Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-09-05, n. 201906105

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-09-05, n. 201906105
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201906105
Data del deposito : 5 settembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/09/2019

N. 06105/2019REG.PROV.COLL.

N. 02286/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2286 del 2019, proposto da -OSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , e Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, in persona del Prefetto pro tempore , entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza n. -OSIS- del 25 novembre 2018 del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, resa tra le parti, concernente l’annullamento del provvedimento prefettizio n. -OSIS- del 6 ottobre 2017, notificato a mezzo pec in data 10.10.2017, con cui è stata emessa a danno della società appellante un’informazione interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 89- bis e 91 del d. lgs. n. 159 del 2011, nonché di ogni altro atto connesso, collegato, precedente e presupposto.


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 luglio 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierna appellante, -OSIS-, l’Avvocato A C e per gli odierni appellati, il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Reggio Calabria, l’Avvocato dello Stato Isabella Piracci;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il provvedimento n. -OSIS-- del 6 ottobre 2017, notificato a mezzo P.E.C. il 10 ottobre 2017, la Prefettura di Reggio Calabria ha emesso nei confronti dell’odierna appellante, -OSIS-, una informazione antimafia a carattere interdittivo ai sensi degli artt. 89- bis e 91 del d. lgs. n. 159 del 2011.

1.1. Secondo la Prefettura di Reggio Calabria, infatti, -OSIS-, che svolge l’attività di gestione delle strutture alberghiere, dedicate sia alla normale accoglienza di turisti che di cittadini extracomunitari, sarebbe gravata da pesanti indizi di collegamento con le consorterie criminali della provincia reggina e la sua attività sarebbe strumentale all’infiltrazione delle cosche nel delicato settore della gestione dei centri di accoglienza.

2. Contro tale provvedimento -OSIS- è insorta avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, chiedendo l’annullamento di ogni altro atto collegato, precedente e presupposto, con particolare riferimento alle informazioni di polizia collegate e al decreto n. -OSIS- del 20 novembre 2017 della Prefettura di Reggio Calabria, che ha nominato un commissario straordinario per la temporanea gestione della società, limitatamente all’esecuzione delle prestazioni, oggetto della scrittura privata con l’Associazione “ -OSIS- ”.

2.1. La società ricorrente, nel denunciare la violazione degli artt. 84, 85, commi 1 e 3, e 91 del d. lgs. n. 159 del 2011, l’eccesso di potere per carenza e travisamento dei presupposti, la violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, ha dedotto che nel provvedimento impugnato non sarebbe possibile riscontrare condotte espressione di condizionamento o, quantomeno, di un tentativo di condizionamento, da parte della criminalità organizzata, e non sarebbero percepibili condotte che inducano a ritenere che vi sia stato un tentativo di infiltrazione mafiosa.

2.2. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria, che hanno chiesto la reiezione del ricorso.

2.3. Con l’ordinanza cautelare n. -OSIS- del 22 febbraio 2018, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha respinto la domanda cautelare, proposta dalla ricorrente, e tale ordinanza è stata confermata da questo Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, con l’ordinanza n. -OSIS- dell’8 giugno 2018, che ha pure disposto la sollecita fissazione dell’udienza per il merito, ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a., da parte del primo giudice.

2.4. All’esito del giudizio, infine, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con la sentenza n. -OSIS- del 26 novembre 2018, ha respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente a rifondere le spese del giudizio nei confronti del Ministero dell’Interno.

3. Avverso tale sentenza ha proposto appello -OSIS-, articolando due distinti motivi di censura che di seguito saranno esaminati, e ne ha chiesto, previa sospensione dell’esecutività, la riforma, con il conseguente annullamento degli atti gravati in prime cure.

3.1. Si sono costituiti il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria per chiedere la reiezione dell’appello.

3.2. Nella camera di consiglio dell’11 aprile 2019, fissata per l’esame della domanda cautelare, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha ritenuto di dover fissare con sollecitudine l’udienza pubblica per l’esame del merito.

3.3. Infine, nell’udienza pubblica del 25 luglio 2019, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. L’appello è infondato.

5. Con il primo, articolato, motivo (pp.

2-28 del ricorso), l’odierna appellante lamenta che la sentenza impugnata abbia erroneamente ritenuto l’esistenza di un grave quadro indiziario a carico di -OSIS-, con la conseguente possibilità di inquinamento mafioso, sulla scorta di un ragionamento non condivisibile perché:

a) il rischio di condizionamento non potrebbe valutarsi sulla base del criterio del “ più probabile che non ”, mutuato dal diritto civile, che non permette di riscontrare con alcuna certezza, nei limiti delineati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte costituzionale, l’esistenza di una contiguità, compiacente o soggiacente, a consorterie mafiose, e in ogni caso non sarebbero state vagliate dal primo giudice le ipotesi alternative, prospettate dall’odierna appellante, anche volendo adottare il contestato criterio della probabilità cruciale;

b) il presunto, pesantissimo, grave quadro indiziario, valorizzato dal primo giudice, in realtà tale non sarebbe perché né le frequentazioni dei soci e degli amministratori o di loro parenti con soggetti controindicati né le cointeressenze economiche delle società, riconducibili alla famiglia -OSIS-, con operatori economici compromessi con la mafia giustificherebbero, in concreto, il rischio di permeabilità mafiosa.

6. Il motivo, pur nella sua raffinata, suggestiva, formulazione, non merita accoglimento.

6.1. La costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già chiarito che il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “ più probabile che non ”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758;
Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743 e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata).

6.2. Lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 (qui in avanti, per brevità, anche codice antimafia) – riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di « eventuali tentativi » di infiltrazione mafiosa « tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate ».

6.3. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

6.4. Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l’elevata possibilità e non mera possibilità, la semplice eventualità che esso si verifichi.

6.5. Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi.

6.6. Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che “ può” – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali « unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata ».

6.7. E tuttavia il d. lgs. n. 159 del 2011 prevede anche, nell’art. 84, comma 4, lett. d), ingiustamente svalutato dall’appellante, che gli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, anche al di là di quelli previsti dall’art. 91, comma 6, possano essere desunti anche « dagli accertamenti disposti dal prefetto », come è accaduto nel caso di specie.

6.8. Non ha perciò pregio la tesi dell’appellante, quando afferma che nel caso di specie l’informazione antimafia non si fonderebbe sulle condizioni tassativamente previste dagli artt. 84 e 91 del d. lgs. n. 159 del 2011 per l’emissione del provvedimento interdittivo, in quanto è pacifico e risulta per tabulas che, nel caso di specie, la Prefettura abbia svolto accertamenti ai sensi dall’art. 84, comma 4, lett. d), acquisendo dettagliate relazioni dalle Forze di polizia, e sulla base di tali accertamenti sia pervenuta alla conclusione ragionevole della permeabilità mafiosa.

6.9. Non è richiesto che siffatti accertamenti siano consistiti necessariamente nell’accesso ai cantieri, come sembra postulare l’appellante nell’escludere l’applicabilità dell’art. 84, comma 4, lett. d), del d. lgs. n. 159 del 2011 al caso di specie per l’assenza di accertamenti e accessi in cantiere, in quanto l’art. 84, comma 4, lett. d), prevede che gli accertamenti disposti dal Prefetto possano essere i più vari, « anche » avvalendosi dei poteri di accesso delegati dal Ministro dell’Interno, ai sensi del d.l. n.

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