Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-19, n. 201003163

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-19, n. 201003163
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201003163
Data del deposito : 19 maggio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00617/2003 REG.RIC.

N. 03163/2010 REG.DEC.

N. 00617/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 617 del 2003, proposto da:
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
Consiglio Superiore della Magistratura;

contro

A A, rappresentato e difeso dall'avv. M R, con domicilio eletto presso Paolo Giuseppe Fiorilli in Roma, via Cola di Rienzo 180;

per la riforma

della sentenza del TAR LAZIO -

ROMA :

Sezione I n. 03142/2002, resa tra le parti, concernente NOMINA FUNZIONI DIRETTIVE SUPERIORI.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2010 il Cons. Anna Leoni e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Fiorilli, su delega di M R e l'Avvocato dello Stato Beatrice Fiduccia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il dr. Alfredo A, magistrato ordinario, nel 1995 veniva trasferito dalla Corte di appello di Perugia, dove svolgeva le funzioni di sostituto procuratore generale, alla Corte di appello di Ancona, per svolgere funzioni giudicanti.

Detto trasferimento era stato disposto d’ufficio per incompatibilità ambientale, essendo il dr. A risultato iscritto alla massoneria sino al maggio 1992;
in ragione di ciò al medesimo era stata inflitta la sanzione disciplinare della perdita di anzianità per due anni;
inoltre, era stato dichiarato inidoneo alla valutazione per il conferimento delle funzioni superiori con riferimento alla data del 27 dicembre 1993.

Decorsi tre anni(oltre ai due anni di ritardo conseguenti alla sanzione disciplinare), in sede di nuova valutazione per l’attribuzione di funzioni superiori, il dr. A veniva nuovamente dichiarato inidoneo, per essere stato in passato affiliato alla massoneria, pur in presenza di positivi riscontri per quanto riguarda i requisiti di capacità professionale e laboriosità.

2. Avverso la valutazione di inidoneità l’interessato proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, deducendo le censure di ingiustizia manifesta ed illogicità, nonché di insussistenza dei presupposti, arbitrarietà, contraddittorietà e difetto di motivazione, oltre che violazione dell’art.2 e dell’art. 21 del r.d. n. 511 del 1946.

Sosteneva il ricorrente che il Consiglio superiore della magi stratura, facendo proprio il parere del Consiglio giudiziario della Corte di appello di Ancona, si sarebbe basato su un fatto risalente nel tempo e già pienamente sanzionato, quale l’affiliazione alla massoneria, a fronte di quanto affermato nella relazione dello stesso Consiglio giudiziario in ordine alla correttezza del comportamento del ricorrente.

L’Amministrazione resistente si costituiva in giudizio eccependo la inammissibilità del ricorso per essere stato impugnato un atto endoprocedimentale(la deliberazione del C.S.M., non ancora trasfusa in decreto ministeriale)e la sua infondatezza nel merito.

3. Il T.A.R. del Lazio, Sezione I, con la sentenza n. 3142 del 2002, impugnata in questa sede, rigettava l’eccezione di inammissibilità e, nel merito, accoglieva il ricorso, nella considerazione che essendo stata sanzionata l’affiliazione alla massoneria sia con il trasferimento per incompatibilità ambientale, sia con la perdita di anzianità, sia con la prima dichiarazione di inidoneità alle funzioni, non sarebbe corretto ritenere ancora attuale l’eco negativa connessa a tale vicenda per non essere ancora trascorso un tempo sufficiente.

Ciò, oltretutto, in presenza di positive valutazioni sulla sua qualità di magistrato che, dopo le dimissioni dalla massoneria, aveva costantemente dato prova di ben meritare sul piano professionale.

4. Appellano il Ministero della giustizia ed il Consiglio superiore della magistratura, riproponendo, anzitutto, l’eccezione di inammissibilità del ricorso. Nel merito, poi, si sostiene che la sentenza rivelerebbe una errata interpretazione della L. n. 831 del 1973, relativamente ai requisiti per la dichiarazione di idoneità alla ulteriore valutazione ai fini della nomina alle funzioni superiori. La deliberazione impugnata, infatti, muoverebbe non solo dal parere negativo del Consiglio giudiziario, ma soprattutto da dati di fatto incontestati che deporrebbero nel senso della insussistenza, nel magistrato, delle necessarie doti di equilibrio ed imparzialità, dovendo la valutazione investire l’intero percorso professionale del magistrato e non solo una sua, più o meno significativa parte.

Inoltre, la sentenza non avrebbe tenuto conto che la valutazione de qua era riferita alla data del 27/12/1998, assai prossima alla data di allontanamento dalla loggia massonica(maggio 1992)ed ancora più prossima a quella(novembre 1996) della sentenza della Corte di cassazione che aveva rigettato il ricorso proposto dal dr. A avverso la sanzione disciplinare irrogatagli, in tal modo divenuta definitiva.

Né tantomeno avrebbe tenuto conto di tutti gli altri elementi negativi, indicati nella delibera impugnata, risultati prevalenti nel giudizio da dare sull’idoneità professionale del valutando.

5. Si è costituito in giudizio l’appellato per rilevare l’infondatezza dell’appello e richiamando, in particolare, a proprio favore, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in data 2/8/2001 che ha evidenziato come solo dal 14/7/1993 il C.S.M. abbia prescritto per i magistrati il divieto di appartenenza alla massoneria ufficiale.

Ha, altresì, posto in rilievo gli elementi di positività contenuti nella relazione del Consiglio giudiziario.

6. All’udienza del 23 febbraio 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso in appello all’esame del Collegio è diretto avverso la sentenza n. 3142/02 del TAR del Lazio, che accolto il ricorso proposto dal dr. Alfredo A avverso la delibera del C.S.M. datata 24 maggio 2001, relativa alla dichiarazione di non idoneità del ricorrente ai fini della nomina alle funzioni direttive superiori.

2. Va, anzitutto, respinta la eccezione di inammissibilità del ricorso(già avanzata in I grado)in quanto proposto contro atti meramente interni, inidonei ad incidere sulla sfera soggettiva dell’interessato e privi di lesività attuale. Invero, ancorché la deliberazione del Consiglio superiore si atteggi come proposta di provvedimento, dovendo essere recepita in un successivo provvedimento formale, è pur vero che essa costituisce un punto fermo, nella scansione procedimentale, non suscettibile di modificazioni da parte del Ministero della giustizia, cui spetta l’adozione del provvedimento formale, che può soltanto recepire la proposta. Da qui la sua innegabile immediata valenza lesiva per l’interessato e la conseguente sua impugnabilità in sede giurisdizionale.

3. Nel merito, l’appello è fondato e va accolto.

L’amministrazione appellante deduce, anzitutto, che la sentenza impugnata avrebbe operato una non corretta interpretazione della L. n. 831 del 1973, concernente i requisiti di idoneità per la valutazione di idoneità alle funzioni direttive superiori, non avendo tenuto in considerazione il parere negativo espresso dal Consiglio giudiziario della Corte di appello di Ancona e i non contestati dati di fatto a riscontro della condotta tenuta dal dr. A, oggetto di negativa valutazione.

Oppone l’appellato, nella memoria difensiva, che illegittimamente il Consiglio avrebbe per la seconda volta formulato nei suoi confronti un giudizio negativo, basandosi su fatti accaduti anteriormente al segmento di carriera da valutare e non tenendo conto della ineccepibile condotta professionale da lui tenuta nel triennio(divenuto quinquennio a seguito della sanzione disciplinare inflittagli) seguente alla prima dichiarazione di inidoneità.

La censura è fondata, dovendosi innanzi tutto escludere che l’arco di carriera valutabile sia quello che si sviluppa negli otto anni antecedenti il giudizio.

In proposito è invece da tempo acquisito nella giurisprudenza della Sezione che in tema di idoneità al conferimento di uffici direttivi superiori a magistrati di Cassazione, il termine di otto anni previsto dall'art. 16 L. 20 dicembre 1973 n. 831 indica il periodo di tempo decorso il quale si deve procedere alla valutazione dalla sussistenza dei requisiti necessari allo svolgimento di funzioni superiori, e non anche il periodo entro il quale va circoscritto l'accertamento dei suddetti requisiti, ben potendo il Consiglio superiore della Magistratura estendere legittimamente il suo esame a tutti i precedenti di carriera del magistrato. ( Sez. IV 28.3.1992 n. 339;
n.1192/99;
n. 6670/02).

La censura – per come rivolta ad affermare ex se la possibilità per il Consiglio di tenere presenti in sede di giudizio di idoneità fatti e condotte materiali del magistrato già sanzionati in sede disciplinare - è altrettanto fondata, essendo del tutto legittima la valutazione autonoma da parte dell’Organo di autogoverno delle risultanze emerse in quella sede al diverso fine di trarne conseguenze per la valutazione dei profili attitudinali e di merito che costituiscono l'oggetto specifico del procedimento per il giudizio di idoneità al conferimento degli uffici superiori(Cons. Stato, IV Sez. n. 339/92 e 6670/02 citt.).

In tema di valutazione della idoneità del magistrato al conferimento delle funzioni direttive superiori, il Consiglio superiore della magistratura è tenuto, infatti, a prendere in considerazione l'intera personalità del magistrato, quale risulta dal complesso dell'attività svolta nel corso dell'intera carriera, essendo chiamato ad esprimere una valutazione di particolare delicatezza che involge interessi superiori, con la conseguenza che è doveroso, ai detti fini, tenere conto anche di fatti – pur se già scrutinati ai fini disciplinari – i quali restano appunto significativi della personalità del magistrato. ( cfr. IV Sez.

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