Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-29, n. 202210469
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Testo completo
Pubblicato il 29/11/2022
N. 10469/2022REG.PROV.COLL.
N. 07538/2021 REG.RIC.
N. 07537/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7538 del 2021, proposto da
M P, rappresentata e difesa dall'avvocato B C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Domanico, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Arno n.6;
nei confronti
R F F, non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 7537 del 2021, proposto da
G Porco, G Porco e J P, rappresentati e difesi dall'avvocato B C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Domanico, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Arno n.6;
nei confronti
R F F, non costituita in giudizio;
per la riforma,
quanto ad entrambi i ricorsi:
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (sezione Seconda) n. 209/2021, concernente l'ordinanza del sindaco del Comune di Domanico n.30/2020 del 26.10.2020, con cui è stata ordinata la demolizione del muro oggetto di esposto da parte della controinteressata;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Domanico;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2022 il Cons. Thomas Mathà;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. M P, da una parte, e G, G e J P, dall’altra parte, proponevano due ricorsi autonomi (r.g. nn. 9 e 10 del 2021) dinanzi al T.A.R. per la Calabria, per l’annullamento dell’ordinanza del Comune di Domanico n. 30/2020 del 26.10.2020, con la quale veniva ingiunta la demolizione di un muro insistente sulla loro proprietà.
2. A sostegno del gravame i ricorrenti G, G e J P hanno dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva (ad essere destinatari dell’ordine di demolizione), rilevando di non essere stati autori dell’abuso e di non essere proprietari del terreno su cui insiste il muro in questione, oggetto di donazione a M P da parte dei genitori. Per il resto, in entrambi i ricorsi, veniva censurato: i) l’incompetenza del Sindaco all’adozione dell’ordinanza oggetto di impugnazione, ai sensi dell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000;ii) la violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 327/2001, rilevando che il muro di confine e contenimento in questione sarebbe di piccole dimensioni e pertanto non sarebbe applicabile la sanzione della demolizione, in quanto per un intervento del genere non sarebbe necessario un permesso di costruire;iii) il provvedimento impugnato non sarebbe sorretto da sufficiente istruttoria, non essendo stato effettuato alcun sopralluogo;iv) il provvedimento sarebbe afflitto da inadeguata motivazione in ordine ai presupposti fattuali e logico-giuridici;v) l’ulteriore difetto di motivazione in quanto la realizzazione del manufatto risalerebbe ad epoca remota e l’amministrazione non sarebbe mai intervenuta al fine di reprimere l’abuso, per cui in capo ai ricorrenti si sarebbe consolidata una situazione di affidamento e mancherebbe da parte dell’amministrazione una motivazione sul concreto ed attuale interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, comparandolo con l’interesse privato a conservare l’integrità del manufatto.
3. Si era costituita in giudizio l’amministrazione comunale, spiegando l’infondatezza dei ricorsi.
4. L’adito T.A.R. per la Calabria, con la sentenza n. 209/2021, ha respinto i ricorsi, previa riunione, ritenendo infondate tutte le censure dedotte.
5. La sentenza del TAR Calabria, Sezione Seconda, n. 209/2021 è stata impugnata con due autonomi ricorsi da G, G e J P (n. r.g. 7537/2021), nonché da M P (n. r.g. 7538/2021).
6. Solo gli appellanti G, G e J P pongono a fondamento del gravame la censura rubricata “ Difetto di legittimazione passiva ”. Essi sostengono che l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, nell'individuare i soggetti destinatari delle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell'abuso, considererebbe quale soggetto passivo della demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso. Gli appellanti espongono di non essere gli autori degli abusi contestati, né sarebbero proprietari della particella sulla quale insiste il muro. A loro dire, nel 2014, con atto a firma del Notaio Lanzillotti rep. n. 81348 racc. n. 34669, la particella catastale sulla quale si troverebbe il muro oggetto dell’ordinanza di demolizione veniva donata a M P, tutt’ora proprietaria esclusiva. Gli appellanti sarebbero pertanto soggetti estranei alla vicenda de qua e l’ordine di demolizione nei loro confronti sarebbe illegittimo.
7. Le ulteriori censure sono identiche in entrambi i ricorsi in appello, e possono essere così sintetizzate:
i) il TAR avrebbe omesso di considerare che, trattandosi di un muro di confine, anche ai sensi dell’art. 880 c.c., non poteva ritenersi di esclusiva proprietà dei signori Porco, bensì anche della controinteressata R F F, da qui il difetto di istruttoria, non essendo neanche stata verificata la titolarità del muro in argomento;
ii) senza disporre alcuna verificazione sul punto, il TAR avrebbe acriticamente aderito alla tesi del Comune e della controinteressata in merito all’individuazione del muro di confine, che non ricadrebbe in proprietà dei signori Porco. Non sarebbe vero che i ricorrenti non avevano contestato quanto dedotto dalle controparti, ma non sarebbe stato possibile replicare nei termini stringenti previsti per la fase cautelare, sicché, a fronte di un contrasto su quanto dedotto fra le parti in ordine all’individuazione del muro, il TAR avrebbe dovuto disporre una verificazione;
iii) il TAR non si sarebbe pronunciato (nel sesto motivo del ricorso di primo grado) sull’eccepita violazione dell’art. 31 della legge n. 1150/1942, per come modificato dall’art. 10 della legge n. 765/1967, essendo il muro contestato un manufatto antecedente al 1967;
iv) il primo giudice avrebbe altresì omesso di considerare le circostanze di fatto che avevano ingenerato il legittimo affidamento del privato. Gli appellanti affermano di aver dedotto e provato nel ricorso di primo grado, che il Comune di Domanico era a conoscenza da tempo dell’esistenza del muro di confine, e non ha motivato in alcun modo in merito all’interesse attuale, pertanto sussisterebbe l’eccepito difetto di motivazione. Nel caso di specie, il Comune di Domanico non avrebbe mai intrapreso alcuna azione repressiva, salvo poi notificare dopo quasi quarant’anni un'ordinanza per l'abbattimento del muro, che peraltro sarebbe già parzialmente crollato;
v) per il resto gli appellanti ripropongono le doglianze sollevate in primo grado.
8. In entrambi i ricorsi si è costituito il Comune di Domanico, concludendo per la legittimità del provvedimento impugnato in primo grado e per la reiezione degli appelli.
9. In vista dell’udienza pubblica il Comune resistente ha depositato un’ulteriore memoria, insistendo nelle sue conclusioni.
10. La causa è stata spedita in decisione nell’udienza pubblica del 3 novembre 2022.
11. Preliminarmente il Collegio, trattandosi di appelli avverso la medesima sentenza e alla luce dell’art. 96, comma 1, c.p.a., dispone la riunione dei ricorsi nn. r.g. 7537/2021 e 7538/2021.
12. Il Collegio giunge alla conclusione che gli appelli non sono fondati.
13. Per quanto riguarda il primo ordine di censure, spiegate solamente da G, G e J P, il Collegio osserva che il TAR, contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, correttamente ha ritenuto – di fronte una censura generica che il muro insisterebbe sulla particella donata a M P – invece sufficientemente attendibile (non rilevando su tale punto neanche una specifica contestazione da parte degli stessi ricorrenti) che:
- il muro sorge sul terreno identificato in catasto al foglio n. 9, part. 409, sub. 13 e 14;
- la visura catastale (21.1.2021) riportava che il sub 13 è di proprietà di G, G, Jenny, M P e Delfina Traulo, per effetto di successione per causa di morte, ed il sub 14 è di esclusiva proprietà di G Porco, a seguito di atto di donazione;
- da ciò il primo giudice ha correttamente desunto che il provvedimento gravato è stato notificato anche a G, G e J P, in qualità di comproprietari del terreno ove insiste il muro, e quindi ricorre la fattispecie prevista dall’art. 31 comma 2 del T.U.E. Null’altro deducono gli appellanti anche in sede d’appello, dovendo quindi respingere la censura.
14. Anche le ulteriori doglianze, meramente ripropositive delle censure spiegate in primo grado, e solo parzialmente adattate all’impostazione (e alla motivazione) della sentenza gravata, non possono essere condivise, alla luce delle seguenti considerazioni:
a) sul difetto di istruttoria sulla titolarità del muro , rilevando che trattandosi di un muro di confine e che ai sensi dell’art. 880 c.c. lo stesso non potrebbe ritenersi di esclusiva proprietà dei signori Porco, si richiamano le argomentazioni sviluppate al precedente punto 13. Il TAR ha rilevato (senza che i ricorrenti di primo grado eccepissero nulla) che il muro sorge sul terreno identificato dalla particella 409, sub 13 e 14. Come ha illustrato il Comune nell’avvio del procedimento del 17.3.2020 (doc. 8 di primo grado), il muro si trova “ all’interno della proprietà Porco-Traulo ”. Emerge anche dalla relazione tecnica del comune che il muro è di proprietà degli eredi Porco-Traulo, che è sito sulla loro particella “ a margine del terreno ”. Quindi non è neanche provato che trattasi di un comune muro di confine, ai sensi dell’art. 880 del codice civile, ma un muro, realizzato senza concessione edilizia, sia per delimitare i confini della proprietà, ma in parte anche con la funzione di contenimento di volumi di terreno, successivamente ampliato ed aggravato (vedasi perizia ing. Sicoli, ultima pagina, doc. 5 di primo grado). Quindi si ritiene inconferente la censura di difetto d’istruttoria da parte del Comune, che invece ha puntualmente verificato che gli elementi dell’esposto da parte della signora F erano attendibili e solo dopo ha avviato la procedura sanzionatoria (alla quale i ricorrenti non avevano neanche inteso partecipare);
b) sulla verificazione e l’impossibilità di controdedurre in termini accettabili , è opportuno rilevare che i mezzi di prova a disposizione del TAR sono stati, come espressamente statuito, ritenuti oltremodo sufficienti e chiari, sul rilievo che “ un quadro sufficientemente attendibile, tuttavia, può essere desunto dalle difese e dai documenti prodotti dalle parti resistenti, le cui deduzioni sul punto non sono state specificamente contestate dai ricorrenti. I relativi fatti possono, pertanto, ritenersi accertati ai sensi dell’art. 64, 2° comma, c.p.a. ” Il primo giudice poteva quindi delibare su una serie di specifici elementi di prova che non erano neanche contestati dai ricorrenti (la perizia tecnica, la relazione tecnica del Comune, le fotografie, l’esame della documentazione edilizia presente presso il Comune) e che gli permettevano di decidere sulle questioni senza che fosse necessario un accertamento tecnico d’ufficio o una verificazione. La possibilità di integrare d’ufficio il materiale probatorio offerto dalle parti, a mente dell’art. 64, cod. proc. amm., si giustifica solamente nell’ipotesi di insufficienza di quanto già acquisito, ipotesi che, anche secondo questo Collegio, alla luce della documentazione versata in giudizio, non è rilevabile in questa causa. Inconferente e tardiva risulta poi la doglianza per cui le parti non avrebbero potuto replicare nei termini stringenti previsti per la fase cautelare, non constando che la loro difesa si fosse opposta dinanzi al TAR alla definizione in forma immediata del giudizio, prospettando in quel momento l’incompletezza dell’istruttoria o del contraddittorio. Inoltre si rileva che i ricorrenti per loro scelta non avevano ritenuto già in sede di avvio del procedimento amministrativo di controdedurre, e quindi non è convincente lamentare ora l’insufficiente spazio temporale per poter argomentare, anche perché in questo giudizio non sono emersi altri elementi che non fossero già noti in sede di procedura di sanzione;
c) parimente infondata è la censura s ull’omessa pronuncia del TAR sulla violazione dell’art. 31 della legge n. 1150/1942, per come modificato dall’art. 10 della legge n. 765/1967 : la sentenza gravata ha considerato detto motivo respingendolo ed affermando che “ è orientamento ampiamente consolidato e condiviso dal Collegio quello per il quale il tempo trascorso dalla realizzazione di opere abusive non fa sorgere uno specifico onere motivazionale in capo all’amministrazione che ordina la demolizione, non potendosi ammettere alcun affidamento tutelabile in capo a soggetti che hanno realizzato l’opera abusiva .” Sia in primo grado che in sede d’appello i ricorrenti non offrono però al Giudice un minimo principio di prova che sia attendibile e che valga a dimostrare la realizzazione del muro in epoca antecedente al 1967 (nel ricorso di primo grado sostengono piuttosto che fosse antecedente al 1982;solo in appello precisano che oltre ad essere antecedente al 1982 lo sarebbe anche rispetto al 1967). L’unico elemento riscontrabile nel ricorso di primo grado è una mera affermazione (al sesto motivo del ricorso) che “ il presunto abuso sarebbe antecedente al rilascio della concessione edilizia del 3.6.1985 ”, ma che di per sé non è determinante e comunque non è suffragata da illustrazioni, aereofoto o altre prove utili a dimostrare una data precisa. Costituisce principio assolutamente consolidato che in materia edilizia gravi esclusivamente sul privato l'onere della prova in ordine alla data della realizzazione dell'opera edilizia, al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio per essere stata l'opera medesima realizzata secondo il regime originariamente previsto dall'art. 31 della l.n. 1150 del 1942, ossia prima della novella introdotta dall'art. 10 della c.d. legge ponte n. 765 del 1967. Ciò discende dal principio evincibile dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a., in forza dei quali spetta al ricorrente l'onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità ( ex multis Cons. Stato, Sez. VI, n. 4115/2022). Questo non è avvenuto nel caso di specie;
d) sulla mancata considerazione del TAR in merito alle circostanze che avevano ingenerato il legittimo affidamento del privato , il Collegio rileva la manifesta infondatezza del motivo, dovendo invece riscontrare che il TAR ha correttamente affermato come alcun legittimo affidamento deve ritenersi sussistente in capo alla parte privata in quanto l’intervento realizzato è abusivo. Secondo la maggioritaria giurisprudenza, che questo Collegio condivide pienamente, nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata. L’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 9/2017, ha chiarito che al riguardo non è in alcun modo concepibile l'idea di connettere al decorso del tempo e all'inerzia dell'amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il fenomeno dell'abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l'edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta sanatoria automatica. Il decorso del tempo dal momento del commesso abuso non priva l'amministrazione del potere di adottare l'ordine di demolizione, atto che è e resta doveroso nonostante il decorso del tempo. Il provvedimento, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. L’ordinamento tutela l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore realizzata contra legem ( ex multis , Cons. Stato, sez. IV, n. 908/2017). Il provvedimento sanzionatorio del Comune di Domanico è da intendersi dunque quale atto rigidamente vincolato;l'ordine di demolizione – in presenza di un intervento di senza titolo – rende ultronea una puntuale motivazione sull'interesse pubblico alla demolizione o sulla proporzionalità in relazione al sacrificio imposto al privato. È sufficiente evidenziare la violazione della normativa edilizia e l'avvenuta costruzione in assenza del titolo abilitativo. L'interesse pubblico alla demolizione è in re ipsa , consistendo nel ripristino dell'assetto urbanistico violato.
e) infine, le ulteriori censure semplicemente riproduttive del primo grado , ma senza ulteriore specificazione laddove sarebbe riscontrabile un errore o una illegittima valutazione effettuata dal primo giudice, sono inammissibili per l’effetto devolutivo in sede di appello ai sensi dell’art. 101 cod. proc. amm.
15. Alla luce di tali considerazioni risulta pertanto corretto il ragionamento del primo Giudice nel ritenere che il Comune di Domanico ha correttamente adottato l’ordinanza di demolizione n. 30/2020.
16. La soccombenza determina la decisione sulle spese di lite che saranno liquidate nel dispositivo.