nella pienezza dei poteri assegnati dall'ordinamento: conseguentemente, in base al principio tempus regit actum ed in ossequio all'altro fondamentale principio della continuità dell'azione amministrativa la contestata previsione del termine del 2 ottobre non risultava affetta dalla illegittimità prospettata.
Inoltre, sotto il profilo meramente sostanziale, atteso che l’A aveva provveduto a trasmettere al competente Ministero le domande di partecipazione ricevute, la società originaria ricorrente non aveva in alcun modo dimostrato come la presentazione delle domande presso l'A avesse di per sè costituito un elemento tale da ledere la propria posizione giuridica di concorrente alla gara de qua .
Così respinte le due censure ritenute ammissibili, tutte le ulteriori doglianze proposte dalla società odierna appellante sono state dichiarate inammissibili dal T alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale richiamato nell’incipit della motivazione della gravata sentenza in punto di limiti alla immediata impugnativa dei bandi di gara.
Le dette doglianze, infatti, erano tese a contestare: la legittimità della previsione del bando di gara che prevedevano in capo all'aggiudicatario il versamento annuo in via anticipata della somma di Euro 70.000.000,00;la presunta indeterminatezza del bando in ordine all'individuazione dell'importo complessivo dei lavori e degli importi delle singole categorie di lavori da realizzare;la violazione del principio di segretezza dell'offerta derivante dalla richiesta di presentazione delle attestazioni soa in sede di prequalifica;la violazione della direttiva ministeriale n.311/2011 per la mancata individuazione nel bando delle opere infrastrutturali complementari;la carenza degli elementi economici minimi necessari ai potenziali concorrenti per valutare la concessione e l'opportunità di partecipare alla gara;l'illegittima prevalenza degli elementi quantitativi su quelli qualitativi all'interno dei criteri di valutazione;l'eccessivo peso riconosciuto ai criteri economico finanziari.
Avuto riguardo alla consistenza e tipologia delle censure prospettate, quindi, ad avviso del T, non sussisteva l’onere di immediata impugnazione del bando di gara in carenza di alcun effetto escludente delle clausole del bando medesimo, ovvero la imposizione di oneri incomprensibili o del tutto sproporzionati rispetto ai contenuti della procedura concorsuale.
In ogni caso – aveva affermato il primo giudice- anche a volersi rifare ai principi propugnati dalla giurisprudenza meno restrittiva (che estendeva la possibilità di immediata impugnazione del bando anche a quelle clausole che non consentivano alla potenziale concorrente di formulare un'offerta) ugualmente il mezzo doveva essere dichiarato in parte qua inammissibile, in quanto la spa Autostrade del Brennero non aveva in alcun modo dimostrato “con stringenti argomentazioni” come le prospettate illegittimità e carenze del bando producessero un simile effetto.
Rilevava in proposito il T che detta società aveva presentato domanda di partecipazione entro i termini di scadenza previsti dal bando e, soprattutto, il bando di gara prescriveva soltanto la formale presentazione di una manifestazione di interesse a partecipare alla gara, per cui la formulazione dell'offerta doveva essere effettuata alla luce degli elementi contenuti nella successiva lettera di invito che ha funzione integrativa del bando per gli aspetti dallo stesso non disciplinati.
Alla stregua di tali argomentazioni il ricorso è stato dichiarato in parte infondato ed inammissibile.
L’odierna parte appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha in proposito riepilogato le principali tappe infraprocedimentali ed ha a tal uopo premesso che la propria legittimazione attiva scaturiva dalla circostanza che essa era attualmente titolare della concessione di costruzione e gestione dell’autostrada del Brennero, in forza di una convenzione di concessione stipulata con l’A in data 29 luglio 1999.
La citata convenzione era stata successivamente prorogata, con la stipula, il 6 maggio 2004, di una convenzione aggiuntiva a quella del 1999, sino al termine del 30 aprile 2014.
L’art. 47, comma 1, DL 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122 aveva prescritto alcune misure volte a disciplinare l’affidamento della concessione autostradale del Brennero successivamente alla sua scadenza ed in particolare aveva, introdotto il comma 2- bis all’art. 8- duodecies del decreto legge 8 aprile 2008, n. 59.
La direttiva interministeriale n. 311/2011 emanata in (pretesa) conformità a detta prescrizione legislativa subito prima della pubblicazione del bando conteneva una serie di lacune che non consentivano alle imprese interessate di pianificare con certezza il proprio investimento.
Il bando di gara, era stato pubblicato il 12 settembre 2011.
A cagione dell’avvenuta impugnazione del bando, e del succedersi di provvedimenti cautelari giurisdizionali di contrastante tenore il bando predetto era stato più volte sospeso e riavviato.
Con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 93 del 10 agosto 2012, l’A aveva riaperto il termine per la presentazione delle domande di partecipazione e, con tale avviso di rettifica, erano state apportate ulteriori modifiche al bando predetto.
Con il primo motivo di censura l’appellante ha riproposto la doglianza incentrata sulla violazione dell’art. 36 del d.l. 98/2011 e dell’art. 11 del d.l. 216/2011 (incompetenza di A a gestire la gara e, segnatamente, a ricevere le domande di partecipazione).
Ha rammentato quale fosse l’ordito normativo primario sotteso alla doglianza ed ha ribadito che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, a partire dal 1 ottobre 2012, l’ A aveva perso qualsiasi competenza quale ente concedente: tutte le funzioni in tal senso (non essendo stati adottati i necessari atti per l’avvio dell’attività dell’Agenzia delle Strade) erano state trasferite al Ministero.
Conseguentemente, benché A fosse ancora competente all’emanazione del bando nel momento in cui era stato pubblicato l’avviso di rettifica oggetto del ricorso per motivi aggiunti, tal avviso doveva considerarsi viziato da incompetenza assoluta in ragione della fissazione del termine di presentazione delle domande al 2 ottobre 2012 (data in cui, in ogni caso, A non sarebbe più stata competente a ricevere tali domande -ma la competenza avrebbe dovuto essere devoluta all’Agenzia per le Strade od al Ministero -).
In aperto contrasto con la citata normativa l’A aveva, in materia del tutto illegittima, effettivamente e concretamente ricevuto le domande di partecipazione.
Esse quindi erano state ricevute e custodite da un ente incompetente (con evidenti potenziali impatti sulla par condicio e trasparenza della procedura di gara considerato che alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande, la stessa A – non più concedente – avrebbe potuto presentare per sé una domanda di partecipazione).
La reiezione della doglianza da parte del T si fondava sulla applicazione del principio tempus regit actum : senonchè proprio di tal principio il T aveva fatto malgoverno.
Alla data dell’avviso di rettifica e riapertura dei termini, ovvero in data 10 agosto 2012 era già in vigore la disciplina contenuta nell’art. 11, comma 5, del d.l. 216/2011, come modificato dall’art. 12, comma 79, del d.l. 95/2012, che aveva fissato al 31settembre 2012 la data ultima per il trasferimento delle funzioni all’Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali, oppure, in caso di mancata adozione dello statuto, al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Alla data di riapertura dei termini per le domande di partecipazione, pertanto, la normativa in materia prevedeva espressamente che la competenza di A non avrebbe potuto travalicare la data del 31 settembre 2012.
L’A, quindi, anche se competente alla data di adozione dell’avviso in discorso (10 agosto 2012), essendo a conoscenza dell’imminente scadenza sopra richiamata e avrebbe dovuto disporre che a far data dal 1 ottobre 2012 le domande di partecipazione avrebbero dovuto essere presentate direttamente al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Neppure poteva utilmente invocarsi il principio di continuità dell’azione amministrativa (che legittima la permanenza di determinate funzioni in capo a un organo decaduto onde impedire eventuali stasi procedimentali): esso non poteva trovare applicazione ove, (come nel caso in specie) la legge avesse individuato espressamente il nuovo titolare delle predette funzioni, a partire dal giorno successivo alla decadenza del primo ente e senza alcuna soluzione di continuità.
Neppure poteva essere considerata rilevante la circostanza che, al tempo della fissazione del termine di presentazione delle domande di partecipazione, l’A fosse ancora titolare delle funzioni concedenti nel settore autostradale.
Il pacifico l’orientamento secondo cui il bando resiste allo ius superveniens poteva predicarsi solo con riferimento a modifiche normative idonee a incidere sul regolamento della gara e non anche in presenza del trasferimento delle stesse funzioni amministrative di stazione appaltante a un altro soggetto giuridico, pena l’insanabile carenza di attribuzione degli atti emanati dal primo ente in vigenza delle nuove regole sulla competenza.
Tale plastica rappresentazione era peraltro dimostrata dalle condotte tenute dalla Stazione appaltante: l’A non aveva più svolto, dopo aver ricevuto le domande di partecipazione sino al 2 ottobre 2012, ulteriori attività concorsuali, ma aveva provveduto a trasmettere tali domande al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti affinché lo stesso provvedesse allo svolgimento delle ulteriori procedure (accedendo alla tesi prospettata dal TAR Lazio con la sentenza impugnata, l’A avrebbe dovuto continuare a svolgere la procedura di gara).
La procedura quindi era sia stata viziata da un vulnus irreparabile nel momento in cui l’A aveva ricevuto le domande di partecipazione: lo stesso avviso pubblicato nell’agosto 2012 avrebbe dovuto tener conto del trasferimento di funzioni al Ministero e prevedere la consegna delle domande direttamente a quest’ultimo.
Con il secondo motivo di censura parte appellante ha criticato la declaratoria di inammissibilità resa dal primo giudice con riferimento agli ulteriori motivi di gravame prospettati nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e nel ricorso per motivi aggiunti.
Ha in proposito rammentato che, secondo una recente ed autorevole corrente giurisprudenziale, la facoltà di immediata impugnativa dei bandi di gara non era limitata all’ipotesi in cui questi ultimi contenessero clausole impeditive della partecipazione alla gara di taluno degli aspiranti, ma doveva essere estesa alle fattispecie in cui questi contenessero regole che rendessero la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile, disposizioni abnormi o irragionevoli che rendessero impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara ovvero prevedessero abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta, ovvero condizioni negoziali tali da rendere il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente, ovvero che imponessero obblighi contra ius ovvero affetti da gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta o del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza non soggetti a ribasso.
Ciò secondo una indicazione – enucleata dalle varie pronunce giurisprudenziali che avevano preso in esame la fattispecie - che non poteva essere considerata di natura tassativa.
Nel caso di specie, ad avviso di parte appellante, ricorrevano proprio talune delle dette evidenze: ed infatti nei motivi di impugnazione dichiarati inammissibili dal primo giudice (e riproposti in appello) erano state censurate alcune previsioni della lex specialis di gara che rendevano estremamente difficoltosa la partecipazione alla gara, impedivano il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara medesima, così da ostacolare una consapevole formulazione dell’offerta e, per altro verso, prevedevano criteri di valutazione incongrui e fonte di incertezza.
Il primo giudice aveva “irrobustito” la declaratoria di inammissibilità, facendo presente nella motivazione della sentenza impugnata, che –anche ad aderire all’orientamento meno restrittivo che non limitava la immediata impugnabilità dei bandi alla ipotesi in cui questi ultimi contenessero clausole “escludenti”- l’appellante Autostrada del Brennero spa non avrebbe fornito la dimostrazione delle difficoltà incontrate, aveva comunque presentato la domanda di partecipazione nei termini e, comunque, la disciplina di gara sarebbe stata integrata dalla successiva lettera di invito.
Senonchè, da un canto, la prima affermazione sarebbe stata errata in fatto, posto che sarebbero state chiarite dall’appellante le ingenti difficoltà incontrate per la partecipazione alla gara e riposanti nello scegliere se partecipare singolarmente o in raggruppamento temporaneo con altri concorrenti, le criticità nell’interfacciarsi con enti finanziatori, (non in grado di valutare consapevolmente le condizioni economiche della concessione oggetto di affidamento) etc.
Per altro verso, l’avvenuta presentazione di una domanda partecipativa non poteva ostare alla immediata impugnazione del bando, né integrare acquiescenza alcuna alle dette clausole (in ipotesi contraria il gravame della stessa avrebbe rischiato la declaratoria di improcedibilità).
In ultimo, la lettera di invito poteva solo integrare e specificare il bando di gara, ma non derogarvi, in quanto, in caso di contrasto, doveva essere proprio il bando a prevalere: la maggior parte delle carenze riscontrate nel bando di gara non apparivano suscettibili di essere colmate dalla lettera di invito, la quale, per risolvere le illegittimità prospettate, avrebbe dovuto addirittura contraddire il bando già pubblicato.
In ogni caso, comunque, l’ammissione della facoltà di impugnare tutte le clausole del bando che siano idonee a determinare uno scorretto ed illegittimo svolgimento della gara costituiva l’unica interpretazione che potesse considerarsi conforme alla Costituzione ed alla normativa comunitaria.
Quanto soprattutto a quest’ultima, infatti, ad avviso di parte appellante, l’affermazione della impossibilità di immediata impugnazione del bando di gara si sarebbe posta in contrasto con il principio di tutela della concorrenza, costringendo le imprese a partecipare ad una gara illegittima per poterla, quindi, censurare, solo all’esito dell’intera procedura e importerebbe la violazione dei principi contenuti nella c.d. direttiva ricorsi (direttiva 2007/66/CE), tesa proprio a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale nel settore dei contratti pubblici.
In via subordinata, pertanto, l’appellante ha chiesto che venisse disposto rinvio pregiudiziale alla Corte Costituzionale ed alla Corte di Giustizia per la decisione in merito.
Con l’ultima parte dell’appello (censure nn. 3 - 9) infine, la originaria ricorrente ha riproposto le censure dichiarate inammissibili dal T.
Ivi, si è contestata (deducendo i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere): la legittimità della previsione del bando di gara che prevedeva in capo all'aggiudicatario il versamento annuo in via anticipata della somma di Euro 70.000.000,00;
la presunta indeterminatezza del bando in ordine all'individuazione dell'importo complessivo dei lavori e degli importi delle singole categorie di lavori da realizzare;
la violazione del principio di segretezza dell'offerta derivante dalla richiesta di presentazione delle attestazioni Soa in sede di prequalifica;
la violazione della direttiva ministeriale n.311/2011 per la mancata individuazione nel bando delle opere infrastrutturali complementari;
la carenza degli elementi economici minimi necessari ai potenziali concorrenti per valutare la concessione e l'opportunità di partecipare alla gara;
l'illegittima prevalenza degli elementi quantitativi su quelli qualitativi all'interno dei criteri di valutazione;
l'eccessivo peso riconosciuto ai criteri economico finanziari.
La Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige e la Regione Trentino Alto Adige hanno depositato articolate memorie spiegando intervento ad adiuvandum in favore dell’accoglimento dell’appello.
Hanno in proposito fatto presente che la legittimazione delle medesime discendeva dalla circostanza che entrambe erano azioniste della società per azioni originaria ricorrente, ed hanno chiesto l’accoglimento dell’appello prospettando le identiche doglianze contenute nell’appello principale, del quale hanno sostenuto la fondatezza.
L’appellante ha ribadito e puntualizzato le proprie difese mercè il deposito di una articolata memoria.
L’appellata amministrazione non ha spiegato difese scritte.
Alla camera di consiglio del 7 maggio 2013 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la trattazione della controversia è stata differita al merito.
Alla odierna pubblica udienza del 17 dicembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
Ricorso n. 2929/2013 avverso la sentenza n. 140/2013;
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sede di Roma - ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte irricevibile il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto dall’odierna parte appellante e volto ad ottenere l’annullamento della Direttiva assunta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti d'intesa con il Ministero dell'Economia e delle Finanze in data 10 agosto 2011 n.311 e del bando di gara indetto dall’A spa recante “Affidamento in concessione delle attività di costruzione relative alla realizzazione degli investimenti di adeguamento e di manutenzione straordinaria dell’Autostrada A22 Brennero-Modena di km 314, di completamento della realizzazione degli interventi previsti nella convenzione sottoscritta in data 29 luglio 1999 tra A spa e la società Autostrada del Brennero spa, successivamente integrata con la convenzione aggiuntiva del 6.5.2004, della gestione e manutenzione dell’Autostrada A22 Brennero-Modena, nonché la realizzazione degli investimenti previsti dall’art.47, comma 1, del decreto legge 31 maggio 2010, n.78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.122, che ha modificato l’art.8- duodecies del decreto legge 8 aprile 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2008 n.101” dell’8 settembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie speciale Contratti pubblici – n.107 del 12 settembre 2011.
Gli enti pubblici originari ricorrenti (il cui territorio era attraversato dall'Autostrada A22 Modena-Brennero) avevano proposto mercè il ricorso introduttivo del giudizio, tre articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti essi avevano gravato l'avviso di rettifica e di riapertura dei termini relativi alla gara de qua , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie speciale Contratti Pubblici - n. 93 del 10.8.2012, deducendo a tal fine ulteriori doglianze.
Il primo giudice ha in via preliminare saggiato la consistenza delle eccezioni preliminari proposte dalle odierne parti appellate e le ha ritenute persuasive.
Ricostruito il tessuto normativo sotteso alla vicenda contenziosa, il T è pervenuto all’affermazione per cui la avversata direttiva assunta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti d'intesa con il Ministero dell'Economia e delle Finanze in data 10 agosto 2011 n.311 aveva natura di mero atto interno infraprocedimentale, in quanto finalizzata a stabilire il futuro contenuto del bando e del disciplinare di gara: essa pertanto, era priva di alcuna diretta efficacia lesiva nei confronti dei terzi, con la conseguenza che eventuali illegittimità della direttiva de qua potevano essere prospettate unicamente attraverso l'impugnativa del bando (che costituiva l'atto finale della procedura di cui al menzionato art.8- duodecies e che, recependone i contenuti, aveva natura di atto applicativo, e direttamente lesivo della posizione giuridica degli odierni enti pubblici originari ricorrenti).
Il mezzo proposto avverso la direttiva, pertanto, doveva essere dichiarato inammissibile.
Quanto alle censure proposte avverso il bando di gara, invece, esse dovevano essere dichiarate irricevibili, in quanto il gravame era stato notificato in data 13.1.2012, mentre il bando era stato pubblicato sulla G.U. n.107 del 12 settembre 2011.
In ultimo e con riferimento ai motivi aggiunti, questi ultimi erano stati proposti avverso l'avviso di rettifica del bando: esso si limitava a disporre la riapertura dei termini di presentazione delle manifestazioni di interesse nonchè a modificare alcune diposizioni dell'originario bando.
Ne discendeva che l’intero ricorso per motivi aggiunti doveva essere dichiarato inammissibile in quanto - per gli aspetti censurati con le dette doglianze, identiche a quelle formulate in via principale - l'avviso di rettifica risultava essere meramente confermativo del bando.
L’odierna parte appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione e riproponendo le censure disattese in primo grado (ad eccezione del primo motivo di ricorso, relativo alla supposta carenza dell’iniziativa governativa volta ad avviare consultazioni presso la Commissione europea allo scopo di ravvisare se sussistessero “soluzioni diverse che potessero assicurare i medesimi introiti per il bilancio dello Stato garantendo il finanziamento incrociato per il tunnel di base del Brennero e le relative tratte di accesso nonché la realizzazione da parte del concessionario di opere infrastrutturali complementari sul territorio di riferimento” del quale ha lealmente affermato che era emersa la infondatezza in sede di contraddittorio processuale).
Ha in primo luogo ripercorso l’ iter infraprocedimentale che aveva condotto all’adozione degli atti avversati in primo grado, ed ha provveduto a reiterare le argomentazioni contenute nel mezzo di primo grado, chiarendo quale fosse l’interesse che aveva determinato gli enti locali impugnanti ad insorgere avverso detti atti e le censure che gli stessi avevano articolato.
Ha fatto presente che la direttiva ministeriale da essi impugnata era stata conosciuta in data successiva alla impugnazione del bando di gara e, perdipiù, in modo assolutamente casuale.
Ha quindi censurato la statuizione di inammissibilità del gravame, ed il punto di partenza sulla quale quest’ultima si è fondata, consistente nel convincimento per cui la Direttiva aveva natura (esclusivamente) endoprocedimentale, mentre l’atto conclusivo del procedimento doveva essere individuato nel bando di gara (quest’ultimo, pacificamente, rivestente natura provvedimentale).
Parte appellante ha in proposito sostenuto che alla Direttiva dovesse essere attribuito pacifico contenuto provvedimentale (imponendo quest’ultima all’A il quomodo dell’affidamento evidenziale della concessione autostradale).
Ha inoltre sostenuto che la sentenza era errata laddove, dopo avere affermato che il Bando costituiva “atto applicativo” della Direttiva, perveniva poi alla contraddittoria asserzione secondo la quale l’unico atto lesivo per le odierne parti appellanti dovesse essere individuato proprio nel bando.
Al contrario, la lesione discendeva, semmai, dall’atto “genetico” ( id est : la Direttiva) del quale il bando di gara costituiva mera attuazione vincolata.
I comuni impugnanti non erano né interessati, né legittimati, ad impugnare il bando di gara (interesse, semmai, che sarebbe potuto essere pertinenti agli imprenditori aspiranti affidatari): essi, in quanto enti locali il cui territorio era attraversato dall’opera, avevano interesse a gravare la Direttiva.
Spettava infatti a quest’ultima individuare (e tale omissione costituiva grave lacuna e fonte di certa illegittimità della stessa) quali fossero le opere infrastrutturali da realizzare, la cui esecuzione sarebbe spettata al futuro concessionario.
Le odierne parti appellanti avevano “esteso” l’impugnativa al bando di gara, unicamente ex art. 34 comma 1 lett. e) del cpa.
Il bando, inoltre, non possedeva lesività intrinseca ed indipendente rispetto alla Direttiva, in quanto non comportava l’approvazione di alcun progetto di opera pubblica, né preliminare, né definitivo.
E ciò in quanto, la Direttiva, contravvenendo al disposto di cui all’art. 8- duodecies del decreto legge 8 aprile 2008 affidava all’A il compito di indicare le opere infrastrutturali complementari;ulteriormente contravvenendo allo spirito ed alla lettera della legge, neppure l’A, con il bando di gara (comunque carente di ogni formale progettazione) aveva indicato quali dovessero essere dette opere rinviando l’ostensione della indicazione delle stesse alla fase successiva alla prequalifica e, quindi, successivamente alla ricezione della lettera-invito.
Ne conseguiva che era ben vero che l’impugnazione avrebbe potuto in futuro rivolgersi verso le lettere-invito, ma che, comunque, dette lettere di invito non dovevano essere necessariamente rese note agli Enti territoriali attraversati dall’opera, di guisa che l’impugnazione della Direttiva si appalesava corretta e tempestiva.
In ogni caso, anche ad aderire alla tesi principale esposta dal T, appariva del tutto incongruo non ritenere che l’avviso di rettifica non costituisse atto idoneo a riaprire i termini di impugnazione, in quanto quest’ultimo aveva operato una sostanziale e consistente rielaborazione del bando di gara.
L’appellante ha poi riproposto tutti i motivi di censura già prospettati in primo grado, (ad eccezione, come detto prima, del primo di essi, cui ha espressamente rinunciato).
E’ stato in particolare riproposto il secondo motivo del mezzo di primo grado (incentrato sulla dedotta violazione dell'art.8- duodecies del d.l. n.59/2008) ribadendosi che la Direttiva era carente di un elemento essenziale, riposante nella anticipata indicazione delle opere complementari, posto che la detta prescrizione normativa non aveva assolutamente demandato tale indicazione al bando di gara (siccome immotivatamente sostenuto dalle Amministrazioni originarie resistenti).
Parimenti è stato riproposto il terzo motivo del mezzo di primo grado (violazione di legge per violazione della norma di risulta derivante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art.8- duodecies del d.l. n.59/2008) sostenendosi che era stato violato il principio di leale collaborazione e di sussidiarietà, oltre che di concertazione con le autonomie locali, in quanto era stata del tutto obliata la necessità di coinvolgere gli enti locali nel processo decisionale di allocazione delle opere complementari (la eventuale concertazione nella fase dell’approvazione dei progetti non poteva rimediare al vulnus determinato dalla impossibilità di interloquire in ordine alla individuazione delle opere predette, ed allocazione delle stesse).
La Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige ha depositato una articolata memoria spiegando intervento ad adiuvandum in favore dell’accoglimento dell’appello prospettando le identiche doglianze contenute nell’appello principale, del quale ha sostenuto la fondatezza.
Le appellate amministrazioni non hanno spiegato difese scritte.
Alla camera di consiglio del 4 giugno 2013 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la trattazione della controversia è stata differita al merito.
Alla odierna pubblica udienza del 17 dicembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.I due appelli suindicati devono essere riuniti in quanto, sebbene non diretti a gravare la medesima sentenza, sono palesemente connessi sia sotto il profilo soggettivo che, soprattutto, sotto il profilo oggettivo, in quanto diretti a gravare gli stessi atti facenti parte della medesima sequenza infraprocedimentale.
1.1. Rilevato in via preliminare che né l’appellante società (quanto all’appello proposto avverso la decisione del T n. 149/2013) né l’appellante Consorzio di Comuni (quanto all’appello proposto avverso la decisione del T n. 140/2013) hanno riproposto il rispettivo primo motivo di censura riposante nella asserita omissione della fase di preventiva verifica da parte del Governo presso la Commissione europea di soluzioni diverse da quelle previste nell’art..8- duodecies , comma 2, del D.L. n.59/2008, ritiene il Collegio di esaminare in via prioritaria la radicale censura di incompetenza proposta dalla società attuale concessionaria ed odierna appellante nell’ambito dell’appello n. 2539/2013.
Essa infatti riveste portata prioritaria sotto il profilo logico posto che, laddove venisse accolta, determinerebbe la integrale caducazione del bando di gara, sin dalla fase genetica della procedura.
1.2.Il Collegio ritiene che la censura sia infondata.
1.3.Sebbene non vi sia contrasto in ordine alle disposizioni normative applicabili alla fattispecie ritiene il Collegio utile, anche a fini di chiarezza espositiva, rammentarne il contenuto.
Stabilisce il D.L. 31-5-2010 n. 78, all’art. 47 comma 1, nel testo modificato dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122 (recante “concessioni autostradali”) che “all'articolo 8- duodecies del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2 le parole: «31 dicembre 2009» sono sostituite dalle seguenti: «31 luglio 2010»;
b) il comma 2-bis è sostituito dal seguente:
«2-bis. La società A S.p.a., salva la preventiva verifica da parte del Governo presso la Commissione europea di soluzioni diverse da quelle previste nel presente comma che assicurino i medesimi introiti per il bilancio dello Stato e che garantiscano il finanziamento incrociato per il tunnel di base del Brennero e le relative tratte di accesso nonché la realizzazione da parte del concessionario di opere infrastrutturali complementari sul territorio di riferimento, anche urbane o consistenti in gallerie, entro il 31 dicembre 2010 pubblica il bando di gara per l'affidamento della concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del Brennero. A tal fine il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, impartisce direttive ad A S.p.a. in ordine ai contenuti del bando di gara e del relativo capitolato o disciplinare, ivi compreso il valore della concessione, le relative modalità di pagamento e la quota minima di proventi annuale, comunque non inferiore a quanto accantonato in media negli esercizi precedenti, che il concessionario è autorizzato ad accantonare nel fondo di cui all'articolo 55, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 nonché l’indicazione delle opere infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie, la cui realizzazione, anche mediante il ricorso alla finanza di progetto, deve rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario. II predetto bando deve prevedere un versamento annuo di 70 milioni di euro, a partire dalla data dell'affidamento e fino a concorrenza del valore di concessione, che viene versato all'entrata del bilancio dello Stato. Nella determinazione del valore di concessione, di cui al periodo precedente, vanno in ogni caso considerate le somme già erogate dallo Stato per la realizzazione dell'infrastruttura.».
Il d.L. 6-7-2011 n. 98, poi, all’art. 36 (recante disposizioni in materia di riordino dell'A S.p.A.) nel testo modificato dalla legge di conversione 15 luglio 2011, n. 111 e, successivamente, dall'art. 36, comma 3, lett. b), n. 1, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27 così prevede ai primi quattro commi: “A decorrere dal 1° gennaio 2012 è istituita, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e con sede in Roma, l'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali. Il potere di indirizzo, di vigilanza e di controllo sull'Agenzia è esercitato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;in ordine alle attività di cui al comma 2, il potere di indirizzo e di controllo è esercitato, quanto ai profili finanziari, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. L'incarico di direttore generale, nonché quello di componente del comitato direttivo e del collegio dei revisori dell'Agenzia ha la durata di tre anni.
2. L'Agenzia, anche avvalendosi di A s.p.a., svolge i seguenti compiti e attività ferme restando le competenze e le procedure previste a legislazione vigente per l'approvazione di contratti di programma nonché di atti convenzionali e di regolazione tariffaria nel settore autostradale e nei limiti delle risorse disponibili agli specifici scopi:
a) proposta di programmazione della costruzione di nuove strade statali, della costruzione di nuove autostrade, in concessione ovvero in affidamento diretto ad A s.p.a. a condizione che non comporti effetti negativi sulla finanza pubblica, nonché, subordinatamente alla medesima condizione, di affidamento diretto a tale società della concessione di gestione di autostrade per le quali la concessione sia in scadenza ovvero revocata;
b) quale amministrazione concedente:
1) selezione dei concessionari autostradali e relativa aggiudicazione;
2) vigilanza e controllo sui concessionari autostradali, inclusa la vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e il controllo della gestione delle autostrade il cui esercizio è dato in concessione;
3) in alternativa a quanto previsto al numero 1), affidamento diretto ad A s.p.a., alla condizione di cui alla lettera a), delle concessioni, in scadenza o revocate, per la gestione di autostrade, ovvero delle concessioni per la costruzione e gestione di nuove autostrade, con convenzione da approvarsi con decreto del Ministro dell'infrastruttura e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
4) si avvale, nell'espletamento delle proprie funzioni, delle società miste regionali Autostrade del Lazio s.p.a., Autostrade del Molise s.p.a., Concessioni Autostradali Lombarde s.p.a. e Concessioni Autostradali Piemontesi s.p.a., relativamente alle infrastrutture autostradali, assentite o da assentire in concessione, di rilevanza regionale;
c) approvazione dei progetti relativi ai lavori inerenti la rete autostradale di interesse nazionale, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità ed urgenza ai fini dell'applicazione delle leggi in materia di espropriazione per pubblica utilità;
d) proposta di programmazione del progressivo miglioramento ed adeguamento della rete delle strade e delle autostrade statali e della relativa segnaletica;
e) proposta in ordine alla regolazione e variazioni tariffarie per le concessioni autostradali secondo i criteri e le metodologie stabiliti dalla competente Autorità di regolazione, alla quale è demandata la loro successiva approvazione;
f) vigilanza sull'attuazione, da parte dei concessionari, delle leggi e dei regolamenti concernenti la tutela del patrimonio delle strade e delle autostrade statali, nonché la tutela del traffico e della segnaletica;vigilanza sull'adozione, da parte dei concessionari, dei provvedimenti ritenuti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade ed autostrade medesime;
g) effettuazione e partecipazione a studi, ricerche e sperimentazioni in materia di viabilità, traffico e circolazione;
h) effettuazione, a pagamento, di consulenze e progettazioni per conto di altre amministrazioni od enti italiani e stranieri.
3. A decorrere dal 1° gennaio 2012 A s.p.a. provvede, nel limite delle risorse disponibili e nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, esclusivamente a:
a) costruire e gestire le strade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio, e le autostrade statali, anche per effetto di subentro ai sensi del precedente comma 2, lettere a) e b) incassandone tutte le entrate relative al loro utilizzo, nonché alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria;
b) realizzare il progressivo miglioramento ed adeguamento della rete delle strade e delle autostrade statali e della relativa segnaletica;
c) curare l'acquisto, la costruzione, la conservazione, il miglioramento e l'incremento dei beni mobili ed immobili destinati al servizio delle strade e delle autostrade statali;
d) espletare, mediante il proprio personale, i compiti di cui al comma 3 dell'articolo 12 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e all'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, nonché svolgere le attività di cui all'articolo 2, comma 1, lettere f), g), h) ed i), del decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143;
d- bis ) approvare i progetti relativi ai lavori inerenti la rete stradale e autostradale di interesse nazionale, non sottoposta a pedaggio e in gestione diretta, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità ed urgenza ai fini dell'applicazione delle leggi in materia di espropriazione per pubblica utilità.
4. Entro la data del 30 settembre 2012, l'Agenzia subentra ad A s.p.a. nelle funzioni di concedente per le convenzioni in essere alla stessa data. A decorrere dalla medesima data in tutti gli atti convenzionali con le società regionali, nonché con i concessionari di cui al comma 2, lettera b), il riferimento fatto ad A s.p.a., quale ente concedente, deve intendersi sostituito, ovunque ripetuto, con il riferimento all'Agenzia di cui al comma 1.”
Il d.L. 29-12-2011 n. 216, all’art. 11 comma 5 (recante “ Proroga di termini in materia di infrastrutture e trasporti”) ha stabilito che “Fino alla data di adozione dello statuto dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, e comunque non oltre il 30 settembre 2012, le funzioni e i compiti ad essa trasferiti ai sensi dell'articolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, continuano ad essere svolti dai competenti uffici delle Amministrazioni dello Stato e dall'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali e dagli altri uffici di A s.p.a. In caso di mancata adozione, entro il predetto termine, dello statuto e del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 36, comma 5, settimo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, l'Agenzia è soppressa e le attività e i compiti già attribuiti alla medesima sono trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a decorrere dal 1° ottobre 2012, che rimane titolare delle risorse previste dall'articolo 36, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e cui sono contestualmente trasferite le risorse finanziarie umane e strumentali relative all'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali di cui al medesimo comma 5.”
La normativa di interesse, pertanto, si è stratificata attraverso successive previsioni, in virtù delle quali l'art.36 del d.lg. n.98/2011 (recante la istituzione a decorrere dal 1° gennaio 2012 dell'Agenzia per le Infrastrutture stradale ed autostradali competente, tra l’altro, alla selezione dei concessionari autostradali e relativa aggiudicazione) è stato sostanzialmente procrastinato dall'art.11 comma 5 del d.l. n.216/2011, nel testo a sua volta modificato dall’art.12, comma 79, del d.l. n.95/2012 (il termine originariamente previsto e fissato al 31 marzo 2012 è stato definitivamente individuato nella data del 30 settembre 2012).
L’A, quindi, indiscutibilmente, non essendo stato adottato il predetto statuto dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali sino al 30 settembre 2012 era competente ad emanare il bando, l’avviso di rettifica(datato 10 agosto 2012), ed a ricevere le offerte.
Ad avviso della società appellante, però, era pacifico che a partire dal 1 ottobre 2012, A aveva perso qualsiasi competenza quale ente concedente e tutte le funzioni in erano state trasferite al Ministero.
Conseguentemente, benché A fosse ancora competente all’emanazione del bando nel momento in cui era stato pubblicato l’avviso di rettifica oggetto del ricorso per motivi aggiunti, tal avviso non potrebbe che considerarsi viziato da incompetenza assoluta in ragione della fissazione del termine di presentazione delle domande al 2 ottobre 2012, data in cui,in ogni caso, A non sarebbe più stata competente a ricevere tali domande (ma la competenza avrebbe dovuto essere dell’Agenzia per le Strade o del Ministero).
1.4. Rileva in primo luogo il Collegio che la censura di incompetenza è all’evidenza fondata su un errato presupposto: il presupposto errato, infatti, è quello per cui una amministrazione pubblica che bandisce una gara, non possa liberamente delibare che le offerte vadano materialmente presentate ad altra pubblica amministrazione, e che l’eventuale previsione in tal senso vizii irrimediabilmente il procedimento di gara.
In disparte le specificità della odierna situazione – dalla cui disamina non ci si intende sottrarre e che pure verrà nel prosieguo analizzata - rileva il Collegio che, in via teorica, nulla impedisce ad una Amministrazione aggiudicatrice di stabilire che le offerte vadano presentate presso altra Amministrazione. Purchè la stessa sia competente alla emanazione della statuizione in oggetto al momento in cui la assume (ed il dato non solo non è contestato, nel caso di specie, ma è anzi pacificamente ammesso dall’appellante) non si pone alcun vizio di incompetenza, posto che nessuna disposizione di legge vieta che la materiale consegna delle offerte contempli un destinatario diverso da quello individuabile nell’Amministrazione che bandisce la gara (esemplificativamente, ciò potrebbe avvenire per ragioni di sicurezza, di mera comodità etc).
Nessun vizio è ravvisabile, e men che mai quello della “incompetenza a ricevere”.
1.4.1. Si potrebbe – semmai - porre una problematica di logicità, razionalità, ovvero di eventuale abnormità di una simile previsione, ma nessuno di tali vizi è stato sollevato da parte appellante, la quale si è limitata ad ipotizzare una “incompetenza assoluta” del tutto insussistente (sebbene non si possa negare che, di regola, l’Amministrazione che bandisce la gara gestisce in proprio ogni fase del procedimento ed, anche, quella afferente alla ricezione delle offerte)
Sotto il profilo sostanziale, poi, l’appellante si è limitata a dedurre una circostanza del tutto ipotetica, non sussistente, ed in realtà non verificatasi, rappresentata nel possibile vulnus ai principi di trasparenza, par condicio, e segretezza delle offerte, riposante nella circostanza che l’A avrebbe potuto in proprio partecipare alla gara.
Ma tale ipotetica circostanza (della quale è pur lecito dubitare, seppure ragionando in via di ipotesi, posto che l’A aveva redatto il bando e quindi per ciò solo non avrebbe potuto presentare offerte “in proprio”) non si è certamente verificata, di guisa che nessun vizio sostanziale può ravvisarsi.
1.5. In sintesi: una Amministrazione aggiudicatrice potrebbe legittimamente prevedere, in via di ipotesi, che, ad esempio, le offerte si consegnino mediante recapito presso una cassetta di sicurezza bancaria (piuttosto che presso la locale caserma dei CC, ottenutone il preventivo consenso): certamente non si porrebbe alcun problema di incompetenza. Nel caso di specie è anche escluso qualsivoglia vizio sostanziale, di guisa che la censura va certamente disattesa.
1.6. Ad abundantiam , può aggiungersi che, comunque, anche a non volere concordare con la tesi prima esposta, ed avuto riguardo al principio tempus regit actum nessun vizio di incompetenza ex ante può ravvisarsi e la previsione del bando appare logica e congruente: al momento in cui la gara venne bandita ed ancora al momento dell’adozione dell’avviso di rettifica, A era senz’altro competente e pertanto appare logico ed immune da mende l’avere previsto che il recapito delle offerte avvenisse presso i propri uffici.
La previsione contenuta nel bando appare altresì corretta anche valutata ex post , laddove si consideri che la stessa “nascita” dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali è stata più volte differita, di guisa che non poteva con certezza essere stabilito l’effettivo momento di cessazione delle funzioni da parte dell’A, e soprattutto che neppure era preconizzabile ex ante quale sarebbe stato il soggetto “beneficiario” del detto trasferimento di competenze (l'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali ove ne fosse stato adottato lo statuto, ovvero il Ministero, in ipotesi contraria).
Stando così le cose, il bando non poteva che individuare il soggetto ricettore delle offerte nell’Ente che aveva bandito la gara, ogni altra indicazione rischiando di risultare “errata” ex post e non potendosi certamente, per esigenze di certezza ed univocità delle prescrizioni della lex specialis , dettare una disposizione perplessa od incerta, di natura “alternativa” in punto di soggetto competente a ricevere le offerte.
In conclusione, da qualunque angolo prospettico venga valutata, la censura non appare persuasiva e va pertanto disattesa.
2. Vanno esaminate in via prioritaria, adesso, in quanto anch’esse rivestenti portata logicamente pregiudiziale (ed anzi, forse, per quel che si rileverà di seguito, ancor più della censura proposta da Autobrennero ed esaminata per prima) le censure proposte dagli enti pubblici locali originarii ricorrenti nell’ambito del ricorso in appello n. 2929/2013 e volte ad avversare la statuizione di inammissibilità della impugnazione di primo grado proposta avverso la Direttiva n. 311 del 10 agosto 2011.
Il ragionamento seguito dal primo giudice per pervenire a siffatta statuizione in rito, può essere sintetizzato nel seguente modo:
a) la Direttiva è atto infraprocedimentale, sprovvisto di valenza provvedimentale e non immediatamente lesivo e le cui prescrizioni si attualizzano attraverso il bando, per cui essa poteva essere impugnata soltanto congiuntamente al bando;
b) posto che il gravame proposto contro tale ultimo provvedimento è irricevibile in quanto tardivo, ne deve discendere la inammissibilità del mezzo proposto avverso la richiamata Direttiva n. 311/2011.
Come rilevato nella parte in fatto, l’odierna parte appellante ha criticato sotto ogni angolo prospettico detto iter motivazionale.
2.1. Talune delle censure proposte persuadono il Collegio, proprio in virtù del petitum sostanziale posto a base dell’atto di impugnazione di primo grado.
2.1.1. Invero, se si può in linea di principio convenire con la ricostruzione del primo giudice in punto di natura degli atti avversati, occorre parimenti rilevare che non persuadono le affermazioni “assolute” del T secondo le quali la avversata Direttiva possedesse esclusivamente natura infraprocedimentale.
2.1.2. E’ vero, semmai, che – in quanto la emissione della stessa era immediatamente prevista ex lege (si veda il testo modificato dell’ articolo 8- duodecies del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59 riportato prima) e che il compito ad essa affidato da detta legge-provvedimento riposava nella fissazione della cornice fondamentale entro cui si sarebbe dovuto formulare il bando di gara da parte dell’A – occorre con accuratezza esplorare se, alla luce delle censure articolate e dell’interesse vantato dalla odierna parte appellante, la Direttiva medesima contenesse previsioni atte ad ingenerare una immediata lesione, scongiurabile, in via di principio, unicamente laddove il bando si fosse a propria volta discostato dalle “istruzioni” (il che, comunque, oltre a non essere avvenuto, nella stessa prospettazione di parte appellante, costituisce evenienza che avrebbe a propria volta implicato delicati problemi di possibile illegittimità dello stesso per contrasto con la fonte “ superior ”).
2.1.3. A tale proposito rileva il Collegio che le doglianze prospettate dagli Enti locali originari ricorrenti, sono sostanzialmente due: si “imputa” alla Direttiva infatti, di avere contravvenuto alla legge laddove quest’ultima imponeva che la Direttiva medesima, tra l’altro, indicasse “le opere infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie, la cui realizzazione, anche mediante il ricorso alla finanza di progetto, deve rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario”;si imputa alla Direttiva medesima ed alla norma di legge succitata (tanto che si ipotizza una censura di incostituzionalità della medesima in relazione al disposto di cui all’art. 8 dello Statuto per la regione Trentino Alto Adige – Südtirol in quanto la funzione di tutela del paesaggio e di governo del territorio, appartengono alla potestà legislativa primaria della Provincia) di non avere previsto – in relazione alle dette opere- alcuna forma di concertazione con le autonomie locali medesime per quanto riguarda la scelta della allocazione delle medesime.
2.1.4. Avuto riferimento al detto petitum , sono evidenti due conseguenze: la prima di esse, riposa nella condivisione della affermazione ascrivibile alla odierna parte appellante secondo cui essa non avrebbe avuto alcun interesse ad impugnare il bando di gara (tanto che, a più riprese, nel mezzo di primo grado –pag. 15, ad esempio- si era fatto presente che la impugnazione del stesso era stata proposta soltanto a fine tuzioristico);la seconda di esse, viceversa, vale a smentire l’affermazione (comunque proposta in via subordinata) secondo cui, nella pacifica constatazione della irricevibilità della impugnazione di primo grado volta ad avversare il bando, l’avviso di rettifica, in quanto modificativo di parti significative del bando medesimo avrebbe avuto l’effetto di riaprire i termini di impugnazione.
Proprio in considerazione della natura delle censure proposte, invero, l’avviso di rettifica in nulla sarebbe valso a riaprire i termini della impugnazione proposta ed a “salvare” dalla irricevibilità la impugnazione del bando medesimo, ove ritenuta necessaria.
2.1.5. Il vero è, però, che ad avviso del Collegio non sarebbe stato necessario gravare il detto bando (di guisa che la irricevibilità della impugnazione del medesimo non assume effetto preclusivo ai fini della ammissibilità del gravame proposto avverso la Direttiva) in quanto l’effetto lesivo denunciato da parte appellante (ed ovviamente valutato in relazione alle espresse enunciazioni di quest’ultima, alla natura delle attribuzioni alla stessa pertinenti e, in via di ipotesi lese) era direttamente ascrivibile alla Direttiva medesima e, per il vero, avuto riguardo alla articolazione delle censure, alla legge che la prevedeva.
2.2. Nei termini di cui alla motivazione che precede, pertanto, la gravata decisione n. 140/2013 va riformata, deve essere affermata la ammissibilità del gravame di primo grado proposto avverso la più volte citata Direttiva n. 311 del 10 agosto 2011 ed il Collegio può esaminare nel merito i motivi di doglianza prospettati in primo grado (non rientrando, la erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado tra le ipotesi di rimessione della causa al primo giudice ex art. 105 del cpa,- si veda ex multis Cons. Stato Sez. III, 07-12-2011, n. 6453 - in sostanziale continuità con la pregressa elaborazione giurisprudenziale secondo la quale all’erronea declaratoria della inammissibilità dell’impugnazione non segue l’annullamento con rinvio della appellata decisione, non ricorrendo l’ipotesi di “difetto di procedura o vizio di forma” di cui all’art. 35 della legge n. 1034/1971 -si veda, ex multis , sul punto Consiglio di Stato , sez. V, 23 aprile 1998, n. 474-).
2.3. Ciò premesso, la prima censura proposta, attiene allo scrutinio di legittimità della contestata Direttiva a cagione dell’asserita frontale collisione della medesima con il disposto di cui alla prescrizione di legge che la prevede e disciplina, nella parte in cui si sarebbe reso necessario che venissero sin da subito indicate le principali opere complementari da eseguirsi a cura del concessionario).
2.3.1. La censura che, – lo si anticipa- appare al Collegio persuasiva verrà esaminata di seguito, unitamente alla identica doglianza proposta dalla Società Autobrennero nel riunito ricorso in appello.
2.4. Allo stato, invece, il Collegio concentrerà il proprio esame sulla seconda articolazione della censura (alla quale la stessa parte appellante ha attribuito portata pregiudiziale) attingente in via immediata e diretta la più volte richiamata norma di legge di cui al predetto comma 2 bis .
Di fatto, per quanto si è finora chiarito, il denunciato contrasto (non tanto della Direttiva gravata, quanto) del presupposto quadro normativo rispetto ai referenti costituzionali evocati nel gravame svela la reale sostanza del gravame: con il quale – ed è questo l’obiettivo di fondo che la parte odierna appellante, con ogni evidenza, ha inteso ripromettersi di conseguire – si sollecita l’adito giudice amministrativo a verificare la compatibilità costituzionale della legge anzidetta, impiegando (in maniera svelatamente surrettizia) la Direttiva ed il bando (la cui assenza di portata lesiva è stata a più riprese affermata dalla stessa parte odierna appellante) quali “veicoli” per la devoluzione della relativa questione al vaglio del giudice delle leggi.
Ciò persuade il Collegio della circostanza che il “vero” thema decidendum vada come sopra individuato, in sostanza, nella (valutazione della) compatibilità costituzionale ( rectius : della possibile –o meno- non manifesta infondatezza della sospettata incompatibilità) e delle disposizioni contenute nel citato comma 2- bis dell’ articolo 8- duodecies del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101 in relazione al disposto di cui all’art. 8 dello Statuto per la regione Trentino Alto Adige – Südtirol.
Ad avviso di parte appellante, posto che – a tenore della richiamata disposizione statutaria - le funzioni di tutela del paesaggio e di governo del territorio appartengono alla potestà legislativa primaria della Provincia si sarebbe ivi dovuta prevedere una necessaria interlocuzione con gli enti locali interessati dalle opere.
2.5.La doglianza non persuade il Collegio.
E’ ben noto che, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 31-8-1972 n. 670 (recante “approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) le Province “hanno la potestà di emanare norme legislative entro i limiti indicati dall'art. 4” in una congerie di materie tra le quali si annoverano, tra l’altro, per quanto di interesse nel presente procedimento (anche in relazione all’articolazione della doglianza nei termini formulati da parte appellante)… 5) urbanistica e piani regolatori;6) tutela del paesaggio.
E’ altresì vero, però, che, ai sensi di quanto espressamente disposto dall’art. 19 del D.P.R. 22-3-1974 n. 381 (recante norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche) “salvo quanto disposto dai successivi commi del presente articolo, resta ferma la competenza degli organi statali in ordine:
a) alle strade statali;
b) alle autostrade che si estendono oltre il territorio della provincia, salva la necessità dell'intesa con la provincia interessata per quelle il cui tracciato interessi soltanto il territorio provinciale e quello di una regione finitima;restano peraltro di esclusiva competenza dello Stato anche per tali autostrade i provvedimenti successivi all'atto di concessione che sia stato emanato anteriormente all'entrata in vigore del presente decreto, anche se relativi a varianti, completamenti e prolungamenti del tracciato originario;”
I successivi commi del citato articolo, peraltro, non autorizzano a trarre argomenti nel senso di un residuo ritaglio di competenze spettanti alla Provincia regionale, in subiecta materia , posto che gli stessi dispongono che “A decorrere dal 1° luglio 1998 sono delegate alle province autonome di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, le funzioni in materia di viabilità stradale dello Stato quale ente proprietario e dell'Ente nazionale per le strade (ANAS), comprese quelle di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143, escluse le autostrade.
Le province autonome di Trento e di Bolzano predispongono i piani pluriennali di viabilità e i piani triennali per la gestione e l'incremento della rete stradale secondo gli indirizzi programmatici del Ministro dei lavori pubblici, individuando gli interventi da realizzare, le priorità, i tempi ed i costi di realizzazione. I piani suddetti sono approvati d'intesa tra il Ministro dei lavori pubblici e i presidenti delle province autonome di Trento e di Bolzano.
I beni immobili espropriati dalle province autonome di Trento e di Bolzano, secondo le procedure di cui alle rispettive normative provinciali, per la costruzione, l'ampliamento, la rettifica e la manutenzione delle strade statali sono intavolati a favore del demanio dello Stato - ramo strade. Sono intavolati alla provincia autonoma territorialmente competente, su istanza del rispettivo presidente, i relitti stradali già facenti parte del demanio dello Stato - ramo strade, derivanti dagli interventi predetti. I beni immobili che risultino non più funzionali alla viabilità stradale dello Stato, diversi da quelli previsti nel precedente periodo, sono trasferiti sulla base di appositi verbali di consegna redatti, anche di volta in volta, di intesa fra i rappresentanti della Provincia autonoma interessata e dell'amministrazione statale competente. Tali verbali costituiscono titolo per l'intavolazione, su richiesta del Presidente della Provincia autonoma.
Le somme spettanti alle province autonome di Trento e di Bolzano per l'esercizio delle funzioni delegate di cui al secondo comma del presente articolo sono così determinate per il periodo 1° luglio 1998-31 dicembre 1999:
a) per tutte le spese di funzionamento e di manutenzione della rete stradale, escluse quelle di cui alla lettera b), la somma pari alla media aritmetica dell'analoga spesa sostenuta dall'A negli anni 1995 e 1996 nelle stesse province;
b) per le spese di investimento, la somma pari alle risorse già previste, per ciascuna delle due province, nel programma triennale per la viabilità 1997-1999, per quanto già non erogato dall'A alla data del 30 giugno 1998. Entro il 30 giugno 1998, le province presentano programmi modificativi e/o integrativi, da approvare con le modalità di cui al terzo comma del presente articolo, da realizzare a proprio carico, che prevedano investimenti aggiuntivi per l'ammodernamento e l'incremento della rete stradale oggetto della delega. In sede di definizione del programma triennale 2000-2002 si tiene conto dello stato di attuazione dei predetti programmi.
Relativamente al triennio 2000-2002, le somme da erogarsi alle due province, per i medesimi fini di cui al comma precedente, sono determinate, nell'ammontare pari alla percentuale derivante dal rapporto tra estensione della rete stradale rispettivamente localizzata nel territorio delle due province ed estensione dell'intera rete stradale statale, risultante al 31 dicembre 1996 applicata ai corrispondenti stanziamenti, previsti nel bilancio dello Stato per la viabilità, esclusi quelli per gli oneri di ammortamento dei mutui contratti antecedentemente alla data del 1° luglio 1998.
Per gli anni successivi al 2002, il criterio di calcolo di cui al comma precedente è applicato all'estensione della rete stradale statale risultante al 31 dicembre 2002.
I dati necessari per la quantificazione delle somme spettanti alle province autonome ai sensi del presente articolo sono accertati in contradditorio da funzionari a ciò delegati rispettivamente dalle province medesime e dal Ministero dei lavori pubblici.
Il prelievo di dette somme è effettuato dai trasferimenti statali di cui al decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143, se capienti, stabiliti annualmente ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Dette somme sono iscritte in un apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero dei lavori pubblici. Con decreto del Ministro del tesoro sono apportate le relative variazioni compensative di bilancio.
Il pagamento delle somme spettanti alle province autonome ai sensi del presente articolo è effettuato con periodicità trimestrale. ”
Le superiori disposizioni come è agevole riscontrare, non possono indurre a trarre argomenti in favore della sussistenza di prerogative provinciali (e per esse, a cascata, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative anche) ai Comuni appellanti.
Ma v’è di più: come la stessa appellante non può fare a meno di rilevare, l’art. 98 del D.Lgs. 31-3-1998 n. 112 (conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59), da un canto, al comma 3 prevede che “Sono, in particolare, mantenute allo Stato, in materia di strade e autostrade costituenti la rete nazionale, le funzioni relative:
a) alla determinazione delle tariffe autostradali e ai criteri di determinazione dei piani finanziari delle società concessionarie;
b) all'adeguamento delle tariffe di pedaggio autostradale;
c) all'approvazione delle concessioni di costruzione ed esercizio di autostrade;
d) alla progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione delle strade e delle autostrade, sia direttamente sia in concessione;
e) al controllo delle concessionarie autostradali, relativamente all'esecuzione dei lavori di costruzione, al rispetto dei piani finanziari e dell'applicazione delle tariffe, e alla stipula delle relative convenzioni;”
La predetta norma, poi, ai commi 2 e 4, così rispettivamente dispone:
“All'individuazione della rete autostradale e stradale nazionale si provvede, entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo, attraverso intese nella Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento delle intese nel termine suddetto, si provvede nei successivi sessanta giorni con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del Consiglio dei Ministri. ”(comma 2);
“La Conferenza unificata esprime parere in materia di pianificazione pluriennale della viabilità e di programmazione per la gestione e il miglioramento della rete autostradale e stradale d'interesse nazionale. La programmazione delle reti stradali interregionali avviene tramite accordi tra le regioni interessate, sulla base degli indirizzi generali stabiliti dalla Conferenza unificata.” (comma 4).
L’intervento della Conferenza Unificata ( rectius , la "intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281”) quindi, è bensì puntualmente previsto dalla detta norma, ma non già nelle ipotesi di cui alla lett. c del comma 3 succitato, il che esclude che l’omessa previsione di detto incombente da parte del sopradetto comma 2 bis del D.L per cui è causa assuma portata viziante e men che meno in relazione ad attribuzioni costituzionalmente riservate alla Provincia.
Tale articolazione della censura quindi (che, senza espressamente sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma citata di fatto la preconizzava come obbligato esito di un eventuale giudizio di non manifesta infondatezza) non appare persuasiva.
2.6. Conclusivamente, l’appello n. 2929/2013 va dichiarato fondato quanto alla rimozione della statuizione di inammissibilità del mezzo di primo grado reso dal T e pertanto, in riforma delle sentenza di primo grado il ricorso di primo grado va dichiarato ammissibile, nei termini di cui alla motivazione che precede.
Pronunciando su quest’ultimo, il Collegio lo respinge quanto alla articolazione della censura suindicata, nei termini esposti in precedenza, mentre lo accoglie, nei termini di cui alla motivazione che seguirà a breve, quanto alla doglianza attingente la Direttiva e le conseguenze della stessa sul bando, come meglio si preciserà di qui a poco.
3. Tornando alla disamina dell’appello n. 2539/2013, ivi, con il secondo motivo di doglianza l’appellante società ha criticato la statuizione di inammissibilità resa dal T con riferimento alle altre censure direttamente attingenti le singole previsioni del bando di gara ed ha prospettato in via subordinata una questione interpretativa comunitaria ed una questione di legittimità costituzionale (sub artt. 24 e 97 della Carta Fondamentale) per l’ipotesi che il Collegio non accedesse alla tesi della immediata impugnabilità delle dette prescrizioni del bando da essa stessa propugnata.
3.1. E’ noto al Collegio che il dibattito in punto di immediata impugnabilità delle clausole del bando di gara è lungi dall’essere sopito: come correttamente riferito nel ricorso in appello, la questione è stata di recente rimessa all’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (ordinanza n. 00634/2013 della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato).
L’Adunanza Plenaria, tuttavia, non ha specificamente affrontato il detto tema, avendo deciso la causa prescindendo dalla richiesta disamina (decisione dell’ Adunanza Plenaria 22 aprile 2013, n. 8).
3.2. L’appellante ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale estensivo in materia (quello, cioè, che legittima/rende doverosa l’impugnazione immediata non soltanto delle clausole c.d. “escludenti”).
In particolare, sono stati rammentati gli approdi della giurisprudenza (per una compiuta sintesi si veda Cons. Stato Sez. IV, 07-11-2012, n. 5671) che hanno affermato la praticabilità di detta opzione ermeneutica laddove ci si trovi al cospetto di:
regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così la A.P. n. 3/2001).
Disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara;ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24/2/2003, n. 980);
condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 21 novembre 2011 n. 6135);
imposizione di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all'intero importo dell'appalto: Cons. Stato, Sez. II, 19/2/2003, n.2222/01);
gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (come ad es. quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall'aggiudicatario), ovvero sia presenti formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di "0" pt.);
atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (cfr. Consiglio di Stato, sez. III 03 ottobre 2011 n. 5421).
3.3. In tali ipotesi –rileva per il vero il Collegio, si ha una semplice interpretazione estensiva di quanto lucidamente colto dall’Adunanza Plenaria n. 1/2003 (di guisa che non si pone alcuna problematica di “evoluzione” rispetto a quanto ivi espresso) posto che, al capo 13 della predetta decisione n. 1/2003, si rinviene la significativa affermazione secondo la quale “non può, invece, essere escluso un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere ricompresa quella di un bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui , al quale, per i suoi intrenseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente ed immediatamente la partecipazione.”.
L’appellante ha quindi sostenuto che osterebbe al libero dispiegarsi del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) ed al buon andamento dell’Amministrazione (art. 96 della Costituzione) e colliderebbe con più precetti comunitari una interpretazione che precludesse l’immediata impugnabilità delle clausole che impediscano - indistintamente a tutti i concorrenti - una corretta, e consapevole, elaborazione della propria proposta economica (in tali casi infatti pregiudicandosi il corretto esercizio della gara, in violazione dei cardini procedimentali della concorrenza e della par condicio tra tutti i partecipanti alla gara stessa).
Alla luce di tali principi, nella convinzione che le ipotesi enucleate dalla giurisprudenza non avessero carattere tassativo né concorressero a formare un numerus clausus , ha ulteriormente svolto una considerazione che appare al Collegio meritevole di attenzione, e che può essere così sintetizzata: la risoluzione in un senso o nell’altro del quesito afferente alle condizioni che rendono doverosa l’immediata impugnazione dei bandi di gara non incide – in via di principio – sulla legittimazione facoltativa alla detta immediata impugnazione: ed una volta che la parte che si assume lesa, anche solo in potenza, si determini ad esercitare la detta facoltà non v’è ragione di negare che il mezzo debba reputarsi ammissibile.
3.4. Osserva il Collegio relativamente a tale complesso di argomentazioni quanto segue:
l’indirizzo espresso dall’Ad. Plen. n. 1/2003 prima richiamata e gli sforzi compilativi ed enucleativi svolti dalla giurisprudenza successiva, inducono a ritenere che, sotto il profilo della prospettazione dell’interesse affermato, il mezzo di primo grado o, almeno, le censure del mezzo di primo grado che di seguito verranno dapprima indicate e poi sottoposte a scrutinio non dovevano essere dichiarate inammissibili dal T.
E ciò senza alcuna necessità di ipotizzare una ulteriore tappa evolutiva giurisprudenziale.
Ciò che “denuncia” l’appellante è che talune clausole del bando fossero imprecise, scorrette, omissive, tali da impedire la formulazione della offerta in modo consapevole e che lo stesso, e prima di esso la Direttiva, fosse in parte mutilata del contenuto necessario prescritto/imposto ex lege .
Sotto tale profilo il mezzo di primo grado era in astratto ammissibile, salvo poi a doversi verificare in concreto la effettiva sussistenza della lamentata criticità.
3.4.1. Senonchè, la detta affermazione non ha portata assoluta ma va raffrontata, in concreto, con la natura (e la fase) della procedura evidenziale nell’ambito della quale l’aspirante aggiudicatario denuncia le dette criticità.
Di ciò pare ben rendersi conto l’appellante società, che nel pregevole atto di appello si premura di scardinare – in via preventiva – una obiezione (meramente accennata, per il vero dal primo giudice) che trae le mosse dal concreto stato della procedura.
Ci si intende riferire, in proposito, alla pacifica circostanza che il bando de quo avesse unicamente il fine di sollecitare la formale presentazione di una manifestazione di interesse a partecipare alla gara, mentre la formulazione dell'offerta avrebbe dovuto essere effettuata alla luce degli elementi contenuti nella successiva lettera di invito (che aveva funzione integrativa del bando per gli aspetti dallo stesso non disciplinati).
L’appellante – che non nega tale circostanza - sottolinea a tale proposito che per consolidato ed inattaccabile orientamento giurisprudenziale, che costituisce jus receptum , ( ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 28-11-2012, n. 6026) “nelle gare pubbliche, in caso di contrasto tra bando di gara e lettera d'invito, prevalgono le disposizioni del primo. Tale principio va inteso non solo nel senso dell'impossibilità che la lettera possa derogare alle previsioni del bando, che costituisce la lex specialis della procedura selettiva, ma anche nel senso dell'impossibilità - specie in un sistema dominato dalla tassatività ed eccezionalità delle previsioni di esclusione - che attraverso la lettera d' invito possano essere introdotte ipotesi di esclusione ulteriori o più rigorose rispetto a quelle contenute nel bando.”.
La lettera invito, quindi, ha funzione meramente integratrice/specificatrice rispetto al bando, ma non potrebbe utilmente contraddire e sconfessare le prescrizioni contenute in quest’ultimo (è rimasta minoritaria,in giurisprudenza, la tesi in passato talvolta sostenuta – ex multis si veda T.A.R. Sardegna, 30-12-1996, n. 1908 – secondo la quale “la regolamentazione della gara di aggiudicazione di appalto deve desumersi dall'insieme delle disposizioni ricavabili dal bando e dalla lettera di invito non sussistendo, tra le due fonti, un rapporto di gerarchia che consenta di ritenere l'una prevalente rispetto all'altra”.)
Il Collegio concorda con detto orientamento prima citato e fatto proprio dalla stessa parte appellante
Non concorda invece con le ulteriori affermazioni di parte appellante che ha “utilizzato” il detto principio per affermare alquanto genericamente (vedasi pag. 37 del ricorso in appello) che “la maggior parte delle carenze riscontrate nel bando di gara non appaiono suscettibili di essere colmate dalla lettera invito la quale, per risolvere le illegittimità prospettate, dovrebbe addirittura contraddire il bando già pubblicato” .
3.4.2. Pare invece al Collegio che tale profilo meriti un approfondimento maggiore sia di quello dedicatogli dal T che di quello riferibile a parte appellante; e pare altresì che quest’ultimo, lo si anticipa, induca a non condividere (con riferimento ad alcune delle censure prospettate) l’opinamento di parte appellante medesima circa la integrale ammissibilità di tutte le censure dedotte in primo grado e riproposte in appello.
Id est : si condivide e si riafferma l’orientamento “estensivo” in punto di ammissibilità della immediata impugativa dei bandi di gara laddove essi presentino le criticità prima indicate dalla giurisprudenza successiva all’Adunanza Plenaria n. 1/2003;si ritiene che dette criticità vadano individuate non in astratto, ma in concreto, alla luce dello sviluppo della procedura e, per quanto si chiarirà di seguito, si nega che talune delle doglianze prospettate dall’appellante società possedessero il requisito (necessario) di contrastare una lesione immediata, diretta, necessaria, non “emendabile” da parte della successiva lettera invito.
E’ noto in proposito che in base ai principi generali in materia di condizioni dell’azione, desumibili dall’art. 24, co. 1°, della Costituzione (“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”) e dall’art. 100 c.p.c. (“per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi un interesse”), l’interesse processuale presuppone, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed attuale dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio e l’idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo interesse sostanziale. In mancanza dell’uno o dell’altro requisito, l’azione è inammissibile.
Ed i detti requisiti di concretezza ed attualità vengono senz’altro meno in ipotesi di lesione meramente eventuale.
3.4.3. Se si presta condivisione a tali punti di partenza, (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 475/92 Cass. Civ., Sez. III, n. 12241/98), sarà agevole concordare anche con lo sviluppo ulteriore di tale iter espositivo, che riposa nella seguente constatazione.
Anche ad aderire (e ciò ha fatto il Collegio) alla tesi “aperturista” che non limita la immediata impugnabilità delle clausole del bando escludenti, ma la ammette/impone nelle ipotesi prima elencate, enucleate dalla giurisprudenza in termini non tassativi ed esemplificativamente menzionate, non potrebbe dirsi attuale l’interesse a gravare le dette clausole laddove le medesime fossero ancora suscettibili (non certo di essere contraddette, chè questo non sarebbe possibile stante il rapporto “gerarchico” intercorrente tra bando e lettera-invito che si è prima tratteggiato, ma) di essere emendate, corrette, edulcorale, integrate, modificate (magari nei termini sollecitati dall’appellante) nel successivo stadio della procedura.
Si converrà infatti – rovesciando i termini della esposizione di parte appellante- che in primo luogo in una simile ipotesi la impugnazione immediata delle clausole del bando non sarebbe sorretta da un interesse “attuale” ma soltanto ipotetico (legato alla mera ipotesi, cioè, che la lettera invito confermi integralmente, in parte qua , le prescrizioni del bando “sospette” di illegittimità).
E ciò basterebbe a negarne l’ammissibilità.
Secondariamente, che la immediata impugnazione delle stesse non risponderebbe neppure al canone di buon andamento dell’ Amministrazione invocato proprio da parte appellante: si solleciterebbe un giudizio demolitorio che attingerebbe una prescrizione suscettibile di essere corretta/integrata/emendata in senso accoglitivo delle perplessità del partecipante alla gara, di guisa che a seguito dell’annullamento la procedura dovrebbe nuovamente ripartire, con grave dispendio di tempo ed energie, mentre invece la detta prescrizione gravata era possibilmente destinata ad essere integrata in sede di lettera-invito, con evidente inutilità della proposta impugnazione.
In ultimo, che per le già citate ragioni detta immediata impugnabilità non risponderebbe neppure alle esigenze ex art. 24 della Costituzione, rischiando di ritorcersi a svantaggio del partecipante alla gara che, se avesse atteso la lettera-invito, avrebbe potuto vedere svanire le proprie (eventualmente legittime) preoccupazioni.
Il Collegio ritiene pertanto che, sotto un profilo più generale, con riguardo a prescrizioni del bando asseritamente lesive suscettibili di essere “corrette” (nei termini prima chiariti) in sede di lettera-invito la immediata impugnazione delle clausole del bando sia (non soltanto inammissibile per difetto di attualità dell’interesse ma, addirittura) nociva proprio alle esigenze invocate dalla stessa parte appellante sia sul piano della tutela costituzionale che su quello comunitario (il che, per incidens , milita in senso troncante per la reiezione della questione di legittimità costituzionale e di quella interpretativa comunitaria prospettata).
Tutt’altro discorso, invece, per prescrizioni che non potrebbero essere “corrette” dalla lettera-invito se non a costo di sovvertire il rapporto gerarchico sussistente tra quest’ultima ed il bando: in simile ipotesi in adesione al filone giurisprudenziale evolutivo della tesi sviluppata dall’Ad. Plen. n. 1/2003 non potrebbe negarsi l’attualità dell’interesse (cfr, sotto il profilo della ratio generale secondo la quale il bando deve essere “completo”, in quanto munito di un “contenuto minimo inderogabile” art. 64 del TU in relazione alle indicazioni di cui all’Allegato IX del codice dei contratti pubblici).
3.4.4. Muovendo da tale approdo appare quindi evidente che la verifica debba svolgersi, in concreto, valutando lo stadio della procedura: soltanto attraverso detta disamina concreta, rifuggendo da apriorismi assolutistici, è possibile comprendere, laddove – come nel caso di specie - ci si trovi al cospetto di censure eterogenee, incidenti su più prescrizioni del bando quale di dette doglianze sia supportata da un interesse immediato, concreto e reale (e sia pertanto ammissibile) e quale altra, eventualmente, abbia natura eventuale od ipotetica, e sia stata sollevata a fini di natura precauzionale (nell’eventualità cioè, che la lettera invito successiva, pur potendo integrare in parte qua il bando, ciò non faccia).
Si rammenta peraltro in proposito, per chiudere sull’argomento, che l’art. 34 c.II del codice del processo amministrativo vieta al Giudice di pronunciarsi su “poteri non ancora esercitati dall’Amministrazione”: la delibazione di una doglianza relativa ad una prescrizione potenzialmente destinata ad essere modificata/integrata dalla lettera invito concreterebbe proprio tale –vietata- invasione di campo: si inciderebbe su una procedura in itinere di fatto intervendo in uno stadio procedimentale in cui il potere non si è ancora compiutamente dispiegato.
3.5. Proprio procedendo quindi, a tale disamina concreta, va rammentato che, per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, la "sollecitazione alla domanda di partecipazione" segna pur sempre l’ incipit di una procedura evidenziale ma, giocoforza, essa è marcata da una maggiore fluidità (o, il che è lo stesso, da un maggior grado di approssimazione).
Si è detto pertanto, in giurisprudenza, che ( Cons. Stato Sez. VI, 04-06-2009, n. 3442 ) “la "sollecitazione alla domanda di partecipazione" inviata da una stazione appaltante ai concorrenti segna l'apertura del procedimento ad evidenza pubblica potendo, quindi, considerarsi atto iniziale della fase prequalificativa. La finalità di tale fase procedimentale va individuata nella conoscenza, da parte dell'Amministrazione, della "disponibilità del mercato" nel settore di riferimento;ne consegue che la fase di prequalificazione nelle procedure di evidenza pubblica ha il compito di determinare i requisiti soggettivi di "partecipabilità" alla gara, sotto l'aspetto della soglia minima di idoneità dei soggetti ad essere valutati, tramite l'esame dei parametri obiettivi riportati nelle dichiarazioni e nelle autocertificazioni allegate alla domanda, restringendo l'ambito dei potenziali concorrenti, senza addivenire ad alcuna attribuzione di punteggi.”.
Nella motivazione della detta pronuncia (della quale si riporta un breve stralcio) è stato condivisibilmente espresso il convincimento per cui “la sollecitazione segnava l'apertura procedimentale e può a buon diritto considerarsi atto iniziale della fase prequalificativa (fase che la giurisprudenza costante e la dottrina considerano subprocedimento connesso ma distinto da quello valutativo delle offerte: ex multis , si veda Consiglio Stato, sez. VI, 29 novembre 2006, n. 6990).
La finalità di tale fase procedimentale, è stata condivisibilmente individuata, dalla giurisprudenza, nella conoscenza, da parte dell'amministrazione, della "disponibilità del mercato" nel settore di riferimento (Consiglio Stato, sez. VI, 14 febbraio 2007, n. 619): se ne è fatto conseguentemente discendere, "che la fase di prequalificazione nelle procedure di evidenza pubblica ha il compito di determinare i requisiti soggettivi di "partecipabilità" alla gara, sotto l'aspetto della soglia minima di idoneità dei soggetti ad essere valutati, tramite l'esame dei parametri obiettivi riportati nelle dichiarazioni e nelle autocertificazioni allegate alla domanda, restringendo l'ambito dei potenziali concorrenti, senza attribuzione di punteggi." (Consiglio Stato, sez. V, 23 agosto 2004, n. 5583).
Giocoforza, pertanto, alla fase successiva è rimessa la funzione specificativa delle condizioni di una procedura selettiva che, comunque, deve essere individuata nel suo oggetto: non v'è, infatti (chè altrimenti una delle due sarebbe inutile) perfetta sovrapponibilità tra la fase prequalificativa e quella valutativa vera e propria dell'offerta.”.
La detta pronuncia non è rimasta isolata, ma esprime invece un orientamento consolidato in giurisprudenza, tanto che, più di recente, è stato ribadito che (Cons. Stato Sez. V, 31-05-2011, n. 3256) “secondo una consolidata giurisprudenza amministrativa, la validità della costituzione di un'Ati deve essere giudicata con esclusivo riferimento al momento della formulazione dell'offerta, dovendosi ritenere legittime le offerte congiuntamente presentate da imprese appositamente e tempestivamente raggruppate, singolarmente invitate, anche allorquando la loro costituzione in Ati sia intervenuta dopo la fase di prequalificazione;alla luce di un indirizzo più recente, non sussiste alcun divieto in tal senso, emergendo per contro un preciso indirizzo legislativo volto a favorire il fenomeno del raggruppamento e ad individuare la presentazione dell'offerta come momento della procedura da cui decorre il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti, divieto che non opera per la fase di prequalificazione.”.
Già in passato, peraltro (Consiglio di Stato, Sezione VI n. 2555/2008) si era posto in luce che per costante affermazione della giurisprudenza amministrativa “non sussiste divario tra la disciplina statale e quella comunitaria sia nella configurazione del subprocedimento e prequalificazione sia nella valutazione della natura e degli effetti di questo istituto, con specifico riferimento al potere di esclusione dal procedimento di gara. “( ex multis , Consiglio Stato, sez. V, 31 luglio 1991, n. 1078).
Si era in particolare ivi posto l’accento sulla circostanza che la fase di prequalificazione, e la valutazione tecnica in detta sede spiegata dal seggio di gara, in particolare, è ontologicamente diversa rispetto alla fase dell’aggiudicazione vera e propria: si è sul punto rilevato, infatti, quanto ai fini perseguiti, che “diversamente dalla fase di valutazione/comparazione delle offerte, volta ad accertare la loro meritevolezza ad aggiudicarsi la gara, la fase di prequalificazione nelle procedure di evidenza pubblica ha il compito di determinare i requisiti soggettivi di "partecipabilità" alla gara, sotto l'aspetto della soglia minima di idoneità dei soggetti ad essere valutati, tramite l'esame dei parametri obiettivi riportati nelle dichiarazioni e nelle autocertificazioni allegate alla domanda, restringendo l'ambito dei potenziali concorrenti, senza attribuzione di punteggi.”. ( ex multis Consiglio Stato, sez. V, 23 agosto 2004, n. 5583).
3.5.1. Se tale era (ed è) lo stadio della procedura nell’ambito della quale è stata articolata l’impugnazione di che trattasi e se la particolarità di quest’ultima riposa nella maggiore fluidità della medesima, o, il che è lo stesso, in un minor grado di “precisione” e “dettaglio” della lex specialis (del bando, gravato, cioè) se ne deve di necessità fare discendere la maggiore latitudine rimessa alla lettera invito in punto di integrazione delle prescrizioni del bando medesimo.
Tale profilo non è stato colto dall’appellante, che ha semplicemente riproposto le censure di primo grado dichiarate inammissibili, non avvedendosi che talune tra esse (e segnatamente le molteplici, che saranno di seguito specificamente evidenziate che non si pongono in contrasto che specifiche e puntuali prescrizioni del bando) non erano sorrette da un interesse “attuale”, ma bensì ipotetico, nei termini sinora rassegnati.
Ipotetico perché destinate ad attualizzarsi soltanto laddove reiterate, immutate, nella lettera invito, pur nella consapevolezza che il grado di “precisione” e dettaglio della corrispondente previsione del bando non era tale da non potere essere successivamente integrato, senza che ciò avesse implicato una – certamente inammissibile, lo si ripete- contrasto della lettera invito e del capitolato con il bando medesimo.
3.6. Alla luce delle superiori coordinate, infatti, se è agevole riscontrare che la censure rubricate ai nn. 3, 5, 6 ed 8 del ricorso in appello si contrappongono a prescrizioni precise ed univoche del bando che la lettera invito non avrebbe potuto in alcun modo “emendare/integrare”, non così deve dirsi delle altre censure.
3.7. Sia la macrodoglianza indicata al numero quattro della rubrica, infatti, che la settima e nona censura ipotizzano –come meglio sarà brevemente illustrato di seguito - una incompletezza del bando che, da un canto non appare tale da impedire la formulazione della domanda di partecipazione ( e peraltro, l’appellante tale domanda ha presentato: se ciò non può certo implicare acquiescenza alcuna, il dato costituisce un indice valutabile in chiave dimostrativa della “forzatura” di parte appellante del concetto di “impossibilità di formulazione dell’offerta”) e per altro verso esse sono fondate sulla asserita violazione di una teoria di disposizioni di legge che semplicemente non risultano violate, sol che si consideri che le supposte “lacune” erano integrabili dalla lettera invito.
La nona doglianza, poi - lo si anticipa- addirittura sollecita un inammissibile giudizio complessivo di merito sugli importi della concessione rapportati all’attuale stato congiunturale economico che francamente sfugge del tutto ai poteri di questo Giudice risolvendosi in una richiesta di penetrante ed indebito sindacato di opportunità non certamente consentito in questa sede giurisdizionale.
3.8. Più in particolare, può dirsi pertanto che:
a) le censure di cui ai nn. 3, 5, 6 ed 8 del ricorso in appello erano ammissibili già alla stregua dell’indirizzo tracciato dall’Adunanza Plenaria n. 1/2003;esse infatti, (come può agevolmente ricavarsi dalla semplice lettura delle medesime) avversano prescrizioni puntuali del bando di gara insuscettibili di essere emendate/modificate/corrette in sede di successiva lettera-invito (proprio perché quest’ultima può integrare ma non contraddire formalmente le prescrizioni del bando), ovvero una omissione dello stesso – e della Direttiva- non sanabile ex post ;l’interesse che supporta le dette doglianze non assume carattere ipotetico/eventuale, ma reale.
Di conseguenza ha errato il T a dichiararle inammissibili, ed in accoglimento del secondo motivo di appello ed in riforma della decisione di primo grado le stesse saranno delibate da questo Collegio (è ben noto che per costante giurisprudenza formatasi sotto l’usbergo delle antecedenti disposizione e, oggi, per espressa prescrizione dell’art. 105 del cpa l’errore del primo giudice sulla ammissibilità del mezzo di primo grado, ed a fortiori di una parte di esso non può determinare la regressione del procedimento per il tramite dell’annullamento con rinvio della sentenza gravata).
b) le ulteriori censure (nn. 4, 7 e 9 dell’appello) sopradescritte, per le ragioni che saranno singolarmente esplicitate non appaiono invece supportate dall’attualità dell’interesse e, pertanto, correttamente sono state dichiarate inammissibili dal primo Giudice.
3.8.1. Quanto a queste ultime, si rappresenta infatti quanto di seguito.
3.8.2. La quarta doglianza si duole della mancata indicazione in seno al bando dell’ importo complessivo dei lavori e degli importi delle singole categorie dei lavori da realizzare (asserita violazione di legge, sub specie della violazione e falsa applicazione degli artt. 118 e 144 del d.lgs. 163/2006 e degli artt. 79 e 108 del d.P.R. 207/2010).
Inoltre ci si duole della circostanza che le categorie “coinvolte” nella realizzazione di un opera autostradale sono più di quelle indicate nel bando impugnato (si cita esemplificativamente la fattispecie Os 34).
Dall’articolazione della censura emerge con evidenza che ciò che si “imputa” al bando di gara è una sostanziale incompletezza ed imprecisione.
Ma alla stregua dei rapporti intercorrenti tra bando e lettera invito, e della impregiudicata possibilità, per quest’ultima, di integrare –seppur non contraddicendone le previsioni– il bando medesimo, parte appellante, per dimostrare (in primo luogo) la attualità della censura e, (poi) anche la fondatezza della stessa, avrebbe dovuto dimostrare che:
a) in via generale le disposizioni di legge invocate prescrivevano un contenuto minimale del bando di gara non dequotabile, di guisa che il bando che ne fosse stato privo risultava, per ciò solo, illegittimo;
b) che, più in particolare, e tenuto conto della particolare natura del bando in questione dette indicazioni delle quali si lamentava l’omissione non avrebbero potuto essere contenute nella successiva lettera-invito destinata a far corpo con il bando e costituente la lex specialis della gara;
c) che, in virtù di tale omissione appariva del tutto impossibile formulare una offerta consapevole e/o rendersi conto della convenienza economica della partecipazione alla gara medesima.
Già prima facie pare al Collegio che si verta in alcuna delle ipotesi in esame, né l’appellante ha esaustivamente dimostrato alcuna di queste circostanze, né soprattutto, ha chiarito per qual ragione non potesse essere demandato alla successiva lettera invito il compito di specificare le dette indicazioni omesse nel bando.
Pare al Collegio che, in parte qua , vada, per le sopra chiarite ragioni, confermato il giudizio di inammissibilità della censura reso dal T e che per le anzidette ragioni il detto giudizio si estenda anche alla articolazione della doglianza (che per il vero sollecita un penetrante giudizio di merito travalicante l’ambito del sindacato sulle manifestazioni di discrezionalità tecnica demandate a questo Collegio) relativo alla assenza di alcune categorie di lavorazioni dalla previsione del bando (la doglianza genericamente formulata nell’ an , assume poi concretezza allorchè, specificativamente quanto esemplificativamente era stata citata la fattospecie Os 34).
3.8.3. La settima censura costituisce ulteriore specificazione della tesi secondo la quale il bando di gara sarebbe, tra l’altro, gravemente viziato per incompletezza (al punto 7.2. dell’appello la società ha indicato tutti gli elementi a suo dire indispensabili agli offerenti per comprendere e valutare esattamente l’operazione dal punto di vista economico/finanziario), ma non pare al Collegio che ivi si ipotizzino lacune tali da rendere impossibile la manifestazione di interesse richiesta e/o comunque non integrabili in sede di disciplinare e lettera invito.
3.8.4. Sulla nona ed ultima censura, infine,ad integrazione del convincimento già espresso dal Collegio, si rimarca che essa, più che una critica fornita di propria autonomia isolatamente considerata, appare maggiormente un compendio delle precedenti doglianze, essendosi ivi sostenuto che gli oneri finanziari imposti, non tenendo conto della congiuntura economica sfavorevole, finivano con il creare un effetto distorsivo riposante nella illegittima restrizione della concorrenza.
3.9. Alla stregua di quanto si è prima chiarito, emerge con evidenza –ad avviso del Collegio- che per ammettere la immediata impugnazione del bando in parte qua e con diretto riferimento alle doglianze sinora descritte, si dovrebbe pervenire ad un indirizzo non soltanto evolutivo, ma addirittura di portata stravolgente rispetto (non già alla - tutto sommato limitata - questione della immediata impugnabilità dei bandi di gara quanto, maggiormente) ai consolidati principi del processo amministrativo in punto di necessità che l’interesse al ricorso, sia dotato dei requisiti della concretezza ed attualità e che lo stesso, in quanto condizione dell’azione, sussista sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione (con conseguente attribuzione al giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti).
3.10. A questo punto della esposizione – sempre con riguardo alle dette censure n. 4, 7, 9 dell’appello in ordine alle quali il Collegio ha dianzi confermato la statuizione di inammissibilità resa dal T- occorre farsi carico (in termini più pregnanti di quanto già in sintesi prima incidentalmente rassegnato) delle prospettazioni avanzate in via subordinata da parte appellante (eccezione di incostituzionalità e questione interpretativa comunitaria) .
3.10.1. Il Collegio ritiene innanzitutto che non sia persuasiva la tesi dell’appellante secondo la quale, anche a volere ammettere (“a tutto concedere”) che non vi fosse “onere/dovere” di proporre impugnazione, ma una mera facoltà, una volta utilmente esercitata detta “mera facoltà” non vi sarebbe stata ragione di dichiarare inammissibile il mezzo.
L’interesse a ricorrere o è, ovvero non esiste. E per esistere esso deve essere fornito dei caratteri di attualità e concretezza che si ritiene aver compiutamente dimostrato essere insussistenti nel caso di specie.
Ma se v’è, la parte che si assume lesa deve avere il dovere, e non soltanto la “facoltà” di proporre impugnazione, altrimenti la richiesta concretezza ed attualità dell’interesse scolorano nel concetto di “precauzione” e “cautelatività”.
La tesi esposta, inoltre, condurrebbe ad inammissibili conseguenze sotto il profilo processuale conducendo ad una –facilmente preconizzabile– evenienza che si pone in contrasto con tutta la sistematica del codice improntata ad un evidente favor per il simultaneus processus .
La parte privata, avendo la mera facoltà (ma non anche il dovere a pena di decadenza) di proporre l’impugnazione, potrebbe articolare la propria strategia processuale improntandola alla frantumazione, risolvendosi a gravare soltanto alcune delle prescrizioni “lesive”, e riservandosi l’impugnazione di altre in sede di emissione dell’atto applicativo: ciò renderebbe ingestibile il rito processuale, e soprattutto impedirebbe all’amministrazione un sereno giudizio in ordine alla possibilità di proseguire nella propria azione amministrativa (non è detto che le doglianze che l’impugnante si è –legittimamente, seguendo detta prospettazione- riservato di proporre in seguito non possano essere fondate, rispetto a quelle disattese in sede di impugnazione contro il bando): il rischio sarebbe quello di una proliferazione frantumata e parcellizzata del contenzioso senza alcuno dei benefici in termini di “certezza delle situazioni giuridiche” che l’appellante prospettava quale ragione giustificativa dell’auspicato indirizzo evolutivo.
3.10.2. Alla stregua di quanto suesposto, appare evidente la ragione per la quale il Collegio ritiene inammissibile, in quanto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata (alquanto genericamente, per il vero) con riferimento ai parametri di cui agli artt. 24 e 97 della Carta Fondamentale.
Il primo parametro, per il vero, appare invocato del tutto a sproposito, posto che non v’è alcuna lesione al diritto di difesa laddove si contenga la possibilità di impugnare immediatamente le clausole del bando asseritamente lesive nei termini “disegnati” dalla giurisprudenza successiva all’Adunanza Plenaria n. 1/2003 e che, come a più riprese affermato in precedenza, questo Collegio ha fatto proprie.
La parte non è privata di alcuna difesa laddove onerata a proporre impugnazione congiuntamente all’atto applicativo lesivo: ciò è evidente.
Semmai, si sarebbe potuto evocare l’art. 41 della Costituzione, unitamente all’art. 97 richiamato, esprimendosi l’esigenza di “anticipata certezza” a tutela sia del buon andamento dell’Amministrazione (che è bene sappia in anticipo che la propria azione amministrativa è viziata in radice) che del corretto dispiegarsi dell’attività di impresa (interessata a non essere coinvolta in procedure evidenziali destinate a concludersi con una sentenza demolitoria che obblighi l’Amministrazione a ricominciare la procedura, con evidente spreco di tempo ed energie economiche).
Senonchè, sia che si sostenga la tesi della doverosità della immediata impugnazione delle clausole del bando asseritamente lesive pur se suscettibili di essere “corrette” (nei limiti e termini già chiariti sopra) nel prosieguo della procedura mercè la lettera invito, sia che si ipotizzi la tesi “eccentrica” della facoltatività (ma non doverosità) della impugnazione di dette clausole, gli inconvenienti dalle stesse nascenti –e che si ritiene di avere adeguatamente dimostrato- non sono superabili.
Dette prospettazioni stimolano il proliferare (potenzialmente inutile) dei gravami, incidono su poteri ancora esercitabili dall’Amministrazione e, soprattutto la seconda, rischiano di frantumare il processo senza apportare alcun contributo chiarificatore in termini di futura certezza della espletando azione amministrativa.
Le censure di incostituzionalità in quanto manifestamente infondate, sono inaccoglibili.
3.10.3. Quanto alla questione interpretativa comunitaria, a ben guardare vi si oppongono gli stessi inconvenienti.
E’ ben nota al Collegio, che la ritiene pienamente condivisibile l’affermazione frequente, secondo cui la primazia del diritto comunitario, per dispiegarsi compiutamente, ha bisogno della collaborazione dei Giudici nazionali.
Tale affermazione muove dalla constatazione del monopolio interpretativo attribuito alla Corte di Giustizia relativamente al diritto comunitario a fini di garanzia della uniforme interpretazione ed applicazione di quest’ultimo nel territorio dell’Unione (monopolio positivamente riconosciuto dai giudici italiani, che hanno a più riprese affermato che “l’interpretazione del diritto comunitario adottata dalla Corte di giustizia ha efficacia “ ultra partes ”, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino “ ex novo ” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “ erga omnes ” nell’ambito della Comunità - ex aliis Cass. civ. Sez. V, 11-12-2012, n. 22577).
Senonchè è agevole rilevare che l’esigenza di tale accentramento della funzione interpretativa in un unico organo sovranazionale, sarebbe frustrata laddove i giudici nazionali, nei casi in cui la interpretazione di una disposizione o di un principio comunitario apparisse dubbia, non investissero della questione la Corte di Giustizia preferendo essi stessi procedere a tale interpretazione.
E’ stata pertanto prevista, in capo ai giudici nazionali, la potestà di investire della questione della interpretazione di una norma o di un principio comunitario la Corte di Giustizia affinchè essa fornisca il proprio punto di vista (vincolante non solo nella causa in cui è stato disposto il rinvio, ma erga omnes , salvo eventuale successivo revirement della Corte) sulla questione devolutale.
Essa integra un vero e proprio obbligo cogente, nel caso in cui il giudice investito della questione sia un giudice di ultima istanza.
In ultima analisi (mutuando una felice espressione della dottrina processualcivilistica in tema di deferimento della questione di costituzionalità) il giudice svolge la funzione di “introduttore necessario” della questione interpretativa innanzi alla Corte.
Qualificata giurisprudenza (Cons. Stato Sez. VI, 27-11-2006, n. 6913) individua il “ proprium ” giustificativo delle disposizioni in materia di rinvio pregiudiziale appunto in ciò, affermando che: “il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, (già art. 177 c. III, Trattato CE, art. 234 Trattato 25 marzo 1957, oggi dell’art. 267, terzo paragrafo, ), volto ad ottenere l’interpretazione delle norme comunitarie, trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare la corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario in tutti i paesi membri.
Tale obbligo di rinvio non è tuttavia di indiscriminata applicazione (chè altrimenti ben presto rischierebbe di risolversi – ammesso che già purtroppo, non lo sia venuto -in uno strumento dilatorio spregiudicatamente utilizzato dalle parti a seconda delle loro convenienze per ritardare la definizione della causa).
Si è affermato pertanto, sin da tempo risalente, che (anche) le giurisdizioni nazionali le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno, non sono tenute all’obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte comunitaria ove la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto d’interpretazione da parte della Corte ed ove la disposizione comunitaria s’imponga con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi (Corte giust. Ce, 6 ottobre 1982). Il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di giustizia europea, ai sensi dell’art. 177 del Trattato istitutivo della Cee, volto ad ottenere l’interpretazione delle norme comunitarie, trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare la corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario in tutti i paesi membri;di modo che l’obbligatorietà del rinvio viene meno quando la questione sia materialmente identica ad altra già sollevata e già decisa in via pregiudiziale, ed in ogni ipotesi in cui la risposta al quesito si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio interpretativo (cfr, Corte Giust, CE, 6-10-82, C 283/81, Cilfit Cass. Sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1804).
La giurisprudenza ha quindi da tempo chiarito che al fine di ritenere realmente sussistente per il giudice di ultima istanza l’obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia C.E. non basta che una parte sostenga che la controversia ponga una questione di diritto comunitario, in quanto i giudici di ultima istanza dispongono dello stesso potere di valutazione degli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia della Corte su un punto di diritto comunitario. (cfr. ex multis Cons. Stato VI Sez. n. 6037 del 2008).
Di converso, la Corte di Giustizia ha affermato in passato (sentenza 6 marzo 2007, n. 338, Cause riunite C-338/04 e C-360/07, Placanica punti 36 e 37) che - con riferimento alla ripartizione delle responsabilità nell’ambito del sistema di cooperazione istituito dall’art. 234 CE e succ. mod - se è vero che l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici nazionali e non alla Corte e non spetta a quest’ultima pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento avviato in forza di tale articolo, sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto comunitario, per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v., in particolare, sentenze 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 19, nonché Wilson, citata, punti 34 e 35).
Inoltre, si è ivi osservato che, sebbene nel caso in cui il contenuto letterale della questione sottoposta in via pregiudiziale inviti la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto comunitario benché la Corte non possa risolvere tale questione così come essa viene formulata “ nulla le impedisce di dare una soluzione utile al giudice del rinvio fornendo a quest’ultimo gli elementi di interpretazione che rientrano nel diritto comunitario che consentiranno allo stesso di statuire sulla compatibilità del diritto interno con il diritto comunitario.”.
La Corte di giustizia Unione Europea (si veda la sentenza della Sez. III, 20-05-2010, n. 160/09 ) ha vieppiù espanso, di recente, la propria funzione interpretativa, pervenendo alla significativa affermazione secondo cui “le questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità , del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego di pronuncia, da parte della Corte, su un rinvio pregiudiziale proposto da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con la realtà o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte.”.
E’ sintomatico in proposito che il giudice che dispone il rinvio sia onerato ad esporre comunque il proprio punto di vista nella soluzione della questione pregiudiziale sottoposta (espresso ai sensi del paragrafo 23 della nota informativa della Corte di Giustizia dell’Unione Europea -pubblicata sulla G.U.U.E. del 28 maggio 2011).
Pur consapevole di tali limiti ed oneri, ritiene il Collegio che non vi sia spazio alcuno, nel caso di specie, per sollevare la detta questione.
Da un canto, infatti, si dovrà convenire che –avuto riguardo al concreto tenore delle censure proposte, ove rapportate all’ iter della procedura- la questione interpretativa proposta interferisca soltanto minimamente con il diritto comunitario, incentrandosi invece sulla nozione processuale (tutta ascrivibile al diritto interno) di attualità concretezza, e non mera ipoteticità dell’interesse a ricorrere.
Per altro verso, se anche la si volesse valutare esclusivamente nell’ottica del diritto comunitario, traendo spunto dalle prescrizioni della direttiva ricorsi mentovate alle pagg. 46-48 del ricorso in appello, emerge ivi l’esigenza di un sollecito espletamento delle procedure evidenziali e di certezza dei rapporti.
Entrambe queste esigenze sarebbero lese da una impugnazione anticipata, articolata pur mentre l’Amministrazione è impegnata nella fase procedimentale teoricamente destinata a concludersi mercè la possibile emissione di prescrizioni a contenuto emendativo (in senso anche “favorevole” al ricorrente) rispetto alle lacune riscontrate dal bando.
Di più: verrebbe fatto di chiedersi, a questo punto, come mai la direttiva ricorsi ed il codice appalti abbiano consentito il dispiegarsi della procedura evidenziale in più fasi, e non abbiano invece imposto che la lex specialis si strutturi in un unico atto, (contenente bando,lettera-invito e capitolato) e, più a monte, che senso abbia distinguere tra queste.
Al contrario, le predette esigenze verrebbero rese frustranee dall’accoglimento della tesi di parte appellante per le già chiarite ragioni esposte al punto 3.10.2. della presente decisione: la questione di interpretazione comunitaria va quindi dichiarata manifestamente infondata ed è inaccoglibile dal Collegio.
Va conclusivamente confermata la statuizione di inammissibilità delle censure di cui ai numeri 4, 7 e 9 del ricorso in appello.
4.A questo punto della esposizione, è possibile prendere partitamente in esame le censure (nn 3, 5, 6 ed 8 dell’appello) erroneamente dichiarate inammissibili dal T e riproposte nell’odierno grado di giudizio nell’ambito del predetto ricorso n. 2539/2013.
4.1. Anticipa il Collegio che certamente la prima di esse non appare persuasiva.
4.2.La detta prima censura articolata dalla originaria ricorrente ed attuale concessionaria avverso il bando (terzo motivo di appello) attinge il bando medesimo, e soprattutto la prescrizione contenuta nell’ avviso di rettifica al bando pubblicata nell’agosto 2012, oggetto del ricorso per motivi aggiunti, (parzialmente modificativo della previsione del bando), laddove si impone (con il fine di non perdere il versamento inizialmente previsto al 31.12.2011) «un pagamento pari a 140 milioni di euro entro 30 (trenta) giorni dalla data di affidamento e un pagamento annuo di 70 milioni di euro, a decorrere dall’anno di affidamento entro il 31 dicembre e, per gli anni successivi, entro il 30 novembre di ciascun anno».
Secondo parte appellante l’originaria previsione contenuta nel bando, e più ancora quella modificativa contenuta nell’avviso di rettifica violerebbero la lettera della legge (art. 8- duodecies del d.l. 59/08) e, soprattutto, introdurrebbero un onere spropositato e sproporzionato: ma già la prescrizione normativa (art. 8- duodecies , comma 2-bis, del d.l. 59/08 come modificato dall’art. 47 del d.l. 78/10) ad avviso di parte appellante risultava di dubbia compatibilità comunitaria quanto a tale profilo.
4.3. Il Collegio non concorda con le critiche mosse da parte appellante.
Il vizio di violazione di legge, all’evidenza, non sussiste, posto che la rettifica ha sì incrementato l’importo del richiesto versamento stabilendo che esso sia pari a140 milioni di euro (ma, rispetto alla primigenia formulazione del bando) conformemente alla legge, non fa decorrere la data di versamento ad un termine fisso, ma pur sempre dalla data dell’affidamento.
L’appellante sottovaluta tale –assai rilevante – profilo ed insiste nell’ipotizzare che tale quantificazione sia contra legem , perché essa pur decorrendo dall’affidamento, è raddoppiata rispetto alla prescrizione di legge.
Senonchè, è agevole osservare, quanto a tale profilo, che la legge non fissa una somma massima, ma semplicemente quella minima.
E la data del versamento è slittata nel tempo, di guisa che non si pone alcuna problematica di contrarietà alla lettera della legge.
4.3.1. Parimenti non appare meritevole di positiva delibazione la critica direttamente e particolarmente volta a censurare una prescrizione contenuta nell’ avviso di Rettifica, laddove quest’ultimo aveva riproposto la disposizione del bando che prevedeva «quanto al versamento della prima rata dell’importo di Euro 70.000.000,00, nel caso di versamento della stessa in data successiva al 31 dicembre 2011, l’Aggiudicatario dovrà corrispondere l’importo della rata maggiorato degli interessi calcolati dalla data del 31 dicembre 2011 e fino alla data del versamento ad un tasso di interesse pari al tasso BCE maggiorato di 2 punti percentuali in ragione d’anno».
Ad avviso di parte appellante essa era illogica in quanto (anche in difformità rispetto alla stessa legge provvedimento) era stato imposto all’aggiudicatario un onere per il ritardato pagamento, sebbene ogni ritardo nell’affidamento della concessione non era dipeso dal potenziale aggiudicatario ma dall’ A: l’aggiudicatario avrebbe dovuto pagare gli interessi su una somma che non avrebbe potuto in alcun modo corrispondere prima.
4.3.2. Senonchè anche in questo caso, è agevole constatare che l’importo previsto ex lege fissava unicamente la somma minima da corrispondere;che l’Amministrazione avrebbe pertanto potuto, nell’ambito della propria discrezionalità, quantificarla in un importo maggiore;che la circostanza che una “voce” di detta somma sia stata rapportata al versamento degli interessi non muta la sostanza della quantificazione.
4.3.3. Semmai, ci si può e deve interrogare sulla ragionevolezza – o meno – della prescrizione predetta.
Ed a tale proposito, pure nei limiti dello strettissimo sindacato “debole” espletabile da questo Collegio non pare che sia stato previsto un onere spropositato e sproporzionato, laddove si consideri che la retribuzione dell’ affidatario è in grado di remunerare adeguatamente l’investimento;e che l’aggiudicazione concerne un’opera tra le più rilevanti d’Europa (e come tale sempre considerata dalla stessa Corte di giustizia delle Comunita' Europee: si veda la decisione di quest’ultima 12-06-2003, n. 112 laddove si è addirittura affermato che “integra una limitazione del commercio intracomunitario delle merci e, in particolare, una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative, incompatibile in linea di principio con gli obblighi del diritto comunitario risultanti dagli artt. 30, 34 e 5 del Trattato il non aver vietato una manifestazione che ha comportato il blocco totale, per quasi 30 ore, di una via di comunicazione importante -autostrada del Brennero-, a meno che tale mancato divieto possa risultare obiettivamente giustificato.”).
4.3.4. Nell’ultima parte della doglianza l’appellante contesta che tale esborso sia stato temporalmente fissato sin dal momento dell’aggiudicazione della concessione - rectius alla stipula del contratto di concessione- e quindi in un momento antecedente all’avvio della gestione.
Si sostiene che, trattandosi di concessione di lavori, essa era destinata ad essere strutturata prevedendosi che il versamento del canone gravasse sull’affidatario (e quindi coincidesse con l’effettivo inizio del servizio) remunerando con questo flusso gli oneri di realizzazione dei lavori (e eventuali canoni dovuti all’Amministrazione).
Viene pertanto denunciato il sostanziale stravolgimento della figura della concessione di lavori.
4.3.5. Osserva in senso contrario il Collegio che l’invocato comma 11 dell’art. 3 del d.Lvo n. 163/2006 (“le «concessioni di lavori pubblici» sono contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l'esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l'esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al presente codice. La gestione funzionale ed economica può anche riguardare, eventualmente in via anticipata, opere o parti di opere direttamente connesse a quelle oggetto della concessione e da ricomprendere nella stessa.”) prevede “che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo”: nel legittimare detta eventualità poi, non indica in alcuna sua parte che “il prezzo” che può accompagnare il diritto a gestire l’opera debba essere versato soltanto a gestione avviata.
E’ ben vero che, in linea tendenziale il criterio differenziale rispetto l’appalto dei lavori riposa proprio nella circostanza che l’importo dell’affidamento sia remunerato attraverso i profitti discendenti dalla gestione dell’opera (T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 05-04-2013, n. 285)
In generale,infatti le concessioni sono definite come i contratti che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura del servizio o dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire il servizio pubblico o l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità delle norme del D.Lgs. n. 163/2006 - Codice degli appalti - (art. 3, commi 11 e 12). In sostanza, l'essenza della concessione, sia essa relativa a beni o a servizi pubblici, sta nel fatto che il concessionario si remunera per l'appunto erogando il servizio all'utenza (la quale corrisponde al gestore una tariffa, nella misura determinata dall'autorità concedente o da un organismo regolatore indipendente) oppure sfruttando il bene demaniale a fini economici (si pensi, per tutte, alle concessioni demaniali marittime). Le concessioni amministrative sono entrate nell'alveo di applicazione della normativa comunitaria sugli appalti pubblici proprio per il fatto che, dal punto di vista della tutela della concorrenza, esse hanno la stessa incidenza sul mercato degli appalti, visto che il concessionario di beni o servizi pubblici ricava un'utilità sfruttando economicamente beni pubblici che non sono disponibili in quantità illimitata. Tanto ciò è vero che -poiché i principi comunitari ostano a normative o prassi amministrative che, attraverso un'assegnazione non competitiva delle concessioni, siano idonee a provocare un'alterazione delle ordinarie dinamiche di mercato, gli artt. 30 e 144 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) impongono che l'affidamento delle concessioni sia preceduto da un confronto concorrenziale.
Ma è parimenti vero che il detto principio non è accompagnato da una prescrizione ostativa che si opponga ad una quantificazione anticipata e minimale (ed il quantum non può che essere rapportato all’altissimo valore dell’affidamento, pari a tre miliardi di Euro), con obbligo di anticipato versamento al momento della stipula dell’atto concessorio: la doglianza non appare fondata impingendo nella lata discrezionalità dell’Amministrazione e non rapportando il valore dell’importo preteso a quello, elevatissimo, della concessione ( e ciò in disparte le considerazioni rese della difesa erariale nella memoria di primo grado afferenti alla “genesi” di tale prescrizione, resasi necessaria, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, dagli arresti della procedura imposti in sede giudiziaria a cagione della ostruzionistica attività posta in essere dalla attuale concessionaria ed odierna appellante).
La doglianza, conclusivamente, non è condivisibile.
4.4. Ritiene adesso il Collegio – sempre seguendo una graduazione improntata al criterio della logica pregiudizialità –di prendere in esame la sesta censura proposta dall’appellante Società.
La detta sesta censura di appello – sulla cui ammissibilità ci si è già sinteticamente soffermati prima - è dedicata, nella prima parte, a criticare il bando di gara nella parte in cui, in violazione della Direttiva n. 311/2011 esso si limitava a fare soltanto un generico richiamo alle opere infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie la cui realizzazione doveva rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario, facendo altresì presente che non risultava che il detto elenco fosse stato trasmesso dall’A,prima della pubblicazione del bando di gara, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell’economia e delle finanze.
La seconda parte del mezzo, denunciava un ulteriore contrasto del bando rispetto alle prescrizioni contenute nella Direttiva n. 311 medesima il cui punto 8.4 stabiliva che «tra i criteri costituenti l’offerta economicamente più vantaggiosa dovrà essere previsto – a titolo semplificativo e non esaustivo – un punteggio premiante […] per il concorrente che formuli la migliore offerta in ordine alla realizzazione delle opere complementari di cui al successivo punto».
Ad avviso dell’appellante non solo di tale criterio di valutazione delle offerte non vi era traccia nel bando di gara, ma neppure sarebbe stata legittima una successiva previsione nella lettera di invito o nel capitolato (atti, come si è detto, questi ultimi, idonei soltanto ad integrare e specificare il bando di gara, ma non a derogarvi prevedendo ulteriori elementi di valutazione).
Come è agevole riscontrare, la censura si pone in termini in parte larga parte complementari od identici rispetto alla doglianza contenuta nell’appello avverso la sentenza n. 140/2013 proposto dagli Enti locali interessati dall’attraversamento del proprio territorio da parte del tracciato autostradale e volta ad avversare direttamente la predetta Direttiva (e della quale si è in precedenza soltanto anticipato il giudizio di fondatezza del Collegio ).
4.4.1. Proprio per detta intima connessione, la sesta censura dell’appello di Autobrennero verrà esaminata congiuntamente a quella proposta dal Consorzio nel riunito appello.
Il Consorzio degli enti locali – come prima sinteticamente fatto presente - ivi ha lamentato infatti che la Direttiva avesse del tutto obliato il segmento “opere infrastrutturali complementari” oggetto di diretta previsione legislativa;l’appellante società, oltre ad affermare parimenti che la Direttiva abbia obliato la questione “opere complementari” si duole del fatto che tale omissione sia stata reiterata nel bando e della omessa previsione, nel bando, del punteggio premiante previsto dalla Direttiva medesima.
4.4.2. Le dette doglianze colgono nel segno.
La lettura dell’articolato normativo che della predetta Direttiva costituisce “fonte” (oltreché antecedente logico e causale esclusivo) induce ad affermare la fondatezza della argomentazioni appellatorie.
Ivi infatti, (comma 2- bis dell’ articolo 8- duodecies del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101) che:
a) la società A S.p.a….entro il 31 dicembre 2010 (termine che non è contestato fosse semplicemente ordinatorio, ndr) pubblica il bando di gara per l'affidamento della concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del Brennero.
b) “a tal fine il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, impartisce direttive ad A S.p.a;
c)dette direttive sono così indicate nel detto articolo di legge: “ in ordine ai contenuti del bando di gara e del relativo capitolato o disciplinare, ivi compreso il valore della concessione, le relative modalità di pagamento e la quota minima di proventi annuale, comunque non inferiore a quanto accantonato in media negli esercizi precedenti, che il concessionario è autorizzato ad accantonare nel fondo di cui all'articolo 55, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 nonché l’indicazione delle opere infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie, la cui realizzazione, anche mediante il ricorso alla finanza di progetto, deve rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario.”.
d) nella detta disposizione di legge, si stabilisce poi che “il predetto bando deve prevedere un versamento annuo di 70 milioni di euro, a partire dalla data dell'affidamento e fino a concorrenza del valore di concessione, che viene versato all'entrata del bilancio dello Stato.”
La coordinata lettura della disposizione di legge succitata, rende palese che, nell’intenzione del Legislatore il contenuto della emananda direttiva era racchiuso nelle proposizioni che, per comodità espositiva sono state riportate separatamente alle superiori lettere b e c, mentre l’ulteriore previsione (relativa all’ importo del versamento) costituiva prescrizione immediata e cogente da trasfondersi nel futuro bando.
Se così è, concentrando l’esame sul contenuto minimale della predetta “direttiva”, resta confermata la fondatezza della tesi dalle parti appellanti secondo cui essa avrebbe già dovuto contenere “la specifica indicazione delle opere infrastrutturali da realizzarsi, evidentemente nel territorio dei Comuni lambiti dal percorso della autostrada A22” (come affermatosi nel mezzo di primo grado e ribaditosi in appello).
Ne consegue che, da un canto appare ex se censurabile la detta direttiva nella parte in cui (si veda sempre le testuali espressioni utilizzate nel mezzo di primo grado) essa “si è astenuta da tale indicazione, demandando l’individuazione delle opere infrastrutturali complementari all’A, cui è stato affidato di provvedervi in sede di redazione degli allegati di gara.”.
Invero, ad avviso del Collegio, la norma di legge succitata fa riferimento a due distinti versanti “provvedimentali” successivi.
Il secondo di essi riposa esclusivamente nel bando, ed è “assistito” da una previsione puntuale in ordine all’obbligo di versamento dell’importo ivi determinato.
Il primo di essi, invece, accomuna bando di gara e relativo capitolato o disciplinare e tutti e tre tali atti presupponevano l’anticipata emissione delle “direttive” in ordine ai contenuti e, per quel che qui maggiormente interessa “nonché l’indicazione delle opere infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie, la cui realizzazione, anche mediante il ricorso alla finanza di progetto, deve rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario.”.
Se così è, risulta confermato da una canto che tale determinazione/indicazione non poteva essere obliata nelle direttive ed essere rimandata alle successive fonti applicative e comunque, anche a volere ipotizzare (ma così non è) che detta indicazione fosse stata rinviata ad un momento successivo, essa non poteva mancare nel bando.
La direttiva emanata si è attenuta (vedasi punto 9 della medesima ) ad un contenuto minimale e traslativo riposante nello demandare all’A la individuazione delle opere riservando alla alta sede ministeriale il controllo sull’elenco completo delle opere che infatti sarebbe stato onere dell’A comunicare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell’economia e delle finanze “fornendo adeguata motivazione circa la strumentalità delle stesse rispetto all’infrastruttura oggetto del presente riaffidamento» (si veda art. 9 della direttiva del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti,10 agosto 2011, n. 311, presa d’intesa con il Ministro dell’Economia e delle Finanze).
In disparte la circostanza che la difesa di Autobrennero contesta che ciò sia in realtà avvenuto (la difesa erariale fa invece riferimento alla nota A n. 138307 del 12.10.2011) non ritiene il Collegio che questo fosse il contenuto precettivo serenamente ricavabile dall’articolato di legge.
Impartire direttive, infatti, è cosa diversa dal “riservarsi un controllo” (che è ciò che è in concreto avvenuto).
Il frutto di tale remand è stato quello denunciato dalle parti appellanti ed in concreto ricavabile dall’esame della procedura di gara: allo stato, sino all’emissione del bando, ed anche successivamente a quest’ultimo, non era dato conoscere quali fossero le dette opere complementari, realizzabili anche attraverso la finanza di progetto, certamente necessarie in quanto preconizzate e previste dalla detta norma di legge.
E poiché essa accomunava bando e capitolato o disciplinare,la tesi articolata in primo grado dalla difesa erariale (secondo la quale non sarebbe stato possibile procedere ad indicare quali sarebbero dovute essere le opere infrastrutturali da predisporsi in concreto in sede di emissione della direttiva interministeriale) non appare accoglibile.
Sia che si ritenga che le dette “direttive” contenenti l’indicazione delle opere complementari dovessero precedere l’emissione del bando e vincolare quest’ultimo alla successiva puntuale elencazione, sia che si ritenga che la indicazione avrebbe potuto essere contenuta direttamente in quest’ultimo, nulla di tutto ciò si è verificato.
Mentre, alla luce del dato normativo, non si vede come possa sostenersi che (neppure) il bando di gara fosse “onerato” dall’indicare le dette opere e che tale incombente potesse essere ulteriormente differito e traslato sul disciplinare o capitolato.
In disparte ogni considerazione sulle conseguenze (già in termini di incertezza sull’oggetto effettivo della procedura evidenziale) di siffatto modo di procedere, ed in disparte le ulteriori acute considerazioni dell’appellante in ordine alla (conseguente) omissione di ogni indicazione nel bando sul “punteggio premiale” alla esecuzione delle medesime connesso, il dato letterale della norma di legge non consente di ritenere la praticabilità del combinato-disposto per cui, le direttive potevano omettere ogni indicazione (se non quella, generica, del controllo ex post ) e parimenti il bando potesse lasciarne l’indicazione alla successiva lettera invito.
In sostanza il dato letterale si oppone alla tesi secondo cui le “direttive” espressamente prescritte ex lege avessero soltanto il compito di normare la procedura individuativa delle predette opere e, soprattutto, che tale normazione dovesse poi essere non rimessa al bando, ma alla successiva fonte applicativa rappresentata dal capitolato.
4.4.3. Dette considerazioni militano,in termini assorbenti, per l’accoglimento della censura: le contrarie argomentazioni della difesa erariale, secondo cui la direttiva succitata avrebbe utilizzato “atecnicamente” la nozione di “bando di gara” e si sarebbe invece riferita alla “documentazione di gara” (pagg. 1 e 18 della memoria depositata in primo grado) e, soprattutto, la tesi secondo cui essa non rilevasse né isolatamente considerata qual atto spiegante valenza provvedimentale (quantomeno in parte qua) ma neppure qual parametro di valutazione dei successivi atti provvedimentali che a questa si dovevano confermare non è francamente accoglibile: in parte per le motivazioni già chiarite con riguardo all’appello proposto dal Consorzio;per altro verso, perché ipotizza una interpretatio abrogans della norma di legge che la emissione di tale direttiva/e (la legge per il vero si esprimeva al plurale) aveva previsto, in ragione della quale verrebbe fatto di interrogarsi sulla utilità della detta prescrizione normativa.
4.4.4. Appare evidente che l’accoglimento delle dette connesse censure contenute nei riuniti appelli spiega portata assorbente rispetto alle altre doglianze.
Deve però per incidens potersi precisare che anche il quinto motivo dell’appello proposto dalla società Autobrennero (è stato ivi sostenuto che la richiesta di presentazione delle attestazioni SOA in sede di prequalifica, contenuta nel bando di gara, violasse il principio di segretezza delle offerte in quanto costringeva i partecipanti interessati a disvelare elementi qualificanti della loro offerta -punti IV.2 e III.