Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-05-13, n. 201903058
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Testo completo
Pubblicato il 13/05/2019
N. 03058/2019REG.PROV.COLL.
N. 04356/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4356 del 2010, proposto da
L B, rappresentata e difesa dagli avvocati G F R, R L, E N S, con domicilio eletto presso lo studio G F R in Roma, via Cosseria, n. 5;
contro
Comune di Pré Saint Didier, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta n. 00011/2010, resa tra le parti, concernente un diniego di concessione edilizia in sanatoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2019 il Cons. C C e udito per le parti l’avv. Francesco Casertano, su delega dell’avv. Riccardo Ludogororoff;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Pré Saint Didier aveva intimato all’odierna appellante, con ordinanza n. 1, in data 9 marzo 2009, la demolizione di interventi abusivi diretti all’ampliamento della superficie e al cambio della destinazione d’uso di un fabbricato agricolo rurale di proprietà della stessa appellante. In seguito quest’ultima, in data 29 aprile 2009, aveva presentato istanza di sanatoria dei suddetti interventi. Il Comune di Pré Saint Didier, dopo aver comunicato i motivi ostativi alla sanatoria, aveva rigettato l’istanza di sanatoria con atto prot. n. 35339/10/15, in data 22 giugno 2009. A motivo del rigetto si faceva presente che, ai sensi dell’art. 11 delle norme tecniche di attuazione (NTA) del vigente Piano particolareggiato (PP) della zona “A3” Verrand, strumento di attuazione del Piano regolatore generale del Comune, nel fabbricato potevano essere effettuati solo lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e non mutamenti di destinazione d’uso.
Pertanto, con l’ordinanza n. 16, in data 25 giugno 2009, il Comune di Pré Saint Didier ingiungeva la rimozione delle opere edilizie abusive, con rimessione in pristino dello stato dei luoghi, alla signora B, che impugnava davanti al T.a.r. della Valle d’Aosta sia la suddetta ordinanza, sia l’atto di rigetto dell’istanza di sanatoria.
2. Il Primo Giudice riteneva infondati i motivi di ricorso relativi all’atto di diniego di sanatoria in quanto:
- alla luce dell’art. 11 NTA - che stabiliva che per tutti gli edifici erano ammessi solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria salvi diversi interventi indicati nella scheda di ogni edificio del PP -, l’assenza di una specifica scheda relativa al fabbricato in questione non significava che esso non fosse sottratto alla disciplina dello strumento urbanistico, come sostenuto dalla ricorrente;ma, piuttosto, la mancanza di una scheda specifica stava ad indicare che, per il suddetto fabbricato, non era prevista una disciplina ulteriore rispetto a quella di portata generale prevista dal detto articolo 11 NTA;
- l’aumento della volumetria per l’effettuazione delle tamponature esterne e il cambio della destinazione d’uso non consentivano di considerare come manutenzione straordinaria gli interventi abusivi realizzati;
- l’art. 12 NTA, che permette per tutti gli edifici il cambio di destinazione d’uso storica “agricola” in destinazione abitativa, commerciale o turistica, si riferiva ai soli manufatti qualificabili come “edifici” e come tali disciplinati nelle relative schede, ma non a baracche, tettoie e rustici, categoria cui ricondurre il manufatto in questione;la sua natura pertinenziale, rispetto all’edificio principale di uso residenziale insistente sulla stessa proprietà, non poteva consentire un’attrazione della sua destinazione d’uso a quella dell’edificio principale, in quanto tale manufatto costituiva un mini-appartamento del tutto autonomo funzionalmente rispetto all’immobile principale;
Il T.a.r. ha ritenuto infondate anche le censure rivolte contro l’ordinanza di riduzione in pristino e demolizione circa:
- l’illegittimità derivata dall’asserita illegittimità dell’atto di diniego di sanatoria, in quanto, non essendo tale atto illegittimo, da esso non poteva discendere un’illegittimità consequenziale;
- il difetto di valutazione da parte dell’Amministrazione del pregiudizio che l’esecuzione della demolizione avrebbe arrecato al fabbricato principale, in quanto l’articolo 77 della l. r. n. 11 del 1998, di cui si deplorava la violazione, richiede una valutazione da parte dell’Amministrazione solo nella fase dell’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di ingiunzione.
Pertanto, la sentenza appellata ha rigettato il ricorso e disposto le spese del giudizio a carico della parte soccombente.
3. Con il presente appello la signora B ripropone il motivo, già articolato in primo grado, per cui l’assenza di una scheda del fabbricato in questione ai sensi dell’art. 11 delle NTA del PP “zona A3 Verrand” indicherebbe che lo stesso PP non limiterebbe gli interventi edilizi realizzabili sul fabbricato. Sarebbe perciò possibile l’applicazione dell’art. 52 della l. r. n. 11/1998, che consente, in mancanza di una specifica disciplina, interventi edilizi anche più significativi della mera manutenzione.
Con il secondo motivo d’appello, la signora B sostiene che gli interventi effettuati non avevano modificato la superficie del manufatto, del resto non misurata dai tecnici comunali, e che, quindi, tali interventi costituivano manutenzione straordinaria. L’appellante deplora che la sentenza impugnata, asserendo che il fabbricato non poteva essere considerato come un edificio, avesse quindi escluso l’applicabilità dell’art. 12 NTA, che consente il cambio di destinazione d’uso storica “agricola” in destinazione abitativa, commerciale o turistica per tutti gli edifici. La signora B deduce che il PP non conteneva alcuna definizione di edificio cui fare riferimento e che dal punto di vista edilizio–urbanistico deve considerarsi edificio, “qualsiasi manufatto idoneo a modificare in maniera permanente lo stato dei luoghi”. L’appellante fa presente inoltre che l’intero compendio immobiliare in cui si trova il fabbricato controverso aveva perso la destinazione agricola già molto tempo prima dell’effettuazione dei lavori e che lo stesso fabbricato non ha “propri ed autonomi collegamenti alle reti dei servizi infrastrutturali ed alla via pubblica e, sotto tali aspetti, dipende interamente dall'immobile” principale. Perciò il cambio di destinazione d’uso di quest’ultimo “ha certamente riguardato anche il basso fabbricato ad esso accessorio e pertinenziale” e una diversa destinazione d’uso sarebbe illogica e in contrasto con i principi regolanti la materia edilizia. Gli interventi realizzati, di rifacimento della muratura e della copertura di spazi interni costituirebbero “manutenzione straordinaria” ai sensi del capitolo II, paragrafo C - punto 3, della deliberazione della Giunta Regionale n. 2515 del 26 luglio 1999 (specificamente riferita alle zone territoriali di tipo “A”), che comprende le opere esterne comportanti rifacimenti di quantità superiori al 50% di almeno uno dei componenti elencati o il loro completo rifacimento o sostituzione.
Con un terzo motivo di appello, la signora B lamenta che la sentenza impugnata abbia escluso che l’ordinanza n. 16/2009 fosse affetta da illegittimità derivata da quella dell’atto di diniego della concessione edilizia in sanatoria e lamenta che le spese di lite siano state poste suo carico.
4. Con istanza del 18 giugno 2010, l’appellante ha chiesto il rinvio della trattazione dell’istanza cautelare, adombrando la possibilità di una soluzione della controversia in via amministrativa. Con domanda in data 11 novembre 2010, la medesima appellante ha dichiarato di aver presentato istanza di accertamento di compatibilità delle opere controverse e che, in caso di conseguimento di titolo edilizio, avrebbe perso interesse alla definizione del giudizio, formulando quindi istanza di rinvio della trattazione della domanda cautelare a data da destinarsi. In data 16 novembre 2015 la signora B ha chiesto la fissazione dell’udienza di trattazione dell’appello.
5. Il Comune di Pré Saint Didier non si è costituito.
6. L’appello va respinto.
6.1. Il primo motivo di appello è infondato. La mancanza di una specifica scheda del fabbricato in questione non comporta la sua sottrazione alla previsione generale del citato art. 11 NTA che consente unicamente gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Dunque è esclusa l’applicabilità dell’art. 52 della l. r. n. 11/1998 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), il cui comma 4, lett. b), nel testo vigente all’epoca dei fatti, consentiva l’esecuzione di interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo. Come si evince dalla relazione del PP, depositata dal Comune di Pré Saint Didier nel procedimento di primo grado - che afferma che “il presente piano particolareggiato costituisce strumento di attuazione del P.R.G.C. del Comune di Pré Saint Didier, relativamente al centro storico di Verrand (zona A3)” -, per la zona in cui si trova il fabbricato, il PP costituisce uno strumento di valenza generale e onnicomprensiva, che, solo per specifici interventi, è integrato dalle schede di singoli edifici. Tale scheda non è prevista per il suddetto fabbricato, ricondotto invece alla classificazione “bassi fabbricati o tettoie” in base alla documentazione planimetrica del P.P.;esso quindi è sottoposto alla disciplina generale stabilita dall’art. 11 NTA.
6.2. Anche il secondo motivo di appello, relativo alla violazione ed errata applicazione dell’art. 84 della l. r. n. 11/1998 e dell’art. 12 NTA del P.P. “zona A3 Verrand”, con eccesso di potere per difetto dei presupposti in fatto, errore essenziale e travisamento, è infondato. Con tali censure, l’appellante deduce che gli interventi edilizi realizzati costituivano manutenzione straordinaria ai sensi della legislazione regionale e che erroneamente la sentenza impugnata ne avrebbe escluso tale qualificazione in ragione di un aumento della superficie utile del manufatto e della modificazione della destinazione d’uso.
Il citato art. 84 prevede che “i responsabili dell’abuso dotati di idoneo titolo possono richiedere la concessione in sanatoria quando l’intervento è conforme agli strumenti di pianificazione nonché ai piani, programmi, intese e concertazioni attuativi del PRG e non contrasta con quelle dei piani medesimi”.
Nella fattispecie tale disposizione non poteva trovare applicazione.
In primo luogo, il Collegio osserva che gli interventi realizzati si ponevano in contrasto con il PP, dato che l’art. 11 NTA escludeva la facoltà di effettuare interventi diversi dalla manutenzione ordinaria e straordinaria.
In secondo luogo, premesso che sul fabbricato, come risulta dalla relazione tecnica riferita al sopralluogo effettuato dai tecnici comunali in data 9 dicembre 2008, erano stati compiuti interventi di tamponamento con aumento volumetrico ed era stata creata superficie utile con costruzione di vani ad uso residenziale con i relativi necessari servizi, il Collegio ritiene che tali opere non possano essere ricondotte alla manutenzione straordinaria come argomentato dall’appellante. Non sussistono infatti ragioni per discostarsi dalla giurisprudenza di questo Consiglio per la quale: sono le tamponature esterne a realizzare in concreto i volumi di un edificio, rendendoli individuabili e calcolabili (Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3286), con la conseguenza che la realizzazione di tali tamponature produce senz’altro effetti in termini di aumento di volume;“gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi non si configurano come manutenzione straordinaria (né come restauro o risanamento conservativo), ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia” (Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2014, n. 4523);ciò in quanto “gli interventi di manutenzione straordinaria sono caratterizzati da un duplice limite: uno di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell’edificio, e l’altro di ordine strutturale, consistente nella proibizione di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione” (Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1388).
Inoltre, il medesimo art. 84 richiede che i responsabili dell’abuso siano dotati di idoneo titolo, che, nella specie, non sussiste. Infatti, come si evince dalla stessa relazione tecnica, in data 23 dicembre 2009, redatta da tecnico incaricato dalla signora B, la situazione attuale del fabbricato è “solo parzialmente corrispondente a quella riportata nella cartografia ufficiale (…) rispetto alla quale risulta ampliata” e “la costruzione ora esistente deriva da un intervento edilizio realizzato di recente (2005)”. Partendo dagli originari due corpi di fabbrica – di cui solo uno sempre esistito e riportato nella mappa catastale l’altro riconducibile ad avviso del tecnico di parte ad anni precedenti il 1961-1962 – “l’intervento ha portato ad un organismo edilizio modificato qualitativamente e nell’aspetto estetico” e la condizione attuale del fabbricato “evidenzia una situazione solo parzialmente corrispondente a quella riportata nella cartografia ufficiale descritta, rispetto alla quale risulta ampliata”.
Nell’invocare l’applicazione dell’art. 12 NTA, che consente per tutti gli edifici il cambio di destinazione d’uso storica “agricola” in destinazione abitativa, commerciale o turistica, l’appellante sostiene che la destinazione sarebbe cambiata molto tempo prima dei lavori contestati, in conseguenza del cambio di destinazione d’uso dell’edificio principale di cui il fabbricato in questione sarebbe una pertinenza. Tale argomento risulta infondato alla luce della consistenza dell’organismo edilizio risultante dagli interventi abusivi, la cui novità pone un’interruzione di continuità rispetto a qualsivoglia uso dei corpi di fabbrica cui si riferisce la relazione tecnica di parte, con l’effetto che, rispetto a tale nuovo organismo edilizio, non può invocarsi una precedente destinazione storica “agricola” da cambiare in residenziale. Quanto ai suddetti corpi di fabbrica, cui si riferisce la relazione peritale, occorre aggiungere che, correttamente, la sentenza impugnata ha escluso che, nell’ambito applicativo dell’art. 12 NTA, potessero rientrare manufatti quali baracche, tettoie o rustici che non fossero qualificabili come “edifici”, in quanto non suscettibili di essere oggetto di schede del PP, ma solo di rappresentazione cartografica. L’originaria mancanza nel manufatto in questione di caratteristiche tali da farlo ritenere un edificio trova conforto anche nella documentazione fotografica in atti riferita ad epoca precedente all’intervento edilizio abusivo, né la ricorrente deduce elementi in appello atti a dimostrare il contrario.
Dunque, il nuovo organismo edilizio derivante dai lavori abusivi costituisce un’entità residenziale del tutto autonoma rispetto all’edificio principale, con conseguente irrilevanza della sua natura pertinenziale. Le circostanze della mancanza di un autonomo accesso dalla via pubblica e della presenza di allacciamenti collegati al fabbricato principale per le linee dell’energia elettrica, dell’acqua e degli scarichi fognari non smentiscono l’autonomia funzionale del fabbricato rispetto all’edificio principale e non dimostrano che esso non sia suscettibile di un utilizzo indipendente rispetto all’edificio principale. Tanto che la stessa relazione di parte afferma che “non si possa materialmente escludere la possibilità di un utilizzo autonomo” del fabbricato. La pronuncia impugnata ha poi messo in luce la contraddizione tra la deduzione dell’appellante per cui il cambio di destinazione d’uso dell’intero compendio immobiliare avrebbe coinvolto da molti anni anche il fabbricato in questione e il passaggio della relazione del tecnico di parte nel quale viene evidenziato che, dopo l’originaria utilizzazione del fabbricato per fini agricoli, lo stesso manufatto è stato poi usato come magazzino dopo l’ampliamento e la trasformazione della destinazione d’uso, da rurale a civile, dell’edificio principale. Infatti, tale passaggio della relazione di parte attesta una destinazione d’uso del manufatto a magazzino, invece che residenziale, dopo il cambio di destinazione d’uso dell’edificio principale.
6.3.Venendo al motivo di appello per cui avrebbe errato la sentenza di primo grado nel ritenere non affetta da illegittimità derivata l’ordinanza di demolizione, il Collegio ritiene, in base a quanto sopra esposto, che esso sia infondato, dato che l’atto di diniego di sanatoria non è affetto dai vizi denunciati dalla ricorrente.
6.4. Per quanto sopra esposto deve dichiararsi infondata anche la doglianza in ordine alla statuizione della sentenza impugnata sulle spese di lite, il cui regolamento segue la soccombenza.
6.4. In conclusione, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata anche nella parte in cui ha disposto sulle spese sulla base del principio della soccombenza liquidandole in €. 3.000,00 (tremila/00).
Non si fa luogo, invece, a pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio, non essendosi costituito il Comune appellato.