Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-04-02, n. 201902169
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Pubblicato il 02/04/2019
N. 02169/2019REG.PROV.COLL.
N. 05131/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5131 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Arcangelo D'Avino, Paolo D'Avino, con domicilio eletto presso lo studio Alberto D'Auria in Roma, via Calcutta, 45;
contro
Ministero della Giustizia, Comitato di Verifica per Le Cause di Servizio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 00829/2013, resa tra le parti, concernente diniego riconoscimento di infermita' come dipendente da causa di servizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di Comitato di Verifica per Le Cause di Servizio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2019 il Cons. A A e uditi per le parti gli avvocati Arcangelo D'Avino e l'Avvocato dello Stato Angelo Venturini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’odierno appellante, arruolato nel Corpo di Polizia penitenziaria dal 1982, ha svolto servizio continuativo di -OMISSIS- ( 1982-1996), di -OMISSIS-( 1996-1998) nonché poi di -OMISSIS-.
Nel 2005 la CMO di Napoli ha riconosciuto la dipendenza da causa di servizio delle infermità dalle quali il dipendente è risultato affetto ( -OMISSIS-).).
Il predetto ha presentato quindi richiesta di liquidazione dell’equo indennizzo che l’Amministrazione ha sottoposto al Comitato di Verifica il quale, con parere in data 24.6.2006 , si è però espresso negativamente.
A giudizio del Comitato entrambe le infermità devono infatti farsi risalire a fattori costituzionali o acquisiti su base individuale secondo abitudini e stili di vita (obesità, fumo, alcool, abitudini alimentari).
Per conseguenza l’Amministrazione, con provvedimento in data 1912.2006 ha negato la concessione del beneficio.
L’interessato ha quindi impugnato tale provvedimento negativo avanti al TAR Napoli il quale con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto il ricorso.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dal soccombente il quale ne ha chiesto l’integrale riforma, deducendo articolati motivi di impugnazione.
L’Amministrazione si è costituita in resistenza.
L’appellante ha depositato memoria, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.
All’udienza del 28 marzo 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione
L’appello non è fondato e va pertanto respinto, con conferma della sentenza gravata.
Osserva, infatti, il Collegio che, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio medesimo non ravvisa ragioni per discostarsi, l'ordinamento, con riguardo al procedimento di concessione dell'equo indennizzo, non mette a disposizione dell'Amministrazione una serie di pareri pariordinati resi da organi consultivi diversi e dotati di identica competenza, ma affida al C.P.P.O ( ora Comitato di Verifica) il compito di esprimere un giudizio conclusivo, anche sulla base di quello reso dalla C.M.O. (Commissione medico ospedaliera). Pertanto, il parere del C.P.P.O., in quanto momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi, si impone all'Amministrazione. Tale orientamento si è affermato a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 5 bis, d.l. n. 387 del 1987, convertito con modificazioni dalla legge n. 472 del 1987, consentendosi per tale via all'Amministrazione di conformarsi al giudizio del C.P.P.O. e di giungere a determinazioni contrastanti con altre precedentemente espresse, le quali non hanno carattere di irretrattabilità né di definitività nell'ambito della sequenza procedimentale volta alla concessione dell'equo indennizzo" (ex multis Cons. di Stato, Sez. VI, 23 settembre 2009, n. 5664).
L'Amministrazione, dunque, ha operato correttamente adeguandosi al parere negativo espresso dal Comitato, che costituiva un momento di sintesi e superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi.
A quanto precede va, peraltro, aggiunto che l'esistenza di precedenti pareri tecnici di segno opposto non poteva in ogni caso comportare l'insorgere, in capo all'Amministrazione, di uno specifico obbligo motivazionale sul punto.
In altri termini, diversamente da come sostiene l’interessato, l’esistenza di un parere favorevole – reso dalla CMO nella fase anteriore del procedimento – non onerava il Comitato di specifici obblighi motivazionali, né – soprattutto – può costituire indice di inaffidabilità del giudizio conclusivo formulato dall’Organo effettivamente competente.
Infatti, come già rilevato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in sede di liquidazione dell'equo indennizzo l'Amministrazione è tenuta a recepire e far proprio il parere del C.P.P.O., unico organo consultivo al quale, nel procedimento preordinato alla verifica dei presupposti per la liquidazione dell'equo indennizzo, spetta il compito di esprimere il giudizio finale sul nesso eziologico (professionale o non) dell'infermità sofferta dal pubblico dipendente. Conseguenza della particolare efficacia del parere - obbligatorio - espresso da tale organo è la sua idoneità, ove non vi siano elementi comprovanti la sua inattendibilità, a fungere da unica motivazione per il provvedimento finale, mentre solo nel caso in cui l'Amministrazione ritenga di non potervi aderire sorge un obbligo specifico di motivazione in capo alla stessa. (Cons. di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2010, n. 378).
Sotto altro profilo deve, peraltro, rilevarsi che non risulta viziato neanche il parere espresso dal Comitato.
Tale parere, infatti, consiste in un atto connotato da discrezionalità tecnica, fondato su nozioni scientifiche e su dati di esperienza tecnico discrezionale, con la conseguenza che il medesimo è insindacabile, salve le ipotesi di irragionevolezza manifesta, palese travisamento dei fatti, omessa considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale, nonché di non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito. (Cons. di Stato, Sez. IV, 15 maggio 2008, n. 2243).
Come correttamente osserva l’appellante ciò non vuol dire che i giudizi del Comitato ( ed in genere i giudizi amministrativi connotati da discrezionalità tecnica) siano sindacabili solo mediante un mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'Autorità amministrativa: è infatti ormai acquisito che il Giudice può procedere – valendosi se del caso di apposita consulenza tecnica - anche alla verifica intrinseca dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo.
Ciò premesso, alla luce delle censure dedotte nel ricorso di prime cure e qui riproposte non sembra però al Collegio che il ricorrente sia pervenuto a contrastare adeguatamente l’attendibilità del giudizio tecnico formulato dal Comitato.
Infatti, nel caso di specie, il parere reso dal Comitato non risulta affetto da nessuno dei succitati vizi, essendo al contrario sorretto da una esauriente, sebbene sintetica, indicazione delle ragioni per le quali le infermità sofferte dall'appellante non potevano ritenersi dipendenti da causa di servizio.
In altri termini, il Comitato ha ritenuto impossibile ricondurre tali infermità all'attività lavorativa svolta dall’assistente, ritenendo che le stesse derivino invece da fattori genetici ereditari o da predisposizione costituzionale nonché soprattutto dal possibile influsso negativo di determinate abitudini di vita ( tabagismo, obesità, eccessivo consumo di sodio).
A fronte di tali risultanze, oppone l’appellante che le suddette infermità derivano invece, almeno in via concausale, dallo stress affrontato in servizio.
Tale impostazione non può essere condivisa in quanto, dalla documentazione istruttoria contenuta nel fascicolo di causa, si evince come l’assistente abbia prestato, nel tempo, un servizio analogo a quello di ogni appartenente al Corpo e quindi non caratterizzato da stress e strapazzi specifici o da eventi individuati occorsi in servizio, tali da poter assurgere a causa ( o almeno concausa ) delle infermità riscontrate.
E’ noto, certamente, che le mansioni espletate dagli appartenenti alla Polizia Penitenziaria sono particolarmente gravose e si svolgono anche all’esterno, con esposizione a fattori atmosferici inclementi, e soprattutto in contesti di grave tensione: ma, in difetto di riferimenti a particolari eventi e considerata l’età del dipendente all’epoca dei fatti in controversia, non ci sono elementi per sostenere che le patologie da lui sofferte fossero effettivamente riconoscibili come dipendenti o, almeno, per infirmare la attendibilità dell’opposto parere del Comitato.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va dunque respinto.
Le spese di questo grado del giudizio vanno compensate, avuto riguardo alle peculiarità della controversia.