Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-21, n. 202000494

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-21, n. 202000494
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000494
Data del deposito : 21 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/01/2020

N. 00494/2020REG.PROV.COLL.

N. 03658/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3658 del 2013, proposto da
A V, CATERINA FRAZZITTA, rappresentati e difesi dall’avvocato E R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cicerone, n. 28;

contro

ROMA CITALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Luigi D’Ottavi, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 8660 del 2012;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Cons. D S e uditi per le parti gli avvocati E R e Luigi D’Ottavi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, i signori Andrea Volponi e Caterina Frazzitta impugnavano la determinazione dirigenziale n. 1274 in data 17 luglio 2012 di demolizione opere abusive, consistenti nelle seguenti opere: « aumento della quota di imposta del tetto posto a copertura del piano primo, mediante il posizionamento di travi in legno;
modifica delle aperture presenti sui prospetti con chiusura del portone di accesso al piano terra e apertura di un nuovo ingresso mediante l’ampliamento di un vano finestra preesistente;
lungo tutto il perimetro del terrazzo è stato realizzato un parapetto in muratura;
rispetto alla altezza dichiarata negli elaborati grafici allegati alla DIA (m. 2.70) il locale soggiorno ha una altezza utile interna di m. 2,90
».

A fondamento del ricorso, venivano sollevate le seguenti censure:

i) le opere erano state eseguite sulla base di regolare DIA onerosa n. 16034 del 9.3.2010 sostituita dai Nuovi tipi n. 29449 del 29.4.2010, costituenti valido titolo abilitativo alle opere di ristrutturazione;

ii) non vi era stato alcun aumento di SUL e la differenza tra il volume ante operam e quello post operam reale era di 10,60 mc ovvero del 2,26%;

iii) eccesso di potere sotto i profili sintomatici del travisamento fatti, erronea valutazione presupposti, carenza di istruttoria.

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 8660 del 2012, respingeva il ricorso, rilevando quanto segue:

« Il ricorso è infondato.

In particolare l’infondatezza del ricorso poggia sulle seguenti argomentazioni:

a) i ricorrenti non hanno dimostrato di possedere alcun titolo edilizio per la realizzazione delle opere in questione. Dalle premesse del provvedimento impugnato risulta, con chiarezza, la natura e la consistenza delle opere realizzate.

b) Dall’esame di tutti gli atti istruttori il Collegio ritiene che gli interventi eseguiti non possono rientrare nell’ambito della regolare DIA onerosa n. 16034 del 9.3.2010 sostituita dai Nuovi tipi n. 29449 del 29.4.2010. Sono presenti, infatti, rilevanti difformità delle opere eseguite rispetto alle DIA (cfr., “contrariamente a quanto rappresentato negli elaborati grafici allegati alla DIA ….è stata ulteriormente incrementata l’altezza netta interna dei locali al piano primo”…”rispetto all’altezza dichiarata negli elaborati grafici allegati alla DIA (m.2.70) il locale soggiorno ha una altezza utile interna di m. 2.90”).

Si ritiene, pertanto, che – per quanto i ricorrenti abbiano pure depositato perizia tecnica di parte – non si può rientrare nelle ipotesi di cui all’art. 34 TU edilizia (applicazione di sanzione pecuniaria) ma in quelle previste dall’art. 17 LR Lazio n. 15/2008 (variazione essenziale che comporta un aumento del 2% del volume o della superficie lorda complessiva).

Dagli atti di causa, infatti, la percentuale di scostamento dai volumi progettuali si attesta intorno al 2,26% (indipendentemente dall’incremento o meno della superficie utile lorda).

c) Infine, sul presunto difetto di motivazione si osserva che l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5049;
10 dicembre 2007, n. 6344;
31 agosto 2010, n. 3955;
sez. V, 7 settembre 2009, n. 5229).

In conclusione, stante la legittimità dell’operato della PA, la completezza dell’istruttoria svolta e l’adeguatezza della motivazione del provvedimento impugnato, il ricorso deve essere respinto ».

3.‒ Avverso la predetta sentenza proponevano appello i signori Andrea Volponi e Caterina Frazzitta, insistendo per l’accoglimento delle censure già sollevate in primo grado, sia pure adattate all’impianto motivazionale della pronuncia gravata.

In particolare, secondo gli appellanti:

i ) i giudici di primo grado avrebbero erroneamente affermato il carattere abusivo delle opere contestate: al fine di eseguire le opere di ristrutturazione, gli istanti avevano infatti presentato regolare d.i.a. onerosa n. 16034 del 9 marzo 2010 ed i Nuovi Tipi n. 29449 del 29 aprile 2010;
nella d.i.a. n. 16034 del 9 marzo 2010, tra le opere da eseguirsi sul manufatto, era specificamente indicata la necessità di procedere al «rifacimento copertura a tetto», e le ulteriori opere oggetto della d.i.a. consistevano nelle «tre nuove aperture porta-finestra, demolizione scala est in muratura, opere interne»;
l’Amministrazione avrebbe potuto al massimo contestare una parziale difformità delle opere in corso di esecuzione rispetto al titolo abilitativo, applicando la sanzione pecuniaria prevista dagli artt. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 19 della legge della Regione Lazio n. 15 del 2008;

ii ) l’entità delle modifiche rilevate non sarebbero comunque tali da configurare variazioni essenziali;
nel caso di specie, non vi sarebbe stato alcun aumento di S.U.L. e la differenza tra il volume ante operam e quello post operam, in base alle misurazioni effettuate in sede di sopralluogo dalla Polizia Locale, sarebbe di circa 10,60 mc, ovvero del 2,26%;

iii ) i lavori, alla data dell’accesso degli agenti di Polizia Locale, non erano stati ancora ultimati, cosicché avrebbero potuto essere assentiti in variante entro la fine dei lavori di ristrutturazione;

4.‒ Con ordinanza 3 giugno 2019, n. 3733, la Sezione ha disposto una verificazione, incaricando il Direttore della Direzione Regionale per le politiche abitative e la pianificazione territoriale, paesistica e urbanistica della Regione Lazio, con facoltà di delega, di rispondere al seguente quesito:

« Dica il verificatore se gli interventi edilizi oggetto dell’ordine di demolizione impugnato ‒ di cui alla determinazione dirigenziale del Municipio XI di Roma Capitale n. prot. 1274 del 17 luglio 12, notificata il 27 agosto 12 ‒ siano o meno difformi (ed in quale misura) rispetto alle opere indicate nella regolare DIA onerosa n. 16034 del 9.3.2010 sostituita dai Nuovi tipi n. 29449 del 29 aprile 2010 ».

5.‒ All’udienza del 5 dicembre 2019, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.‒ L’ordine demolitorio impugnato aveva ad oggetto i seguenti interventi edilizi:

a ) aumento della quota di imposta del tetto posto a copertura del piano primo, mediante il posizionamento di travi in legno, ad una quota netta interna, misurata dal pavimento all’intradosso delle travi di m. 2,90 al colmo e m. 2,35 all’imposta interna, con incremento di cm. 20 circa rispetto a quanto indicato nella DIA (m. 2,70 al colmo e m. 2,15 all’imposta interna);

b ) modifiche delle aperture sui prospetti;

c ) realizzazione di un parapetto lungo tutto il perimetro del terrazzo ubicato al piano primo, in luogo della preesistente ringhiera in ferro e aumento della sua superficie;

d ) diversa altezza del locale soggiorno al piano terra (mt 2,90) rispetto a quella indicata negli elaborati grafici allegati alla DIA (m. 2,70).

Prima di esaminare il merito delle censure, è utile premettere una rapida ricognizione del quadro normativo di riferimento.

1.1.‒ La disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni contempla tre fattispecie ordinate secondo la gravità dell’abuso: l’ipotesi di interventi in assenza di permesso o di totale difformità;
l’ipotesi intermedia di variazioni essenziali dal titolo edilizio;
l’ipotesi residuale della parziale difformità da esso.

1.2.‒ L’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 (di seguito: “TUE”) disciplina gli abusi più gravemente sanzionati.

L’assenza di permesso consiste nella sua insussistenza oggettiva per l’opera autorizzata.

Accanto al caso del permesso mai rilasciato, vi sono i casi nei quali il titolo è stato rilasciato, ma è privo (o è divenuto privo) di effetti giuridici.

L’art. 31, comma 1, del TUE prevede anche una figura di mancanza sostanziale del permesso, che si verifica quando vi è difformità totale dell’opera rispetto a quanto previsto nel titolo, pur sussistente. Si ha difformità totale, quando sia realizzato un organismo edilizio:

- integralmente diverso per caratteristiche tipologiche architettoniche ed edilizie;
- integralmente diverso per caratteristiche planovolumetriche, e cioè nella forma, nella collocazione e distribuzione dei volumi;

- integralmente diverso per caratteristiche di utilizzazione (la destinazione d’uso derivante dai caratteri fisici dell’organismo edilizio stesso);

- integralmente diverso perché comportante la costituzione di volumi nuovi ed autonomi.

1.3.‒ Accanto alle forme di abuso appena ricordate, l’art. 32 del TUE, ‒ così come prima l’art. 7, comma 2, della legge n. 47 del 1985 ‒ regola la fattispecie dell’esecuzione di opere in «variazione essenziale» rispetto al progetto approvato. Tale tipo di abuso è parificato, quanto alle conseguenze, al caso di mancanza di permesso di costruire e di difformità totale, salvo che per gli effetti penali (le variazioni essenziali sono infatti soggette alla più lieve pena prevista per l’ipotesi della lettera a, dell’articolo 44 del TUE).

La determinazione dei casi di variazione essenziale è affidata alle regioni nel rispetto di alcuni criteri di massima. In particolare, ai sensi dell’art. 32, comma 1, del TUE, sussiste variazione essenziale esclusivamente in presenza di una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento di destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968;
b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato, ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
d) il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentite;
e) la violazione della normativa edilizia antisismica.

Il comma 2 dell’art. 32 del TUE precisa che «non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative».

Il concetto di variazione essenziale, che attiene alla modalità di esecuzione delle opere, va distinto dalle “varianti” che invece riguardano la richiesta di una variazione del titolo autorizzativo (art. 22, comma 2, del TUE).

Mentre le varianti in senso proprio, ovvero le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all'originario permesso a costruire, le varianti essenziali, ovvero quelle caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 del d. P.R. n. 380 del 2001, sono soggette al rilascio di permesso a costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario e per il quale valgono le disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante (cfr. Cassazione penale, sez. III, 27 febbraio 2014, n. 34099). Nel caso di variante essenziale il problema si concentra nella necessità o meno di nuovo titolo, che deve quindi considerare l’eventuale diversa normativa sopravvenuta;
la variante invece si riferisce al titolo originario senza nuova valutazione della normativa vigente.

1.4.‒ Quanto alla disciplina regionale, l’art. 17 della legge della Regione Lazione n. 15 del 2008 ha individuato quali variazioni essenziali rispetto al progetto approvato le opere eseguite abusivamente quando si verifichi una o più delle seguenti condizioni:

« a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standard previsti dal d.m. lavori pubblici 2 aprile 1968;

b) mutamento delle destinazioni d’uso, con o senza opere a ciò preordinate, quando per lo stesso è richiesto, ai sensi dell’articolo 7, terzo comma, della l.r. 36/1987, il permesso di costruire;

c) aumento superiore al 2 per cento del volume o della superficie lorda complessiva del fabbricato;

d) modifica dell’altezza quando, rispetto al progetto approvato, questa sia superiore al 10 per cento, sempre che rimanga inalterato il numero dei piani;

e) modifica della sagoma quando la sovrapposizione di quella autorizzata, rispetto a quella realizzata in variante, dia un’area oggetto di variazione, in debordamento od in rientranza, superiore al 10 per cento della sagoma stessa;

f) modifica della localizzazione quando la sovrapposizione della sagoma a terra dell’edificio autorizzato e di quello realizzato, per effetto di rotazione o traslazione di questo, sia inferiore al 50 per cento;

g) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito in relazione alla classificazione dell’articolo 3 del d.p.r. 380/2001 e successive modifiche;

h) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica quando non attenga a fatti procedurali ».

2.‒ Su queste basi, le risultanze dell’istruttoria tecnica ‒ nel corso della quale il verificatore ha eseguito le misurazioni necessario con uno strumento di estrema precisione (misuratore laser) ‒ hanno consentito di appurare l’erroneità dei presupposti di fatto da cui prende le mosse l’atto impugnato.

2.1.‒ Per quanto attiene alla quota di imposta e di colmo del tetto a copertura del primo piano, è emerso che, al primo piano, l’altezza misurata all’intradosso (bordo inferiore) della trave principale (di colmo) è pari a mt 2,70;
quella all’imposta del tetto, rilevabile solo dall’esterno (le travi “dormienti” inserite sulle murature perimetrali e costituenti l’orditura principale del tetto risultano infatti visibili solo all’esterno con il cosiddetto “palombello”) è pari a mt 2,15.

Tali altezze risultano conformi a quanto indicato nella d.i.a. prot. n. 29449 del 29 aprile 2010.

L’errore in cui è incorsa l’Amministrazione (secondo cui ci sarebbe stato invece un incremento di circa cm 20 rispetto alla d.i.a.) deriva dall’aver assunto quale punto di riferimento per l’altezza mt 2,90 l’intersezione della trave principale con la travatura secondaria e per l’altezza mt 2,35 la quota di appoggio delle travi secondarie sui muri perimetrali laterali, senza tener conto della intervenuta necessaria posa in opera (non rilevabile a vista) sui muri laterali delle travi di appoggio del tetto, la cui parte terminale, sporgente dal perimetro delle facciate dell’edificio è rilevabile dall’esterno (la circostanza emerge dalle foto 1 e 2 allegate alla relazione).

La posa in opera del tetto ha comportato un aumento dell’altezza esterna (20 cm) dell’immobile (h mt 6,25 anziché mt 6,05) dovuta allo spessore dell’orditura di un tetto in legno, pari a circa il 3,3% e dunque inferiore alla soglia del 10% fissata dall’art. 17 della legge della Regione Lazio n. 15 del 2008 perché possa dirsi integrata una variazione essenziale.

La maggiore altezza esterna non ha comportato inoltre alcun incremento della superficie utile lorda dell’immobile.

2.2.‒ Le modifiche di cui ai punti 2) e 3) della determinazione comunale n. 1274 del 17 luglio 2012 ‒ segnatamente: le modifiche delle aperture sui prospetti e la realizzazione di un parapetto lungo tutto il perimetro del terrazzo ubicato al piano primo, in luogo della preesistente ringhiera in ferro e aumento della sua superficie ‒ sono parzialmente difformi rispetto alla d.i.a. ma non costituiscono anch’esse variazioni essenziali ai sensi dell’art. 17 della legge della Regione Lazione n. 15 del 2008.

2.3.‒ Quanto alla contestata altezza del locale soggiorno al piano terra di mt 2,90, anziché mt 2,70, essa trova la sua giustificazione nella presenza nel solaio del soggiorno di una sorta di gradino che fa sì che una parte del vano abbia altezza mt 2,70 e un’altra parte mt 2,90. Tale scalino, comunque preesistente, non era stato riportato negli elaborati grafici di DIA per errore del tecnico sottoscrittore della DIA.

Il verificatore ha concluso, con argomenti logici che il Collegio condivide, nel senso che non appare ipotizzabile ‒ sia alla luce di elementi rilevabili a vista, sia degli stessi rilievi della Polizia ‒ che sia stato effettuato un intervento di taglio del preesistente solaio del vano soggiorno e di ricostruzione ad una quota più alta di soli 20 cm, soprattutto in considerazione del fatto che il requisito dell’abitabilità del locale era comunque già assicurato dalla preesistente altezza (ml 2.70) e che tale intervento avrebbe richiesto maestranze, tempi e impegni economici ben più significativi.

3.– Per le ragioni che precedono, l’appello è fondato e, per l’effetto, va disposto l’annullamento degli atti impugnati.

4.‒ Le spese di lite del doppio grado di giudizio e quelle di verificazione ‒ queste ultime da liquidarsi nella misura di € 6.642,41 (da cui va detratto l’acconto di € 1.200,00), come da notula depositata in atti ‒ seguono la soccombenza, secondo la regola generale.

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