Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-09-29, n. 202308583

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-09-29, n. 202308583
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202308583
Data del deposito : 29 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/09/2023

N. 08583/2023REG.PROV.COLL.

N. 06008/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6008 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato F M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

CO.V.I.P. - Commissione Vigilanza Fondi Pensione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Fondo Pensione per il personale ex Banca di Roma, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-/2020, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di C.O.V.I.P. - Commissione Vigilanza Fondi Pensione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2023 il Cons. G G e udito l’avv. dello Stato Pietro Garofoli.

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso n. R.G. 6008 del 2020 notificato il 16 luglio 2020 presso l’Avvocatura dello Stato, -OMISSIS- (in qualità di -OMISSIS-), hanno proposto appello, chiedendone l’annullamento e/o la riforma, avverso la sentenza n. -OMISSIS- del 20 febbraio 2020, con la quale la Sezione II bis del T.A.R. per il Lazio - Roma ha respinto il ricorso R.G. n. 8636/2017 proposto dai predetti per l’annullamento dei provvedimenti sanzionatori di irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie adottato con deliberazione della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (di seguito anche C.O.V.I.P.) del 21 giugno 2017 n. prot. 3264 nonché altri atti ad essi connessi o presupposti. Gli stessi hanno, in subordine, chiesto la riduzione delle sanzioni amministrative ad essi irrogate nel numero e nel quantum.

1.1 In particolare, le violazioni sanzionate a mezzo della deliberazione impugnata in primo grado si fondano sull’acquisto di alcuni prodotti finanziari effettuato direttamente dal predetto Fondo rispettivamente in data 10 novembre 2015 (sulla base di una delibera del Consiglio di amministrazione del 28 ottobre 2015) e in data 29 dicembre 2015 (sulla base di una delibera del Consiglio di amministrazione del 22 dicembre 2015).

1.2 In relazione a tale condotta C.O.V.I.P., con delibera 21 giugno 2017, ha irrogato, a ciascuno dei membri del -OMISSIS- del Fondo la sanzione di “euro 3.120,00 (tremilacentoventi/00) per il mancato controllo sul rispetto dell'art. 3, comma 4 e dell'art. 4, commi 4 e 5, del D.M. n. 166/2014;
euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per non aver vigilato, in conformità ai doveri inerenti al suo ufficio, affinché l'art. 9 del Regolamento (UE) n. 648/2012 non fosse da altri violato;
euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per non aver vigilato, in conformità ai doveri inerenti al «loro» ufficio, affinché l'art. 11 del Regolamento (UE) n. 648/2012 non fosse da altri violato”.

Agli stessi è stato, anzitutto, contestato di non avere vigilato ai sensi dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 252/2005 e dell’art. 2407 c.c. sul fatto che il Consiglio di Amministrazione del Fondo avrebbe violato l'art. 3, comma 4 nonché l'art. 4, commi 4 e 5 del D.M. n. 166/2014 regolante gli investimenti dei Fondi pensione sottoscrivendo i seguenti titoli:

a) “EXPRESS CERTIFICATE ON EUROSTOXX50,

NIKKEI

225, S&P 500” (ISIN: CH0274759445), con cedola al 3,51% semestrale e rimborso al 12 novembre 2018 collegato all’andamento di tre indici azionari, per un importo di euro 2.500.000 per la Gestione separata a prestazione definita (di seguito: “Prodotto CH0274759445”);

b) “CREDIT–

LINKED CERTIFICATE ON MARKIT ITRAXX EUROPE CROSSOVER INDEX SERIES

24” (ISIN: CH0283716543), con cedola al 4,35% e rimborso al 12 gennaio 2026 sopra la pari a 108,7%, entrambi collegati al merito creditizio di 75 società high yield dell’indice Markit iTraxx Europe Crossover, per un importo di euro 10.000.000 per la Gestione separata a prestazione definita (di seguito: “Prodotto CH0283716543”);

c) “ZERO RECOVERY CREDIT–LINKED CERTIFICATES ON REPUBLIC OF ITALY” (ISIN: CH0303242611), con cedola al 2,3% e rimborso al 12 gennaio 2026 alla pari, entrambi collegati al merito creditizio della Repubblica Italiana, per un importo di euro 5.000.000 per la Gestione separata a prestazione definita Ct. 38854/2017 e di euro 9.700.000 per la Gestione separata a contribuzione definita (di seguito: “Prodotto CH0303242611”);

d) “CREDIT–LINKED CERTIFICATE ON A REFERENCE ENTITIES BASKET” (ISIN: CH0303242629), con cedola al 4,4% e rimborso al 12 gennaio 2026 alla pari, entrambi collegati al merito creditizio di 20 società europee e nordamericane prevalentemente high yield, per un importo di euro 5.000.000 per la Gestione separata a prestazione definita e di euro 9.700.000 per la Gestione separata a contribuzione definita (di seguito: “Prodotto CH0303242629”).

A fondamento della sanzione C.O.V.I.P. ha ritenuto che tali certificati non costituirebbero titoli obbligazionari, bensì derivati, come tali inibiti agli investimenti del Fondo Pensione o comunque non rientranti nei limiti nei quali la normativa ne ammette l’utilizzo.

Veniva, inoltre, contestato sempre a carico dei membri del -OMISSIS- del Fondo Pensione per il Personale della ex Banca di Roma di non aver vigilato sul fatto che il Fondo seguisse le procedure previste dalla normativa dell'Unione Europea (art. 9 e 11 del Regolamento (UE) n. 648/2012) per l'acquisto di derivati O.T.C. (“ Over the Counter ”, cioè acquisiti fuori di un mercato regolamentato).

Le suddette violazioni sono state loro imputate a titolo di colpa per omessa vigilanza rispetto all’operato del Consiglio di Amministrazione del Fondo medesimo.

2. Nel dettaglio, a sostegno del ricorso in appello sono state dedotte le censure così rubricate:

1) Erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato la censura con cui è stata denunciata la violazione del contraddittorio procedimentale: violazione del diritto di difesa, delle garanzie del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e del principio della separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie: violazione e falsa applicazione degli artt. 3 ss. della L. n. 689/81, degli artt. 3 ss. L. n. 241/90, dell'art. 19-quater del D.Lgs. n. 252/2005, dell'art. 24, comma 1, della L. n. 262/05, dell'art. 145, 8 comma 1-bis, del D.Lgs. n. 385/93, dell'art. 6 Convenzione EDU. .

2) Erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato la censura con cui è stata denunciata la non corretta qualificazione dei prodotti finanziari sottoscritti dal Fondo come "strumenti finanziari derivati": violazione e falsa applicazione degli artt. 3 ss. L. n. 689/81, degli artt. 3 ss. L. n. 241/90, degli artt. 3, comma 4, e 4, commi 4 e 5, del D.M. n. 166 del 2014, degli artt. 1, comma 1, lett. c), 2 e 5 del D.M. n. 703 del 1996, degli artt. 9 e 11 del Regolamento UE n. 648/2012, dell'art. 2411 c.c., degli artt. 41 e 97 Cost.. Violazione e falsa applicazione del principio di affidamento. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, difetto di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, travisamento in fatto e in diritto, contraddittorietà, insufficienza della motivazione ;

3) Erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato la censura con cui è stata contestata la pretesa violazione degli obblighi di condotta propedeutici all’acquisto di prodotti finanziari da parte di un Fondo Pensione: violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 4, e 4, commi 4 e 5, del D.M. n. 166 del 2014, degli artt. 1, comma 1, lett. c), 2 e 5 del D.M. n. 703 del 1996, degli artt. 9 e 11 del Regolamento UE n. 648/2012, 3 ss. l. n. 689/81 e 3 ss. l. n. 241/90. Violazione e falsa applicazione del principio di affidamento. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, difetto di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, travisamento in fatto e in diritto, contraddittorietà, insufficienza della motivazione ;

4) Erroneità della sentenza per quanto riguarda la condivisione della legittimità dei provvedimenti sanzionatori adottati nei confronti dei Sindaci del Fondo. Istanza di riduzione in considerazione dei poteri equitativi previsti nella giurisdizione di merito a favore del giudice amministrativo nella materia de quo anche in appello .

2. Per resistere avverso detto appello si è costituita in giudizio, a mezzo dell’Avvocatura erariale, C.O.V.I.P. pure depositando memorie difensive.

2.1 Il 27 luglio 2021 anche parte appellante ha depositato memorie difensive.

3. Ad esito dell’udienza pubblica del 24 febbraio 2022, con ordinanza n. -OMISSIS- del 2022 pubblicata il 3 marzo 2022, questa Sezione ha disposto una verificazione, affidata al Direttore Generale della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – C.O.N.S.O.B., tendente “ad accertare se i seguenti titoli: »Express Certificate on EUROSTOXX50,

NIKKEI

225, S&P 500», «Credit-Linked Certificate on Markit iTraxx Europe Crossover Index Series 24», «Zero Recovery Credit-Linked Certificates on Republic of Italy» e «Credit-linked Certificate on a Reference Entities Basket», avessero, sulla base della legislazione vigente all’epoca dell’acquisto, da parte del Fondo Pensioni per il Personale della ex Banca di Roma, natura di «derivati»”.

4. Ad esito dell’udienza pubblica del 26 maggio 2022, questa Sezione, con ordinanza collegiale n. -OMISSIS- del 2022, in accoglimento dell’istanza del verificatore nominato, ha disposto la proroga del termine di conclusione delle operazioni di verificazione fissando per l’ulteriore trattazione, la pubblica udienza del 30 marzo 2023.

5. In data 20 gennaio 2023 il verificatore nominato ha depositato la propria relazione di verificazione.

6. Nelle date, rispettivamente del 24 febbraio 2023 e 10 marzo 2023 C.O.V.I.P. e parte appellante hanno depositato memorie difensive.

6.1 Il 16 marzo 2023 parte appellante ha altresì depositato memorie in replica.

7. All’udienza pubblica del 30 marzo 2023, i ricorsi in appello nr. R.G. 5978 del 2020, 5979 del 2020 e 6008 del 2020 sono stati chiamati congiuntamente. In accoglimento della richiesta formulata da parte appellante è stato, tuttavia, disposto il rinvio delle predette cause in attesa del deposto della relazione di verificazione in altri giudizi connessi.

8. In data 21 luglio 2023 la C.O.V.I.P. ha depositato memorie difensive chiedendo la reiezione degli appelli.

9. L’8 settembre 2023 parte appellante ha depositato memorie in replica.

10. All’udienza pubblica del 21 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è, in parte, fondato nei limiti e sensi appresso precisati.

2. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il primo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata dedotta la violazione del principio del contraddittorio nell'ambito del procedimento sanzionatorio anche rispetto al Regolamento C.O.V.I.P. del 30 maggio 2007 (pure oggetto di impugnazione in prime cure).

Parte appellante sostiene che sia l’atto regolamentare, sia il procedimento sanzionatorio violerebbero il principio della separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie ormai pacificamente affermato anche dalla giurisprudenza della C.E.D.U.. Nel caso di specie sarebbe, in particolare, riscontrabile un'evidente commistione fra la funzione istruttoria e quella decisoria in quanto il Direttore generale della C.O.V.I.P. formula la contestazione del preteso illecito attivando così la fase istruttoria del procedimento sanzionatorio, così come previsto dall'art. 3 del Regolamento C.O.V.I.P. del 30 maggio 2007 e partecipa altresì "senza diritto di voto" alle riunioni della Commissione stessa (cioè della Commissione decisoria), secondo quanto previsto dall'art. 14, comma 2, lett. b), del medesimo Regolamento, prendendo così parte anche alla fase decisoria del procedimento.

Avrebbe, pertanto errato il T.A.R. nell’affermare che la partecipazione del Direttore non può “in alcun modo inficiare l'illegittimità per violazione dei suddetti principi la decisione della Commissione”, concludendo che “risulta essere stata curata un'approfondita istruttoria, in contraddittorio con gli interessati, dai competenti uffici amministrativi;
le controdeduzioni proposte dai soggetti interessati sono state regolarmente rappresentate alla Commissione;
quest'ultima, autonomamente, ha adottato la decisione finale, dando anche conto delle ragioni per cui le difese dei soggetti sanzionati sono state respinte”.

Si osserva, in particolare, che diversamente da quanto sostenuto nella sentenza, la partecipazione del Direttore generale, ancorché senza diritto di voto, alla fase decisoria del procedimento consentirebbe a quest'ultimo di influire sul processo decisionale della Commissione. Nel caso di specie l’influenza spiegata dalla sua partecipazione darebbe desumibile dalle seguenti circostanze:

- che il provvedimento sanzionatorio è stato adottato dalla Commissione decisoria appena due giorni dopo dalla proposta formulata dal Direttore generale a conclusione della fase istruttoria;

- che l'adozione del provvedimento sanzionatorio è stata accompagnata da una motivazione che si dilunga in maniera inutilmente verbosa per decine e decine di pagine che non possono evidentemente essere il frutto di una ponderata decisione fondata sui risultati della fase istruttoria, evidentemente illustrata e proposta dal Direttore generale presente nella Commissione “ancorché senza diritto di voto”.

Sotto altro profilo la sentenza appellata avrebbe errato nell’affermare che si sia svolta un'approfondita istruttoria al termine della quale sarebbero state emanate le sanzioni. Si osserva che i Sindaci attuali appellanti sono stati semplicemente uditi dal Direttore generale nella fase istruttoria, ma non è stato contestato ad essi violazione alcuna né nella fase istruttoria, né nella fase decisoria.

2.1 Le censure in parola non colgono nel segno.

Non sussiste, anzitutto, la lamentata violazione del principio di separazione fra funzione istruttoria e funzione decisoria sancito dall’art. 24 della l. n. 262/2005 apparendo, in proposito, condivisibile quanto affermato dal giudice di prime cure.

Deve, in proposito rammentarsi che tale principio è stato dalla stessa Autorità espressamente recepito nel proprio Regolamento in materia di procedure sanzionatorie di cui alla Deliberazione n. 130 del 30 maggio 2007, applicabile ratione temporis al procedimento sanzionatorio de quo . In base a detto Regolamento, infatti, il ruolo del Direttore Generale, ex art. 3, comma 2, è quello di contestare, ad esito degli accertamenti compiuti dagli uffici, le presunte violazioni, e non già quello di procedere alla relativa irrogazione. Il potere di irrogare le sanzioni, al contrario, è conferito in base all’art. 2 comma 2, del medesimo Regolamento alla Commissione, che è l’organo di vertice della C.O.V.I.P. (“Le decisioni in ordine all’applicazione delle sanzioni sono adottate dalla Commissione”). Ciò assicura, come già ritenuto dalla giurisprudenza di questa Sezione (Cons. Stato, sez. VI, 12 gennaio 2023, nr. 410 e 413), una netta distinzione tra chi esercita in C.O.V.I.P. il potere istruttorio e di iniziativa per l’applicazione della sanzione e chi esercita il potere decisorio in ordine alla sua effettiva irrogazione.

Non appare, del resto, significativa la circostanza che il Direttore Generale della C.O.V.I.P. alle riunioni della Commissione stessa atteso che, da un lato, lo fa “senza diritto di voto” (art. 14, comma 2, lett. b) e dall’altro, questo appare accorgimento procedimentale giustificato dall’esigenza di garantire l’efficace coordinamento tra la fase istruttoria e di iniziativa e quella propriamente decisoria. Né, peraltro, parte appellante ha chiarito come ed in che termini, nel caso specifico in scrutinio, il Direttore Generale avrebbe concretamente influenzato il processo decisionale della Commissione limitandosi, in maniera generica, ad evidenziare la celerità che ha caratterizzato il frangente decisorio del procedimento de quo .

2.2 È, poi, appena il caso di osservare che il richiamato l’art. 24 della l. n. 262/2005 si limita a prescrivere l’osservanza, per i procedimenti di carattere sanzionatorio, del principio del contraddittorio, senza tuttavia caratterizzarla in modo peculiare. Ne discende che l’Autorità, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa, resta libera nella scelta e strutturazione del concreto meccanismo procedurale chiamato ad assicurare il rispetto di tale principio.

2.3 Parimente insussistente è la denunciata violazione del diritto di difesa atteso che gli odierni appellanti hanno avuto modo di prendere parte al procedimento e sono stati ascoltati in data 7 febbraio 2017 in ordine ai fatti storici su cui è stata fondata l’adozione dei provvedimenti sanzionatori gravati in primo grado. Resta irrilevante che agli stessi non sia stata elevato, in tale frangente, un formale addebito. Del resto, come risulta dal testo del relativo verbale (pag. 2) il responsabile del procedimento ha esposto oralmente agli auditi le irregolarità in contestazione.

Per contro, va, infine, evidenziato che parte appellante ha mancato di dedurre, fuori di una generica lagnanza, una lesione concreta ed effettiva alle proprie prerogative defensionali.

3. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza appellata nella parte in cui la stessa ha affermato che i titoli sottoscritti dal Fondo non sarebbero obbligazioni strutturate o titoli obbligazionari tout court , bensì un “fascio di obbligazioni” tra loro assemblate che conterrebbero una componente derivativa tale da mettere a rischio il rimborso del capitale, cioè un contratto aleatorio inibito ai fondi pensione e al Fondo ex Banca di Roma nel caso de quo .

Si osserva, sul punto, che vi era, all’epoca dei fatti, una definizione della stessa C.O.V.I.P. di “obbligazione strutturata” ("Obbligazione strutturata secondo COVIP (Manuale delle segnalazioni, pag. 4). Tavola 2”) che identificava le stesse nei “titoli di debito il cui rimborso e/o la cui remunerazione dipendono, in tutto o in parte, dal valore o dall'andamento del valore di prodotti finanziari, tassi di interesse, valute, merci e relativi indici – secondo meccanismi che equivalgono all'assunzione di posizioni in strumenti finanziari derivati – oppure dal verificarsi di determinati eventi o condizioni". Secondo parte appellante tale definizione C.O.V.I.P. chiarirebbe letteralmente e documentalmente che nelle obbligazioni strutturate anche il rimborso (così come la remunerazione) può dipendere in tutto o in parte dalla componente derivativa. Detta definizione troverebbe conferma, poi, in una circolare del 10 dicembre 2003, n. 5178, della stessa C.O.V.I.P. ("Richiesta di dati e notizie sull'operatività in alcune tipologie di titoli di debito e in strumenti derivati"(, ad avviso della quale occorre distinguere fra “1) titoli di debito di emittenti pubblici e privati, compresi quelli originati a seguito di operazioni di cartolarizzazione, emessi con rating inferiore al livello di investment grade o privi di rating all'emissione, ovvero emessi con rating investment grade ma che poi abbiano subito un declassamento ad un livello inferiore;
2) titoli di debito strutturati, intendendo per tali i titoli che incorporano all'interno di uno strumento di debito di tipo tradizionale un contratto derivato, solitamente di tipo opzionale;
3) strumenti derivati”. La medesima impostazione sarebbe stata seguita anche dalla C.O.N.S.O.B. a quale nel Regolamento emittenti (14.05.1999, n. 11971) prevede all'art. 51 che sono “obbligazioni strutturate”: “1) i titoli obbligazionari il cui rimborso e/o la cui remunerazione dipendono, in tutto o in parte, secondo meccanismi che equivalgono all'assunzione di posizioni in strumenti finanziari derivati, dal valore o dall'andamento del valore di prodotti finanziari, tassi di interesse, valute, merci e relativi indici;
2) i titoli obbligazionari il cui rimborso e/o la remunerazione dipendono, in tutto o in parte, dal verificarsi di determinati eventi o condizioni” (definizione ripresa, da ultimo, nella comunicazione della stessa C.O.N.S.O.B. n. 97996/14 del 22.12.2014) ove si fa riferimento ai prodotti finanziari strutturati “il cui pay-off non rende certa l'integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente”. La stessa C.O.N.S.O.B., in un atto interpretativo riferito a titoli mobiliari "Comunicazione sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail", avrebbe poi chiarito che "i certificates che non garantiscono l'integrale restituzione del capitale investito ricadono nella categoria ([…] comprendenti i prodotti finanziari strutturati) di cui al punto v) (se non quotati) o nella categoria ([…] sempre dei prodotti finanziari strutturati) di cui al punto x) (se quotati)" (Comunicazione n. 97996/14 del 22 dicembre 2014).

Ne conseguirebbe l'illegittimità del provvedimento impugnato nel giudizio di primo grado per insussistenza del fatto illecito imputato al -OMISSIS- nonché per contraddittorietà con atti della stessa Autorità sanzionante la quale considera i titoli oggetto di censura come titoli di debito strutturato e non come strumenti derivati, con l'ovvia conseguenza che il -OMISSIS- non avrebbe commesso alcuna omissione di vigilanza nel non accorgersi che i titoli de quo non sarebbero stati titoli di debito strutturati bensì strumenti derivati.

Si aggiunge, poi, che i titoli de quibus non sarebbero legati a contratti derivati bilaterali in quanto risultano essere stati emessi al portatore e, come tali, liberamente trasferibili senza la necessità di consenso da parte dell’emittente, che può ignorare/non avere contatti diretti con il detentore del titolo (a differenza dei contratti derivati O.T.C. - soggetti ad E.M.I.R. – che hanno natura di accordi bilaterali, stipulati generalmente nell’ambito I.S.D.A.).

Osserva, ancora, parte appellante che la natura di derivati dei prodotti finanziari acquisti dal Fondo è stata esclusa, dapprima, nel parere emesso, su richiesta del consiglio di amministrazione, dalla Martingale Risk Italia e, successivamente, anche dall' advisor K.P.M.G. (che ha fornito assistenza e consulenza nel compimento dell’operazione di acquisto) e in un parere pro veritate dal Prof. -OMISSIS-.

3.1 Sotto altro profilo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto sussistente anche la violazione del Regolamento unionale E.M.I.R. (art. 9 e 11 del Regolamento UE n. 648/2012) per non avere il fondo ottemperato agli adempimenti e agli obblighi di segnalazione prescritti dal medesimo Regolamento nelle procedure per misurare, monitorare e attenuare il rischio operativo e il rischio di credito dei contratti derivati O.T.C. (“Off the counter”, cioè stipulati fuori mercato).

In proposito parte appellante osserva che l’effettuazione della segnalazione sarebbe risultata impossibile da un punto di vista informatico (come comprovato da una comunicazione interna del gruppo Unicredit) in quanto esulerebbe dal campo di applicazione del citato Regolamento unionale E.M.I.R..

4. Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza appellata nella parte in cui essa ha condiviso la tesi espressa dal provvedimento di C.O.V.I.P. secondo la quale il Fondo, nella sottoscrizione dei titoli contestati, avrebbe dovuto applicare le disposizioni previste nel D.M. n. 166/2014 e non nel D.M. del 21 novembre 1996, n. 703 applicabile al momento della commissione del presunto patto illecito da parte del Consiglio di Amministrazione, atteso che l'art. 10 del D.M. n. 166/2014 ha previsto che “I fondi pensione iscritti all'albo tenuto dalla COVIP ai sensi dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 alla data di entrata in vigore del presente decreto si adeguano alle disposizioni in esso contenute entro 18 mesi. Nelle more dell'adeguamento continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto ministeriale 21 novembre 1996, n. 703”.

Osserva, in proposito, parte appellante che l'acquisto dei titoli qualificati da C.O.V.I.P. come derivati si sarebbe concretizzato sotto la vigenza del D.M. 1996 n. 703 (e, segnatamente, nel periodo intertemporale di entrata in vigore del nuovo Regolamento in materia di fondi pensione, prima che entrasse in vigore la disciplina del D.M. n. 166/2014) in quanto non erano ancora spirati i sei mesi per l'adeguamento.

5. Le suddette doglianze, che possono esser esaminate congiuntamente stante l’intima connessione che le avvince, meritano, anche alla luce delle risultanze della verificazione disposta da questa Sezione con ordinanza collegiale n. -OMISSIS- del 2022, di essere accolte solo in parte, limitatamente al profilo di censura del secondo motivo riassunto al precedente punto 3.1.

5.1 Va, anzitutto, sciolto il nodo della individuazione della normativa ratione temporis applicabile nel caso di specie.

Il Collegio è del meditato avviso che ai fatti di causa trovi applicazione, come correttamente ritenuto anche dall’Autorità, la disciplina di cui al D.M. n. 166/2014.

In proposito, è appena il caso di rilevare che alla data dell’acquisto dei prodotti, effettuato direttamente da parte del Fondo (10 novembre 2015 e 29 dicembre 2015), pur non risultando già decorsi i 18 mesi successivi alla entrata in vigore del D.M. n. 166/2014 (avvenuta il 28 novembre 2014) riconosciuti, ex art. 10, comma 2, del medesimo D.M. per adeguarsi alla disciplina in esso contenuta, il Fondo Pensione per il Personale della ex Banca di Roma si era già spontaneamente uniformato al nuovo regime normativo. Quest’ultima circostanza (invero dedotta dalla difesa erariale e non specificatamente contestata ex art. 64 comma 2 c.p.a. da parte appellante) emerge dalla documentazione in atti e, in particolare:

- dalle e-mail prodotte in primo grado dalla stessa parte ricorrente (oggi appellante) che muovono tutte dal presupposto dell’applicabilità del D.M. n. 166 del 2014;

- da pag. 9 del D.P.I. del 22 dicembre 2015 con riguardo al Piano di riequilibrio della Sezione a Prestazione definita;

- dal verbale del Consiglio di amministrazione del 22 dicembre 2015 (pag. 6) che contiene una delega alla funzione finanza a verificare che gli investimenti deliberati avvengano nel rispetto dei limiti di concentrazione del D.M. n. 166/2014 (5%);

- dal verbale del Consiglio di amministrazione del 25 novembre 2015, che delibera l’acquisto dei due prodotti di Credit Suisse (poi non concretizzato) ove si dà mandato alla funzione finanza di verificare, con riguardo agli investimenti deliberati, il rispetto dei limiti di concentrazione del D.M. n.166/2014.

L'art. 10 del D.M. n. 166/2014, nel tratteggiare un regime transitorio, ha, del resto, previsto che “I fondi pensione iscritti all'albo tenuto dalla COVIP ai sensi dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 alla data di entrata in vigore del presente decreto si adeguano alle disposizioni in esso contenute entro 18 mesi. Nelle more dell'adeguamento continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto ministeriale 21 novembre 1996, n. 703”. Ne consegue che l’applicazione del D.M. n. 703/1996 (prevista, per l’appunto, “Nelle more dell'adeguamento”) è cessata, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.M. n. 166/2014, dal momento dello spontaneo adeguamento del singolo fondo pensione al D.M. n. 166/2014 (e, dunque, anche prima della scadenza del termine massimo di periodo transitorio).

Va aggiunto, solo per completezza, che i fatti sanzionati con i provvedimenti gravati avrebbero costituito illecito (ancorché inquadrabile sotto titolo diverso) anche sotto la vigenza D.M. n. 703/1996. Difatti, come pure osservato dal verificatore nominato, anche alla luce di tale previgente normativa l’acquisto dei prodotti sottoscritti non sarebbe stato in alcun modo consentito, non ricadendo questi in nessuna delle categorie, tassativamente elencate, di forme di investimento ammesse ex art. 1, comma 1, lett. c) del predetto decreto ( id est titoli di debito, titoli di capitale, O.I.C.V.M., fondi chiusi e liquidità).

5.2 Tanto chiarito è possibile, ora, affrontare l’ulteriore questione della qualificazione giuridica dei prodotti sottoscritti dal Fondo in data 10 novembre 2015 e 29 dicembre 2015.

Ritiene il collegio che non vi siano ragioni per discostarsi dalle conclusioni cui è pervenuto, sul punto, il verificatore nominato nella propria relazione finale.

Ebbene, questi ha chiarito che i prodotti de quibus devono essere ricondotti nell’ambito della nozione di “strumenti derivati” (risposta al primo quesito).

5.3 Nel dettaglio, secondo la condivisibile opinione del verificatore, i titoli in parola costituiscono valori mobiliari ex art. 1, comma 1-bis, lettera d), del decreto legislativo n. 58/1998 - T.U.F. e, risultano, come tali, attratti per scelta legislativa alla nozione “derivati”.

In proposito, occorre rammentare che il T.U.F. nella perimetrazione della categoria dei “derivati” segue due differenti tecniche di tipizzazione.

Detto testo pone, anzitutto, un’elencazione puntuale di categorie di strumenti, nella forma di contratti, declinate per tipologia di sottostante (finanziari, merci, altri), tipo di regolamento della prestazione e mercato di quotazione (art. 1, comma 2, lettere d), e), f), g), h), i) e j) del T.U.F.) che si considerano sempre a carattere “derivato”. Accanto a tale elencazione prevede, poi, una definizione più aperta volta a catturare nell’alveo della nozione di “strumenti finanziari derivati” anche quei valori mobiliari che presentano caratteristiche tali da accomunarli all’archetipo del derivato, vale a dire la connessione strutturale con le fluttuazioni registrate da un determinato sottostante in un determinato periodo (articolo 1, comma 1-bis, lettera d) del T.U.F.). Quest’ultima previsione conferisce, peraltro, alla nozione di strumento finanziario “derivato” di cui al T.U.F. particolare elasticità e ampiezza consentendo di ricondurre in tale categoria, non solo “contratti” (espressamente richiamati al già citato art. 1, comma 2, lettere d), e), f), g), h), i) e j) del TUF), ma anche titoli “oggetto di emissione”, generati dalla cartolarizzazione (intesa come incorporazione in un titolo) dei c.d. contratti derivati (i cd. “derivati cartolarizzati”). Ciò risponde, all’evidenza alla finalità di investor protection che sottende anche il formante eurounitario della disciplina (direttiva 2004/39/CE) consentendo di attrarre, secondo una logica sostanzialistica, al campo di applicazione della disciplina dei derivati anche i prodotti più innovativi e sofisticati.

5.4 Ebbene, venendo al caso di specie, i prodotti de quibus , pur essendo denominati dall’emittente come “ certificates ” (categoria non tipizzata al livello normativo), presentano, nella sostanza, talune caratteristiche economico-finanziarie comuni che ne consentono la riconducibilità ai cd. “derivati cartolarizzati”.

Infatti, come emerge dall’analisi tecnica della relativa documentazione contrattuale (pag. 19 e ss. della relazione di verificazione) detti strumenti prevedono un pagamento in contanti a scadenza (cd. “ cash settlement ”) collegato al rendimento di variabili esterne come richiesto dalla nozione di cui al citato art. 1, comma 1-bis, lettera d) del T.U.F..

Più segnatamente, il pagamento delle cedole ed il regolamento finale del titolo Express Certificate (par. 1, sub A) sono collegati all’andamento di indici azionari rappresentativi di tre dei principali mercati mondiali. Il valore di rimborso del prodotto dipende, nello specifico, dalla circostanza che sia stato o meno superato il livello di prezzo del sottostante - prefissato in fase di regolamento del titolo - per almeno uno degli indici considerati (c.d. “evento barriera”).

Gli altri titoli de quibus contemplano, invece, un meccanismo di pagamento delle cedole e di regolamento finale dei titoli collegati alle variazioni del merito creditizio di “ reference entities ” ovvero di “ reference obligations ” con la conseguenza che il regolamento finale può essere nullo, nel caso si realizzino variazioni del merito di credito, o corrispondente alla somma inizialmente versata dall’investitore ove non si verifichino, sino a scadenza, “eventi di credito” a carico delle reference entities o delle reference obligations .

A supporto di questa ricostruzione milita, peraltro, proprio il contenuto del documento E.S.M.A. “Draft guidelines on complex debt instruments and structured deposits” del febbraio 2016 evocato dalla stessa parte appellante, secondo cui i certificates , nonché le credit-linked notes sono qualificati da un punto di vista economico – finanziario come “ debt instruments embedding a derivative ” (punto V.I delle suddette guidelines) e ricondotti, a livello giuridico, ai valori mobiliari indicati dall’art. 4, par. 1, punto 18, lett. c), della direttiva 2004/39/UE (disposizione recepita a livello nazionale dal sopra richiamato art. 1, comma 1-bis, lettera d) del T.U.F.).

5.5 Deve aggiungersi, come pure messo in evidenza del verificatore (pag. 23 della relazione finale), che le caratteristiche appena evidenziate non consentono di classificare tali strumenti nella categoria delle obbligazioni e altri titoli di debito (neppure in forma “strutturata”) di cui alla lettera b) dell’art. 1, comma 1-bis T.U.F.. Ciò in quanto, a differenza dei prodotti finanziari qui in esame, le obbligazioni e, in generale, i titoli di debito, incorporano, a fronte del pagamento (a titolo di prestito) di una somma al debitore, il diritto alla restituzione integrale del capitale versato.

Non assume, peraltro, rilievo in tale prospettiva né l’eventuale finalità non speculativa del prodotto, né la circostanza che la componente derivativa possa ritenersi di minore importanza (o addirittura accessoria) rispetto a quella non derivativa.

È, questo, del resto, l’approdo cui è già giunta in precedenza la giurisprudenza di questa Sezione (Cons. Stato, sez. VI, 17 aprile 2023 n. 3839) affermando che vale ad escludere la riconducibilità nella categoria dei titoli di debito “l’esistenza del rischio di una non integrale restituzione del capitale” e che si ha prodotto “a natura derivata” quando lo stesso presenta anche “una sola componente strutturale” a carattere derivativo.

5.6 Deve parimenti escludersi che i prodotti de quibus vadano ricondotti, come invece sostiene parte appellante, nella categoria degli “strumenti finanziari” di cui all’art. 1, comma 1, lett. v) del D.M. n. 166/2014 (che, a sua volta, rinvia all’art. 1, comma 2, lett. a), b) e c), e comma 4, del d.lgs. n. 58/1998). E, infatti, quest’ultima è categoria a carattere essenzialmente residuale in cui confluiscono quei prodotti che non presentino, per l’appunto, come nel caso di specie per le ragioni prima esposte, carattere derivato.

5.7 Alla luce di quanto sinora osservato sussiste la violazione degli artt. 3, comma 4, e 4, commi 4 e 5, del D.M. 166/2014 dedotta dall’Autorità a fondamento del provvedimento sanzionatorio impugnato in prime cure sicché va di riflesso, sotto tale aspetto, respinto l’appello.

5.8 Occorre, ora, soffermarsi invece sulla sussistenza o meno della violazione degli artt. 9 e 11 del regolamento E.M.I.R., pure dedotta da C.O.V.I.P. a fondamento del provvedimento sanzionatorio.

Ebbene, ritiene il Collegio, sempre sulla scorta delle risultanze della disposta verificazione (pag. 28 e ss.) e del quadro normativo applicabile, che essa non ricorra nel caso in esame atteso che le dette disposizioni del regolamento E.M.I.R. non sono applicabili a prodotti qualificabili come “derivati cartolarizzati”.

Nel dettaglio, gli obblighi di segnalazione di cui al citato articolo 9 richiamano la nozione di derivato contenuta nell’articolo 2, n. 5) di E.M.I.R. secondo cui “ai fini del regolamento si intende per “«derivato» o «contratto derivato»: uno strumento finanziario di cui all’allegato I, sezione C, punti da 4 a 10, della direttiva 2004/39/CE, disciplinato sul piano attuativo dagli articoli 38 e 39 del regolamento (CE) n. 1287/2006”. Alla stessa maniera gli obblighi “prudenziali” di cui al citato articolo 11 si riferiscono alla nozione di derivato O.T.C. (“ Off the counter ”) contenuta nell’articolo 2, n. 7) del regolamento E.M.I.R. secondo cui “ai fini del regolamento si intende per […] «derivato OTC» o «contratto derivato OTC»: un contratto derivato la cui esecuzione non ha luogo su un mercato regolamentato ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 14, della direttiva 2004/39/CE o su un mercato di un paese terzo considerato equivalente a un mercato regolamentato a norma dell’articolo 19, paragrafo 6, della direttiva 2004/39/CE”.

Sempre sul piano testuale preme, poi, evidenziare che gli stessi artt. 9 (par. 1, 2 ,4) e 11 ( par. 1) del regolamento E.M.I.R. si riferiscono espressamente ai “contratti derivati”.

Ne discende, all’evidenza, che gli obblighi oggetto delle violazioni contestate risultano riferibili ai “contratti derivati” o ad un loro sottoinsieme costituito dai contratti derivati negoziati al di fuori di mercati regolamentati (derivati O.T.C.) con la conseguenza che gli stessi non sono riferibili ai cd. “derivati cartolarizzati” (nei quali rientrano i titoli de quibus ), ossia i valori mobiliari ex comma 1-bis, lettera d) del T.U.F. (nel testo vigente all’epoca di sottoscrizione degli strumenti da parte del Fondo) incorporati in un titolo. Del resto proprio la caratteristica dell’incorporazione in un titolo (la cd. “cartolarizzazione”) ne rende più agevole e veloce la circolazione risultando difficilmente compatibile con l’adempimento degli obblighi di segnalazione e di misurazione, monitoraggio ed attenuazione del rischio operativo e del rischio di credito di controparte.

Deve aggiungersi che l’E.S.M.A. – a seguito di specifico quesito formulato dalla parte appellante – ha confermato, in un documento del febbraio 2021 (pure esaminato e richiamato dal verificatore nominato - pag. 29 della relazione di verificazione), l’inapplicabilità ai derivati cartolarizzati, in quanto titoli riconducibili alla macrocategoria dei “valori mobiliari”, degli articoli 9 e 11 del regolamento E.M.I.R. (così testualmente: “Article 9 of EMIR applies to derivative products as per Annex I Section C from (4) to (10) in the Directive 2014/65/EU. In contrast, article 11 of EMIR applies to OTC derivative contracts that are not centrally cleared. According to the description of the products sent with your query, those do not seem to fall under the description of derivatives or OTC derivative contracts. They would rather qualify as transferable securities. Please be aware that this is ESMA’s view and does not supersede any court decisions”).

5.9 Ne consegue che il secondo motivo di appello è, in parte, fondato, nei sensi sopra precisati. Per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata va accolto in parte il ricorso di primo grado e disposto l’annullamento dell’impugnata delibera C.O.V.I.P. del 21 giugno 2017 nella sola parte in cui la stessa ha irrogato nei confronti degli appellanti “euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per non aver vigilato, in conformità ai doveri inerenti al suo ufficio, affinché l'art. 9 del Regolamento (UE) n. 648/2012 non fosse da altri violato;
euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per non aver vigilato, in conformità ai doveri inerenti al «loro» ufficio, affinché l'art. 11 del Regolamento (UE) n. 648/2012 non fosse da altri violato”.

6. L’accertata parziale fondatezza dell’appello nei sensi e limiti appena precisati non esime dallo scrutinio delle altre censure dedotte a mezzo dell’atto di gravame nella misura in cui le stesse si riferiscono alla parte del provvedimento sanzionatorio che riposa sulla violazione degli artt. 3, comma 4, e 4, commi 4 e 5, del D.M. 166/2014.

6.1 In particolare, con il quarto motivo di appello si censura la sentenza appellata nella parte in cui essa ha ritenuto non condivisibili le doglianze formulate in primo grado dagli odierni appellanti in relazione alla mancanza dell’elemento soggettivo della colpa nell’omessa vigilanza del -OMISSIS- sulle operazioni compiute dal C.d.A. in forza del numero e dell’importanza degli avvisi e dei pareri espressi da enti esterni ed organi interni del Fondo, tutti ben lontani anche solo dall’ipotizzare una natura di strumenti derivati dei titoli in questione e per il carattere problematico di tale qualificazione.

Più segnatamente, il T.A.R. avrebbe errato nell’affermare in maniera assoluta e apodittica che la colpa nelle sanzioni amministrative è sempre presunta. Parte appellante osserva, sul punto, che la presunzione operante in materia sarebbe, ad avviso della stessa giurisprudenza amministrativa, solo relativa e che già nel corso del giudizio di primo grado sarebbe fornita idonea prova contraria a smentirla.

Nel dettaglio di deduce che la stessa C.O.V.I.P. avrebbe indotto in errore con propri atti generali e specifici (la citata circolare del 10.12.2003, n. 5178 ed il “Manuale di segnalazione COVIP”) i Sindaci sulla qualificazione sui titoli acquisiti dal Fondo.

I Sindaci sarebbero stati tratti in errore anche da soggetti intervenuti a vario titolo nel procedimento di acquisizione dei titoli la cui attività risultava dal fascicolo istruttorio per l'acquisizione dei titoli. Nel dettaglio si rileva che:

- l'acquisizione dei titoli è avvenuta con l'ausilio di un Advisor accreditato in materia finanziaria – Prometeia Advisor Sim S.p.A. – il quale ha riconosciuto natura obbligazionaria e non derivata ai titoli de quo;

- la banca depositaria del Fondo, la Societé Generale (Securitis Services), ha esaminato i titoli senza sollevare obiezioni almeno sulla loro natura di titoli obbligazionari strutturati e anzi ne ha riconosciuto la piena e sicura compatibilità con quanto previsto in merito agli strumenti finanziari acquisibili dal Fondo pensioni;

- i titoli sono stati esaminati anche da un esperto consulente fiscale il quale, nell'esaminarne i possibili profili fiscali dei titoli non ne ha individuato la contestata natura di strumenti derivati, ma, anzi, ne ha individuato le possibili conseguenze fiscali sul presupposto che si trattasse, come si tratta, di titoli obbligazionari.

6.2 Sotto altro profilo si censura la sentenza nella parte in cui la stessa ha affermato la legittimità dell’applicazione cumulative delle tre sanzioni irrogate, nel caso di specie, agli appellanti.

Parte appellante sostiene che non di tre illeciti diversi, ma di un unico illecito si tratterebbe: il non essersi accorti che il Fondo stava acquistando non delle obbligazioni strutturate bensì dei derivati.

6.3 In ultimo, si censura la sentenza appellata nella parte in cui la stessa ha ritenuto congruo il quantum delle sanzioni atteso che esso andrebbe commisurato anche ad un preteso pubblico interesse.

Evidenzia per contro parte appellante che il quantum delle sanzioni amministrative, come di qualunque altra sanzione parapenale, andrebbe commisurato non ad un generico pubblico interesse del quale non si riesce a definire la misura, quanto piuttosto alla gravità del comportamento illecito. Nel caso di specie la gravità del comportamento non potrebbe, peraltro, che considerarsi minimale sia per l'assoluta novità dell'individuazione dell'ipotesi di illecito, sia per il carattere omissivo del comportamento dei Sindaci stessi con la conseguenza che le tre sanzioni avrebbero dovuto essere rapportate al minimo edittale previsto nella misura di € 500.

7. Le suddette censure non sono fondate.

Anzitutto, per ciò che attiene al lamentato difetto dell’elemento psicologico, preme, in generale, ribadire che sugli organi di gestione e vigilanza dei fondi di investimento (e, in particolare, di quelli a carattere previdenziale) grava un obbligo di diligenza qualificato che discende dal combinato disposto degli artt. 2380-bis cc. (per gli amministratori), 2396 c.c. (per i direttori generali) e 2397 comma 2, 2403 e 2407 c.c. (per i sindaci). Esso si lega non solo al carattere professionale ed apicale degli incarichi (come declinazione specifica della regola generale di cui all’art. 1176 comma 2 cc.) ma soprattutto alle specifiche esigenze di tutela del risparmio e delle aspettative degli investitori.

Ciò vale a fondare, come condivisibilmente affermato dal giudice di prime cure, una presunzione semplice iuris tantum di colpa a carico degli autori della violazione.

Ebbene, ad avviso del Collegio, nel caso che occupa, detta presunzione non può ritenersi superata per effetto delle deduzioni di parte appellante.

Proprio la diligenza qualificata richiesta agli organi di gestione e controllo imponeva un’estrema prudenza nel compimento di operazioni di investimento delle risorse del fondo che avrebbe dovuto suggerire di recedere dall’operazione a fronte anche del minimo dubbio in ordine alla riconducibilità dello strumento nella categoria dei derivati. Ciò a fortiori se si considera che, secondo il complessivo impianto della disciplina di settore, deve ritenersi tendenzialmente vietato l’acquisto da parte di fondi previdenziali di strumenti che non garantiscono l’integrale rimborso del capitale in quanto essi mettono, in ultima analisi, a rischio il montante contributivo (e, quindi, l’accesso finale alla prestazione complementare per il beneficiario).

In questo senso non può ritenersi che gli approfondimenti effettuati in via istruttoria prima di procedere alla formale sottoscrizione degli strumenti valgano ad escludere la rimproverabilità per colpa (anche in vigilando ) di parte appellante. E, infatti, proprio l’avvertita necessità di compiere siffatti plurimi approfondimenti a fronte della controversa natura del prodotto e, soprattutto, la rischiosità dello stesso avrebbe suggerito, per prudenza, di non procedere all’acquisto (operazione peraltro non necessaria ed imprescindibile nell’ottica di gestione del fondo).

7.1 La rilevata illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato nella parte in cui lo stesso ha irrogato nei confronti degli appellanti “euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per non aver vigilato, in conformità ai doveri inerenti al suo ufficio, affinché l'art. 9 del Regolamento (UE) n. 648/2012 non fosse da altri violato;
euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per non aver vigilato, in conformità ai doveri inerenti al «loro» ufficio, affinché l'art. 11 del Regolamento (UE) n. 648/2012 non fosse da altri violato” ed il suo conseguente annullamento in parte qua consente, poi, di ritenere superato il profilo di doglianza relativo alla cumulabilità delle sanzioni.

7.2 In ogni caso, gli illeciti contestati agli appellanti appaiono tra loro distinti per titolo (essendo sanzionati da previsioni diverse del D.M. n. 166/2014) e per bene giuridico offeso, sicché non ricorre alcun bis in idem sostanziale.

Inoltre, l’Autorità risulta aver fatto buon governo dei principi generali di cui alla l. n. 689 del 1981 in tema di concorso di illeciti applicando il cumulo giuridico alle violazioni di cui agli artt. 3, comma 4 e dell'art. 4, commi 4 e 5, del D.M. n. 166/2014 in quanto realizzate ex art. 8, comma 1, con un'unica azione.

L’ammontare della sanzione in concreto irrogata per le violazioni di cui agli artt. 3, comma 4 e dell'art. 4, commi 4 e 5, del D.M. n. 166/2014 appare, peraltro, equilibrato e ragionevole atteso che si colloca ampiamente sotto la soglia della metà della cornice edittale e si confronta con condotte illecite di una certa gravità in ragione della natura previdenziale del fondo, del valore monetario delle operazioni e, in ultimo, dell’altissimo livello di diligenza richiesto per il compimento delle stesse.

Deve aggiungersi che risulta corretta, in questa ottica, la scelta del giudice di prime cure di fare riferimento nella sentenza impugnata all’interesse pubblico sotteso alla vicenda (alla sicurezza sociale ed alla conservazione del montante contributivo), posto che detto parametro restituisce il reale disvalore del fatto e, come tale, è certamente impiegabile in sede di dosimetria della sanzione.

8. In conclusione l’appello è, in parte, fondato, nei sensi sopra precisati, limitatamente al suo secondo motivo. Per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, va accolto in parte il ricorso di primo grado e disposto l’annullamento dell’impugnata delibera C.O.V.I.P. del 21 giugno 2017 n. prot. 3264 nella sola parte in cui la stessa ha irrogato nei confronti degli appellanti “euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per non aver vigilato, in conformità ai doveri inerenti al suo ufficio, affinché l'art. 9 del Regolamento (UE) n. 648/2012 non fosse da altri violato;
euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per non aver vigilato, in conformità ai doveri inerenti al «loro» ufficio, affinché l'art. 11 del Regolamento (UE) n. 648/2012 non fosse da altri violato”.

9. Sussistono nondimeno, anche alla luce della novità e complessità delle questioni affrontate e della reciproca soccombenza, giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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