Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-04-13, n. 202303730

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-04-13, n. 202303730
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202303730
Data del deposito : 13 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/04/2023

N. 03730/2023REG.PROV.COLL.

N. 06351/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6351 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avocato A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Ministero dell’Interno e la Questura di Brescia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza, resa in forma semplificata, del Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. II, n. -OMISSIS-, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il decreto della Questura di Brescia, che ha dichiarato inammissibile l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione del Ministero dell’Interno e della Questura di Brescia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data 19 novembre 2019 il Questore di Brescia ha dichiarato inammissibile l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, presentata dal cittadino cinese -OMISSIS-.

Il provvedimento ha tratto fondamento dalla circostanza che l’interessato fosse già destinatario di provvedimento di diniego dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno UE e di rinnovo del permesso di soggiorno, emesso dal Questore di Brescia in data 30 agosto 2018;
che tale diniego è stato adottato in quanto lo straniero è persona socialmente pericolosa e che a suo carico sussistono precedenti penali per reati di rapina e stupefacenti, ostativi al mantenimento del titolo di soggiorno;
che in data 11 settembre 2018, con sentenza della Corte di Appello di Milano, irrevocabile il 12 settembre 2019, lo straniero è stato condannato per il reato di detenzione e cessione illecita di sostanze stupefacenti, ex art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione e 14.000,00€ di multa, oltre a pene accessorie.

2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, lo straniero ha impugnato tale provvedimento, deducendone l’illegittimità atteso che lo stesso sarebbe fondato unicamente sulla condanna per un reato ostativo senza alcuno specifico giudizio di pericolosità sociale e senza tener conto dei legami familiari, della situazione lavorativa e del percorso riabilitativo intrapreso e, dunque, in assenza di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra gli interessi in gioco.

3. Con sentenza, resa in forma semplificata, n. -OMISSIS- il Tar Brescia ha respinto il ricorso, ritenendo che il giudizio di pericolosità formulato dall’amministrazione fosse stato ragionevolmente basato su una serie di condotte penalmente rilevati e denotanti un profilo criminale strutturato.

4. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 15 luglio 2022 e depositato il successivo 29 luglio, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.

5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Questura di Brescia senza espletare difese scritte.

6. Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS- è stata respinta l’istanza di misure cautelari.

7. Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, oggetto della controversia è il provvedimento del Questore di Milano, che ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, presentata dal cittadino cinese, in considerazione, tra l’altro, della circostanza che lo straniero è stato condannato in data 11 settembre 2018, con sentenza della Corte di Appello di Milano, irrevocabile il 12 settembre 2019, per il reato di detenzione e cessione illecita di sostanze stupefacenti, ex art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione e 14.000,00€ di multa, oltre a pene accessorie.

L’appello è infondato.

Viene in rilievo il combinato disposto degli artt. 4 e 5, del d.lgs. n. 286 del 1998.

L’art. 4, comma 3, come modificato dall’art. 4, comma 1, lettera b), l. 30 luglio 2002, n. 189 stabilisce che non è ammesso in Italia lo straniero: “...che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (...) o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380 commi 1 e 2 del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti (...)”;
l’art. 5, comma 5, dello stesso decreto prevede che “il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.

In merito alla legittimità del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per la pregressa condanna per reati ostativi – quali sono quelle che hanno raggiunto l’appellante – la giurisprudenza è consolidata (cfr., tra le tante, Cons. St., sez. III, 26 giugno 2015, n. 3210) e la norma del T.U. sull’immigrazione ha superato il vaglio di legittimità costituzionale in quanto la valutazione sulla pericolosità sociale è stata eseguita “a monte” dallo stesso legislatore: ne consegue che nelle ipotesi tipizzate non è necessaria alcuna autonoma valutazione da parte del Questore sulla pericolosità sociale del cittadino straniero.

Solo se sussistono vincoli familiari, il Questore deve operare il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla vita familiare del cittadino straniero, ai sensi dell’art. 5, comma 5, ultimo periodo, d.lgs. n. 286 del 1998. Invero, nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, del familiare ricongiunto, ovvero dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato (sul punto, Corte cost. n. 202 del 2013), “si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.

La Corte costituzionale nella citata sentenza ha chiarito che il superamento dell’automatismo espulsivo e la conseguente necessità di valutare la pericolosità dello straniero – che l’art. 5, comma 5, d.lgs. 286 del 1998 richiede per chi abbia ottenuto un formale provvedimento di ricongiungimento familiare – può estendersi, pena l’irragionevole disparità di trattamento, solo a “chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso” e non anche in favore di altri soggetti legati da vincoli familiari che non danno titolo al detto ricongiungimento (Cons. St., sez. III, 28 luglio 2020, n. 4797).

Applicando tali coordinate ermeneutiche nel caso all’esame, risulta dirimente la circostanza che lo straniero sia stato condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, il quale rientra tra i reati ostativi all’ammissione di uno straniero in Italia e alla regolarizzazione della sua posizione.

Trattandosi di una condanna ostativa alla permanenza dello straniero nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 4, comma 3, del T.U. immigrazione non era necessario effettuare alcuna valutazione ulteriore rispetto alla pericolosità sociale dello straniero, avendo il legislatore già operato in via preliminare una valutazione presuntiva, in relazione alla tipologia di reato e all’oggetto della tutela penale.

Inoltre, correttamente la Questura non ha dato rilevanza al nucleo familiare d’origine dello straniero.

Invero, giova ricordare che l’art. 29, comma 1, T.U. immigrazione, che enuclea i soggetti che compongono il nucleo familiare rilevante, prevede il ricongiungimento con i genitori solo se (lett. d) questi sono “a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute”. Tali circostanze non risultano documentate nel caso di specie, non essendo dimostrato che, a tale epoca, la madre – non ultrasessantacinquenne – fosse a carico dell’appellante.

Tanto basta per ritenere il provvedimento questorile supportato da sufficiente motivazione, senza che possa ritenersi dirimente lo svolgimento di regolare attività lavorativa.

Infine, non può influire sul giudizio espresso dalla Questura l’istanza di ammissione dello straniero al beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale, ex art. 47, l. n. 354 del 1975, atteso che la stessa risulta allo stato solo richiesta, ma non (ancora) concessa.

2. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto.

Le spese possono essere compensate stante l’assenza di difese scritte da parte delle amministrazioni appellate.

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