Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-04-24, n. 201902656

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-04-24, n. 201902656
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201902656
Data del deposito : 24 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/04/2019

N. 02656/2019REG.PROV.COLL.

N. 07170/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7170 del 2013, proposto da
S V, M D G, rappresentati e difesi dagli avvocati F P, G R, con domicilio eletto presso lo studio F P in Roma, via M.Llo Pilsudski n.118;

contro

Comune di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R M, A C, domiciliata ex lege in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Uot del Municipio di Roma Xi, Al Municipio Xi del Comune di Roma non costituiti in giudizio;
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A M, A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 06139/2013, resa tra le parti, concernente rimozione o demolizione opere abusive


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Roma e di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 16 aprile 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Alfredo Cirillo in delega di G R, e D'Ottavi in dichiarata delega di Murro Rodoldo, di Ciavarella Antonio, e di Magnanelli Andrea.;


Rilevato in fatto che:

- la presente controversia ha ad oggetto l’appello proposto nei confronti della sentenza n. 6139\2013 con cui il Tar Lazio ha respinto l’originario ricorso;

- quest’ultimo era stato proposto dall’odierna parte appellante avverso gli atti concernenti il provvedimento n.2200 del 12 novembre 2008 prot 69098, unitamente agli atti connessi, con cui il Comune di Roma, in applicazione dell’art.33 del testo unico sull’edilizia (dPR 6 giugno 2001 n.380), ha disposto ingiunzione di rimuovere o demolire opere abusivamente realizzate, per assenza di permesso di costruire, in un immobile sito in Roma, largo Gibilmanna n.3, con conseguente cambio di destinazione d’uso di un locale da commerciale a civile abitazione;

- con il presente appello l’originario ricorrente contestava le argomentazioni del Tar riproponendo le censure di primo grado, con particolare riferimento allo mancato specifico accertamento delle opere contestate ed alla mancanza di elementi attestanti il mutamento di destinazione d’uso;

- il Comune odierno appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello, producendo documentazione attestante l’ottemperanza alla determinazione impugnata;

- alla pubblica udienza del 16\4\2019 la causa passava in decisione.

Considerato in diritto che:

- l’appello è prima facie infondato, con conseguente applicabilità dell’art. 74 cod proc amm;

- se in linea di fatto appare accertata la consistenza delle opere in contestazione ed il relativo carattere abusivo, in linea di diritto la sentenza appellata appare pienamente condivisibile ed i vizi di appello dedotti si scontrano con la giurisprudenza già espressa anche dalla sezione;

- in termini di accertamento, dall’analisi della documentazione versata in atti risulta dimostrato l’accertamento, da parte degli organi comunali, di opere che hanno consentito la trasformazione dell’immobile per un utilizzo diverso da quello commerciale assentito;

- in dettaglio, una porzione della parete del vano antibagno è stata demolita al fine di creare l’accesso per una stanza da letto ricavata tramite la posa in opera di un tramezzo divisorio delle dimensioni di m.3,40 circa;

- all’esito degli accertamenti istruttori svolti (cfr. accesso dei vigili urbani nel giugno del 2008) l’immobile si presentava trasformato in civile abitazione, essendo dotato di camera da letto, comprensiva di letto, armadi e televisore, di un bagno e di una cucina;

- a fronte delle trasformazioni apportate è corretta la conclusione, cui è giunto prima il Comune e poi il Tar, nel senso che il locale ha subìto modifiche tali da renderlo ormai non più utilizzabile quale locale commerciale, nel senso di locale destinato alla vendita di merce nei confronti del pubblico;

- l’accertato mutamento di destinazione d’uso, oltre a non essere accompagnato da alcun titolo legittimante, contrasta con la pianificazione urbanistica che, in zona, fa divieto di modifica della destinazione d’uso da funzione non abitativa a funzione abitativa;

- in linea di diritto, costituisce jus receptum il principio a mente del quale la sanzione ripristinatoria costituisce atto vincolato, per la cui adozione non è necessaria la valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico, né la comparazione di questi con gli interessi privati coinvolti, né tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo in alcun modo ammissibile l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 17 luglio 2018, n. 4368);

- tali principi assumono preminente rilievo anche nel caso di specie, in quanto il provvedimento è basato su adeguate istruttoria e motivazione, consistenti nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro illegittimità, per contrasto con la disciplina normativa e pianificatoria vigente;

- in proposito, le contestazioni di carattere formale circa l’assenza di personale tecnico ovvero in ordine alla mancata sottoscrizione dei soggetti passivi non forniscono alcun elemento tale da porre in dubbio la sussistenza di quanto accertato, nella sostanza neppure contestato dagli odierni appellanti, se non attraverso irrilevanti giustificazioni circa l’uso – certamente non più commerciale – dei locali;

- a fronte dell’evidente modifica nella destinazione, da locale commerciale a residenza, assume rilievo dirimente il principio a mente del quale il mutamento di destinazione d'uso di un immobile deve considerarsi urbanisticamente rilevante e, come tale, soggetto di per sé all'ottenimento di un titolo edilizio abilitativo, con la conseguenza che il mutamento non autorizzato che alteri il carico urbanistico, integra una situazione di illiceità a vario titolo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI , 20 novembre 2018, n. 6562);

- infine, in ordine agli ultimi rilievi in termini di lesione della partecipazione, va ribadito che la violazione delle norme di garanzia procedimentale è idonea da sola ad inficiare la legittimità del provvedimento se sia data in giudizio la prova circa l'utilità della partecipazione in sede procedimentale, così che il vizio procedimentale può assumere rilievo solo nelle ipotesi in cui dalla omessa interlocuzione del privato nell'ambito del procedimento il contenuto dell'atto finale sia diverso da quello che sarebbe potuto essere sulla base della valutazione degli ulteriori elementi, che il privato avrebbe potuto fornire all'Amministrazione al fine di superare i rilievi ostativi (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 9 maggio 2017, n. 2117), e nulla di tutto ciò risulta provato nel caso di specie da parte appellante;

- in termini peraltro dirimenti va ribadito l’orientamento prevalente, a mente del quale i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, quali l'ordinanza di demolizione, non necessitano di essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, ciò in quanto non è prevista, in capo all'Amministrazione, la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281);

- sussistono giusti motivi, a fronte della riconosciuta ottemperanza all’ordinanza impugnata, per compensare le spese di lite.

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