Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-12-15, n. 201106619

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-12-15, n. 201106619
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201106619
Data del deposito : 15 dicembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08560/2011 REG.RIC.

N. 06619/2011REG.PROV.COLL.

N. 08560/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8560 del 2011, proposto da:
Immobiliare Cometa S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. A R, con domicilio eletto presso A R in Roma, via Bocca di Leone n. 78;

contro

Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. R M P, domiciliata per legge in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27;
Roma Capitale, rappresentato e difeso dagli avv. A C, D R, domiciliata per legge in Roma, via del Tempio di Giove n.21;


ATAC

Spa, rappresentato e difeso dall'avv. F C, con domicilio eletto presso F C in Roma, via dei Rogazionisti n.16;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 06011/2011, resa tra le parti, concernente MANCATA RETROCESSIONE DI AREE SITE IN ROMA LOCALITÀ TOR PAGNOTTA


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio, di Roma Capitale e di Atac Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2011 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Alberto Zito, su delega dell'avv. A R, R M P, A C, nonché F C.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame, la società Immobiliare Cometa impugna la sentenza del TAR per il Lazio, sez. II, 7 luglio 2011 n. 6011, con la quale è stato respinto il suo ricorso avverso la nota 20 settembre 2002, con la quale la Regione Lazio, Assessorato ai trasporti e lavori pubblici, Direzione reg. opere pubbliche e servizi per il territorio, ha respinto la sua istanza 6 maggio 2002, tesa ad ottenere la dichiarazione di retrocessione di aree ubicate in Roma, loc. Tor Pagnotta.

La presente controversia trae origine dalla intervenuta occupazione di un suolo di proprietà della società appellante (di circa 113.680 mq.), ricompreso nel progetto per la costruzione di una rimessa dell’ATAC, nel territorio del Comune di Roma. Non essendo intervenuto il decreto di esproprio, a seguito dell’irreversibile trasformazione delle aree per la realizzazione dell’opera pubblica, il Tribunale di Roma, con sentenza 28 dicembre 1996 – 14 gennaio 1997, riconosciuta l’accessione invertita in favore del Comune di Roma, dichiarava il diritto dell’istante al risarcimento dei danni.

In seguito, non essendo stata realizzata l’opera pubblica per intero, come originariamente progettata, una parte dell’area non sarebbe stata oggetto di irreversibile trasformazione e di conseguente acquisto della proprietà da parte dell’amministrazione comunale, e, pertanto, di quest’ultima area (frazione di quella originariamente occupata) la Immobiliare Cometa ha chiesto la retrocessione parziale.

La sentenza appellata ha affermato:

- “il giudicato civile, in sede giurisdizionale amministrativa, fa stato quanto ai fatti accertati, senza tuttavia alcun vincolo in ordine alla loro qualificazione giuridica ed a condizione che le parti del successivo giudizio amministrativo abbiano partecipato al giudizio civile (circostanza evidentemente ricorrente nel caso di specie)”;

- il risarcimento del danno, riconosciuto dal giudice civile, è stato determinato con riferimento “espressamente e ripetutamente ad un’area estesa mq. 113.630, ossia all’intera area a suo tempo occupata dal Comune di Roma, proprio sulla base del presupposto che l’accessione invertita, e il conseguente acquisto di proprietà a titolo originario da parte dell’amministrazione, avesse riguardato l’intera area”;

- proprio su tale presupposto (l’avere l’accessione invertita “riguardato la verifica dell’irreversibile trasformazione dell’intera area oggetto di occupazione di urgenza” ed essere stata la quantificazione del diritto al risarcimento del danno “operata in relazione alla perdita di proprietà dell’intera area”), la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 2791/1999, “ha respinto la domanda di restituzione della porzione di area presuntivamente non utilizzata”;
tale capo della sentenza non è stata fatto oggetto di impugnazione, con conseguente formazione del giudicato (come successivamente dichiarato anche dalla Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 4422/2010).

Avverso tale sentenza, precisato che “l’opera pubblica non è stata interamente realizzata”, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

error in iudicando;
travisamento dei fatti;
poiché:

a) non è stato considerato che la decisione della Regione Lazio, di rigetto della domanda di retrocessione, è basata esclusivamente “sull’assunto della sentenza della Corte di appello di Roma n. 2791/1999”, senza procedere “ad alcuna doverosa attività istruttoria volta ad accertare lo stato dei luoghi, il reale utilizzo o inutilizzo dell’area”;

b) l’istituto della retrocessione, oltre che applicabile al caso in cui, compiutasi la procedura espropriativa, il bene non risulti in tutto o in parte utilizzato per i fini pubblici previsti, “trova legittimazione anche a seguito del perfezionamento della figura giuridica dell’accessione invertita, atteso che il risultato cui l’istituto è finalizzato è – come l’ordinaria procedura espropriativa – il trasferimento della proprietà”;

c) il giudice civile non ha mai “statuito sulla domanda di retrocessione (che, peraltro, non è mai stata proposta in sede civile), semmai, invece, sulla domanda di restituzione (istituto diverso dalla retrocessione: v. pagg. 10 – 13 appello), quest’ultima proposta in via subordinata al risarcimento del danno, ove il giudice non avesse ritenuto integrati i presupposti tipici dell’accessione invertita;

d) la pronuncia è “da ritenere illegittima in quanto, da un lato, non fa altro che creare confusione circa le domande di restituzione e retrocessione, dall’altro, è illegittima per carenza di istruttoria atteso che non tiene conto delle circostanze di fatto e del reale utilizzo dell’area oggetto di contenzioso, ritenendo, sic et simpliciter, risolutivi gli accertamenti di fatto e di diritto effettuati nei vari gradi del giudizio civile ai fini della domanda di restituzione”;

e) in ogni caso, qualora si dovesse ritenere non perfezionata la figura dell’accessione invertita, posto che “la restituzione dei beni espropriati senza titolo deve essere una regola generale . . . che può trovare eccezione solo quando si presentano in concreto ragioni plausibili che rendono difficoltosa o impossibile la restituzione”, ne consegue che “la domanda di restituzione dell’immobile appare in ogni tempo legittima”.

Si sono costituiti in giudizio la Regione Lazio, Roma Capitale e l’ATAC, che hanno tutti concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’odierna udienza in Camera di Consiglio il Collegio, ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 60 Cpa, ha trattenuto la causa in decisione per il merito.

DIRITTO

L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata.

Occorre, innanzi tutto, precisare che oggetto del presente giudizio è l’impugnazione della sentenza con la quale il giudice di I grado ha respinto il ricorso proposto avverso l’atto con il quale la Regione Lazio ha rigettato l’istanza di retrocessione di talune aree ubicate in Roma, loc. Tor Pagnotta.

Proprio perché tale è il thema decidendum , non possono assumere alcun rilievo, in quanto estranee al giudizio, le considerazioni svolte dall’appellante in via subordinata (riportate sub e) dell’esposizione in fatto: pagg. 19 – 22 appello) circa un suo prospettato “titolo” alla “restituzione” (e non già alla retrocessione) dei beni, per il caso in cui dovesse non ritenersi “perfezionata la figura dell’accessione invertita”.

D’altra parte, proprio di una presunta “confusione” tra restituzione (non richiesta) e retrocessione, in cui sarebbe incorso il I giudice, si duole l’appellante.

Tanto precisato, il Collegio rileva che l’istituto della retrocessione, sia in base alla legge n. 2359/1865, sia attualmente ai sensi degli articoli 46 (retrocessione totale) e 47 (retrocessione parziale) del DPR n. 327/2001, presuppone, a monte, un procedimento espropriativo conclusosi con l’emanazione del decreto di esproprio.

Ed infatti, l’art. 46, espressamente prevede, per il caso di retrocessione totale:

(comma 1) “se l'opera pubblica o di pubblica utilità non è stata realizzata o cominciata entro il termine di dieci anni, decorrente dalla data in cui è stato eseguito il decreto di esproprio, ovvero se risulta anche in epoca anteriore l'impossibilità della sua esecuzione, l'espropriato può chiedere che sia accertata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e che siano disposti la restituzione del bene espropriato e il pagamento di una somma a titolo di indennità”.

A sua volta, l’art. 47, in tema di retrocessione parziale, prevede

“1. Quando è stata realizzata l'opera pubblica o di pubblica utilità, l'espropriato può chiedere la restituzione della parte del bene, già di sua proprietà, che non sia stata utilizzata. In tal caso, il soggetto beneficiario della espropriazione, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, trasmessa al proprietario ed al Comune nel cui territorio si trova il bene, indica i beni che non servono all'esecuzione dell'opera pubblica o di pubblica utilità e che possono essere ritrasferiti, nonché il relativo corrispettivo.

2. Entro i tre mesi successivi, l'espropriato invia copia della sua originaria istanza all'autorità che ha emesso il decreto di esproprio e provvede al pagamento della somma, entro i successivi trenta giorni.

3. Se non vi è l'indicazione dei beni, l'espropriato può chiedere all'autorità che ha emesso il decreto di esproprio di determinare la parte del bene espropriato che non serve più per la realizzazione dell'opera pubblica o di pubblica utilità.”

Come è dato osservare, l’intera definizione normativa dell’istituto – in disparte l’uso inequivocabile delle definizioni di “espropriato” e di “soggetto beneficiario dell’espropriazione” – presuppone il valido compimento di un procedimento espropriativo, fino alla sua corretta conclusione con il decreto di esproprio, e quindi il prodursi dell’effetto estintivo/acquisitivo del diritto di proprietà.

Come peraltro la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già affermato (Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2002 n. 6470), è la dichiarazione di inservibilità del bene espropriato per la realizzazione di opera pubblica e non utilizzato ad avere valenza costitutiva, per i soggetti espropriati o per i loro aventi causa, del diritto soggettivo alla retrocessione.

L’istituto dell’accessione invertita, di creazione giurisprudenziale (Cass. Sez. Un., 26 febbraio 1983 n. 1264;
10 giugno 1988 n. 3940) - pur senza necessità di entrare nel merito (e nell’attualità) dell’istituto medesimo - presuppone, invece, proprio una occupazione di un bene da parte della Pubblica Amministrazione (quantomeno) in assenza di legittima conclusione del procedimento espropriativo entro i termini previsti dalla dichiarazione di pubblica utilità.

Proprio per questo, la giurisprudenza ha collegato l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà alla irreversibile destinazione del suolo all’opera pubblica, con diritto al risarcimento del danno conseguente all’illecito commesso dalla pubblica amministrazione.

Da ciò consegue l’incompatibilità, sul piano logico – giuridico, dei due istituti: ed infatti, se si ritiene configurarsi accessione invertita non vi è stata espropriazione e, quindi, non può esservi retrocessione (l’area non può non essere stata dichiarata come “irreversibilmente trasformata”);
se invece si richiede la retrocessione, non si può che essere in presenza di un bene in precedenza espropriato e, in tutto o in parte, non utilizzato per le finalità di interesse pubblico legittimanti la precedente espropriazione.

Occorre, infine, notare che il legislatore, anche quando ha inteso estendere l’istituto della retrocessione alla ben più semplice ipotesi di procedimenti espropriativi non conclusisi con il decreto di esproprio (ma per il tramite di cessione volontaria), lo ha espressamente affermato (v. art. 45, co. 4, DPR n. 327/2001)

Nel caso di specie, l’appellante, mentre afferma che “la retrocessione si pone in termini speculari ma contrari rispetto all’espropriazione”, poiché essa “ri-trasferisce il bene dall’espropriante all’espropriato”, ritiene tuttavia che “la richiesta di retrocessione trova legittimazione anche a seguito del perfezionamento della figura giuridica dell’accessione invertita, atteso che il risultato cui l’istituto è finalizzato è . . . il trasferimento della proprietà”, laddove tale affermazione, per le ragioni esposte, non appare confortata dalla disciplina vigente.

A quanto sinora esposto, occorre aggiungere che, come rilevato dalla sentenza appellata (e più volte sottolineato dalle parti resistenti), la giurisprudenza del giudice civile (Corte Appello Roma, sentt. nn. 2791/1999 e 4422/2010) ha, per un verso, riconosciuto gli effetti della cd. occupazione acquisitiva in relazione all’intera area oggetto di occupazione (né ciò è negato dall’appellante, laddove ammette essersi realizzata la cd. accessione invertita);
per altro verso, ha quantificato il risarcimento del danno per perdita del diritto di proprietà con riferimento all’intera area (non rilevando, ai fini della presente controversia, l’intervenuto, effettivo pagamento della somma);
per altro verso ancora, ha rigettato la domanda di restituzione dell’area non utilizzata per la realizzazione dell’opera pubblica.

Né, infine, può assumere alcun rilievo, stanti le argomentazioni ed i rilievi sin qui esposti, la prospettata distinzione tra “restituzione” e “retrocessione” del bene.

Legittimamente, dunque, la domanda di retrocessione parziale è stata respinta, non potendo peraltro gravare sull’amministrazione, alla luce di quanto esposto, alcun onere di ulteriore verifica ovvero particolari adempimenti istruttori, ed altrettanto corretta appare la sentenza del I giudice.

Per tutte le ragioni sin qui rappresentate, l’appello è infondato e deve essere, pertanto, rigettato, con conseguente conferma della sentenza appellata..

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

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