Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-10-30, n. 201907431
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Pubblicato il 30/10/2019
N. 07431/2019REG.PROV.COLL.
N. 03618/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3618 del 2013, proposto dalla Azienda agricola Santagostini Pierluigi, L G soc. agr., dalla Azienda agricola Fusarpoli Felice Aurora di Fusarpoli soc. ag., dalla Azienda agricola Pellizzari Agostino e Ambrosini Teresa soc. ag., dalla Azienda agricola Mori Achille, dalla Azienda agricola Della Bona Fulvio e Mario, dalla Azienda agricola Mirabell di Marzocchi Giuseppe, dalla Azienda agricola Zuccotti Fratelli, dalla Azienda agricola Martina Francesco, dalla Azienda agricola Ambrogi Gianpaolo, Luzzeri Giuseppe e Armando, dalla Azienda agricola Manzoni Francesco e figli, dalla Azienda agricola Vitali e Ferrari s.s., dalla Azienda agricola Conzadori Giovanni e fratelli, dalla Azienda agricola Marchini Santo, Emilio, Angelo, Francesco, Gianluigi e Alberto s.s., dalla Azienda agricola Zamboni Cesare, Clemente, Giovanni, Massimo, Michele e Paolo s.s., dalla Azienda agricola Migliorati Pietro, Maurizio e Piergiorgio, dalla Azienda agricola Masperi Emilio, dalla Azienda agricola Borgonovo Giuseppe e figli s.s. e dalla Azienda agricola Guerini Rocco Francesco, tutte in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentate e difese dall'avvocato C S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A L in Roma, via Crivellucci, n. 21;dalla Azienda agricola La Campagnetta di Bombelli F.lli s.s. (già Bombelli Pierluigi), in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati D M B e F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato D M B in Roma, via Luigi Luciani, n. 1;
contro
l’Agea-Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in persona del legale rappresentante
pro tempore
e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
la Parmalat s.p.a. e la Lactis s.p.a., in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, non costituite in giudizio;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
la Centrale del latte di Busto Arsizio s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, n. 8777 del 24 ottobre 2012, nella parte in cui ha respinto il ricorso proposto avverso le comunicazioni inviate dall’Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo in liquidazione (AIMA) ai produttori, aventi ad oggetto il calcolo derivante dalla compensazione delle quote latte per i periodi 1995/1996 e 1996/1997 e la conseguente intimazione del prelievo supplementare per lo splafonamento della "quota latte" (QRI) loro assegnata per detta annata.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), subentrata all’Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA), e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 24 settembre 2019 il Cons. A M e uditi per le parti l’avvocato A L, su delega dell’avvocato C S, l’avvocato D M B, anche su delega dell’avvocato F T, e l'avvocato dello Stato P G;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il contenzioso in esame concerne i provvedimenti impositivi del prelievo supplementare emessi dall’Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo in liquidazione (d’ora in poi, AIMA) ora Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) in relazione alle annate lattiere 1995/1996 e 1996/1997 a carico delle aziende agricole appellanti.
Con il ricorso di primo grado, le istanti censuravano i seguenti profili:
a) illegittimità dell’assegnazione retroattiva dei QRI per violazione dei principi di derivazione comunitaria di certezza del diritto e di affidamento;
b) violazione della normativa comunitaria in quanto le quote individuali erano state assegnate sulla base di dati inattendibili, come emerso dalle indagini dell’apposita Commissione di indagine, istituita allo scopo;
c) illegittimità comunitaria del sistema nazionale di ripartizione delle quote in "A" e "B" e carenza di motivazione del taglio effettuato sulla quota "B";
d) illegittimità della procedura di approvazione del D.M. 17 febbraio 1998;
e) violazione della sentenza della Corte Costituzionale del 28 dicembre 1995, n. 520 che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2, comma 1, della l. 24 febbraio 1995, n. 46 (" Norme per l'avvio degli interventi programmati in agricoltura e per il rientro della produzione lattiera nella quota comunitaria "), di conversione, con modificazioni, del d.l. 23 dicembre 1994, n. 727 « nella parte in cui non prevede il parere delle regioni interessate nel procedimento di riduzione delle quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino »;
f) mancanza di motivazione e mancato rispetto dei termini e delle procedure di comunicazione dei dati relativi alla compensazione nazionale;
g) illegittimità della richiesta di prelievo in quanto basata su dati presupposti (come le assegnazioni di QRI) sospesi in via giurisdizionale;
h) errata imputazione degli interessi, calcolati indebitamente dal 1° settembre 1996 (per l’annata 1995/1996) e dal 1° settembre 1997 (per quella 1996/1997);
i) violazione di legge, con particolare riferimento al ritenuto contrasto della procedura di compensazione di cui all’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999, con l’art. 2, comma 2, del Regolamento CEE 28 dicembre 1992, n. 3950, e con l’art. 3, del Regolamento CE n. 536/1993.
2. Il T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. II ter, con sentenza n. 8777 del 24 ottobre 2012, pronunciata ai sensi dell’art. 74 c.p.a. richiamando per relationem i propri precedenti in materia, ha dichiarato la perenzione del ricorso con riguardo ad alcuni ricorrenti;ha accolto la censura relativa alla imputazione degli interessi;ha infine respinto tutti gli ulteriori profili di doglianza.
3. Con il ricorso in appello le istanti, ritenendo di circoscrivere i copiosi rinvii contenuti nella sentenza di prime cure, alla n. 5975 del 6 luglio 2011 (richiamata, inter alia , al § 4), hanno dedotto:
a) L’erroneità e la carenza di motivazione della sentenza appellata e l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto di istruttoria con riferimento al rigetto del primo motivo di ricorso, che non sarebbe stato sufficientemente scrutinato, ribadendo l’illegittimità dell’attribuzione retroattiva delle quote individuali (QRI);
b) la mancata stigmatizzazione della procedura seguita, basata su dati inattendibili, senza il doveroso coinvolgimento delle Regioni;di ciò sarebbe prova anche nelle risultanze di un’indagine svolta dal Comando Carabinieri di Roma, la cui relazione dell’aprile 2010 sarebbe stato versato in atti nel corso del giudizio di prime cure, ma totalmente pretermessa nell’assunzione della decisione;
c) errore in giudicando e carenza di motivazione della sentenza appellata, con particolare riferimento all'art. 2, comma 1, del Regolamento CEE 28 dicembre 1992, n. 3950, in forza della dedotta illegittimità della previsione di cui all'art. 1, comma 8, del d.l. 1° marzo 1999, n. 43, convertito in l. 27 aprile 1999, n. 118 e, quindi, delle compensazioni effettuate dall'AIMA, per aver introdotto a favore dei produttori le cui aziende sono ubicate nei comuni montani, nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate, nonché nelle isole, una priorità in sede di effettuazione della compensazione nazionale per i periodi 1995/96 e 1996/97, peraltro dopo aver già escluso i medesimi soggetti dal procedimento di riduzione della quota "B" (ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. b, della l.24 febbraio 1995 n. 46). A tale riguardo, laddove fosse confermato il richiamato orientamento del Consiglio di Stato che ha riformato tutte le sentenze di prime cure che avevano, in accoglimento della denunciata contrarietà col diritto eurounitario, disapplicato l’art. 1, comma 8, del ridetto d.l. n. 43/1999, ne chiedono il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell'art. 234 del Trattato C.E., affinché essa si pronunci sulla corretta interpretazione di diritto.
d) nullità della sentenza per difetto di motivazione su alcuni motivi di ricorso. In particolare, il T.A.R. non si sarebbe pronunciato sulla eccepita violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, del d.l. 1 marzo 1999, n. 43 e 3 del d.l. n. 411/1997, essendo stato il "super prelievo" per il periodo 1995/1996 effettuato senza confrontare i relativi dati con i risultati della compensazione preventivamente realizzata a livello di associazioni di produttori di latte (APL), siccome previsto dall’art. 5 della l. 26 novembre 1992, n. 468.
4. Si è costituita l’amministrazione per resistere, ribadendo la correttezza della motivazione della sentenza appellata.
5. In vista dell’udienza, le parti hanno depositato memorie e memorie di replica.
In particolare, la difesa statale, preso atto dell’intervenuta decisione della Corte di Giustizia UE, sez. VII, del 27 giugno 2019, ne ha evocato una lettura alternativa a quella sostenuta dalle appellanti: non sarebbe stata effettuato alcuna riassegnazione dei quantitativi di riferimento (QRI) rimasti inutilizzati a categorie privilegiate, essendosi attuato il diverso metodo di perequazione previsto dal § 4 dell’art. 2 del regolamento CEE n. 3950/92.
Ciò troverebbe conferma negli esiti dell’adempimento istruttorio disposto nella causa C-46/2018 (la cui sentenza è stata depositata l’11 settembre 2018), al fine di appurare se lo Stato italiano avesse preso la decisione di riassegnare quantitativi di riferimento inutilizzati e con quali modalità. Viene testualmente richiamata la nota di risposta di senso negativo del Governo italiano, in data 13 dicembre 2018, nella quale si afferma che «La Repubblica Italiana non si è avvalsa dell’art. 2, paragrafo 1, secondo comma del regolamento (CEE) n. 3950/92», salvo poi declinare le competenze di regioni e province autonome. L’affermato mancato utilizzo del meccanismo di riassegnazione delle quote inutilizzate, secondo la Commissione europea (nota n. 5184318 del 9 agosto 2018) dovrebbe agevolare l’esecuzione della sentenza C-348/18, potendosi pertanto dubitare che la stessa, unitamente a quella prevista ( e ora depositata) per l’11 settembre 2019 ( causa C-46/18) determinino « un rischio reale che vengano rimessi in discussione gli importi dovuti ».
6. All’udienza del 24 settembre 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Osserva il Collegio che ha valore preminente, ai fini della decisione della controversia, la risposta formulata dalla Corte di Giustizia U.E., sez. VII, con la decisione del 27 giugno 2019, in ordine al quesito di questo Consiglio: «Se l’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento [n. 3950/92] debba essere – anche alla luce di quanto già motivato dalla [Corte] nella sentenza 5 maggio 2011, Kurt und Thomas Etling e a. [(C-230/09 e C-231/09, …], in relazione all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento [n. 1788/2003] –interpretato nel senso che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne possa essere effettuata secondo criteri obiettivi di priorità fissati dagli Stati membri, ovvero se esso debba essere interpretato nel senso che tale fase perequativa debba essere governata da un esclusivo criterio di proporzionalità».
La Corte ha affermato:
« Inoltre, risulta dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, nonché dall’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 536/93 che lo Stato membro dispone della facoltà di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, o a livello nazionale, direttamente ai produttori interessati, o a livello degli acquirenti affinché detti quantitativi vengano ripartiti tra i produttori in questione.
36. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, l’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, pur concedendo agli Stati membri la facoltà di riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, non li autorizza a decidere in base a quali criteri tale riassegnazione debba essere effettuata.
37. Infatti, risulta dalla formulazione stessa della disposizione suddetta che, qualora uno Stato membro decida di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tali quantitativi vengono ripartiti in modo "proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore" ».
In più, la Corte ha inteso smentire l’argomentazione italiana, sottolineando che:
« 38. L’argomento del governo italiano, secondo cui la disposizione summenzionata non stabiliva nulla circa i criteri della riassegnazione stessa e menzionava il criterio proporzionale soltanto ai fini di regolare i calcoli che l’acquirente avrebbe dovuto operare qualora fosse spettato a lui applicare il prelievo a carico dei produttori, è espressamente contraddetto dalla giurisprudenza della Corte.
39. Infatti, la Corte ha già statuito che risulta chiaramente da tutte le versioni linguistiche dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 che è senz’altro la ripartizione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, vale a dire la riassegnazione di tali quantitativi, a dover essere effettuata in modo «proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore» e che il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è, quanto ad esso, stabilito in base al superamento del quantitativo di riferimento di cui dispone ciascun produttore (sentenza del 5 maggio 2011, Kurt und Thomas Etling e a., C-230/09 e C-231/09, EU:C:2011:271, punto 64).
40. L’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 stabilisce dunque un criterio in base al quale deve essere effettuata la riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati. Così, dato che tale disposizione non menziona nessun altro criterio, né rinvia alla competenza degli Stati membri per stabilire criteri che siano loro propri, il suddetto criterio di ripartizione proporzionale deve essere considerato come il solo in base al quale deve essere effettuata la riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati.
41. Tale interpretazione è confermata dal contesto nel quale si inserisce l’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92. Infatti, la possibilità di procedere, nel quadro dell’applicazione di tale disposizione, alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati secondo altri criteri non può essere desunta dall’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento summenzionato.
42. Risulta dall’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, come pure d’altronde dal sesto considerando del regolamento n. 536/93, che, qualora uno Stato membro abbia giudicato opportuno non operare nel proprio territorio una riassegnazione totale di quantitativi di riferimento inutilizzati, esso può, qualora il prelievo sia dovuto e l’importo riscosso sia superiore, destinare l’eccedenza riscossa al finanziamento delle misure di cui all’articolo 8, primo trattino, del regolamento n. 3950/92 e/o rimborsarla ai produttori che rientrano in categorie prioritarie stabilite dallo Stato membro in base a criteri obiettivi da determinarsi o che si trovano confrontati ad una situazione eccezionale risultante da una disposizione nazionale non avente alcun nesso con tale regime. Gli Stati membri individuano le categorie prioritarie in base ad uno o più criteri obiettivi, previsti dall’articolo 5 del regolamento n. 536/93, elencati in ordine di priorità.
43. La facoltà di riassegnare la totalità o una parte dei quantitativi di riferimento inutilizzati, prevista dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, e la facoltà, di cui uno Stato membro può avvalersi qualora non proceda ad una riassegnazione totale dei quantitativi inutilizzati, di decidere di rimborsare o no ai produttori l’eccedenza del prelievo riscossa, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, obbediscono a logiche differenti.
44. Infatti, da un lato, l’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 3950/92 mira a diminuire proporzionalmente il superamento dei quantitativi di riferimento dei produttori, al fine di ridurre anche il contributo di questi ultimi al prelievo dovuto. Invece, dall’altro lato, l’articolo 2, paragrafo 4, del citato regolamento si propone di determinare la destinazione dell’importo del prelievo riscosso in eccesso, prevedendo che il rimborso di tale eccedenza, ove questo venga deciso da uno Stato membro, venga effettuato a beneficio dei produttori che rientrano in categorie prioritarie, stabilite secondo i criteri obiettivi previsti dalla Commissione.
45. A motivo della diversità delle logiche sottese ai meccanismi previsti, rispettivamente, dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, e dall’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, la rilevanza, ai fini dell’applicazione della prima di queste disposizioni, dei criteri stabiliti dalla seconda di esse non può essere presunta e potrebbe discendere soltanto da un esplicito riferimento in tal senso nel regolamento. Orbene, né il regolamento n. 3950/92 né il regolamento n. 536/93 prevedono l’applicazione di detti criteri nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92.
46 Quanto agli argomenti del governo italiano relativi all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1788/2003, occorre constatare come tale disposizione preveda che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne debba essere effettuata proporzionalmente al quantitativo di riferimento individuale di ciascun produttore che abbia effettuato consegne in eccesso, oppure in base a criteri obiettivi da stabilirsi a cura degli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2011, Kurt und Thomas Etling e a., C-230/09 e C-231/09, EU:C:2011:271, punto 79) ».
Conseguentemente la Corte ha respinto la tesi prospettata dallo Stato italiano circa l’indifferenza dell’utilizzazione di altri criteri rispetto ai principi eurounitari di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento.
2. In considerazione delle statuizioni della Corte di Giustizia, va evidenziato che la tesi difensiva dell’Amministrazione non può essere condivisa.
L’Amministrazione anche nella presente sede di appello ha riaffermato che gli interessati non hanno fornito alcuna prova del fatto che spetterebbe agli stessi un QRI diverso da quello assegnato, sicché non vi sarebbe alcun bisogno di applicare la disciplina sottoposta al vaglio della Corte di giustizia.
Tale considerazione, tuttavia, risulta contraddetta dalle stesse deduzioni dell’Amministrazione in sede di osservazioni dinanzi alla Corte europea, laddove si è sostenuto che: « 26. Nel caso in esame è pacifico che lo Stato italiano ha inteso operare la “compensazione nazionale/riassegnazione dei QRI inutilizzati” fissando criteri obiettivi di tipo non proporzionale. Come si è visto, l’art. 1 comma 8 della legge 118/99 ha previsto che la compensazione/riasssegnazione sia fatta a beneficio di categorie di produttori che presentano articolari aspetti di debolezza economica, e nell’ordine indicato dalla norma » (osservazioni depositate in data 13 settembre 2018, causa C-348/18).
Orbene, ciò è proprio il criterio di cui si dolgono gli odierni appellanti.
Tale censura era respinta dal giudice di primo grado sulla base della pregressa interpretazione fornita dalla giurisprudenza, che aveva ritenuto non contrastante il criterio obiettivo seguito dallo Stato italiano con la disciplina comunitaria, tesi questa - come evidenziato - smentita dalla Corte di giustizia nella pronunzia sulla causa C-348.
Ne discende che inevitabilmente il meccanismo di compensazione-riassegnazione applicato dall’Amministrazione italiana risulta alterato dall’applicazione di un criterio non conforme al dettato comunitario, secondo quella che è stata l’ultima interpretazione resa dalla Corte di giustizia.
Quanto detto non appare smentito neppure dal ricordato richiamo, contenuto nelle memorie dell’Amministrazione, alle affermazioni di senso opposto asseritamente rese nell’ambito del procedimento, per certi versi contenutisticamente affine, sfociato nella richiamata decisione della medesima Corte di Giustizia sulla causa C-46 dell’11 settembre 2019. La tipologia di perequazione effettuata, infatti, è resa palese dal senso letterale della normativa che la prevede (art. 1, comma 8, della l. 118/1999, che elenca le categorie e l’ordine di priorità sulla base della quale effettuare la compensazione nazionale), nonché dal tenore delle note AIMA impugnate, chiaramente riferite all’operazione di riassegnazione successiva alla ridetta compensazione nazionale per categorie prioritarie.
3. La fondatezza del quarto motivo di appello determina l’accoglimento dello stesso, senza che sia necessario procedere all’esame delle ulteriori censure, poiché l’annullamento dei provvedimenti censurati in prime cure per l’illegittimità del criterio posto a fondamento dei calcoli sottostanti all’operazione di compensazione/riassegnazione determina la necessità dell’Amministrazione di procedere ad una complessiva rideterminazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori.
Ne discende che, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso di prime cure e, per l’effetto, devono essere annullati i provvedimenti gravati.
4. La complessità della fattispecie e le difficoltà interpretative e di coordinamento della disciplina nazionale e comunitaria determinano l’individuazione di giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.