Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-12-18, n. 201908561
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Pubblicato il 18/12/2019
N. 08561/2019REG.PROV.COLL.
N. 07946/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7946 del 2017, proposto da
F B, rappresentata e difesa dagli avvocati A L e L M, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Panama, n. 58;
contro
Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del presidente
pro tempore
, e Ministero della Giustizia, in persona del ministro
pro tempore
, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati
ope legis
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione Prima, n. 8665/2017, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della giustizia;
Viste le memorie e tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Medugno e Pucciariello dell’Avvocatura dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La dottoressa F B, magistrato ordinario, nominato con decreto del Ministro della giustizia in data 3 dicembre 1991, propone appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio in epigrafe, con cui è stato respinto il suo ricorso, integrato da motivi aggiunti, contro gli atti con cui:
- dapprima le veniva negata la nomina a magistrato di corte d’appello ex art. 1 della legge 25 luglio 1966, n. 570 ( Disposizioni sulla nomina a magistrato di Corte di appello ), a decorrere dal 3 dicembre 2004, secondo le previgenti disposizioni di ordinamento giudiziario, e contestualmente non le era riconosciuta la terza valutazione di professionalità a decorrere dal 3 dicembre 2003 e le veniva revocata la seconda valutazione di professionalità a decorrere dal 3 dicembre 1999, secondo il nuovo ordinamento giudiziario (delibera del Consiglio superiore della magistratura del 26 febbraio 2009 e conforme decreto del Ministro della giustizia in data 13 marzo 2009);
- all’esito della nuova valutazione di professionalità conseguente a quella negativa, già impugnata, le era venivano negate la nomina a magistrato di corte d’appello e le medesime valutazioni quadriennali di professionalità secondo il nuovo ordinamento giudiziario con riferimento al periodo 4 dicembre 2004 - 3 dicembre 2006 (delibera del Consiglio superiore del 13 novembre 2013).
2. Il Tribunale adito in primo grado ha respinto tutte le censure appuntate contro i predetti atti.
Con esse – in sintesi - la dott.ssa B aveva dedotto che:
- il Consiglio superiore aveva esteso la valutazione a periodi di carriera antecedenti alle leggi di modifica dell’ordinamento giudiziario - legge 30 luglio 2007, n. 111 ( Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario ) e decreto legislativo del 5 aprile 2006, n. 160 [ Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a Norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della Legge 25 luglio 2005, n. 150 ], in violazione della disciplina transitoria prevista;
- il procedimento di valutazione era inficiato dalla violazione delle garanzie partecipative del magistrato;
- i giudizi negativi erano carenti di presupposti e motivate in modo insufficiente, senza considerare gli elementi a proprio favore.
3. Quelle censure sono riproposte dall’interessata nell’appello, per resistere al quale si sono collettivamente costituiti il Consiglio superiore della magistratura e il Ministero della giustizia.
4. All’udienza pubblica del 5 dicembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo d’appello la dott.ssa B ripropone le censure con cui sostiene che la prima valutazione negativa di professionalità impugnata sarebbe avvenuta sulla base di un’illegittima applicazione in via retroattiva delle modifiche ordinamentali introdotte dalla legge n. 111 del 2007, così come altrettanto illegittimamente indicate nella circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007 ( Nuovi criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati ) del Consiglio Superiore della Magistratura, pure impugnata.
2. Nello specifico l’appellante deduce che, in violazione della norma di diritto transitorio contenuta nell’art. 5, comma 2, della legge n. 111 del 2007 - secondo cui « nei confronti dei magistrati in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, le valutazioni periodiche operano alla scadenza del primo periodo utile successivo alla predetta data, determinata utilizzando quale parametro iniziale la data del decreto di nomina come uditore giudiziario » - la nuova circolare consiliare in materia di valutazioni di professionalità (precisamente il capo XX, § 1.2) ha assoggettato i magistrati già in servizio ad una valutazione « comprende (nte) il periodo temporale decorrente dall’ultima valutazione positiva di professionalità » conseguita in base al previgente ordinamento giudiziario e disposto che la stessa sia svolta secondo la circolare allora emanata in materia dal Consiglio superiore: P-1275 del 22 maggio 1985 (recante Criteri per la formulazione dei pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati ). Per l’appellante la corretta applicazione della norma transitoria avrebbe richiesto di circoscrivere tale valutazione al solo quadriennio in corso al momento dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario, ovvero nel caso di specie dal 3 dicembre 2003 ed il 3 dicembre 2007, corrispondente alla IV valutazione di professionalità secondo il nuovo ordinamento giudiziario;al contrario per effetto delle disposizioni transitorie invece previste dalla citata circolare consiliare la valutazione di professionalità si sarebbe inammissibilmente estesa ad un arco temporale di « addirittura di 12 anni, dal dicembre 1993 al dicembre 2004 », con conseguente ultrattiva applicazione della citata circolare.
3. Il motivo è infondato.
4. L’art. 5, comma 2, della legge n. 111 del 2007, nell’estendere sin dalla sua entrata in vigore il nuovo sistema di valutazioni di professionalità ai magistrati già in servizio, ha operato un raccordo sul piano temporale di tale nuovo sistema con quello precedente basato sulle qualifiche di uditore giudiziario, magistrato di tribunale, magistrato di corte d’appello e così via: a tale scopo ha previsto che la prima valutazione secondo il nuovo sistema dovesse essere svolta « alla scadenza del primo periodo utile », a decorrere dalla « data del decreto di nomina come uditore giudiziario ».
5. La circolare consiliare del Consiglio Superiore della Magistratura recante i nuovi criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati (n. 20691 dell’8 ottobre 2007) ha avuto cura di evitare la conseguenza - non voluta a livello legislativo e coerente con il succedersi di diverse discipline normative nel tempo - che il passaggio dal vecchio al nuovo sistema di progressione delle carriere dei magistrati determinasse vuoti valutativi ovvero lasciasse scoperti periodi di servizio non rientranti nel quadriennio in corso dell’entrata in vigore della nuova legge, che nondimeno sarebbero stati comunque soggetti a valutazione di professionalità secondo il vecchio sistema di qualifiche.
6. A quest’ultimo riguardo va richiamato l’art. 1 della legge n. 570 del 1966, recante disposizioni sulla nomina a magistrato di Corte di appello, il quale prevedeva che « I magistrati di tribunale, compiuti undici anni dalla promozione a tale qualifica, sono sottoposti alla valutazione dei Consigli giudiziari ai fini della nomina a magistrati di Corte d’appello » (comma 1) e che la nomina finale di competenza del Consiglio superiore avveniva « previo esame del motivato parere del Consiglio giudiziario, sulle capacità del magistrato e sulla attività svolta nell’ultimo quinquennio » (comma 2).
7. La previsione transitoria di cui al capo XX, § 1.2 della circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007 ha disposto che per i magistrati già in servizio la valutazione di professionalità secondo il nuovo ordinamento giudiziario « comprende il periodo temporale decorrente dall’ultima valutazione positiva di professionalità », così assicurando la continuità valutativa già prevista dal previgente ordinamento, raccordandola con la periodizzazione quadriennale introdotta con la legge n. 111 del 2007. Contemporaneamente, proprio per evitare effetti di carattere retroattivo, è stato disposto che i periodi di carriera precedenti all’entrata in vigore della nuova circolare fossero assoggettati a quella precedente, ovvero alla già citata circolare P-1275/1985.
8. La disposizione transitoria in esame ha anche regolato l’ipotesi di magistrati che al momento dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario avessero «… già maturato il diritto alla valutazione secondo le previgenti qualifiche di magistrato di tribunale, di magistrato di appello …», ma nei cui confronti non fosse ancora intervenuta la delibera dell’organo di autogoverno (§ 2.1): per essi è stato previsto che la valutazione avvenisse sulla base dei criteri dettati dalla Circolare P-1275/1985 e che la relativa delibera contenesse «… specifica menzione dell’intervenuto conseguimento, rispettivamente, della terza, con relativa decorrenza, della quinta e della settima valutazione di professionalità ».
Ulteriori disposizioni di raccordo sono contenute nel § 3 del medesimo capo XX della circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007, laddove si prevede che ai magistrati in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 111 del 2007, per i quali l’ultima valutazione di professionalità sia stata positiva, « è immediatamente riconosciuta, ad ogni effetto giuridico ed economico, la corrispondente valutazione di professionalità prevista dall’art. 11, D.Lgs. n. 160/2006, tenuto conto dell’anzianità di servizio maturata al 31 luglio 2007 » (§ 3.1).
9. In applicazione di tale coacervo normativo la dott.ssa B, nei cui confronti al 30 luglio 2007 si era già aperto il procedimento di nomina a magistrato di corte d’appello, avendone maturato i presupposti il 3 dicembre 2004 (rispetto alla precedente nomina a magistrato di tribunale decorrente dal 3 dicembre 1993) è stata valutata per tale periodo ovvero per gli 11 anni necessari in base all’art. 1 della legge n. 570 del 1966 ed inoltre secondo la circolare applicabile ratione temporis n. 1275 del 22 maggio 1985.
10. La valutazione è pertanto avvenuta, in conformità alla nuova circolare e nei limiti di quanto consentito dalla disciplina transitoria di rango legislativo, sulla base del coordinamento dei due sistemi di valutazione succedutisi nel tempo, nel rispetto delle scadenze derivanti dal nuovo sistema di valutazione quadriennale e tenuto conto delle situazioni giuridiche già maturate nel previgente ordinamento o di quelle pendenti.
La situazione di pendenza è proprio quella riferibile al caso della dott.ssa B, per la quale era già maturato secondo il regime precedente il diritto a conseguire la nomina a magistrato di corte d’appello, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 570 del 1966: il Consiglio Superiore ha pertanto correttamente portato a conclusione il procedimento di valutazione in conformità al § 2.1 del capo XX della circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007.
Quest’ultima, diversamente da quanto sostenuto dall’interessata, non è in contrasto con l’art. 5, comma 2, della legge n. 111 del 2007. Come infatti si è accennato in precedenza, mentre la norma transitoria di legge si è limitata a raccordare sul piano temporale le scadenze delle valutazioni di professionalità secondo il nuovo ordinamento giudiziario nei confronti dei magistrati già in servizio, la disciplina transitoria della circolare consiliare è invece intervenuta a definire gli ulteriori aspetti, non regolati dalla legge, connessi alla continuità valutativa propria della progressione di carriera dei magistrati e alle posizioni già acquisite nel previgente ordinamento giudiziario da quelli già in servizio.
11. Per contro, la tesi dell’appellante, secondo cui in base alla norma transitoria di legge la valutazione avrebbe dovuto essere condotta con esclusivo riguardo al quadriennio dal 3 dicembre 2003 al 3 dicembre 2007, nel corso del quale è entrata in vigore la legge n. 111 del 2007, conduce alla duplice aporia per cui, innanzitutto, un procedimento amministrativo già avviato in base alla disciplina di legge previgente avrebbe dovuto essere archiviato e, in secondo luogo, un consistente periodo di carriera di dieci anni, nel caso di specie dalla nomina a magistrato di tribunale a decorrere dal 3 dicembre 1993 al 3 dicembre 2003, sarebbe stato definitivamente sottratto ad ogni valutazione di professionalità.
12. Nella indicate aporie si annida l’errore della tesi dell’appellante, secondo la quale, eccedendo dagli effetti propri della successione cronologica di leggi, l’abrogazione del sistema di qualifiche proprie del precedente ordinamento giudiziario avrebbe effetto retroattivo rispetto a situazioni già maturate in base alla legge ma non ancora definite sul piano amministrativo, con caducazione dei procedimenti pendenti. Con essa si assume infatti che il diritto a conseguire una qualifica, già maturata ai sensi dell’art. 1 della legge n. 570 del 1966 al 3 dicembre 2004, sarebbe stato retroattivamente abrogato dal nuovo ordinamento giudiziario entrato in vigore il 30 luglio 2007. Tale tesi è pertanto erronea ed infondata alla stregua delle osservazioni svolte e ciò comporta la correttezza dell’operato del Consiglio Superiore della Magistratura e la legittimità della circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007.
13. Con il secondo motivo d’appello la dott.ssa B ripropone le censure di violazione delle garanzie partecipative (artt. 7 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, della circolare del n. 17003 del 24 settembre 1999 e del capo VI della circolare n. 1275 del 22 maggio 1985), determinate dalla mancata conoscenza di atti del procedimento, particolare del rapporto del dirigente presidente del Tribunale di Livorno, ufficio giudiziario presso il quale ella prestava servizio all’epoca dei fatti e sulla base del quale era stato formulato il parere del Consiglio giudiziario della Corte d’Appello di Firenze;della versione originaria di detto rapporto, oggetto di rilievi da parte del Consiglio giudiziario, e dell’interlocuzione tra i due organi. L’appellante lamenta che la sua richiesta di accedere agli atti non sia stata nemmeno esaminata dal Consiglio superiore e censura la sentenza di primo grado che, nel respingere il motivo « si è limitata ad assiomaticamente affermare che il procedimento in esame sarebbe disciplinato da “regole speciali”, che non prevedono l’invio della comunicazione del procedimento ».
14. Anche tale motivo è infondato.
15. A prescindere da quanto statuito dal giudice di primo grado, nella misura in cui la censura sollevata si risolve in via esclusiva nel prospettare un vizio di carattere procedimentale, senza che a tale supposta illegittimità si accompagni la deduzione che esso abbia concretamente inciso ai sensi dell’art. 21- octies , comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, sul contenuto della determinazione finale, essa non è in grado di impedire la “sanatoria processuale” prevista in via generale dalla disposizione da ultimo citata.
Deve premettersi al riguardo che nella sua funzione tipica di evitare annullamenti di carattere meramente formali ed emendabili in sede di riesercizio del potere con la semplice integrazione degli adempimenti procedimentali omessi, la richiamata disposizione impone di verificare nella sede giurisdizionale se le garanzie del procedimento amministrativo, a partire dalla comunicazione di avvio ai sensi dell’art. 7 (di cui si lamenta la violazione), siano in concreto effettivamente strumentali al corretto esercizio della discrezionalità amministrativa.
16. Ciò precisato, nel caso di specie la dott.ssa B lamenta da un lato di non avere avuto conoscenza del rapporto del presidente del Tribunale, su cui si fonda il parere del Consiglio giudiziario, con violazione del citato capo VI della circolare n. 1275 del 1985, come modificato dalla delibera del Consiglio superiore del 23 luglio 2003;dall’altro lato che dopo « plurimi rinvii » del procedimento, alcuni disposti d’ufficio, altri su sua richiesta, non le era stata concessa un’ulteriore dilazione « motivata documentalmente, in ragione della imminente definizione dei procedimenti pendenti a suo carico » (penali e disciplinari, come si vedrà esaminando il terzo motivo d’appello). L’appellante censura pertanto il fatto che l’organo di autogoverno non abbia completato l’istruttoria attraverso « ragguagli informativi ulteriori » che si sarebbero potuti ricavare dagli esiti del procedimenti a suo carico.
17. Il motivo di impugnazione così sintetizzato si risolve nel dedurre la violazione dell’adempimento comunicativo previsto dal più volte citato capo VI della circolare n. 1275 del 22 maggio 1985 – che in effetti prevede(va) che copia del rapporto del capo dell’ufficio giudiziario « è comunicata al magistrato interessato » (il richiamo all’art. 7 della legge n. 241 è per contro inconferente) – e nell’enunciare una possibile incompletezza dell’istruttoria.
Sennonché per questa parte la dott.ssa B ha formulato censure relative all’esito del giudizio finale oggetto del terzo motivo d’appello, con cui oltre a tale carenza si deduce la mancanza dei presupposti per la prima valutazione di professionalità negativa da essa riportata. E’ pertanto con l’esame di quest’ultimo che si può eventualmente accertare se la violazione della garanzia partecipativa sia stata determinante della valutazione finale negativa.
Peraltro, dalla formulazione del medesimo motivo è inoltre possibile inferire che la dott.ssa B abbia avuto comunque conoscenza del rapporto del presidente del Tribunale di Livorno e che la lesione del contraddittorio procedimentale - asseritamente subita - sia in realtà consistita nell’impossibilità di controdedurre ad esso. Anche in ragione di tale ulteriore rilievo l’interesse dell’odierna appellante si concentra sulle censure di ordine sostanziale nei confronti della delibera consiliare recante il diniego di nomina a magistrato di corte d’appello.
18. Si può allora procedere all’esame del terzo motivo d’appello, con il quale l’appellante sostiene che il giudizio negativo con riguardo al parametro della correttezza, dell’equilibrio e dell’imparzialità espresso nei suoi confronti dal Consiglio superiore della magistratura sarebbe inficiato dalla mancata considerazione « degli innumerevoli elementi e circostanze positive » emergenti dagli atti del procedimento valutativo, con riguardo agli altri parametri - laboriosità, capacità, preparazione e diligenza - che l’organo di autogoverno avrebbe invece ignorato;il giudizio negativo sarebbe inoltre in contrasto con i provvedimenti favorevoli ottenuti per i medesimi fatti considerati a fini valutativi dall’organo di autogoverno in sede disciplinare e penale.
19. Il motivo è infondato.
La delibera del 26 febbraio 2009 censurata si fonda sui seguenti passaggi, rilevanti nel presente giudizio:
a) viene innanzitutto fatta menzione dei procedimenti penali e disciplinari cui il magistrato è stato sottoposto nel periodo in valutazione (dicembre 1993 - dicembre 2004), svolto per intero come giudice del Tribunale di Livorno, conclusosi tuttavia favorevolmente (procedimento disciplinare n. 43/2004 e procedimento penale n. 7876/2003 della Procura Bologna, definito in udienza preliminare con sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato);
b) si menzionano poi altri procedimenti non ancora definiti (procedimento penale n. 8239/2003 della Procura Bologna per abuso ufficio commesso in qualità di giudice delegato ai fallimenti presso il Tribunale di Livorno, « definito in primo grado con sentenza di condanna per alcuni dei reati contestati »;procedimento disciplinare n. 44/2004, sospeso in attesa di definizione del predetto procedimento penale;procedimento penale n. 16453/2006 della Procura Bologna, relativo a « ulteriori condotte risalenti al maggio 2000, connesse a quelle oggetto del procedimento penale
n.8239/03 »;procedura per incompatibilità ambientale ai sensi dell’art. 2 della legge sulle guarentigie dei magistrati, archiviata in seguito al trasferimento a domanda dell’interessata al Tribunale di Bergamo);
c) sono riportate le contestazioni di abuso d’ufficio ex art. 323 cod. pen. relative al procedimento penale n. 8239/2003 della Procura Bologna, relative a due fallimenti di cui la dott.ssa B è stata giudice delegato;tali imputazioni consistono, la prima, nel non essersi astenuta dalla funzione di giudice delegato malgrado la conoscenza personale del fallito (in estensione a quello della società);avere poi concorso all’accoglimento dell’opposizione da questo proposto, oltre che avere nominato nell’istruttoria un consulente tecnico, cui è stato liquidato un « compenso eccessivo »;manifestato inimicizia nei confronti del curatore fallimentare in presenza del fallito e averne poi proposto e concorso a decidere la revoca presso il Tribunale fallimentare (collegiale), con conseguente danno ingiusto al fallimento e vantaggi altrettanto ingiusti al fallito e al consulente tecnico;nell’altro nell’avere disposto la vendita del compendio patrimoniale della società fallita ad offerte private anziché all’incanto, malgrado le opposizioni proposte, respinte dalla stessa dott.ssa B, e avere anche in questo caso proposto e deciso in sede collegiale la revoca del curatore fallimentare (lo stesso del primo);la delibera precisa che per tali imputazioni il magistrato ha riportato una condanna ad otto mesi di reclusione (sentenza del 13 aprile 2007 del Tribunale di Bologna) appellata dall’imputata;
d) sono richiamate le risultanze dell’ispezione ministeriale presso il Tribunale di Livorno nel 2002, dalla quale sono emerse plurime anomalie nell’operato dell’odierna appellante, all’esito della quale era stato proposto il trasferimento della stessa per incompatibilità ambientale, consistite in « liquidazioni per curatori, avvocati e consulenti, liquidazioni che venivano costantemente commisurate ai massimi, o a cifre molto vicine ai massimi, senza eccezioni di sorta e senza alcun controllo di merito sull’attività svolta »;nella tendenza a disporre « perizie per valutare l’esistenza dello stato di insolvenza “in presenza di indici discordanti” e senza l’espressa segnalazione di quali specifici problemi, estranei alla competenza professionale del giudice », e « di nominare avvocati come assistenti permanenti del curatore o come supervisori di altrettanti fallimenti, senza riferimento alcuno a specifici problemi legali »;
e) con specifico riguardo all’incompatibilità ambientale, poi archiviata per trasferimento a domanda dell’interessata, la delibera richiama « 1’atteggiamento non rispettoso verso i propri collaboratori e la mancanza di attenzione alle esigenze organizzative delle cancellerie », manifestatisi in particolare « in occasione della fissazione di oltre cento vendite immobiliari ad udienza »;la prassi « di ricevere personalmente le istanze dei consulenti o curatori e di restituirle, senza aver effettuato alcun controllo, già corredate dei provvedimenti », senza previo deposito in cancelleria « con grave nocumento dell’immagine di professionalità dell’Ufficio »;la prassi « di incrementare ingiustificatamente i beneficiari dei compensi e di affidare perizie in assenza della necessaria specificazione delle questioni, estranei alla competenza professionale del giudice »;gli episodi oggetto delle contestazioni di abuso d’ufficio;l’avere ricevuto in dono nel 1998 un tappeto da un rappresentante dell’Istituto vendite giudiziarie;l’avere tenuto comportamenti determinanti un offuscamento dell’immagine del magistrato al di fuori delle funzioni giurisdizionali, come quelli oggetto del procedimento disciplinare n. 43/2004, come il rifiuto di « pagare il canone dovuto e di stipulare un regolare contratto di locazione scritto, in relazione all’alloggio livornese che aveva detenuto dal marzo 1998 al luglio 2000 in qualità di conduttrice »;
f) a tale elencazione segue quella delle difese svolte dal magistrato nel corso del procedimento;
g) viene quindi esaminato l’esito del procedimento disciplinare ora richiamato, favorevole all’odierna appellante, in cui alla stessa era contestato di essersi avvalsa della propria qualifica di magistrato per ottenere dal comandante della polizia municipale una modifica della viabilità nel Comune di Piombino in occasione del suo matrimonio e per ottenere poi permessi di sosta del proprio veicolo in aree vietate, ed inoltre per avere ottenuto dal comandante della Guardia di finanza di Piombino, tramite i buoni uffici di un curatore fallimentare, il pagamento del pernottamento alberghiero in occasione del suo matrimonio;per questa parte si dà atto della mancanza di prova delle incolpazioni, su cui si fonda la pronuncia assolutoria della Sezione disciplinare del Consiglio superiore, con l’unico strascico del deferimento del comandante della Guardia di finanza per false dichiarazioni rese nel dibattimento del procedimento penale svoltosi per i medesimi fatti;
h) nel passare quindi alla valutazione di professionalità la delibera premette che la dott.ssa B ha chiesto il rinvio del procedimento per la pendenza dell’appello da essa proposto contro la sopra citata sentenza di condanna penale del Tribunale di Bologna, ma che l’istanza non può essere accolta, in quanto « gli elementi di valutazione a disposizione consentono al Consiglio di esprimersi in merito alla progressione » di carriera dell’interessata;
i) gli elementi in questione sono dati innanzitutto dal parere del Consiglio giudiziario di Firenze, « relativo al quinquennio dicembre 1999-dicembre 2006 », di tenore negativo sulla base delle criticità comportamentali riportate dal presidente del Tribunale di Livorno sotto tutti i parametri in valutazione: laboriosità, « evidentemente inferiore a quella dei colleghi, sebbene debba tenersi conto delle due gravidanze intervenute nel periodo oggetto di valutazione »;capacità, in cui si ricorda il difficile rapporto con gli uffici e l’opposta disinvoltura nelle relazioni con i professionisti dalla stessa incaricati;diligenza e alla preparazione, in cui si esprime un giudizio di sufficienza per il pregio dei provvedimenti giurisdizionali emessi;infine le ragioni espresse nel parere del Consiglio giudiziario a sostegno della contrarietà all’avanzamento di carriera, basate sui comportamenti tenuti quale giudice delegato ai fallimenti e alle vendite immobiliari sopra menzionati;
l) la delibera perviene a formulare il giudizio « gravemente carente anzitutto sotto il profilo della correttezza, dell’equilibrio e della imparzialità », sulla base dei fatti di rilevanza penale « non ancora accertati con sentenza definitiva » e delle « condotte abitualmente tenute dal magistrato in valutazione, palesemente contrarie ai doveri di correttezza, trasparenza, e rispetto delle parti, che hanno caratterizzato la gestione dell’ufficio delle esecuzioni immobiliari e, anche in forma più evidente per la rilevanza degli interessi in gioco, di quello fallimentare »;
m) la mancanza di correttezza e equilibrio e imparzialità viene in particolare desunta da tali fatti:
- « liquidazioni dei curatori, avvocati e consulenti che, come quella dei notai delegati alle esecuzioni immobiliari (…) sempre commisurando gli onorari al massimo consentito o a cifre molto vicine a tale importo, come ammesso dall’interessata in sede di audizione dinanzi alla I commissione, e, soprattutto, senza alcun controllo sul merito dell’attività svolta e sui parametri (…) che ordinariamente presiedono alla determinazione del compenso »;
- dalla tendenza emersa in sede ispettiva, nell’ambito dell’attività di giudice delegato ai fallimenti, « all’incremento dei beneficiari dei compensi mediante la frammentazione tra più professionisti di incarichi che ordinariamente vengono cumulati da uno solo, come le diverse opposizioni allo stesso stato passivo », e di affidare perizie in difetto dei relativi presupposti nei procedimenti per la dichiarazione di fallimento, oltre che di « nominare avvocati come assistenti permanenti del curatore o “supervisori” di altrettanti fallimenti, senza alcun riferimento a specifici problemi legali »;
n) con specifico riguardo alla funzione di giudice delegato ai fallimenti, si riporta quale episodio significativo la liquidazione in prededuzione della somma richiesta dal funzionario di cancelleria incaricato di redigere l’inventario di un fallimento a titolo di risarcimento dei danni per lesioni personali subite dal fallito, per il quale, pur dandosi atto dell’assoluzione in sede penale riportata dalla dott.ssa B (nel sopra menzionato procedimento n. 7876/2003 della Procura della Repubblica di Bologna), il Consiglio superiore sostiene che, in assenza di « un obbligo di sicurezza ex art. 2087 cc in capo alla massa fallimentare », il fatto è sintomatico della « particolare “disinvoltura” nella distribuzione del denaro della massa fallimentare a vantaggio di soggetti terzi, che conferisce un carattere di parzialità all’operato e all’immagine del magistrato »;
o) con riguardo invece ai fatti per i quali la dott.ssa B era stata (allora) condannata in sede penale dal Tribunale di Bologna (r.g.n.r. 8239/2003), la delibera si sofferma sulla condotta tenuta nel fallimento in cui la dott.ssa B la quale « dopo aver rigettato la richiesta del curatore di procedere alla vendita con pubblico incanto, ed aver emanato un’ordinanza di vendita senza incanto del compendio aziendale (per un valore stimato di 14 miliardi di lire) (…) autorizzava la stipula dell’atto di trasferimento del compendio alla società Diamante srl (per 5 miliardi di lire da corrispondersi in 18 rate mensili senza interessi), nonostante la pendenza del ricorso per Cassazione da parte della fallita avverso le ordinanze collegiali che ne avevano respinto i reclami »;si fa menzione quindi della revoca dell’ordinanza da parte del Tribunale di Livorno in diversa composizione, in sede di rinvio dalla Cassazione, e della condanna della curatela a rifondere alla controparte le spese legali liquidate in circa 114 milioni, oltre che delle richieste di indennizzo dell’acquirente per le migliorie apportate all’immobile;
p) in relazione a tale episodio la delibera ritiene che « a prescindere dai profili di illiceità penale oggetto di accertamento processuale » la condotta del magistrato « denota un chiaro difetto di equilibrio, di senso della misura e della moderazione »:
q) per i medesimi fatti è espresso il « giudizio di assoluta insufficienza (…) anche in relazione ai requisiti di capacità professionale e, segnatamente, a quelli della preparazione e della diligenza » motivato dall’adozione di provvedimenti di particolare rilevanza adottati sulla base di una « grave superficialità nello studio e nell’approfondimento delle questioni giuridiche controverse che pure le erano state prospettate ».
20. Così sintetizzati i contenuti del primo giudizio negativo riportato dalla dott.ssa B le censure dalla stessa proposta sono evidentemente infondate.
Per un verso l’appellante oppone al parere negativo del Consiglio giudiziario di Firenze quello invece positivo del Consiglio giudiziario di Torino, relativo alla prima parte del periodo in valutazione, ovvero agli anni dal 1995 al 1999, di cui pure si fa menzione nella delibera conclusiva del Consiglio superiore, e in cui si collocherebbero invece le condotte dall’organo di autogoverno considerate sintomatiche di mancanza di correttezza, equilibrio e imparzialità. Sulla base di ciò nel motivo si sostiene che la delibera del Consiglio superiore sarebbe contraddittoria rispetto alle valutazioni positive riportate con riguardo ai parametri della capacità, laboriosità e preparazione e diligenza, per il periodo di servizio svolto nel distretto di Corte d’appello di Torino (Pretura circondariale di Torino) e per essersi basata sul parere negativo del Consiglio giudiziario di Firenze per fatti risalenti al periodo precedente.
Con specifico riguardo all’episodio concernente la vendita fallimentare senza incanto, poi oggetto di annullamento con rinvio dalla Corte di Cassazione, e del giudizio di superficialità espresso al riguardo dall’organo di autogoverno, l’appellante sostiene che quest’ultimo, in una vicenda processuale contraddistinta da particolare complessità, non « si è dato carico di confutare l’argomentazione secondo la quale l’ordinanza della Corte di Cassazione non ha minimamente stigmatizzato la soluzione adottata dal Tribunale di Livorno (peraltro confermata collegialmente) e non ne ha in nessun modo rilevato il disvalore ».
21. Per altro verso la dott.ssa B lamenta che non sono stati considerati o acquisiti gli elementi agli atti del procedimento valutativo a suo favore, e cioè: il fatto che l’allora presidente del Tribunale di Livorno e il presidente di sezione, il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati dell’epoca e alcuni funzionari di cancelleria hanno concordemente rappresentato « l’inesistenza delle problematiche con i colleghi e con la Cancelleria evidenziate dall’Ispettore »;la documentazione chiarificatrice dei rapporti con il proprietario dell’alloggio in locazione;la mancata audizione dei professionisti cui essa appellante ha liquidato in compensi, dei presidenti del Tribunale e di sezione già sentiti in sede ispettiva.
22. Con specifico riguardo alle problematiche di carattere ambientale oggetto dei procedimenti penali e disciplinari cui è stata sottoposta, l’appellante sottolinea che tutti si sono per lei definiti positivamente. Da ultimo è stata prodotta la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 30 agosto 2018, n. 2218, che per i fatti di abuso d’ufficio, per i quali in primo grado era stata emessa condanna, in sede di giudizio di rinvio dalla Cassazione, ai fini delle statuizioni civili rese in sede di dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione (emessa dalla medesima Corte nel primo giudizio d’appello, n. 11093 del 24 luglio 2012), ha accertato incidentalmente l’insussistenza dei reati e annullato tali statuizioni di condanna al risarcimento del danno (nei confronti del curatore fallimentare e del Ministero della giustizia).
23. Tutte le censure così sintetizzate vanno respinte per le seguenti ragioni:
- il giudizio favorevole espresso dal Consiglio giudiziario di Torino non può estendersi oltre il suo trasferimento da quel distretto di corte d’appello a quello di Firenze avvenuto nel luglio del 1996, come precisato nella delibera, e non impediva al Consiglio superiore della magistratura di fondare l’opposta valutazione su fatti specifici, desunti da altre fonti di conoscenza, ed in particolare le risultanze dell’ispezione ministeriale e dei procedimenti disciplinari e penali, purché idonei a fondare il mancato riconoscimento dell’avanzamento di carriera e adeguatamente motivati;
- sulla vendita senza incanto di un rilevante compendio immobiliare, oggetto di annullamento da parte della cassazione e condanna alle spese a carico della curatela, la dott.ssa B non è stata in grado di addurre a proprio favore elementi ulteriori rispetto ad una complessità della questione solo apoditticamente affermata, senza prospettare valide ragioni giuridiche per la scelta compiuta, derogatoria rispetto all’esigenza di massima partecipazione agli incanti ai fini di una più proficua realizzazione, rivelatasi poi errata e manifestamente pregiudizievole per il fallimento, visto il sensibile divario del prezzo di vendita (peraltro rateizzato e senza interessi) rispetto al valore del compendio immobiliare;
- non è poi contestato l’episodio consistito nel porre a carico della massa attiva di un altro fallimento il risarcimento dei danni da lesioni subite dal cancelliere incaricato della redazione dell’inventario ad opera della persona del fallito, in relazione al quale sono pertanto incensurabili i rilievi critici espressi dal Consiglio superiore, motivati sulla base del fatto che non vi era ragione alcuna per porre a carico del fallimento un debito non imputabile alla procedura concorsuale, ma casomai esclusivamente personale del fallito;
- del pari, con riguardo alle anomalie comportamentali e alle prassi disinvolte nei rapporti con i professionisti operanti nel settore fallimentare e delle vendite immobiliari presso il Tribunale di Livorno la dott.ssa B ha richiamato fonti di prova a suo favore, ma non ha contestato nella sua materialità i fatti accertati dall’ispezione ministeriale, di cui la delibera impugnata dà conto in modo adeguato e su cui coerentemente si fonda il giudizio negativo in relazione al parametro dell’equilibrio e imparzialità, oltre che della capacità professionale;
- palese al medesimo riguardo è la superfluità dell’audizione del presidente del Tribunale e della competente sezione dello stesso ufficio, già sentiti nel corso dell’ispezione, oltre che dei professionisti che la stessa appellante ha beneficiato con liquidazioni di parcelle attestate sui valori massimi e senza alcuna verifica sull’applicabilità dei relativi presupposti, e dunque in posizione di non indifferenza rispetto ai fatti da accertare, i quali non avrebbero in ogni caso fare altro che riferire di avere meritato tali liquidazioni, esponendo così mere valutazioni personali;
- al riguardo va nondimeno sottolineato che la dott.ssa B non contesta nella loro materialità i fatti ricostruiti nella delibera impugnata sintomatici dell’assenza di cura per gli interessi della massa passiva dei creditori concorsuali o delle procedure esecutive immobiliari a base del giudizio negativo con riguardo al parametro dell’imparzialità ed equilibrio, e cioè la prassi di fare proliferare gli incarichi di consulenza e di liquidare compensi sui massimi tariffari in assenza di controllo e secondo bozze di provvedimenti di liquidazione già predisposti dagli interessati;
- analoga assenza di contestazioni si riscontra rispetto alla circostanza per cui i professionisti in questione avevano diretto accesso all’ufficio dell’odierna appellante, senza dovere passare dalla cancelleria, con ulteriore appannamento dell’immagine del magistrato;
- per quanto concerne l’accertamento dell’inesistenza dei fatti di abuso d’ufficio compiuto dalla Corte d’appello di Bologna con la ricordata sentenza del 30 agosto 2018, n. 2218, va innanzitutto sottolineato che, come si ricava dai passaggi motivazionali della delibera del Consiglio superiore sopra riportati, il giudizio da quest’ultimo formulato è stato legittimamente espresso in modo autonomo, e cioè « a prescindere » dall’accertamento dei fatti in sede penale, fondato su presupposti e soggetto a limiti di utilizzabilità di prove del tutto diversi rispetto a quanto previsto per le valutazioni di professionalità dei magistrati;
- il rilievo ora svolto è confermato dalla lettura della motivazione di tale decisione: nell’escludere i presupposti del reato di cui art. 323 cod. pen. in relazione a tutti i fatti contestati la Corte d’appello ha affermato quanto segue:
I) la « “politica dei lauti compensi”, cosi definita dal Tribunale che ne ha trovato conferma nella relazione ispettiva, è stata pacificamente ammessa dalla stessa dott.ssa B in sede di esame dibattimentale », la quale aveva giustificato tale scelta con l’intenzione di compensare adeguatamente il professionista incaricato nel procedimento di opposizione al fallimento per il lavoro da esso svolto;nondimeno è stato al riguardo escluso « il dolo specifico necessario a configurare il reato di abuso d’ufficio, perché denota un atteggiamento generale nei confronti della platea delle diverse figure professionali normalmente coinvolte nelle procedure fallimentari che mal si concilia con l’intenzionalità che deve caratterizzare l’elemento soggettivo del reato in esame » (si tralascia ogni considerazione sulla logicità dell’argomento, per cui l’intenzionalità viene esclusa per la diffusione del comportamento dell’agente);
II) per quanto concerne la revoca del curatore fallimentare, per inimicizia insorta tra lo stesso e l’appellante, la Corte d’appello ha escluso il presupposto dell’illegittimità dell’atto e l’intenzionalità della condotta dell’imputata, sull’assunto che prima delle riforme del 2006 l’art. 37 della legge fallimentare configurava il potere di revoca come assolutamente discrezionale e che nel caso di specie proprio tale situazione di « asprissimo conflitto venutasi a creare fra il giudice delegato (…) e il curatore fallimentare (…) nelle due procedure fallimentari sopra indicate » giustificasse nell’interesse della procedura concorsuale la revoca del curatore;nei limiti dell’accertamento incidentale del reato richiesto ai fini delle statuizioni civili la sentenza sorvola sulle specifiche condotte oggetto di imputazione, che ancora una volta la dott.ssa B non contesta, e cioè quella di avere manifestato al curatore il proprio dissenso per l’estensione del fallimento nei confronti della persona fisica illimitatamente responsabile della società fallita in presenza di quest’ultima e di avere preannunciato al medesimo curatore la sua revoca, poi decisa dal Tribunale su proposta della stessa appellante. Comportamento certamente rilevante ai fini dell’art. 51 cod. proc. civ. quale ragione di astensione e che è stato incensurabilmente posto dal Consiglio superiore a fondamento dell’autonomo giudizio negativo di professionalità con riguardo al parametro dell’equilibrio e indipendenza sulla base di quanto emerso dall’ispezione ministeriale.
24. Con il quarto motivo d’appello la dott.ssa B ripropone le censure relative alla nuova valutazione negativa di professionalità riportata per il biennio dicembre 2004 - dicembre 2006, conseguente alla prima, di cui alla delibera del Consiglio superiore della magistratura del 13 novembre 2013.
Secondo l’appellante la nuova valutazione sarebbe stata adottata sulla base di una « pedissequa trascrizione del parere negativo reso dal Consiglio Giudiziario presso la Corte di Appello di Brescia », a sua volta acriticamente recepita dal Tribunale nella sentenza di primo grado, in contrasto tuttavia con il rapporto positivo (« lusinghiera relazione ») del capo dell’ufficio giudiziario in cui la stessa ha prestato servizio nel periodo in valutazione (Tribunale di Bergamo), di cui non è fatta menzione alcuna. La dott.ssa B si duole che il parere negativo del Consiglio giudiziario sia stato adottato sulla base di « una singolare iniziativa “para–ispettiva” compiuta ad hoc » nei propri confronti, consistito nell’acquisizione di provvedimenti giurisdizionali redatti nel periodo in valutazione svolto in assenza di contraddittorio e preordinata alla valutazione negativa con riguardo alle motivazioni in essi contenute, cui l’organo di autogoverno ha aggiunto un improprio riferimento alle precedenti vicende penali e disciplinari collocate in epoca antecedente al biennio in esame.
L’appellante lamenta che a fondamento del giudizio sia stata posta anche la mancata partecipazione a corsi di formazione, dovuta tuttavia ai gravosi spostamenti presso le Sezioni distaccate di Grumello del Monte e Clusone e ai ruoli ad essa assegnati, come segnalato dal presidente del Tribunale nel proprio rapporto.
25. Il motivo è infondato.
Per quanto di interesse, la delibera del 13 novembre:
a) dà innanzitutto atto del rapporto positivo del presidente del Tribunale di Bergamo e di quello invece negativo del Consiglio giudiziario di Brescia, con riguardo ai parametri della capacità, della preparazione e della diligenza;
b) le criticità in questione consistono in « gravi insufficienze rilevate nella motivazione dei provvedimenti », riscontrate con « sistematicità », sintomatiche di « un approccio inadeguato e non sufficientemente consapevole della delicatezza e dell’importanza della funzione svolta », ulteriormente aggravato dal mancato aggiornamento professionale, attestato dalla mancata frequentazione di corsi di formazione previsti per i magistrati;nel medesimo contesto si fa menzione del fatto che la sottoposizione ad un procedimento penale (quello poi definito dalla Corte d’appello di Bologna con la sentenza del 30 agosto 2018, n. 2218 sopra citata) avrebbero richiesto un impegno superiore;
c) si dà quindi atto delle difese della dott.ssa B, incentrate sull’inconferente rilievo dato alla vicenda penale e sull’estraneità degli addebiti al biennio in valutazione;
d) vengono quindi ricordate tali vicende e i relativi esiti: con particolare riguardo all’originaria condanna penale riportata in primo grado per i fatti di abuso d’ufficio sopra esaminati, la delibera riferisce degli sviluppi, consisti nella dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione in appello e della pendenza del ricorso in Cassazione (dal cui accoglimento scaturirà il giudizio di rinvio definito con la più volte citata sentenza della Corte d’appello di Bologna del 2018);
e) infine è espresso il giudizio del Consiglio superiore, adesivo a quello del Consiglio giudiziario di Brescia, di cui si riporta l’approfondimento istruttorio svolto tra l’altro attraverso l’acquisizione di provvedimenti - « tutti i fascicoli penali e civili » della sezione distaccata di Grumello del Monte ed un campione di 20 sentenze penali redatte nel periodo (oltre ad un provvedimento di liquidazione dei compensi di un custode);
f) gli esiti di tale istruttoria sono quindi posti in raffronto critico con il rapporto positivo del presidente del Tribunale di Bergamo, fondato « sulle sole emergenze derivanti dai provvedimenti e dalle statistiche prodottegli »;a questo riguardo si sottolinea che il campione acquisito « evidenzia gravi e reiterate carenze motivazionali »;in particolare:
- viene confutato il giudizio positivo del capo dell’ufficio in relazione alla preparazione del magistrato, sulla base del fatto che i provvedimenti acquisiti « contengono spesso mere citazioni di massime di giurisprudenza, senza alcuna argomentazione critica »;
- al medesimo riguardo, a confutazione del fatto che il presidente aveva invitato la dott.ssa B a sintetizzare le motivazioni dei provvedimenti per ragioni di carico, viene confermato l’approccio superficiale nella redazione delle sentenze, penali e civili, ricavato dall’assenza in essi di « una compiuta ricostruzione dei fatti e una valutazione delle prove argomentata in termini diversi da mere petizioni di principio », ritenuta sintomatica di « incuria e superficialità », non giustificata nemmeno dagli spostamenti tra le varie sezioni distaccate e la sede del Tribunale e dai ruoli assegnati all’odierna appellante;
- viene quindi confermato l’avviso del Consiglio giudiziario sull’impegno richiesto per via della pendenza del procedimento penale a carico della dott.ssa B e l’inescusabilità della mancata partecipazione a corsi di formazione.
26. La delibera resiste alle censure di quest’ultima sulla base del giudizio negativo espresso con riguardo ai parametri della capacità, della preparazione e della diligenza ricavato dall’approfondimento istruttorio svolto dal Consiglio giudiziario sui provvedimenti redatti nel biennio in valutazione e sulla mancata partecipazione a corsi di aggiornamento professionale.
Deve innanzitutto sottolinearsi che tale parere contiene una compiuta disamina delle carenze riscontrate nelle motivazioni dei provvedimenti acquisiti, in parte anche riportati nei passaggi più significativi, e dei rilievi critici su di essi svolti. A fronte di ciò non vi sono contestazioni specifiche da parte della dott.ssa B.
27. Per contro, quest’ultima si duole di una preordinazione a suo carico che tuttavia è solo affermata e che è impropriamente desunta dall’approfondimento istruttorio dal Consiglio giudiziario. In realtà quest’ultimo si è rivelato necessario per integrare il quadro conoscitivo emergente dal rapporto del presidente del Tribunale di Bergamo ed è stato motivatamente fatto proprio dal Consiglio superiore nel provvedimento finale. Nella medesima delibera sono quindi specificate, anche in tale occasione in modo incensurabile, le ragioni per cui non potesse essere addotta a giustificazione della superficiale redazione delle motivazioni delle sentenze l’invito dello stesso presidente del Tribunale a privilegiare esigenze di sintesi per ragioni di carico di lavoro e che invece tale stile redazionale dovesse considerarsi sintomatico di scarsa diligenza e preparazione professionale del magistrato in valutazione. A ciò è stato coerentemente aggiunta la mancata partecipazione a corsi di aggiornamento professionale, che non trova alcuna giustificazione nella condizione lavorativa dell’odierna appellante, comune ad altri magistrati, consistente nella necessità di spostarsi tra le varie sedi distaccate del Tribunale di Bergamo e di trattare un carico di lavoro gravoso.
28. Sulla base degli elementi descritti il nuovo diniego di nomina a magistrato di corte d’appello risulta dunque fondato su una valutazione negativa di professionalità sufficiente, rispetto alla quale nulla aggiunge l’improprio giudizio moralistico invece espresso dal Consiglio superiore sul preteso surplus di impegno richiesto al magistrato sottoposto a procedimento penale (poi definito con l’accertamento dell’insussistenza delle imputazioni di abuso d’ufficio).
29. L’appello deve quindi essere respinto.
Le spese di causa possono nondimeno essere compensate per la natura delle questioni controverse.