Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-03-24, n. 202002061

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-03-24, n. 202002061
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002061
Data del deposito : 24 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/03/2020

N. 02061/2020REG.PROV.COLL.

N. 00705/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 705 del 2014, proposto da
Enel Produzione s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato S G, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Barberini, n. 12;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Comune di Cavriglia non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 860/2013.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il Cons. G L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - Con il decreto del 21 dicembre 2010, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali dichiarava di rilevante e particolare interesse, ai sensi dell’art.10, comma 3, del D. Lgs. n. 42 del 2004, due torri di raffreddamento e due strutture destinate ad uso tecnologico, uffici e servizi della centrale termoelettrica sita nel Comune di Cavriglia, località S. Barbara, di proprietà di Enel Produzioni s.p.a. (individuate catastalmente al foglio 10, particella 32).

2 – La società impugnava il suddetto decreto, censurandolo per violazione dell’art.1 del D.L. n. 7 del 2002, degli artt.14, 14 bis , 14 ter , 14 quater della l. 241 del 1990, dell’art.14 del D. Lgs. n. 42 del 2004, dei principi del giusto procedimento, della proporzionalità e del buon andamento, nonché per eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà dell’azione, del difetto del presupposto, del travisamento dei fatti, della carenza di istruttoria e di motivazione (ricorso n. 739/2011).

3 – Per gli stessi motivi, Enel Produzione impugnava anche l’atto del 3 ottobre 2011 di rigetto del ricorso gerarchico avverso il predetto decreto (ricorso n. 2323/2011).

4 – Il T.A.R. per la Toscana, previa riunione dei ricorsi, li ha rigettati con la sentenza n. 860 del 2013.

5 – L’appello avverso tale sentenza è infondato, non essendo idoneo a superate le valutazione del giudice di primo grado, indipendentemente dal contenuto della memoria depositata dall’amministrazione in data 18 febbraio 2020 di cui si contesta l’ammissibilità.

Con il primo motivo si deduce l’erroneità della sentenza per violazione della normativa speciale sul procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica prevista per la realizzazione o modificazione degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici.

Secondo l’appellante: il Ministero per i Beni e le Attività Culturali avrebbe tenuto un comportamento in contrasto con la disciplina di cui al d. l. n. 7/2002, convertito dalla l. n. 55/2002, in base al quale tutte le amministrazioni devono esprimere il proprio consenso o dissenso all’opera nella sede della conferenza di servizi a tal fine convocata ai sensi dell’art. 1 del d. l. n. 7/2002, e soltanto in tale occasione;
le ristrutturazioni della centrale di Santa Barbara sarebbero sempre state approvate dalle amministrazioni competenti, senza che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali avesse mai accennato alla presenza di manufatti di interesse culturale da vincolare sotto il profilo del valore archeologico-industriale.

In particolare, l’appellante rileva che, in occasione della conferenza di servizi convocata per esprimere il parere di compatibilità ambientale sul progetto di trasformazione in ciclo combinato delle sezioni a vapore della centrale, conclusasi con il decreto del Ministro dell’Ambiente del 18 marzo 1998, di concerto con il Ministro dei Beni Culturali, quest’ultimo non avrebbe evidenziato la presenza di alcun manufatto di interesse culturale;
come pure nella conferenza di servizi, convocata ai sensi dell’art. 1 del decreto legge n. 7/2002, ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica per le modifiche alla centrale, assentite con il decreto del Ministero delle Attività Produttive dell’1l novembre 2004 n. 2457.

Alla luce di tali evenienze, l’appellante prospetta che il potere del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di apporre il vincolo doveva ritenersi oramai esaurito, non essendo stato esercitato nella sede a ciò deputata, e cioè le conferenze di servizi convocate per l’approvazione dei progetti di modifica della centrale termoelettrica di Santa Barbara.

6 - La censura è infondata.

Non è in discussione che in seno alla conferenza di servizi ciascun ente deve esprimere la propria posizione per i profili di propria competenza, tuttavia, nel caso di specie, non può ravvisarsi la dedotta omessa pronuncia da parte del Ministero per i Beni Culturali sull’interesse culturale delle torri di raffreddamento nelle conferenze di servizi convocate ai sensi dell'art. 1 del d. l. n. 7/2002, dal momento che la compatibilità ambientale dell’intervento nelle sue caratteristiche esecutive era stata esplicitamente demandata ad una seconda ulteriore interlocuzione.

Invero, nel decreto del 18 marzo 1998, richiamato dall’appellante e relativo al piano di dismissione degli impianti esistenti, tra l’altro, si prescriveva all’ENEL di “ trasmettere al Ministero dell’Ambiente, al Ministero dei beni culturali ed ambientali e alla Regione Toscana e agli enti locali un piano operativo che preveda i tempi e le modalità per effettuare tali operazioni ”.

Queste prescrizioni venivano reiterate con provvedimento del 12 agosto 2004.

E’ la stessa società a confermare che l’intento di demolizione delle Torri di raffreddamento è stato esplicitato solo successivamente, con la nota dell’8 febbraio 2007. Ne consegue che non è in alcun modo ravvisabile la dedotta condotta contraddittoria da parte dell’amministrazione;
né questa, stante anche gli esiti delle conferenze di servizi, in ragione delle specifiche prescrizioni al riguardo, può dirsi decaduta dal potere che gli è proprio.

6.1 - Quanto al supposto errore in cui sarebbe incorso il T.A.R., deve osservarsi che la volontà di demolire le due torri si è resta effettiva con la successiva nota del 9 marzo 2010, correttamente valorizzata dal Giudice di primo grado, in quanto la società, con tale atto, ha comunicato l’intenzione di anticipare la demolizione di una delle due torri di refrigerazione (inserendo l’intervento all’interno del piano di dismissione degli impianti esistenti, da attuare entro 5 anni dall’inizio dell’esercizio commerciale del nuovo impianto) e non più soltanto all’interno del piano di dismissione del nuovo impianto (da mettere a punto tre anni prima della cessazione delle attività).

Non appare pertanto censurabile la condotta del Ministero che, solo allorché ha avuto contezza del progetto esecutivo, e quindi della sorte delle torri, anche in ragione della ridotta tempistica di intervento rispetto a quanto originariamente prospettato, si è determinato ad aprire l’istruttoria, poi sfociata nel provvedimento impugnato.

7 - Con il secondo motivo di appello, si deduce l’erroneità della sentenza in ordine alla presenza dei presupposti, alla sufficienza dell’istruttoria, del contraddittorio e all’adeguatezza della motivazione dei provvedimenti impugnati.

A tal fine l’appellante evidenzia i seguenti aspetti:

a) con riferimento alle due torri di raffreddamento, richiamando la relazione tecnica del proprio consulente, sostiene che le loro caratteristiche morfologiche si trovano in rapporto di diretta reciprocità rispetto al loro funzionamento, sicché se non servono al processo produttivo, la loro utilità è inesistente;

b) le torri non appartengono all’opera dell’ing. Morandi (all’ing. Morandi, infatti, appartengono il layout generale ed i progetti con cui sono stati realizzati gli altri edifici della centrale;
mentre per le torri, il Morandi aveva elaborato un progetto preliminare che però era stato abbandonato, lasciando il posto ad un progetto della Balcke AG di Bochurn (De). Anche la relazione di calcolo del progetto è la n. 569/1956 della Siderocemento (Mengoni) e riferita allo schema Balcke. Dal raffronto degli elaborati grafici di archivio dell’ing. Morandi e della Balcke emerge in maniera evidente come, a parte le dimensioni e la forma delle torri — dettate a priori come input di progetto dalle esigenze di funzionamento termodinamico, che appartenevano alla pratica dell’epoca - l’impostazione dei progetti non ha nulla in comune);

c) il MIBAC, nell’esaminare il ricorso amministrativo presentato dalla ricorrente, ammette espressamente (sostanzialmente contraddicendosi e dando ragione alla ricorrente) che “ anche se le due torri di raffreddamento, come evidenziato nel ricorso, non sono riconducibili direttamente al progetto esecutivo dell’ing. Morandi, rappresentano comunque elementi inscindibili e costitutivi del complesso industriale della centrale di Santa Barbara, per cui non avrebbe un senso logico il mantenimento del decreto di vincolo, se venissero sottratte dalla tutela le due torri ”;

d) gli immobili assoggettati a vincolo presentano notevoli problemi di compatibilità con l’apposizione del vincolo, dei quali il decreto non tiene conto. In particolare, la necessità di richiedere alla Soprintendenza una autorizzazione per ciascuno degli interventi di cui necessitano gli edifici, renderà estremamente difficoltosa la gestione degli impianti, compromettendone il corretto mantenimento in condizioni di efficienza;

e) sotto l’aspetto della durabilità, le strutture in cemento armato risalenti agli anni cinquanta del Novecento sono quelle che si sono rivelate le più carenti in assoluto;
le possibilità di consolidamento sono limitate al più ad un miglioramento, in caso di necessità funzionale delle strutture, per metterle in sicurezza, e prevedono sostanziali interventi di rinforzo, con costi elevatissimi ed un risultato finale che, comunque, necessariamente presenta marcate ed inevitabili differenze rispetto agli originali (già nel 2006 i lavori di consolidamento della torre Nord erano costati oltre sei milioni di curo).

7.1 – La censura, nelle sue plurime articolazioni, è infondata.

Come noto, la scelta di porre un vincolo esercitata dall’amministrazione costituisce espressione di discrezionalità tecnica, suscettibile di sindacato giurisdizionale di legittimità solo in ipotesi di illogicità manifesta, di difetto di motivazione, ovvero di conclamato errore di fatto ( ex multis Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2012, n.3893).

La relazione allegata al decreto di apposizione del vincolo spiega in modo approfondito le ragioni di interesse storico culturale della centrale e delle torri di raffreddamento che la caratterizzano (“ la prima centrale studiata da R M e la più grande attualmente funzionante in Italia ”).

In particolare, quanto alle torri, la relazioni si esprime nel senso che “ nel composito paesaggio della zona tali enormi emergenze si pongono come un imprescindibile segnale di forte caratterizzazione ”, spiegando tale assunto con una dettagliata descrizione del contesto nel quale si inseriscono le stesse, specificandone l’origine storica e le ragioni della misura di tutela, quale “ primo esempio di archeologia industriale ”.

7.2 – Risulta corretto il rilievo dell’appellante, secondo cui dalla lettura della relazione citata, non emerge affatto che le torri siano direttamente riconducibili all’opera del Morandi.

Tale aspetto non deve però essere enfatizzato al punto da ritenere che ciò infici l’attendibilità della valutazione effettuata dalla Sovrintendenza.

Infatti, nella relazione si dà conto degli studi del noto ingegnere in riferimento alla centrale complessivamente considerata nella quale si collocano le torri, che sono diventate elemento caratterizzante l’opera complessivamente intesa (“ La centrale di Santa Barbara è considerata uno dei punti più alti della composita attività progettuale di Morandi, uno tra i più significati dei suoi numerosi oggetti funzione ”).

Il contributo del Morandi all’opera appare quindi un elemento rilevante al fine di giustificare il più complessivo giudizio su cui si basa la determinazione finale di pregio dei fabbricati. Ed in questo senso devono evidentemente intendersi le considerazioni svolte dall’amministrazione nel provvedimento reso a seguito del ricorso gerarchico, che dunque non appare affatto contraddittorio rispetto all’originario decreto di apposizione del vincolo.

Del resto, seppur come detto la questione non appaia così dirimente, è la stessa appellante ad ammettere che “ per le torri, Morandi aveva bensì prodotto un progetto preliminare ma poi questo era stato abbandonato (…), lasciando il posto a un progetto standard della Balcke AG di Bochum…A parte le dimensioni e la forma della torre, dettate a priori come input di progetto dalle esigenze del funzionamento termodinamico, che appartenevano alla pratica dell’epoca, l’impostazione dei due progetti non ha nulla in comune ”, confermando come le torri si inseriscano nel progetto complessivo elaborato dal Morandi, del quale conservano forma e dimensioni, quali espressioni tipiche dell’epoca.

7.3 - Le ulteriori considerazioni dell’appellante si risolvono in una critica all’operato della Sovraintendenza che attengono al merito della valutazione e che, pertanto, non può essere sindacato da questo Giudice, il cui controllo, come già evidenziato, è limitato al vaglio di ragionevolezza e logicità della motivazione ( cfr . Cons. St., sez. VI, 28 dicembre 2015, n. 5844;
Cons. St., sez. VI, 28 ottobre 2015, n. 4925;
Cons. St., sez. VI, 04 giugno 2015, n. 2751).

Deve solo osservarsi che i rilievi di ordine pratico relative alla messa in sicurezza ed alla conservazione del bene, e il connesso impegno finanziario, costituiscono aspetti che ben possono essere presi in considerazione a valle dell’opposizione del vincolo, auspicandosi la piena collaborazione tra la proprietà e l’amministrazione al fine di trovare la soluzione che consenta il contemperamento dell’interesse fatto valore della società, con quello della collettività a preservare l’integrità di un bene testimonianza del recente passato industriale del nostro paese.

Tale assunto è confermato dal fatto che lo stesso D. Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (artt. 31, 35, 36, 37, 38) prevede la possibilità di accedere a contributi pubblici per la realizzazione di interventi di conservazione e restauro, nonché dalla possibilità di giovarsi di diverse forme di agevolazione fiscale legate al vincolo che grava sul bene (a mero titolo esemplificativo si vedano gli articoli: 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991 e 15, 147, 100 del TUIR).

8 – Alla luce di tali considerazioni deve essere rigettato anche il terzo motivo di appello con cui si deduce l’erroneità della sentenza con riferimento all’obbligo dell’amministrazione di tener conto degli interessi del privato proprietario nel provvedimento di apposizione del vincolo.

Al riguardo, dal punto di vista procedimentale, il giudice di prime cure ha correttamente osservato che la Soprintendenza ha ritualmente inoltrato all’interessata la comunicazione di avvio del procedimento del 6 luglio 2010, l’ha integrata, su impulso della Direzione Regionale del 1° ottobre 2010, con successiva nota del 21 ottobre 2010 ed ha fornito pronto riscontro alle osservazioni della Società con nota del 2 settembre 2010.

Non può dunque essere contestato il fatto che sia effettivamente intercorso un adeguato contraddittorio procedimentale tra le parti, con possibilità di esporre compiutamente le reciproche posizioni.

Giova inoltre ricordare che l’amministrazione non è tenuta a confutare in maniera analitica ogni singolo punto, ma si può limitare ad una replica che faccia intendere le motivazioni del mancato accoglimento delle osservazioni del privato ( ex multis , Cons. St., Sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3355).

9 – La censura è infondata anche nella sua declinazione più sostanziale, laddove deduce la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione di tener conto degli interessi privati nei provvedimenti di apposizione del vincolo.

Secondo l’appellante, ciò implicherebbe la necessità di un confronto, alla stregua del principio di proporzionalità, tra l’interesse alla tutela culturale del bene e quello legato alle esigenze della proprietà e della libertà di impresa.

Tali pur comprensibili rilievi, specie alla luce della peculiarità del caso in esame ed in considerazione dei non certo indifferenti oneri necessari al mantenimento del fabbricato in questione, si scontrano con l’attuale prospettiva impressa dal legislatore alla disciplina e tutela dei beni culturali.

9.1 – La questione sottesa a tale tematica implica la necessità di indagare la natura giuridica del potere esercitato dall’amministrazione in sede di imposizione del vincolo di tutela.

Invero, se questo si considera vincolato, o connotata solo da una discrezionalità tecnica, si riducono sensibilmente i margini per l’applicazione del principio di proporzionalità quale misura del potere esercitato dall’amministrazione e, parimenti, non è possibile introdurre elementi di valutazione esterni rispetto a quello prettamente collegato al pregio culturale dell’immobile.

La sistematica delle disposizioni normative del codice dei Beni culturali paiono orientate in tale direzione.

In base all’art. 2: “ sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà ”.

L’art. 13 – rubricato “Dichiarazione dell’interesse culturale” – prevede, tra l’altro, che: “ La dichiarazione accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell’interesse richiesto dall’articolo 10, comma 3”.

In forza di quest’ultima disposizione: “ Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;
c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
d-bis) le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione;
e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse
”.

Da tali disposizione, e dalla sistematica del Titolo I del D. lgs. 42/2004, non emerge alcuno spazio all’interno del quale, ai fini della dichiarazione del pregio culturale di un bene, affiorino anche gli interessi secondari del privato proprietario. Nella logica seguita dal legislatore, trattasi infatti di un procedimento volto all’accertamento (e si noti come il legislatore utilizzi proprio tale termine) di una qualità che il bene possiede e che non può certo venire meno in considerazione di eventuali interessi secondari riconducibili all’utilizzazione e agli oneri di conservazione del bene.

L’art. 14, relativo al procedimento di dichiarazione, pur contemplando un’ampia partecipazione del privato, conferma tale assunto.

9.2 – In sintonia con tale conclusione, l’orientamento della giurisprudenza dominante ritiene che, in questo ambito, l’attività dell’amministrazione assume sostanzialmente “ carattere ricognitivo e conoscitivo e non volitivo e decisionale, non implicando una scelta tra diverse soluzioni possibili per il perseguimento di un determinato interesse pubblico ”.

In altri termini, va qualificata “ non come esercizio di discrezionalità amministrativa, ma invece, come esercizio di discrezionalità tecnica in senso proprio…caratterizzata dal fatto che la scelta circa il comportamento da tenere o la linea da seguire per il raggiungimento degli interessi affidati all’amministrazione è stata a priori posta in essere direttamente dal legislatore in modo ovviamente vincolante, sicché all’amministrazione è rimessa esclusivamente la valutazione dei fatti posti dalla legge o presupposto dell’operare, alla stregua di regole tecniche tratte da settori specifici di conoscenza ” (Cons. St., sez. VI, 22 gennaio 2004, n. 161;
Cons. St., 24 marzo 2003, n. 1496).

Deve anche rilevarsi come gli assunti che precedono risultino coerenti con il principio desumibile dalla stessa giurisprudenza costituzionale, secondo cui l’atto che impone il vincolo (sia esso archeologico, artistico, storico, ambientale, paesistico) è rivolto a salvaguardare un’intera categoria di beni, sottoposti dalla legge ad un peculiare regime giuridico, per le loro predeterminate caratteristiche oggettive. L’imposizione di vincoli alla proprietà privata di tali beni è connaturata ai beni stessi, i quali vengono ad esistenza, per così dire, già limitati sul piano della loro possibile utilizzazione, tanto è vero che non si pone neppure un problema di indennizzo ( cfr . Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179;
cfr. anche parere del Cons. St., Adunanza generale 26 maggio 2011, n. 2102: “ quella di bene culturale costituisce una caratteristica intrinseca del bene stesso ”).

9.3 - Ne consegue che se il potere di individuazione dei beni di interesse storico-artistico è espressione di una mera discrezionalità tecnica, il relativo margine di apprezzamento è integralmente governato dalla sola applicazione di regole di giudizio tecnico, senza alcuno spazio entro il quale effettuare una ponderazione degli interessi confliggenti, tra cui quelli esterni riconducibili al proprietario del bene.

Posto che l’attività “riconoscitiva” e “ricognitiva” è espressione di discrezionalità tecnica, l’amministrazione non è quindi tenuta in sede di motivazione ad esternare i criteri di ponderazione degli interessi secondari coinvolti, i quali, per il modo in cui il legislatore ha regolato la fattispecie, risultano necessariamente soccombenti dinnanzi all’interesse pubblico-culturale perseguito ( cfr . Cons. St., sez. VI, 21 ottobre 2005, n. 5939).

In armonia con tale impostazione, come già ricordato, la giurisprudenza - che riconosce nell’imposizione di un vincolo storico-artistico l’esercizio di un potere di discrezionalità tecnica - ritiene per lo più insindacabile il giudizio operato dall’amministrazione, se non sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione ed in particolare per difetto o manifesta illogicità della motivazione o errore di fatto ( cfr . Cons. St., sez. IV, 22 giugno 2005, n. 3305;
Cons. St., sez. VI, 22 agosto 2006, n. 4923;
Cons. St., sez. IV, 9 febbraio 2006, n. 659).

10 – Sembra doveroso osservare che, pur non influendo sulla legittimità del provvedimento di vincolo, le esigenze del proprietario - quali quelle evidenziate da Enel nel presente giudizio, specie sotto il profilo della gestione del bene e degli oneri finanziari da ciò derivanti - in una visione attenta all’evoluzione della dialettica tra interesse privato ed interesse pubblico, non possono considerarsi irrilevanti rispetto al rapporto complessivamente considerato che viene ad istaurarsi tra amministrazione e privato.

Al riguardo, non può sottacersi che, in una prospettiva sovranazionale, il diritto di proprietà assume una consistenza rafforzata (art. 1 protocollo aggiuntivo alla CEDU) tale da implicare che limitazioni della proprietà privata dettate dal perseguimento dell’interesse della collettività - fuori dai casi di esproprio per i quali, in genere, deve essere contemplato un indennizzo in linea con il valore di mercato - non possono che essere attuate in conformità al principio proporzionalità fra interesse pubblico e sacrificio imposto al privato.

Secondo la Corte EDU, per valutare se le ingerenze nel godimento pacifico dei propri beni, siano legittime, occorre, tra l’altro, valutare la sussistenza di un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico perseguito e l’interesse individuale sacrificato, ravvisabile in presenza di una ragionevole proporzionalità tra l’obiettivo programmato e i mezzi utilizzati. Ne consegue che non è certamente possibile obliterare gli interessi del proprietario.

Tale confronto, pur non incidendo nella fase di apposizione del vincolo per le ragioni già esposte, deve invece poter rilevare a valle dello stesso – ad esempio nel momento in cui vengono effettuate le scelte relative agli specifici interventi di manutenzione, conservazione, valorizzazione e tutela concreta dell’immobile – ovvero, nella fase in cui, in forza del provvedimento formale di vincolo sul bene, le facoltà di godimento del proprietario vengono ed essere concretamente incise.

Ne è conferma il fatto, già evidenziato, che lo stesso legislatore, già all’interno del Codice dei Beni Culturali, contempla diverse forme agevolative in favore del proprietario per ovviare alle problematiche concrete derivanti dalla conservazione dell’immobile, specie sotto forma di contributi pubblici.

10.1 - In definitiva, un’impostazione attenta all’evoluzione in atto e costituzionalmente orientata, implica che nella fase a valle dell’apposizione del vincolo non possano essere trascurati gli altri interessi secondari, siano essi pubblici o privati, che interferiscono con la piena attuazione della tutela del bene culturale, che deve invece essere ragionevolmente garantita nel rispetto di essi e non assolutizzata.

E’ in questa “fase attuativa” che deve avvenire il confronto tra i diversi interessi secondo la logica del principio di proporzionalità, dovendo l’amministrazione valutare la compatibilità dell’attività del privato rispetto al valore culturale protetto dal vincolo, comparando quest’ultimi con tutti gli altri valori che entrano in gioco, non potendo invece limitarsi, in virtù di una concezione totalizzante dell’interesse pubblico primario, ad affermarne la rilevanza assoluta, paralizzando con ciò ogni altra attività e sacrificando ogni altro interesse.

In pratica, l’applicazione del canone di proporzionalità può anche implicare un parziale sacrificio dell’interesse pubblico primario per la parte non strettamente necessaria rispetto alla garanzia della tutela (propriamente intesa), in modo da consentire anche un risparmio di risorse, pubbliche e private, ed una ragionevole estrinsecazione (se del caso, ridotta) dell’attività privata e della libertà di impresa del proprietario del bene.

11 – In definitive, l’appello non deve trovare accoglimento,

Le spese di lite, stante l’effettiva sussistenza delle potenziali criticità nella gestione pratica del bene dedotte dall’appellante, possono essere compensate.

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