Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-07-11, n. 201403565
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N. 03565/2014REG.PROV.COLL.
N. 01258/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1258 del 2003, proposto dal Comune di Bussolengo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. M S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Parioli, n. 180;
contro
La signora B F, rappresentata e difesa dagli avvocati A M e A L, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Veneto – Venezia, Sezione II, n. 6370/2002, resa tra le parti, di accoglimento del ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza di acquisizione di un’opera abusiva e relativa area di sedime del Comune di Bussolengo n. 67 del 9 luglio 2002. n. 20471, nonché dell’ordinanza sindacale n. 40 del 18 ottobre 1988 di riconduzione a destinazione d’uso come da autorizzazione in sanatoria n. 3831/1985 un tunnel in tubolare di ferro.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della signora F B;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati M S e A M;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Con l’ordinanza n. 40 del 18 ottobre 1988, il Sindaco del Comune di Bussolengo, richiamata la propria determinazione n. 18975 del 7 ottobre 1988 (di non accoglimento di istanza di sanatoria edilizia n. 4306 del 27 marzo 1986, presentata dai signori Giovanni N e S N) e vista la relazione dell’Ufficio Tecnico attestante che essi avevano modificato, in assenza di concessione edilizia, la modificazione d’uso di un tunnel in tubolare di ferro ricoperto da nylon e con frontali in lamiera da coltivazione di fiori ad allevamento di polli, ha ingiunto ad essi di ricondurre il tunnel alla destinazione d’uso consistente nella coltivazione di fiori, come da autorizzazione in sanatoria n. 3831 del 7.2.1985, con l’avvertenza che, in caso di inottemperanza, il bene e l’area di sedime sarebbero stati acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune ai sensi dell’art. 93 della l. r. n. 61 del 1985.
Avverso tali provvedimenti, gli interessati hanno proposto il ricorso di primo grado al T.A.R. Veneto, che, con ordinanza n. 483/1988, ha sospeso gli effetti dell’ordine di rimessione in pristino e in seguito, con la sentenza n. 1360 del 22 luglio 1999, a seguito di presentazione da parte del procuratore dei ricorrenti di dichiarazione di sopravvenienza di carenza di interesse da parte degli instanti, ha dichiarato improcedibile il ricorso.
A seguito di due sopralluoghi del 24 luglio 2001 e del 3 luglio 2001, dai quali emergeva che in detto capannone continuava l’allevamento di pollame, con atto n. 23401 del 24 settembre 2001, è stato comunicato ai proprietari del bene e dell’area di sedime oggetto di detta ordinanza n. 40 del 1998 (signori S N e F B, subentrata a seguito di atto di permuta con il signor N G come da rogito del dott. P A S, notaio in Legnago, del 19 dicembre 1996, n. 167289 di repertorio), ai sensi dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, che si sarebbe proceduto alla redazione di verbale di accertamento di inottemperanza a detta ordinanza di demolizione, nel quale sarebbe stata identificata e determinata, tramite la preventiva effettuazione di tipi di frazionamento, l’area di sedime del bene da acquisire, alla trascrizione nei registri immobiliari, previa notifica del verbale di inottemperanza, e a trasmettere la pratica al parere del Consiglio comunale, che avrebbe dovuto decidere in merito all’eventuale utilizzo del opere abusive a fini pubblici, con l’avvertenza che in caso di decisione negativa, si sarebbe proceduto alla demolizione ed alla rimessione in pristino.
Con il sopralluogo che ha condotto al verbale n. 29102 del 13 novembre 2001 di un tecnico comunale, veniva accertato che all’interno del tunnel in tubolare di ferro erano presenti circa 400 piante in vaso, poggiate su bancali posti sul piano di calpestio in terra battuta della struttura, senza impianti di riscaldamento, irrigazione ed illuminazione.
Con l’ordinanza n. 20471 del 9 luglio 2002, il dirigente dell’area tecnica del Comune de quo, richiamati i precedenti provvedimenti e rilevato, tra l’altro, che in base ai verbali del 24 luglio 2001 e del 31 luglio 2001, almeno fino a tali date, il tunnel in questione aveva continuato ad avere una destinazione d’uso difforme da quella prevista dall’autorizzazione in sanatoria n. 3831 del 7 febbraio 1985, ha preso atto della non necessarietà di redigere uno specifico tipo di frazionamento (essendo l’area interessata già individuata con il terreno censito al catasto del Comune al foglio 23, mappale n. 651, di ha 0.22.22) ed ha accertato che l’opera e la relativa area di sedime, come da allegata planimetria catastale e visura, erano acquisite di diritto ex art. 7 della l. n. 47 del 1985 e dell’art. 92 della l.r. n. 61 del 1981, al patrimonio del Comune, che, a decorrere dalla data della notifica del provvedimento, sarebbe entrato in possesso del bene e dell’area di pertinenza, intimando ai proprietari di lasciarli liberi da persone e cose.
2.- Per l’annullamento di dette ordinanze n. 67 del 9 luglio 2002 e n. 40 del 18 ottobre 1988, la signora B ha proposto ricorso al T.A.R. Veneto, che, con la sentenza in epigrafe indicata, ha ritenuto l’insussistenza dell’eccepito difetto di legittimazione attiva della ricorrente e la fondatezza del provvedimento impugnato, che, pur traendo origine dalla mancata ottemperanza all’ordinanza n. 40/88, impugnata tardivamente, non ha evidenziato una variazione essenziale della destinazione d’uso di cui all’art. 92, comma 3 lettera a) della L.R. 61 del 1985, né ha rilevato un mutamento di categoria urbanistica. Il T.A.R. ha quindi accolto il gravame con riferimento all’ordinanza di acquisizione dell’opera abusiva e relativa area di sedime.
3.- Con il ricorso in appello in esame, il Comune di Bussolengo ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R., deducendo i seguenti motivi:
A) inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione attiva della ricorrente.
La sig.ra B è subentrata nella titolarità del “capannone avicolo” di cui trattasi a seguito di contratto di permuta del 19 dicembre 1996;era stato eccepito in primo grado il suo difetto di legittimazione attiva dal momento che il relativo rogito era affetto da nullità per incommerciabilità assoluta ai sensi della l. n. 47 del 1985, essendo tutte le parti a conoscenza dell’assenza del rilascio della concessione edilizia nella realizzazione di esso immobile e della reiezione della domanda di condono edilizio.
Il T.A.R. ha respinto la eccezione, affermando che il disposto dell’art. 17, comma 1, della l. n. 47 del 1985 trova applicazione per gli atti tra vivi la cui costruzione fosse iniziata dopo l’entrata in vigore della legge, mentre l’immobile in questione era stato costruito prima di tale data, anche se con destinazione d’uso e caratteristiche tipologiche diverse (era stato autorizzato come “serra mobile”), poi illegittimamente mutate dopo la entrata in vigore della legge suddetta.
La interpretazione effettuata dal primo giudice sarebbe contraria allo spirito della legge, che avrebbe voluto rafforzare la tutela contro gli abusi edilizi prevedendo un perfetto parallelismo tra sanzioni amministrative ripristinatorie e sanzioni civili di incommerciabilità di beni oggetto di abuso edilizio. Invero la disposizione di cui a detto art. 17, che sanziona con la nullità gli atti di trasferimento di diritti reali (esclusi i diritti di garanzia e servitù) concernenti gli immobili abusivi, è completata da quella di cui all’art. 40 della l. n. 47/1985, secondo il quale detti atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali (esclusi quelli relativi ai diritti di garanzia e servitù) sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31 e, se la mancanza delle dichiarazioni e dei documenti da indicarsi, o allegarsi, non è dipesa dalla insussistenza della licenza o della concessione o della domanda di sanatoria al tempo in cui gli atti sono stati stipulati (ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1 settembre 1967), essi possono essere confermati successivamente.
Nel caso in esame dall’atto di permuta del 19 dicembre 1996 risulta che l’immobile di cui trattasi (appezzamento di terreno agricolo con sovrastante capannone avicolo, censito nel N.C.T. del Comune alla partita n. 5629, foglio 23, mapp. n. 27) era stato costruito senza la necessaria licenza o concessione, che al riguardo era stata presentata in data 27 marzo 1986 la domanda di sanatoria e che, nei termini previsti dall’art. 35 della l. n. 47 del 1985, il Comune non aveva provveduto ad emettere provvedimenti di sanatoria.
Anzi in data 7 ottobre 1998 il Comune aveva respinto la domanda di condono, con un atto – poi impugnato - che non è stata oggetto di sospensione in sede giurisdizionale (come da ordinanza n. 483 del 1988).
Quindi sia la signora B che il marito signor S N ed il fratello di questi erano perfettamente coscienti - alla data di redazione del rogito - della circostanza che su detta domanda di condono stato emesso un efficace atto di diniego e che l’immobile non poteva ritenersi sanato.
Tale ‘grave reticenza’ avrebbe comportato la nullità del rogito e la carenza di legittimazione attiva ad impugnare il provvedimento di acquisizione gratuita, perché l’art. 40 della l. n. 47 del 1985, a differenza di quanto previsto dal precedente art. 17, dispone la nullità degli atti non solo relativi ad edifici abusivi la cui costruzione fosse iniziata prima della entrata in vigore della legge suddetta, ma anche, ex art. 40 della legge stessa, anche degli atti relativi ad edifici la cui costruzione sia iniziata dopo la data del 1° settembre 1967 e la costruzione del manufatto di cui trattasi risaliva all’anno 1980.
Alla applicabilità di detto art. 40 conseguirebbe la nullità dell’atto di acquisto della comproprietà del bene da parte della signora B, che non sarebbe quindi legittimata a proporre ricorso giurisdizionale in relazione agli atti riguardanti il bene in questione.
B) Inammissibilità del ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio del comune ex art. 7 della l. n. 47 del 1985, avente mera natura dichiarativa. Difetto di interesse della ricorrente: poiché il T.A.R. aveva riconosciuto la tardività della impugnativa del provvedimento di riduzione in pristino del bene in questione, nessuna delle proposte censure poteva essere fondatamente rivolta avverso lo stesso ed il conseguente provvedimento di natura meramente dichiarativa e necessitata della sua acquisizione al patrimonio del Comune.
C) Sull’affermato eccesso di potere, è dedotto che la signora B ha impugnato l’ordinanza di acquisizione, affermando che, avendo ottemperato nell’anno 2001 all’ordine di ripristino, essa sarebbe stata viziata da eccesso di potere, ma l’assunto sarebbe incondivisibile perché, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985, rileva solo l’ottemperanza o meno avvenuta nel termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza, perché dopo tale data era automaticamente venuta meno la disponibilità dell’area.
Nel caso di specie emergeva dai verbali di sopralluogo e dalle denunce dei vicini che, fino ai primi giorni del mese di novembre del 2001, nel capannone di cui trattasi veniva svolta attività di allevamento avicolo, di cui la signora B non poteva non essere a conoscenza, e dal sopralluogo del 9 novembre 2001 che il bene era adibito solo in via provvisoria e senza idonee attrezzature alla attività di serra, mai dichiarata dagli interessati, con inesistenza dei lamentati vizi di travisamento di fatti, sviamento e contraddittorietà.
D) Sulla dedotta violazione dell’art. 7 della l n. 47 del 1985 e dell’art. 92 della l.r. Veneto n. 61 del 1985, è dedotto che l’ingiunzione a ricondurre la destinazione d’uso del capannone a serra mobile per la coltivazione dei fiori rivolta ai signori N con l’ordinanza n. 40 del 18 ottobre 1988 (cui doveva ottemperarsi entro 20 giorni dalla notifica) era stata impugnata presso il TAR Veneto e, pur essendo stata sospesa con l’ordinanza n. 483 del 1988, aveva riacquistato efficacia dopo la sentenza dichiarativa della improcedibilità del gravame a seguito di dichiarazione dei ricorrenti di non aver più interesse alla decisione del ricorso.
Entro il termine di 90 giorni stabilito dall’art. 7 della l. n. 47 del 1985 e dall’art. 92 della l.r. n. 61 del 1985 non era stata quindi data ottemperanza a detta ordinanza, con irrilevanza di quella parziale avvenuta dopo la scadenza di detto termine e prima della dichiarazione di acquisizione, essendosi questa già automaticamente verificata.
La tesi che l’art. 7 della l. n. 47 del 1985 non costituirebbe una misura strumentale volta a consentire la demolizione, ma una autonoma sanzione non applicabile al proprietario estraneo all’abuso, non sarebbe condivisibile, perché il proprietario del fondo è comunque responsabile dei manufatti eseguiti su di esso e può essere legittimamente oggetto di misure repressive per l’attività edilizia abusiva posta in essere sul fondo stesso, anche se non ne è l’autore.
E) Sulla asserita invalidità dei provvedimenti tardivamente impugnati per effetto dell’adozione della sentenza della Corte Costituzionale n. 73 del 1991, è dedotto che il preteso mutamento d’uso funzionale non solo necessitava di rilascio di concessione edilizia, essendo stato realizzato in assenza di un provvedimento abilitativo e poi autorizzato in sanatoria ex art. 5 della l.r. Veneto n. 58 del 1978 (ora art. 6 della l.r. Veneto n. 24 del 1985) come serra mobile per attività floro-vivaistica, ma comunque non avrebbe potuto essere consentito, stante la collocazione in un centro abitato in vicinanza (trenta metri) di case di civile abitazione (in violazione della d.G.R. Veneto n. 7949 del 22 dicembre 1989).
La ricorrente signora B ha contestato, per la prima volta con il terzo ed il quarto motivo di impugnazione di primo grado, la validità della ingiunzione di riduzione in pristino del 1988, richiamando la sentenza 11 febbraio 1991, n. 73, della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 76, comma 2, della l.r. Veneto n. 61 del 1985, laddove stabiliva la necessità di una autorizzazione onerosa in caso di mutamento di destinazione d’uso senza opere degli immobili;tuttavia non solo la sentenza impugnata ha rilevato la tardività delle censure rivolte alla ordinanza n. 40 del 988 di riduzione in pristino, ma la validità di tale ordinanza deve essere comunque valutata alla stregua dell’assetto normativo vigente al momento della sua adozione.
Inoltre è stato rilevato che l’art. 76 è stato ritenuto dalla Corte Costituzionale in contrasto con l’art. 25, u.c., della l. n.47 del 1985, con riguardo alla previsione che il regime dell’autorizzazione al mutamento della destinazione d’uso era subordinato a valutazioni demandate alle Amministrazioni comunali, mentre la Regione poteva fornire soli criteri ed indirizzi;comunque detto art. 25 è stato modificato dall’art. 2, comma 60, della l. n. 662 del 1996 (per il quale le Regioni sono direttamente autorizzate a fissare con legge quali mutamenti degli immobili subordinare a concessione o autorizzazione) ed in base quest’ultimo la suddetta norma regionale sarebbe ora da considerare legittima.
Con riguardo alla compatibilità urbanistica tra la serra mobile ed il capannone per allevamento avicolo, è stato ulteriormente dedotto che i due manufatti, pur appartenendo alla stessa categoria urbanistica (essendo situati nella stessa zona di P.R.G.), erano soggetti a diverso regime abilitativo, la prima ad autorizzazione ai sensi dell’art. 6 della l.r. n. 24 del 1985, il secondo a concessione edilizia, in assenza della quale era doveroso il provvedimento ripristinatorio del 1988.
F) Sul mutamento di destinazione d’uso con opere, è dedotto che comunque gli interventi posti in essere dal sig. N avevano concretizzato un mutamento di destinazione d’uso con opere (con irrilevanza del richiamo a detta sentenza della Corte Costituzionale da parte della ricorrente), come ammesso con il quarto motivo di ricorso circa la realizzazione di un tunnel in ferro contestualmente al mutamento di destinazione e comunque come provato dalla circostanza che, all’atto della trasformazione della serra mobile in un capannone per allevamento avicolo, sicuramente erano state realizzate opere edilizie, con necessità di concessione edilizia.
G) Sulla pretesa violazione dell’art. 76 della l.r. Veneto n. 61 del 1985, e con riguardo alla censura formulata con il quinto motivo del ricorso introduttivo del giudizio circa la illegittimità dell’accertamento della inottemperanza all’ordine di demolizione dell’opera di cui trattasi, perché il Comune, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale avrebbe dovuto rinnovare il procedimento, essendo mutata la normativa, è dedotto che, quando il procedimento si divida in più fasi dotate di una certa autonomia, l’applicazione della nuova norma è possibile solo per le fasi non già espletate e compiute, mentre è esclusa per le fasi già espletate e concluse.
Nel caso di specie, si deduce che l’ordinanza n. 40 del 1988 costituiva un provvedimento del tutto autonomo rispetto al successivo provvedimento di demolizione a seguito del quale il Comune ha nell’anno 2002 disposto l’acquisizione dell’area per effetto della inottemperanza a detta ordinanza del 1988.
H) Sulla pretesa mancata individuazione delle aree oggetto di acquisizione, il motivo sarebbe pretestuoso, in quanto dal provvedimento di acquisizione è allegato il tipo di frazionamento con l’esatta individuazione della posizione immobiliare acquisita con relativa planimetria catastale e visura per soggetto.
4.- Con memoria depositata il 25 marzo 2004, si è costituita in giudizio la signora B, che ha dedotto la infondatezza del primo e del secondo motivo di appello e, con riguardo agli ulteriori motivi, con i quali sono state riprese le argomentazioni formulate dal Comune in sede di costituzione in primo grado, ha richiamato, riproducendoli diffusamente, i punti di gravame enunciati in prime cure;ha quindi concluso per la reiezione.
5.- Con memoria depositata il 24 gennaio 2014, il Comune appellante ha contestato la fondatezza delle deduzioni della parte costituita con riguardo ai primi due motivi di appello ed ha ribadito le proprie tesi e richieste.
6.- Con memoria depositata il 31 gennaio 2014, la costituita signora B ha ribadito le proprie tesi e richieste.
7.- Con memoria depositata il 14 febbraio 2014, il Comune appellante ha replicato alle avverse deduzioni.
8.- Alla pubblica udienza dell’11 marzo 2014, il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.
9.- L’appello è fondato.
10.- Ciò consente di prescindere dalla disamina del primo motivo di gravame, con il quale, come in precedenza diffusamente riportato, è stata ribadita la carenza di legittimazione della signora B a proporre ricorso giurisdizionale in relazione agli atti riguardanti il bene in questione a causa della nullità dell’atto di acquisto della sua comproprietà.
11.- Il primo giudice, con riguardo al ricorso della signora B per l’annullamento delle citate ordinanze n. 67 del 9 luglio 2002 e n. 40 del 18 ottobre 1988, riconosciuta la legittimazione attiva della ricorrente, ha accolto la censura secondo cui il provvedimento impugnato, pur traendo origine dalla mancata ottemperanza all’ordinanza n. 40 del 1988, impugnata tardivamente dalla ricorrente, non avesse evidenziato una variazione essenziale della destinazione d’uso di cui all’art. 92, comma 3, lettera a), della l.r. Veneto n. 61 del 1985, né rilevato un mutamento di categoria urbanistica.
12.- Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che, poiché l’atto di accertamento della inottemperanza alla ingiunzione di riduzione in pristino ha natura dichiarativa, la sua impugnazione non può comportare la rimozione della lesione già prodotta dal presupposto provvedimento, una volta che questo sia divenuto inoppugnabile per decorso dei termini (con estinzione del diritto di proprietà sul bene), costituendone mera attuazione automatica operante “ope legis”..
Ad avviso del Comune appellante, nel caso in esame il termine di 90 giorni per l’ottemperanza all’ordine di riduzione in pristino (anche nell’ipotesi che potesse decorrere dalla data del 22 luglio 1999 di pubblicazione della sentenza del T.A.R. che ha dichiarato improcedibile il ricorso contro l’ordine) era trascorso all’atto della redazione del verbale di sopralluogo della polizia municipale, che ha accertato che alla data del 24 luglio 2001 i capannoni erano ancora pieni di capi avicoli, sicché i beni in questione erano già automaticamente divenuti di proprietà del Comune prima della ottemperanza tardiva rispetto alla data fissata dall’ingiunzione di riduzione in pristino, adibendo la struttura in questione a serra per vasi di fiori.
La impugnazione dell’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione non sarebbe stata quindi idonea a rimettere in termini la parte né a consentire la proposizione di censure riferite al presupposto ordine di ripristino, essendo ammesse solo doglianze relative a vizi propri dell’atto di accertamento, mentre i vizi riconosciuti nella sentenza gravata (cioè la mancata esposizione nel provvedimento di acquisizione gratuita di una variazione essenziale della destinazione d’uso di cui all’art. 92, comma 3, lettera a), della l.r. Veneto n. 61 del 1985 e la rilevazione di un mutamento di categoria urbanistica) attenevano propriamente al presupposto accertamento dell’attività edilizia abusiva, compiuto nell’anno 1988, con riferimento al capannone in questione ed estrinsecatosi nella ordinanza n. 40 del 1988, non più contestabile perché con la stessa sentenza impugnata è stata riconosciuta la tardività della sua impugnazione.
Sarebbe stata quindi inammissibile ogni censura riguardante l’esistenza dell’abuso edilizio posta con riferimento all’atto di “c.d. confisca” amministrativa.
12.1.- Osserva in proposito la Sezione che l'inottemperanza all'ordine di demolizione di un’opera edilizia abusiva entro il termine previsto costituisce il presupposto per l'emanazione dell’atto di gratuita acquisizione al patrimonio comunale della struttura edilizia;il relativo provvedimento costituisce una misura di carattere ablatorio che opera di diritto e automaticamente allo scadere del termine stabilito dall'ordine di demolizione.
Contrariamente a quanto dedotto dall’appellata, non rileva il tempo trascorso dalla realizzazione dell'abuso, poiché:
– per il principio di legalità, solo nei casi previsti dalla legge non si applicano le conseguenze previste nel caso di commissione degli abusi edilizi;
- non rileva l’eventuale connivenza degli organi comunali nell’emanare gli atti dovuti per legge, ovvero la loro mancata conoscenza della esistenza dell’illecito, poiché il funzionario competente pro tempore deve senza indugio emanare gli atti conseguenti alla constatazione dell’illecito e della mancata esecuzione dell’ordine di demolizione;.
Neppure è fondatamente sostenibile che vi sia un ‘affidamento’ da tutelare, eventualmente riposto dall'interessato sulla legittimità delle opere da realizzare, poiché nel caso di volontaria violazione della legge di certo non si può sostenere la sussistenza di un affidamento ‘incolpevole’.
Infine, il provvedimento di acquisizione è motivato adeguatamente per il fatto stesso che non vi è stata la demolizione di quanto è stato costruito: non occorre una ulteriore motivazione, dal momento che le ragioni di interesse pubblico perseguite attraverso l'acquisizione non solo sono in re ipsa alla base degli atti emessi in presenza dell’abuso, ma sono proprio quelle desumibili dalla perdurante esistenza del manufatto, a seguito della mancata esecuzione dell’ordine di demolizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 28 aprile 2014, n. 2196).
Il provvedimento di acquisizione gratuita, oltre ad essere atto dovuto e consequenziale, privo di contenuti discrezionali, ha carattere meramente dichiarativo, in quanto l'acquisizione avviene automaticamente per effetto dell'accertata inottemperanza all'ordine di demolizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 1° ottobre 2001, n. 5179).
D’’altra parte, l'impugnativa dell'atto di acquisizione gratuita non preceduta da un tempestivo ricorso avverso l'ordinanza di demolizione relativa ad un'opera abusiva (i cui effetti si sono consolidati a seguito della sua inoppugnabilità) comporta che non possano più essere dedotti eventuali vizi del primo atto in sede di impugnazione avverso l'atto applicativo che lo richiami, non essendo consentita al giudice amministrativo la disapplicazione incidentale di un atto autoritativo presupposto, non tempestivamente impugnato.
Sono dunque inammissibili le censure proposte avverso il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza, riferibili in realtà all'ordine di demolizione.
Nel caso in esame, le censure rivolte contro il provvedimento di acquisizione gratuita impugnato sono state ritenute fondate dal T.A.R. in quanto con esso, pur originato dalla mancata ottemperanza all’ordinanza n. 40 del 1988, tardivamente impugnata, non era stata evidenziata una variazione essenziale della destinazione d’uso, né era stato rilevato un mutamento di categoria urbanistica.
Osserva la Sezione che le censure proposte in primo grado e accolte dal T.A.R. sono palesemente volte a contestare la legittimità del provvedimento demolitorio, sulla cui base è stata emanata l’ordinanza di acquisizione, e non questa, autonomamente impugnabile solo per vizi propri.
Tra tali censure, rientra anche la non irrogabilità della sanzione di cui all’art. 92 della l.r. Veneto n. 61 del 1985 ed all’art. 7 della l. n. 47/1985 a seguito di inottemperanza all’ordine di ripristino della destinazione d’uso, atteso che la censura si sarebbe potuta formulare tempestivamente contro la ordinanza n. 40 del 1998 (che ha qualificato l’entità dell’abuso ed ha previsto le conseguenze nel caso di sua mancata esecuzione) e non contro il provvedimento di acquisizione gratuita, che ad esso consegue, come in precedenza osservato, automaticamente e doverosamente.
E che all’ordine di riduzione in pristino entro detto termine la appellante non avesse ottemperato è dimostrato dall’esito di due sopralluoghi del 24 luglio 2001 e del 3 luglio 2001, dai quali emerge che nel capannone all’epoca continuava l’attività di allevamento di pollame.
Le censure accolte dal primo giudice vannno dunque considerate inammissibili, in quanto non correlate ad una autonoma valutazione di vizi propri esclusivamente del provvedimento di acquisizione, ma volte a far valere vizi della presupposta ordinanza di demolizione, pacificamente non tempestivamente impugnata dall'interessata.
Il motivo di appello in esame va pertanto accolto e va riformata la sentenza di accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio, con assorbimento degli ulteriori motivi d’appello.
13.- Deve a questo punto la Sezione rilevare che il T.A.R., avendo accolto il motivo di ricorso in precedenza evidenziato, non ha esaminato ed ha di fatto assorbito gli ulteriori motivi contenuti nell’atto introduttivo del giudizio.
Al riguardo, secondo l’art. 101, comma 2, del c.p.a., e prima della sua entrata in vigore ai sensi dell'art. 346 c.p.c. (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2002, n. 6121), va osservato che si intendono rinunciate le domande assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello, o, per le parti diverse dall’appellante (dopo l’entrata in vigore del c.p.a.), con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio.
Nel caso in esame, l’appellata si è costituita nel giudizio di secondo grado con una memoria depositata il 25 marzo 2004 (peraltro entro il termine di sessanta giorni dal perfezionamento nei sui confronti della notificazione del ricorso in appello (come ora stabilito dall’art. 46 del c.p.a., mentre con riguardo al periodo pregresso, ex art. 346 del c.p.c., non è previsto alcun termine di decadenza per la riproposizione in appello delle domande non accolte nella sentenza di primo grado) e, nell’assunto che il Comune negli ultimi motivi di appello ha ripreso le argomentazioni esposte in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, ha richiamato, per dimostrarne la infondatezza, i singoli punti di gravame già enunciati avanti al giudice di prime cure.
Deve ritenersi che in tal modo vi è stata la specifica riproposizione dei motivi posti a base del ricorso introduttivo del giudizio ed assorbiti con la sentenza che ha deciso al riguardo, sicché ne va valutata la fondatezza ai fini del decidere.
14.- Con il primo di essi motivi, premesso che l’appellata non aveva mai avuto conoscenza degli atti pregressi e poteva far valere la circostanza dell’avvenuto ripristino della destinazione, è stato dedotto eccesso di potere per travisamento dei fatti, per sviamento e per contraddittorietà, in quanto con atto del 24 settembre 2001 le è stato comunicato l’avvio del procedimento per la demolizione dell’immobile utilizzato per attività di allevamento avicolo invece che florovivaistica, a seguito del quale veniva dato adempimento alla ordinanza di ripristino d’uso, come dimostrato da sopralluogo effettuato in data “9 novembre 2001”, da cui emerge che in detta costruzione veniva svolta attività florovivaistica.
14.1.- La censura, ad avviso della Sezione, non è suscettibile di positiva valutazione, atteso che, come in precedenza evidenziato, l’inottemperanza all’ordine di riduzione in pristino oltre il termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza aveva automaticamente comportato l’acquisizione che opera di diritto allo scadere del medesimo termine e la perdita della disponibilità dell’area, con chiusura della relativa fase procedimentale (salva l’emanazione del successivo atto di natura dichiarativa).
Dai verbali di sopralluogo del 24 luglio 2001 e del 3 luglio 2001, risulta che a tali date (successive al decorso dei 90 giorni dall’emanazione dell’ordinanza n. 40 del 18 ottobre 1988 del Sindaco del Comune di Bussolengo, di ingiunzione di riconduzione della costruzione di cui trattasi alla destinazione d’uso consistente nella coltivazione di fiori) nel capannone continuava l’allevamento di pollame.
Ciò anche tenuto conto della protrazione dei tempi a seguito della proposizione del ricorso n. 3112/1988 al T.A.R. Veneto, che, con ordinanza n. 483 del 1988, aveva sospeso gli effetti dell’ordine di rimessione in pristino, cui ha fatto seguito la sentenza n. 1360 del 22 luglio 1999 di declaratoria di improcedibilità del giudizio per sopravvenuta carenza di interesse.
Tanto premesso è del tutto irrilevante - essendosi ormai verificata (anche se il termine di 90 giorni potesse computarsi dalla pubblicazione di detta sentenza) la condizione per l’acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale e perdurando la destinazione d’uso ad allevamento avicolo della costruzione di cui trattasi all’epoca dei sopralluoghi del 3 luglio 2001 e del 24 luglio 2001 - che da un successivo verbale di sopralluogo (n. 29102 del 13 novembre 2001) risulti che il bene fosse stato adibito ad attività di serra, essendo stata la riduzione in pristino tardivamente ed inutilmente disposta dopo la comunicazione, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, con atto n. 23401 del 24 settembre 2001, che si sarebbe proceduto alla redazione di verbale di accertamento di inottemperanza a detta ordinanza di demolizione (nel quale sarebbe stata identificata e determinata, tramite la preventiva effettuazione di tipi di frazionamento, l’area di sedime del bene da acquisire, alla trascrizione nei registri immobiliari, previa notifica del verbale di inottemperanza, e a trasmettere la pratica al Consiglio comunale, competente a decidere in merito all’eventuale utilizzo del opere abusive a fini pubblici, con l’avvertenza che in caso di decisione negativa, si sarebbe proceduto alla demolizione ed alla rimessione in pristino).
In altri termini, qualora l’ordinanza di demolizione sia eseguita tardivamente, l’Amministrazione deve emanare il provvedimento dichiarativo di acquisizione (di un bene ormai suo), anche se risulti che l’ordinanza sia stata eseguita dopo la scadenza del termine di novanta giorni.
15.- Con il secondo dei riproposti motivi di primo grado, è stata dedotta violazione di legge (art. 7 della l. n. 47 del 1985) ed eccesso di potere per “illegittimità”, sostenendo che l’acquisizione gratuita dell’area e dei manufatti abusivi non era una misura strumentale diretta a consentire la demolizione, ma un’autonoma sanzione, che non poteva essere fatta valere nei confronti del proprietario ‘estraneo’ all’abuso realizzato, che si vedrebbe privato della sua proprietà per un comportamento ad esso non imputabile, come nel caso di specie, in cui l’appellata è rimasta estranea al c.d. abuso.
15.1- Ad avviso dell’appellante, la tesi che l’art. 7 della l. n. 47 del 1985 non costituirebbe una misura strumentale volta a consentire la demolizione, ma una autonoma sanzione non applicabile al proprietario estraneo all’abuso, non sarebbe condivisibile, perché il proprietario del fondo è comunque responsabile dei manufatti eseguiti su di esso e può essere legittimamente oggetto di misure repressive per l’attività edilizia abusiva posta in essere sul fondo stesso, anche se non ne è l’autore.
Rileva in proposito la Sezione, tenuto conto di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 345 del 15 luglio 1991, che costituisce “ius receptum” che l'acquisizione gratuita dell'area su cui sia stato realizzato un immobile abusivo non può essere dichiarata nei confronti del proprietario che, del tutto estraneo al compimento dell'opera abusiva, non possa ritenersi responsabile della stessa.
Tuttavia, fa eccezione a tale principio l’ipotesi in cui il proprietario, sebbene non responsabile dell'abuso, sia venuto a conoscenza dello stesso e non si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offerti dall'ordinamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 15 ottobre 2009, n. 2371) ovvero l’ipotesi che il proprietario attuale abbia acquistato il complesso edilizio dal proprietario che ha commesso l’abuso, anche se il nuovo proprietario non è responsabile dello stesso, subentrando nella sua posizione giuridica.
Diversamente opinando, sarebbe agevole aggirare la normativa prima richiamata, vendendo a terzi il complesso immobiliare dopo la commissione dell’abuso e prima dell’adozione da parte del Comune del provvedimento di acquisizione gratuita.
Chi acquista un immobile su cui è stato realizzato un abuso edilizio subentra nella medesima situazione giuridica del dante causa e, se è ancora pendente il termine fissato nella ordinanza di demolizione, ha lui stesso la possibilità di eseguire l’ordinanza di demolizione.
E se il dante causa al momento della vendita non segnala la sussistenza dell’abuso, tale circostanza può dar luogo ai consueti rimedi civilistici, ma è irrilevante ai fini dell’esercizio del potere-dovere dell’Amministrazione di emanare gli atti previsti dalla legge.
Nel caso in esame la signora F B e subentrata a seguito di atto di permuta con il signor N G, come da rogito del dott. P A S, notaio in Legnago, del 19 dicembre 1996 n. 167289 di repertorio, da cui risulta che i beni sono stati permutati a corpo, “nello stato ed essere in cui trovansi, con diritti, ragioni, azioni, accessioni, inerenze, pertinenze e con le più ampie e generali garanzie prestate reciprocamente dai permutanti sia per la libertà dei cespiti trasferiti da efficienze ipotecarie, trascrizioni pregiudizievoli, oneri di indole reale in genere, che per casi di evizione o molesti” e che “Nel possesso giuridico delle quote permutate le parti vengono immesse da oggi con ogni conseguente effetto utile oneroso”.
Quindi, anche a tenere conto del richiamato contratto, essendo subentrata nella posizione giuridica del dante causa, l’appellata era soggetta a tutte le conseguenze anche negative dell’abuso edilizio da esso commesso.
La censura in esame va quindi respinta.
16.- Con il terzo riprodotto motivo, la appellata ha dedotto violazione dell’art. 92 della l.r. Veneto n. 61 del 1985 e dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985, nell’assunto che mancasse, oltre al presupposto di fatto della mancata ottemperanza, anche quello di diritto, non essendo contemplata tale ipotesi nell’ordinamento per il mutamento di destinazione d’uso, essendo essa, in assenza di opere e all’interno della stessa categoria urbanistica, libera, in considerazione dei principi enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 73 del 1991.
Ha aggiunto l’appellata che poiché, successivamente, con l’art. 2, comma 60, della l. n. 662 del 1996, è stato imposto alle Regioni di fissare con legge i criteri ed indirizzi normativi in base ai quali i Comuni avrebbero potuto individuare i casi in cui il mutamento di destinazione d’uso, anche senza opere, dovesse essere soggetto a concessione o ad autorizzazione, il Comune, a seguito del mutare del quadro normativo e prima di procedere all’acquisizione, avrebbe dovuto verificare i presupposti normativi vigenti, sicché, anche se non fosse stata adibita la costruzione di cui trattasi ad attività florovivaistica, l’inottemperanza all’ordine di ripristino della destinazione d’uso non avrebbe potuto comportare alcuna sanzione e di certo sarebbe stata inapplicabile quella di cui a detti articoli 92 della l.r. Veneto n. 61 del 1985 e dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985, prevista per opere eseguite senza concessione, e non avrebbe potuto essere disposta l’acquisizione gratuita perché dall’inottemperanza ad una ingiunzione di ripristino d’uso la legge non faceva discendere l’acquisizione a titolo gratuito.
16.1.- La Sezione ritiene che tali censure siano inammissibili per le considerazioni già svolte circa la impossibilità di far valere nei confronti del provvedimento di acquisizione gratuita dei beni in questione censure che si sarebbero potute rivolgere avverso l’ordinanza di remissione in pristino, con cui si è conclusa la fase procedimentale dell’accertamento del contrasto delle opere realizzate con la normativa in materia e dell’adozione del conseguente provvedimento previsto dall’ordinamento, e che era quindi soggetta all’assetto normativo vigente al momento della sua adozione in data 7 ottobre 1988 (con ininfluenza sentenza della Corte Costituzionale 11 febbraio 1991, n. 73, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 76, comma 2, della l.r. Veneto n. 61 del 1985, laddove stabiliva la necessità di autorizzazione onerosa in caso di mutamento di destinazione d’uso senza opere degli immobili, ed irrilevanza delle deduzioni del Comune appellante riguardo alla circostanza che detto art. 25 è stato poi modificato dall’art. 2, comma 60, della l. n. 662 del 1996, in base al quale la suddetta norma regionale sarebbe ora da considerare legittima).
17.- Con il quarto dei riproposti motivi, l’appellata ha dedotto la violazione degli artt. 76 e 92 della l.r. Veneto n. 61 del 1985 e dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985, sostenendo che l’impugnata ordinanza sarebbe stata viziata dalla circostanza che il “tunnel” di cui trattasi, oggetto di sanatoria edilizia rilasciata con l’atto n. 3831 del 7 febbraio 1985, non era abusivo e in esso poteva essere esercitata ogni attività compatibile con la destinazione agricola della zona. Peraltro, l’art. 76, comma 1, punto 2, della l.r. Veneto n. 61 del 1985, che stabiliva la necessità del rilascio di una autorizzazione onerosa e non di una concessione per il mutamento di destinazione senza opere, è stata dichiarata incostituzionale con sentenza 11 febbraio 1991, n. 73, a seguito della quale il T.A.R. Veneto ha ritenuto che il mutamento di destinazione d’uso senza opere fosse realizzabile, nei limiti stabiliti dalla legge regionale, sulla base di una autorizzazione e che, in mancanza di detta legge, esso fosse ‘libero’, sicché nella costruzione in questione poteva essere svolta qualsiasi attività compatibile con la destinazione agricola della zona, come l’allevamento avicolo o attività florovivaistica, senza necessità di concessione o autorizzazione.
17.1.- Tali censure, sostanzialmente riproduttive di quelle in precedenza articolate dalla appellata, non sono condivisibili per le medesime ragioni sopra formulate al riguardo, essendo esse proponibili con riguardo alla ordinanza di rimessione in pristino e non al necessitato provvedimento di acquisizione gratuita dei beni al patrimonio del Comune.
18.- Con il quinto dei riproposti motivi, è stata dedotta la violazione degli artt. 76 e 92 della l.r. Veneto n. 61 del 1985, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 73 del 1991, nonché eccesso di potere per carenza di motivazione, perché, a seguito di tale sentenza, il Comune avrebbe dovuto rinnovare il procedimento, essendo mutata la normativa in forza della quale procedeva a comminare la sanzione, con carenza di autonoma nuova istruttoria.
18.1.- Con riguardo a detta censura, il Comune appellante ha osservato che, quando il procedimento si divida in più fasi dotate di una certa autonomia, l’applicazione della disposizione ‘sopravvenuta’ è possibile solo per le fasi non già espletate e compiute, mentre è esclusa per le fasi già espletate e concluse;nel caso di specie l’ordinanza n. 40 del 1988 costituiva un provvedimento del tutto autonomo rispetto al successivo provvedimento e il Comune avrebbe correttamente disposto nell’anno 2002 l’acquisizione dell’area per effetto della inottemperanza a detta ordinanza del 1988.
Osserva la Sezione che, come più volte rilevato, una volta divenuta inoppugnabile l’ordinanza di rimessione in pristino (che ha dato una qualificazione giuridica alla condotta posta in essere), l’adozione del provvedimento di acquisizione gratuita dei beni in questione al patrimonio comunale era atto necessitato ed automatico, con irrilevanza della incidenza sulla normativa vigente (in ordine alla medesima qualificazione) a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale, che rileva solo nei confronti del fasi procedimentali in atto, mentre quella riguardante la normativa applicabile alla ordinanza di rimessione in pristino era da tempo conclusa.
Anche la censura in esame va quindi respinta.
19.- Con l’ultimo dei riprodotti motivi, è stata dedotta violazione dell’art. 92 della l. r. Veneto n. 61 del 1985 e dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985, dal momento che la dichiarata acquisizione dell’opera abusiva e delle sue immediate pertinenze sarebbe stata effettuata senza alcuna individuazione delle stesse.
19.1.- La Sezione rileva la infondatezza in fatto del motivo, atteso che, come evidenziato dal Comune appellante, il provvedimento di acquisizione, prodotto in copia in atti dal Comune appellante in data 4 novembre 2002, contiene la presa d’atto della non necessità “di redigere uno specifico Tipo di Frazionamento, in quanto l’area su cui insiste l’opera abusiva e le sue immediate pertinenze, valutate anche ai fini dell’accesso, risulta già individuata con il terreno censito al Catasto di questo Comune al foglio 23, mappale n. 651, di ha 0.22.22” ed è ad essa allegata l’esatta individuazione della porzione immobiliare acquisita, come da planimetria catastale e visura per soggetto.
20.- L’appello deve essere conclusivamente accolto e per l’effetto, previa reiezione delle censure richiamate in questa sede e in riforma della prima decisione, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio.
21.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del doppio grado di giudizio.