Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-06-27, n. 201303526

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-06-27, n. 201303526
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201303526
Data del deposito : 27 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04139/2004 REG.RIC.

N. 03526/2013REG.PROV.COLL.

N. 04139/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4139 del 2004, proposto da:
Comune di Vicenza, rappresentato e difeso dagli avv.ti M T e F A, con domicilio eletto presso F A, in Roma, via P. L. da Palestrina n. 19;

contro

Fondazione Luigia Gaspari Bressan Onlus, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti F C e L L L, con domicilio eletto presso l’avv. L L L, in Roma, via Rodi n. 32;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - SEZIONE III n. 05309/2003, resa tra le parti, concernente rimborso spese di spedalità.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio, nonché appello incidentale, della Fondazione appellata;

Viste le memorie difensive prodotte dalle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013, il Cons. A P;

Udito per la parte appellata/appellante incidentale, alla stessa udienza, l’avvocato Laurita Longo, nessuno essendo ivi comparso per l’appellante principale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO


1 - Il Comune di Vicenza ha impugnato la sentenza del TAR per il Veneto n. 5309/2003, che ha accolto il ricorso proposto dalla Fondazione Luigia Gaspari Bressan O.N.L.U.S. avverso i provvedimenti n. 2651, 2652, 2653, tutti in data 18.7.2000, con i quali il Comune di Vicenza negava l’integrazione delle rette di ricovero dei sigg. Danese Maria (deceduta), Finello Dario e Nobile Antonio, adducendo di non essere titolare del domicilio di soccorso in forza degli artt. 72 e 74 della legge n. 6972 del 1890.

2. - La sentenza di primo grado ha ritenuto errata la interpretazione data dal Comune dei citati artt. 72 e 74 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 ( c.d. legge Crispi ). L’art. 72 stabilisce che il domicilio di soccorso va identificato con il Comune in cui il soggetto dimori per almeno due anni "senza notevoli interruzioni";
mentre l’art. 74 stabilisce che non produce interruzione "il tempo trascorso altrove sotto le armi o in stabilimenti di cura;
né vale a far acquistare il domicilio di soccorso in un Comune il tempo ivi trascorso sotto le armi o in stabilimento di cura o in stabilimento di beneficienza pubblica a carico della medesima”. Essendo la ratio di tale disciplina, in tutti i casi contemplati dalla norma, fondata sul carattere non volontario, ma necessitato della dimora, è evidente che il fatto di aver potuto far fronte alle spese di ricovero per un certo periodo non restituisce al lungo degente la libertà di scelta in ordine al luogo di dimora. Ai sensi della norma citata il domicilio di soccorso non si modifica anche dopo che siano trascorsi due anni. Confermano la stessa disciplina del domicilio di soccorso le leggi più recenti ed in particolare la legge regionale del Veneto n. 5/1996 all’art. 13-bis introdotto dall'art. 102 della legge regionale n. 5/2000 e, nell’ambito della legislazione nazionale, l'art. 6, comma 4, della legge 8.11.2000, n. 328. Entrambe tali norme, entrate in vigore successivamente allo svolgimento dei fatti oggetto della causa, pur non avendo effetto retroattivo e dunque insuscettibili di diretta applicazione alla fattispecie, concorrono invero a confermare la interpretazione della normativa preesistente nel senso di individuare come domicilio di soccorso il comune di dimora all'atto del ricovero, esattamente come indicato dalla storica legge Crispi;
né può essere invocata in contrario la disposizione del regolamento dell’ordinamento anagrafico di cui al D.P.R. 30.5.1989, art. 8, lett. a), che stabilisce che non deve essere effettuata l’iscrizione anagrafica nel Comune per trasferimento di residenza per ricoverati in istituti di cura di qualsiasi natura, purchè la permanenza non superi i due anni, dal momento che tutte le altre disposizioni richiamate concorrono a confermare la esistenza di una lex specialis in materia di individuazione del comune di soccorso.

3. - Il Comune appellante principale contesta la sentenza stessa, sostenendo che l’art. 74 della legge n. 6972 del 1890, nell’individuare le ipotesi che non consentono di far acquistare il domicilio di soccorso in un comune diverso, annovera quella del “tempo trascorso in stabilimento di beneficenza pubblica a carico della medesima”, desumendo – a contrario- che il soggiorno a proprie spese, importi, invece, lo spostamento del domicilio di soccorso verso il comune ospitante. La disposizione del regolamento dell’ordinamento anagrafico di cui al D.P.R. 30.5.1989, all’art. 8, lett. a), si limita dunque a confermare una norma già vigente, come dimostra il fatto che fanno riferimento allo stesso periodo di tempo di due anni ai fini della variazione anagrafica. La successiva legislazione regionale e statale richiamata dalla sentenza non può avere quindi carattere interpretativo, dal momento che disciplina una fattispecie interamente nuova e non ha carattere retroattivo, come del resto riconosce la stessa sentenza.

4.- La Fondazione Luigia Gasparri Bresson ONLUS, contestate con il controricorso le deduzioni in appello, ha proposto appello incidentale: a) per violazione o erronea applicazione degli art 91 e 92 c.p.c. e difetto di motivazione in relazione al capo della sentenza con il quale viene disposta tra le parti la compensazione integrale delle spese;
b) per violazione dell’art 112 c.p.c. in ordine alla mancata pronuncia sulla richiesta di condanna del Comune di Vicenza a corrispondere, oltre alle rette di degenza insolute, anche gli accessori di diritto nonché le rette di degenza a venire relative ai soggetti menzionati ancora viventi – ove non si ritenga che dette richieste debbano ritenersi tacitamente accolte in primo grado, in quanto assorbite nella pronuncia di condanna a carico del Comune di Vicenza. Inoltre lo stesso appello incidentale ripropone in forma condizionata gli motivi del ricorso in primo grado assorbiti dalla sentenza impugnata.

5. – La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione all’udienza pubblica dell’8 marzo 2013.

6. – L’appello principale deve essere dichiarato estinto per perenzione a norma dell’articolo 35, comma 2, lett. b), del c.p.a., avendo l’appellante – una volta ricevuto l’apposito avviso c.d. di perenzione ultraquinquennale comunicato dalla segreteria ai sensi dell’art. 9, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205 ( vigente ratione temporis ) - omesso di presentare nei termini nuova istanza di fissazione di udienza, come prescritto dal medesimo articolo, poi trasfuso nell’art. 82, comma 2, c.p.a..

Nel caso di specie, l'istanza di fissazione è stata invero presentata dalla sola fondazione appellata e, dunque, non è idonea a salvare l’appello principale da una pronuncia di estinzione per perenzione a norma dell'art. 35, comma 2, lett. b), cit., con conseguente improcedibilità per carenza di interesse dell’appello incidentale condizionato, che, innestandosi sulla domanda principale dell'appellante ed essendo quindi geneticamente collegato all'appello principale, tende a vanificarne l'esito.

Quanto invece all’appello incidentale improprio ( che, proposto nello stesso giudizio per il principio di concentrazione delle impugnazioni di cui all'art. 333 c.p.c., è del tutto indipendente dagli esiti dell'impugnazione principale ), la nuova istanza di fissazione d’udienza presentata ritualmente ai sensi dell’art. 82, comma 2, c.p.a. vale a salvarne l’efficacia e dunque la procedibilità.

Venendo, dunque, al merito dello stesso, esso va anzitutto respinto in ordine alla pretesa mancata pronuncia del Giudice di primo grado sulla richiesta di condanna del Comune di Vicenza a corrispondere le rette di cui trattasi anche per il futuro, non sussistendo il dedotto vizio di pronuncia, in quanto l’accertamento del diritto relativo ad un rapporto che si protrae nel tempo deve intendersi riferito a tutto il tempo in cui perdura lo stato di fatto e di diritto preso in considerazione ai fini dell’accertamento stesso.

L’appello incidentale va invece accolto quanto alla mancata pronuncia in ordine alla richiesta di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme dovute, che va accolta tuttavia limitatamente agli interessi, essendo il debito del Comune un debito di valuta, soggetto al c.d. principio nominalistico di cui all'art. 1277 c.c., per il quale il creditore, al quale sono in ogni caso riconosciuti gli interessi nella misura legale, non ha dato la prova del maggior danno, ai sensi dell'art. 1224 c.c.

Tanto vale a rendere improcedibile l’impugnazione del capo della sentenza che ha disposto la integrale compensazione delle spese di giudizio, atteso che la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado, comporta il venir meno della pronuncia sulle spese dalla stessa recata ed una nuova regolazione, affidata al giudice di appello, delle spese del doppio grado.

In conclusione, l’appello principale va dichiarato perento, mentre l’appello incidentale va accolto in parte, nei sensi di cui sopra.

7. – Le spese di entrambi i gradi del giudizio seguono, come di régola, la soccombenza e devono essere poste a carico del Comune di Vicenza, nella misura stabilita in dispositivo.

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