Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-02-01, n. 201900787
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Testo completo
Pubblicato il 01/02/2019
N. 00787/2019REG.PROV.COLL.
N. 02303/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2303 del 2012, proposto da
Federlab Italia, Federlab Calabria, Dott. Francesco De Pietro S.r.l., Lac Sas di Munno &C., Centro Diagnostico Salimbeni-Versace S.r.l., Ambulatorio di Fisiokinesiterapia Snc r.l. dott. Giov. Batt. Guido, Laboratorio Salus Ricerche Biomediche del dott.Gravina &C Snc, Centro Diagnostico S.Antonio S.r.l., Laboratorio Analisi Cliniche Tossicologiche dott. Borzi' Domenico e C. Sas, Laboratorio Analisi Cliniche Dott.Vincenzo Ricci &C. S.r.l., Laboratorio di Analisi Cliniche, Centro per la Cura delle Malattie Allergiche e Cardiopolmonari del dott. Roberto Marenda S.r.l., Laboratorio di Analisi Cliniche Biomedical Snc, dott.Marincolo Ireneo Liberato, Dott.ssa Rosa Schiavelli, Dott. Antonio Francesco Piro, Studio Dentistico dott.Claudia Biondi, Laboratorio di Analisi Salus, Studio Odontoiatrico dott.ssa Valeria Camera, Dott. Del Console Maria Vittoria, Medical Analisi Cliniche S.r.l., Laboratorio di Ricerche Cliniche dott. L.Leporace S.r.l., Biomedical S.r.l., Labogest S.r.l., Idim S.r.l., Centro Diagnostico S.Nilo S.r.l., Laboratorio Analisi Cliniche Perugini, Lab Monaco S.r.l., Studio Indagini Mediche e Forensi S.r.l., Lab S.r.l., Laboratorio Analisi Ematologico Sas - Dott.Ernesto Morrone di dott.dsa Paola Morrone &C., Salus Mangialavori S.r.l., Biodiagnostica, Laboratorio di Analisi Chimico-Cliniche Dott.Angelo Tomasso Sas, Laboratorio Analisi La Praevidentia del dott. D.Tropeano, rappresentati e difesi dall'avvocato A U M, con domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini 30;
contro
Regione Calabria, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato F T, con domicilio eletto presso l’avv. Graziano Pungi in Roma, via Sabotino, 12;
Ministero della Salute, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Commissario per l’attuazione del Piano di Rientro-Regione Calabria, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Asp Azienda Sanitaria Provinciale Cosenza, rappresentato e difeso dall'avvocato N G, con domicilio eletto presso lo studio Raffaello Misasi in Roma, corso d'Italia, 102;
Asp Azienda Sanitaria Provinciale Crotone, non costituita in giudizio
Laboratorio Analisi Cliniche e Radioimmunologiche Altomari S.r.l. non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. 1658/2011, resa tra le parti, concernente tetti di spesa per la specialistica ambulatoriale convenzionata esterna per l'anno 2010
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Calabria, del Ministero della Salute, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, del Commissario per l’attuazione del Piano di Rientro-Regione Calabria;della Azienda Sanitaria Provinciale Cosenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2018 il Cons. C A e uditi per le parti gli avvocati A A su delega di A U M, G N su delega dichiarata di F T, I B su delega di N G e l'Avvocato dello Stato I P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente appello è stata impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Calabria- Catanzaro n. 1658 del 28 dicembre 2011, che ha respinto il ricorso proposto avverso la delibera regionale n. 114 del 12 febbraio 2010 che, in esecuzione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, aveva stabilito i tetti di spesa per l’anno 2010, nonché i motivi aggiunti avverso la delibera della giunta regionale n. 489 del 2 luglio 2010 che ha in parte modificato la delibera 114 del 2010, confermando i tetti di spesa in difformità- secondo parte ricorrente- da un accordo con le associazioni di categoria per lo stanziamento di ulteriori fondi del 26 maggio 2010 e ha introdotto una clausola limitativa della tutela giurisdizionale per l’accreditamento.
Nel ricorso di primo grado, con cui erano state, altresì, impugnate le delibere di giunta regionale n. 845 del 16 dicembre, di approvazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario del servizio sanitario regionale della Calabria, e n. 908 del 23 dicembre 2009 di approvazione dell’Accordo con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Salute per il piano di rientro del servizio sanitario regionale della Calabria, erano state proposte le seguenti censure:
-violazione dei principi in materia di programmazione sanitaria per la mancata previa valutazione dei bisogni regionali;
-violazione dell’art. 1 comma 169 della legge n. 311 del 2004 per la mancata valutazione dei livelli essenziali di assistenza;
- violazione degli articoli 97 e 41 della Costituzione e 8 quinquies comma 1 lettera d) del d.lgs. n. 502 del 1992 per la mancanza di remunerazione per le prestazioni al di sopra dei tetti di spesa;
-violazione dell’art. 1 comma 173 della legge n. 311 del 2004, dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992;difetto di motivazione e di istruttoria per la mancata verifica della qualità, efficienza, appropriatezza nella erogazione delle prestazioni;
-violazione del giusto procedimento e dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990 per la mancata partecipazione delle associazioni di categoria;
-violazione dell’art. 8 quinquies del d.lgs. n. 229 del 1999, difetto di motivazione e di istruttoria, per la mancata valutazione delle esigenze sanitarie.
E’ stata indicata una domanda di risarcimento danni solo nell’epigrafe del ricorso.
Con i motivi aggiunti in primo grado è stata impugnata la delibera della giunta regionale n. 489 del 2 luglio 2010, che ha fissato i tetti di spesa introducendo ulteriori previsioni, tra cui una clausola limitativa della tutela giurisdizionale nello schema di contratto da sottoscrivere per l’accreditamento.
Avverso tale delibera sono state proposte le seguenti censure:
-violazione e falsa applicazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione, dell’art. 8 quinquies d.lgs. n. 502 del 1992, dei principi di buona fede per avere tale clausola imposto una limitazione alla tutela giurisdizionale;
-violazione dei principi di buona fede e affidamento in quanto la delibera non avrebbe rispettato l’accordo con le associazioni di categoria del 26 maggio 2010;
- la fissazione dei tetti di spesa senza il rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
-la violazione dell’art. 1 comma 796 della legge n. 296 del 2006 essendo illegittima l’applicazione dello sconto previsto da tale norma anche per l’anno 2010 e comunque essendo stato annullato il d.m. 12 settembre 2006;-
-la violazione del d.lgs. n. 502 del 1992, il difetto di istruttoria e di motivazione, la illogicità per avere previsto la riduzione della tariffa in relazione all’importo corrisposto direttamente dai pazienti con il ticket;
-la violazione del d.lgs. n. 502 del 1992;della legge n. 662 del 1996 e della legge n. 449 del 1997 per la parte della delibera con cui si prevede che i tetti di spesa siano comprensivi anche delle prestazioni rese ai pazienti residenti fuori dalla Regione Calabria.
Anche nei motivi aggiunti è stata indicata una domanda risarcitoria solo nella epigrafe dell’atto.
La sentenza di primo grado ha rigettato il ricorso e i motivi aggiunti, dichiarando inammissibili alcune censure per genericità (quella del mancato rispetto dei LEA e quella relativo alla mancata verifica della qualità, efficienza, appropriatezza nella erogazione delle prestazioni);ha respinto tutte le altre censure nel merito;ha rigettato, di conseguenza, la domanda di risarcimento danni.
Con l’atto di appello sono state riproposte tutte le censure del ricorso e dei motivi aggiunti formulate in primo grado, in particolare contestando il presupposto argomentativo fondamentale della sentenza ovvero la natura emergenziale del piano di rientro sanitario che si impone alla Regione obbligata al contenimento della spesa sanitaria.
Rispetto alle specifiche censure del ricorso e dei motivi aggiunti respinte in primo grado, nell’atto di appello si sostiene che la disciplina emergenziale non comporta comunque alcuna deroga al mancato rispetto dei LEA;che la Regione avrebbe violato i principi in materia di partecipazione, sia nella fase di predisposizione della delibera n. 114 sia nella fase successiva all’accordo del 26 maggio 2010 con le associazioni di categoria, nonché in tale fase i principi di buona fede e affidamento per non avere rispettato l’accordo;l’ error in iudicando della sentenza di primo grado rispetto alla mancata remunerazione delle prestazione al di sopra dei tetti di spesa;alla onnicomprensività delle tariffe anche con riferimento alle prestazioni rese ai pazienti provenienti da fuori regione;alla ritenuta legittimità della riduzione della tariffa in relazione al ticket pagato dai pazienti;alla illegittimità dell’applicazione dello sconto previsto dal d.m. 12 settembre 2006 annullato in via giurisdizionale e comunque previsto per in via transitoria solo per gli anni 2007-2009;si insiste, infine, nella violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione per l’inserimento nel contratto da sottoscrivere per l’accreditamento di una clausola limitativa della tutela giurisdizionale. Nessun riferimento è contenuto nell’atto di appello alla domanda di risarcimento danni esplicitamente rigettata dal giudice di primo grado.
Nel presente giudizio si sono costituiti la Regione Calabria, il Commissario per il piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Calabria e l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza contestando la fondatezza dell’appello;si sono costituiti anche il Ministero della Salute e il Ministero dell'Economia e delle Finanze che hanno sostenuto il proprio difetto di legittimazione passiva e comunque l’infondatezza nel merito dell’appello.
All’udienza pubblica del 30 novembre 2018 l’appello è stato trattenuto in decisione.
In via preliminare, si può prescindere dalla questione della legittimazione passiva del Ministero della Salute e del Ministero dell'Economia e delle Finanze posta dall’Avvocatura dello Stato, in relazione alla evidente infondatezza dell’appello.
Ritiene, infatti, il Collegio che i motivi di appello non valgano a pregiudicare la tenuta motivazionale delle valutazioni poste a base della pronuncia di primo grado, ciò sulla base dell’orientamento giurisprudenziale della sezione, ormai consolidato in materia di tetti di spesa per le regioni, per cui è stato approvato il piano di rientro dal disavanzo sanitario.
Correttamente, infatti, il giudice di primo grado ha ritenuto la natura emergenziale del piano di rientro sanitario, con la conseguenza che la programmazione sanitaria deve tenere conto del contesto emergenziale costituito dal rientro del disavanzo, che si pone come obiettivo fondamentale di tale programmazione.
Tale interpretazione è conforme all’orientamento consolidato della Sezione, che ha più volte evidenziato come le pronunce della Corte Costituzionale in materia hanno affermato la natura di diritto finanziariamente condizionato del diritto alla salute in relazione alle insopprimibili esigenze di riequilibrio finanziario (cfr. Corte Cost 27 luglio 2011, n. 248, per cui “la particolarità del S.s.n. richiede al legislatore ordinario di bilanciare le esigenze, da un lato, di garantire egualmente a tutti i cittadini, e salvaguardare, sull'intero territorio nazionale, il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile;dall'altro, di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che è possibile ad essa destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi da realizzare in questo campo”;sent. n. 111 del 18 marzo 2005, per cui “l'esigenza di assicurare la universalità e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si è scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario. Di qui la necessità di individuare strumenti che, pur nel rispetto di esigenze minime, di carattere primario e fondamentale, del settore sanitario, coinvolgenti il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito individuale della dignità umana, operino come limite alla pienezza della tutela sanitaria degli utenti del servizio”), con la conseguenza del carattere vincolante del piano di rientro esplicitamente stabilito in via legislativa, nel senso che la normativa in tema di piano di rientro comporta precisi e ulteriori effetti giuridici nel rendere vincolanti gli obiettivi di contenimento finanziario e nell'imporre alla Regione di adottare prioritariamente i provvedimenti adeguati ad ottenere il contenimento delle spese in essere nella misura richiesta. In particolare la rideterminazione dei tetti di spesa appartiene a quelle “procedure autoritative” che la Regione deve adottare ne rispetto degli obiettivi di carattere finanziario, per essa giuridicamente vincolanti, stabiliti nel piano di rientro. (Consiglio di Stato Sez. III, 19 luglio 2016 n. 3201;10 aprile 2015, n, 1832;6 dicembre 2017, n. 5749). Nell'evoluzione della legislazione sanitaria si è progressivamente imposto il principio della programmazione, con carattere autoritativo e vincolante, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario attese le insopprimibili esigenze di riequilibrio finanziario. Quanto all’esercizio della potestà programmatoria, va ribadito che spetta all’amministrazione regionale un’ampia discrezionalità, nella previsione del dimensionamento e dei meccanismi di attribuzione delle risorse disponibili, con l’obiettivo di bilanciare molteplici e spesso contrapposti interessi di rilevanza anche costituzionale, quale quelli al contenimento della spesa in base alle risorse concretamente disponibili, quelli relativi alla esigenza di assicurare prestazioni sanitarie quantitativamente e qualitativamente adeguate agli assistiti, quelli delle strutture private operanti secondo logiche imprenditoriali, quelli delle strutture pubbliche vincolate all’erogazione del servizio nell’osservanza dei principi di efficienza e buon andamento (di recente, Sez, III, 6685 del 26 novembre 2018).
In questo senso sono state anche le affermazioni della Adunanza Plenaria, per cui le impellenti esigenze di riequilibrio della spesa sanitaria hanno imposto allo Stato ed alle Regioni interventi correttivi immediati, con sacrifici posti a vario titolo a carico di tutti coloro che sono presenti nello specifico settore di attività e quindi anche delle strutture accreditate, queste ultime libere di valutare la convenienza a continuare ad operare in regime di accreditamento accettando il tariffario imposto, o porsi fuori del servizio sanitario nazionale operando privatamente, a favore dei soli utenti solventi (cfr. A.P., n. 3 e n. 4 del 2012).
Gli atti di programmazione sanitaria e socio-assistenziale in attuazione del Piano di rientro comportano scelte difficili di recupero o redistribuzione di risorse da operare sul terreno: a) della equa ripartizione dei sacrifici che sono inevitabilmente da compiere anche a carico delle aziende fornitrici dei servizi;b) della massima appropriatezza delle prestazioni;c) della eliminazione delle situazioni per le quali si registri uno squilibrato assorbimento di risorse da parte di un livello assistenziale rispetto ad altri livelli. Le autorità competenti rispondono alle esigenze cogenti del Piano di rientro, ma neppure gli operatori privati possono ritenersi estranei a tali vincoli e stati di necessità, che derivano da flussi di spesa che hanno determinato in passato uno stato di disavanzo eccessivo, in relazione a spese di cui gli stessi operatori si sono avvantaggiati e che, negli ambiti estranei o eccedenti i livelli di assistenza, devono essere ridimensionate o riportate sotto controllo. Ne deriva che gli aspetti quantitativi relativi alle determinazioni adottate in applicazione dei piani di rientro e segnatamente quelle in materia di tetti di spesa - direttamente finalizzate al rispetto dell'obiettivo di contenimento finanziario - non sono negoziabili dalle parti, ma sono imposte in via autoritativa, ciò che consente di qualificare i corrispettivi spettanti a questi ultimi in termini di tariffa e non già di prezzo di mercato, dal che deriva il potere-dovere dell'Amministrazione di contenere il più possibile l'impatto economico delle prestazioni in un'ottica di contenimento della spesa sanitaria, con l'unico limite costituito dalla non manifesta irragionevolezza ed illogicità della quantificazione. Quest'ordine di scelte comporta, infatti, per sua natura una sfera di discrezionalità politico-amministrativa particolarmente ampia. Inoltre, la introduzione di obiettivi prioritari e vincolanti condiziona e orienta verso le finalità indicate lo svolgimento delle preesistenti procedure, modificando anche le modalità istruttorie e il tipo di motivazione che i provvedimenti risultanti richiedono (Cons. Stato Sez. III, 25 marzo 2016, n. 1244;19 luglio 2016 n. 3201).
Sotto tale profilo si deve anche considerare che la giurisprudenza ritiene che le doglianze circa l'insufficiente elaborazione istruttoria ed il preteso, conseguente, deficit motivazionale debbano, nel contesto descritto, essere indefettibilmente supportate da dati probatori oggettivi al fine di poter adeguatamente contrastare i provvedimenti regionali cui si oppongono, per cui è stata richiesta, ad esempio “una prova netta e rigorosa” della mancanza di un utile per le strutture accreditate, conseguente alla determinazione di un importo inferiore delle tariffe, rispetto a quelle pregresse (Sez III, 21 giugno 2017 n. 3023);o la allegazione di dati od elemento aggiornati in ordine a presunte, e pretese, variazioni dei costi di produzione delle prestazioni sanitarie intervenute nel tempo (Sez III, 17 dicembre 2015, n. 5731).
Applicando tali principi, risulta evidente che il giudice di primo grado ha correttamente considerato prevalente la esigenza, posta a base delle delibere impugnate, di assicurare il contenimento della spesa ai fini dell’attuazione del piano di rientro, nonché la natura “emergenziale” del piano di rientro.
Inoltre, ha, altresì, correttamente ritenuto la genericità della censura relativa al mancato rispetto dei livelli essenziali di assistenza, non essendo stata dedotta in quella sede alcuna circostanza specifica relativa a tale profilo di inadeguatezza. Né alcun ulteriore elemento viene fornito nel presente atto di appello, con cui si lamenta il difetto di istruttoria delle delibere regionali sul punto, ma chiedendo a questo giudice di ordinare in via istruttoria “il deposito di tutti i dati e i documenti dai quali evincere la rilevazione del fabbisogno assistenziale essenziale per l’esercizio 2010 e la corrispondenza delle somme stanziate alla luce dei vincoli risultanti in tal senso dal piano di rientro dal disavanzo”.
Deve essere quindi confermata la valutazione in termini di inammissibilità per genericità della censura relativi al mancato rispetto dei livelli essenziali di assistenza, anche alla luce del citato orientamento giurisprudenziale che richiede in questa materia un onere di allegazione specifico rispetto al difetto di istruttoria.
Gli orientamenti giurisprudenziali consolidati della Sezione sopra richiamati, a cui il Collegio ritiene integralmente di aderire, conducono alla reiezione degli ulteriori motivi di appello.
Per la costante giurisprudenza della Sezione, il carattere vincolato dei provvedimenti adottati ai fini dell’attuazione del Piano di rientro e la loro natura di provvedimenti generali di programmazione finanziaria comporta la irrilevanza dell’apporto partecipativo dei singoli interessati di fronte alle più ampie misure, frutto di una programmazione urgente e vincolante, ispirata a rigorosi criteri di contenimento della spesa sanitaria, per contenere il disavanzo finanziario, con misure immediate e indilazionabili e conduce, pertanto, al rigetto di tutte le censure relative alla mancanza di procedure negoziali e partecipative, sia con gli operatori privati e con le associazioni di categoria, essendo altrimenti vanificata la stessa ratio di tale legislazione e della conseguenti misure straordinarie, introdotte per risanare la situazione di grave dissesto finanziario registratasi in diverse Regioni ( Sez. III, 19 luglio 2016, n. 3201;6 dicembre 2017 n. 5749).
Sulla base di tali principi, la Sezione ha anche già affermato che le determinazioni adottate in applicazione dei piani di rientro non sono negoziabili dalle parti e, dunque, non grava sul Commissario alcun onere di tener conto degli esiti di un precedente accordo quadro raggiunto con le associazioni di categoria (III, 6 dicembre 2017 n. 5749).
Ne deriva la reiezione dei motivi d’appello formulati con riferimento al mancato rispetto dell’accordo del 26 maggio 2010 con i rappresentanti delle Associazioni di categoria e alla mancanza di partecipazione in sede istruttoria.
La parte appellante contesta poi la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe ritenuto legittima la mancata remunerazione di prestazioni al di sopra dei tetti di spesa.
Anche tale motivo deve essere respinto.
Come la Sezione ha già rilevato, la facoltà per le Regioni di determinare criteri per la remunerazione delle prestazioni erogate al di sopra del tetto di spesa previsto dall'art. 8 quinquies , comma 1, lett. d), del d. lgs. n. 502 del 1992, non implica che alle stesse Regioni sia precluso, in circostanze particolarmente stringenti come quelle determinate dal Piano di rientro, di stabilire il criterio secondo cui nessuna remunerazione è prevista (Cons. Stato, Sez. III, 25 marzo 2016, n. 1244;19 luglio 2016, n. 3201;di recente, 22 gennaio 2018, n. 373), come è, quindi, legittimamente avvenuto nel caso di specie, in relazione alla particolare situazione di gravità del disavanzo sanitario della Regione Calabria, per cui l’art. 22 comma 4 del d.l., 1 luglio 2010, n. 78 convertito nella legge, 3 agosto 2009, n. 102 ha previsto l’approvazione del piano di rientro “ attesa la straordinaria necessità ed urgenza di tutelare, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, l'erogazione delle prestazioni sanitarie comprese nei Livelli Essenziali di Assistenza” e “di assicurare il risanamento, il riequilibrio economico-finanziario e la riorganizzazione del sistema sanitario regionale della regione Calabria, anche sotto il profilo amministrativo e contabile” .
In tale contesto emergenziale della Regione Calabria, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellante, deve, altresì, ritenersi legittima la fissazione dei tetti di spesa anche in una fase avanzata dell’anno al quale si riferiscono, come del resto comunque già più volte chiarito dall’Adunanza Plenaria prima nella sentenza n. 8 del 2 maggio 2006 e, poi, nelle sentenze n. 3 e n. 4 del 12 aprile 2012.
La parte appellante ripropone poi come motivo di appello una censura respinta dal giudice di primo grado, sostenendo la illegittimità della previsione regionale per cui i tetti di spesa assegnati alle aziende sanitarie provinciali si intendono comprensive anche delle prestazioni erogate ai pazienti residenti fuori dalla regione, deducendo quindi che in tal caso sarebbero stati necessari dei meccanismi compensativi.
Il giudice di primo grado ha respinto il motivo, sulla base della mancanza di una norma limitativa della discrezionalità della Regione rispetto ad una tale previsione.
Ritiene il Collegio che tale motivo di appello, autonomamente considerato, sia in primo luogo inammissibile per carenza di interesse, non essendo rilevante per i soggetti accreditati se le prestazioni siano effettuate a favore dei residenti o dei non residenti nella Regione, facendo evidentemente parte appellante valere esclusivamente l’interesse all’aumento o alla deroga dei tetti di spesa.
Sotto tale profilo, il motivo è anche infondato, in relazione alla natura emergenziale e assolutamente vincolante del piano di rientro dal disavanzo sanitario che impone l’assoluto rispetto dei limiti finanziari e che quindi non può comportare il superamento di tali limiti con la introduzione di forme di remunerazione ad altro titolo.
Analoga valutazione in termini sia di carenza di interesse che di infondatezza riguarda la censura relativa alla previsione della riduzione della tariffa in relazione al ticket corrisposto direttamente dai pazienti. Tale previsione non incide sulla determinazione della tariffa, autoritativamente fissata, ma comporta solo una operazione materiale di decurtazione della somma, che, altrimenti, i privati avrebbero dovuto versare all’erario. Deve ritenersi irrilevante considerare all’interno o al di fuori del budget le spese sostenute dai cittadini (con il pagamento del ticket), una volta che siano stabilite le risorse che, tenendo conto delle disponibilità complessive, possono essere assegnate al settore (Consiglio di Stato, Sez. III, 10 aprile 2015, n, 1832), né sarebbe ammissibile, nelle circostanze sopra evidenziate del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Calabria, un superamento del tetto di spesa aggiungendo anche il ticket versato dai privati quale contributo alle spese del servizio sanitario.
Sostiene, ancora, parte appellante la illegittimità dell’applicazione dello sconto previsto dall’art. 1 comma 796 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in quanto il decreto ministeriale indicato in tale norma di legge è stato annullato in sede giurisdizionale.
Tale norma “per garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute” aveva previsto che “fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dall' articolo 1, comma 170, quarto periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticano uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal decreto del Ministro della sanità 22 luglio 1996, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 14 settembre 1996, e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto. Fermo restando il predetto sconto, le regioni provvedono, entro il 28 febbraio 2007, ad approvare un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell'adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell'efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate”.
La Sezione si è già pronunciata sul punto con specifico riferimento alla Regione Calabria (Consiglio di Stato, Sez. III, 29 novembre 2012, n. 6090 e n. 6091;10 aprile 2015, n. 1832), affermando la legittimità dell’applicazione del detto sconto, sulla scorta dell’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 94 del 2009 (correttamente richiamata dal giudice di primo grado per la reiezione della censura) e con la ordinanza n. 243 del 2010, che sulla base della “ particolarità del S.s.n., che richiede al legislatore ordinario di bilanciare le esigenze, da un lato, di garantire egualmente a tutti i cittadini, e salvaguardare, sull'intero territorio nazionale, il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile;dall'altro, di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che è possibile ad essa destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi da realizzare in questo campo”, bilanciamento frutto di una scelta discrezionale compiuta tenuto conto della ristrettezza delle risorse finanziarie da destinare al settore, ha ritenuto non irragionevole il riferimento a dati pregressi neppure in relazione all’avvenuto annullamento del d.m. del 22 luglio 1996 da parte del Consiglio di Stato con la sentenza n. 1839 del 29 marzo 2001.
Sotto altro profilo, parte appellante sostiene la illegittimità della applicazione di tale sconto, in quanto l’art. 1 comma 796 della legge n. 296 del 2006 si riferiva agli anni 2007-2009 e non sarebbe dunque legittima la sua applicazione anche all’anno 2010, anche in relazione a quanto affermato dalla stessa sentenza della Corte Costituzionale n. 94 del 2009, che ha richiamato a sostegno della legittimità costituzionale la natura transitoria della norma prevista per gli anni 2007- 2009.
Ritiene, sul punto, il Collegio che l’applicazione dello sconto applicato sulla “tariffa regionale tempo per tempo vigente” anche per l’anno 2010, prevista dall’art. 7 dello schema di contratto per l’accreditamento, costituisca una modalità di riduzione della tariffa da corrispondere agli operatori privati accreditati, che si pone in linea con le finalità, poste a base delle delibere impugnate, di rientro dell’eccezionale situazione di disavanzo sanitario della Regione Calabria, esigenza urgente ed imprescindibile della finanza pubblica, in base al citato art. 22 comma 4 del d.l. 1 luglio 2009 n. 78 convertito nella legge 3 agosto 2009 n. 102, che ha imposto alla Regione Calabria il piano di rientro dal disavanzo sanitario “attesa la straordinaria necessità ed urgenza di tutelare, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, l'erogazione delle prestazioni sanitarie comprese nei Livelli Essenziali di Assistenza” e “di assicurare il risanamento, il riequilibrio economico-finanziario e la riorganizzazione del sistema sanitario regionale della regione Calabria, anche sotto il profilo amministrativo e contabile” ..
Infine, per quanto riguarda la clausola contrattuale prevista in sede di accreditamento dalle regioni sottoposte a piano di rientro dal disavanzo sanitario di accettazione incondizionata dei tetti di spesa con l’impegno a non attivare ricorsi, la giurisprudenza di questo Consiglio, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, ha già più volte affermato la legittimità di tale clausola.
Gli operatori privati - in quanto impegnati, insieme alle strutture pubbliche, a garantire l'essenziale interesse pubblico alla corretta ed appropriata fornitura del primario servizio della salute - non possono considerarsi estranei ai vincoli oggettivi e agli stati di necessità conseguenti al Piano di rientro, al cui rispetto la Regione è obbligata. Tale clausola di conseguenza equivale ad un impegno della parte privata contraente al rispetto ed accettazione dei vincoli di spesa essenziali in una Regione sottoposta al Piano di rientro. D’altro canto, in caso di mancata sottoscrizione, l’Autorità politico-amministrativa non avrebbe alcun interesse a contrarre a meno di non rendere incerti i tetti di spesa preventivati, né potrebbe essere obbligata in altro modo alla stipula, con l’effetto che la richiesta sospensione finirebbe per non giovare alla parte ricorrente in primo grado. Chi intende operare nell’ambito della sanità pubblica deve accettare i limiti in cui la stessa è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore valore quale i livelli essenziali relativi al diritto alla salute. In alternativa, agli operatori resta la scelta di agire come privati nel privato. Corollario obbligato di tali premesse è che agli operatori privati si pone unicamente l’alternativa se accettare le condizioni derivanti da esigenze programmatorie e finanziarie pubbliche (e dunque il budget assegnato alla propria struttura) onde permanere nel campo della sanità pubblica;ovvero, se collocarsi esclusivamente nel mercato della sanità privata. Del resto la parte pubblica sottoscrittrice del contratto, in difetto di una valida e incondizionata accettazione della clausola di salvaguardia de qua da parte dell’altro contraente, non avrebbe interesse alla conclusione dell'accordo, non potendo essa programmare efficacemente la spesa sanitaria, stante la permanenza di contestazioni giudiziali sui tetti di spesa (Sez. III, 18 gennaio 2018, n. 321;23 agosto 2018, n. 5039;26 novembre 2018, n. 6685).
In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto con la conferma della sentenza di primo grado.
In relazione alla particolarità della materia trattata sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.