Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-10-20, n. 201604395

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-10-20, n. 201604395
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201604395
Data del deposito : 20 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/10/2016

N. 04395/2016REG.PROV.COLL.

N. 05147/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5147 del 2012, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G O (C.F. RLNGDU63M01B202P), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Cola di Rienzo, n. 69;

contro

La Questura di Treviso, in persona del Questore pro tempore , non costituito in giudizio;
il Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Veneto, Sezione III n. 492 del 2012, resa tra le parti, concernente il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2016 il pres. Luigi Maruotti e udito l’avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con decreto n. 143 dell’ 8 novembre 2011, il Questore di Treviso ha respinto l’istanza di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno presentata l’11 settembre 2008 dal signor -OMISSIS-.

Il diniego è stato emanato sul rilievo che a carico dell’istante erano state emesse condanne penali e che lo stesso era stato deferito per una serie di fatti costituenti reati.

Questi episodi, ad avviso del Questore, erano tali da poter affermare che il signor -OMISSIS- sarebbe una persona che vive abitualmente con i proventi di attività delittuose e, ai sensi dell’art. 1, l. n. 1423 del 1956, pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica.

2. Con il ricorso n. 116 del 2012, proposto al Tar Veneto, il signor -OMISSIS- ha impugnato tale diniego, chiedendone l’annullamento.

Il Tar, con la sentenza n. 492 del 12 aprile 2012, resa ai sensi dell’art. 60 c.p.a. a conclusione della camera di consiglio convocata per la delibazione della fase cautelare, ha respinto il ricorso ed ha compensato le spese di giudizio.

3. Con l’appello in esame, notificato l’11 giugno 2012 e depositato il successivo 11 luglio, il signor -OMISSIS- ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto, deducendo l’erroneità della sentenza, sia perché non sarebbe stato valutato che la quantità di droga (hashish) spacciata sarebbe stata di modesta entità, circostanza questa che assumerebbe rilevanza agli effetti della gravità della condotta, sia perché il mancato rinnovo del permesso di soggiorno comporterebbe il suo allontanamento dal nucleo familiare costituito dal padre, dalla madre e dalle tre sorelle, con il quale vive in -OMISSIS-.

Infine, del lungo elenco di reati che sarebbero stati da lui commessi e che il Questore di Treviso riporta nell’impugnato decreto, per motivare il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, solo tre sono stati effettivamente accertati, e cioè lo spaccio, in modica quantità, di sostanze stupefacenti, il furto di un paio di occhiali da sole e il danneggiamento di un edificio.

4. Si sono costituiti il giudizio la Questura di Treviso ed il Ministero del’interno.

5. Con ordinanza n. 2959 del 27 luglio 2012, è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata, con compensazione delle spese, in considerazione delle condanne penali riportate dall’interessato e delle altre segnalazioni di polizia indicate nel provvedimento impugnato.

6. Alla pubblica udienza del 13 ottobre 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione.

7. Ritiene la Sezione che l’appello è infondato.

Non risultano fondati, alla luce dei principi enunciati dalla Sezione in materia, il primo ed il terzo motivo, che per ragioni di ordine logico possono essere esaminati congiuntamente.

E’ stato da ultimo rilevato dalla Sezione (sentenza 30 maggio 2016, n. 2251) che le condanne dell’extracomunitario in materia di stupefacenti sono automaticamente ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, qualunque sia la pena detentiva riportata, non rilevando la concessione della sospensione condizionale, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 4, comma 3, t.u. 25 luglio 1998, n. 286, e ciò per il grave disvalore che il legislatore attribuisce ai reati in questione ai fini della tutela della sicurezza pubblica (Cons. St., sez. III, 26 febbraio 2016, n. 797;
10 aprile 2015, n. 1841;
24 febbraio 2015, n. 919).

In altre parole, in presenza di siffatte condanne non residua alcuna sfera di discrezionalità in capo all’Amministrazione, che è obbligata a dare immediata applicazione al disposto normativo (Cons. St., sez. III, 1° agosto 2014, n. 4087).

Nella specie l’appellante ha subito tre condanne penali tra le quali una, divenuta irrevocabile, per spaccio di droga (hashish), a dieci mesi di reclusione e al pagamento della multa di € 3.000,00.

Tale condanna è quindi da sola ostativa al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, con la conseguenza che diventa irrilevante accertare l’eventuale erroneità della sentenza appellata che ha richiamato anche altre questioni, di rilevanza penale, che avrebbero coinvolto il signor -OMISSIS-.

Non rileva nella specie il principio secondo cui l'automatismo delle cause ostative viene peraltro meno e dà luogo, al suo posto, ad una valutazione discrezionale quando ricorrono gli speciali presupposti indicati dalla nuova formulazione dell'art. 5, comma 5, del citato testo unico, come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, come ulteriormente inciso dal dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale 18 luglio 2013, n. 202.

Tale comma prevede infatti che « nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale ».

Nel caso all’esame del Collegio, il richiamo, fatto peraltro solo in appello, al nucleo familiare costituito dal padre, dalla madre e da tre sorelle non può giustificare la necessaria valutazione discrezionale dell’amministrazione ed il bilanciamento degli interessi, a tutela dell’interesse della famiglia, non rientrando nessuno di questi tra i soggetti che compongono il nucleo familiare rilevante ex art. 29, comma 1, del t.u. immigrazione.

Quanto alla circostanza che il Magistrato di Sorveglianza di Venezia in data 21 dicembre 2011 ha disposto per l’appellante l’applicazione della misura dell’esecuzione presso il domicilio, anche se è l'Amministrazione deve tenere conto delle situazioni sopravvenute, si deve osservare che tale regola riguarda i fatti e le circostanze accertati fino al momento di adozione del provvedimento impugnato.

Qualora invece siano sopravvenute rispetto al provvedimento stesso (o non siano stati comunque introdotti opportunamente in corso di procedimento), tali circostanze non incidono sulla legittimità dell’atto (Cons. St., sez. III, 25 gennaio 2016, n. 244).

La decisione del Magistrato di Sorveglianza (del 21 dicembre 2011) non poteva dunque essere valutata dal Questore di Treviso nel decreto emesso l’8 novembre 2011.

9. Per le ragioni sopra esposte l’appello, deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese del secondo grado di giudizio, secondo la regola della soccombenza, vanno poste a carico della parte appellante e si liquidano come da dispositivo.

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