Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2011-07-04, n. 201104005

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2011-07-04, n. 201104005
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201104005
Data del deposito : 4 luglio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06767/2007 REG.RIC.

N. 04005/2011REG.PROV.COLL.

N. 06767/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6767 del 2007, proposto da:
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

D G B, P M G, D'Aurizio Marco, M S, P S, P G, P L, G G, P P, D A, B C, M A, C S, F L, G F, L D, nessuno dei quali è costituito nel presente grado di giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA, sezione I n. 03159/2006, resa tra le parti, concernente il diritto al supplemento giornaliero dell'indennità di istituto.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza n. 4775/2007 con cui è stata sospesa l’esecutività della sentenza impugnata;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2011 il Cons. Hadrian Simonetti, presente l’Avvocato dello Stato Melillo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 3159/2006 il Tar per la Toscana accolse il ricorso presentato da appartenenti alla Polizia di Stato, per il riconoscimento in loro favore del supplemento giornaliero dell’indennità di istituto, ai sensi dell’art. 12 del d.p.r. 147/1990.

In particolare il Tar rilevò che il citato art. 12 non richiedeva che i servizi esterni fossero organizzati in turni per l’arco delle 24 ore e che, pertanto, la domanda fosse fondata, nei limiti peraltro della eccepita prescrizione quinquennale, ovvero per i diritti maturati dopo il 6.12.1991.

2. Avverso la sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno deducendo, in sintesi:

-che, anche sulla scorta della giurisprudenza più recente, l’originario ricorso collettivo doveva ritenersi inammissibile, poiché carente delle necessarie indicazioni in ordine alla sede, alla tipologia dei servizi, agli ordini, per ciascuno dei singoli ricorrenti;

- che, nel merito della questione controversa, l’indennità prevista dal citato art. 12 poteva essere riconosciuta solamente in favore di dipendenti che avessero svolto servizi esterni, da intendersi all’aria aperta, per l’intero arco della giornata, prima che il successivo d.p.r. 254/1999 estendesse tale beneficio anche al personale di Polizia che esercitasse attività di tutela, scorta, traduzione e vigilanza presso altri uffici.

3. Nella camera di consiglio del 13.9.2007 è stata accolta l’istanza cautelare, sospendendo l’efficacia della sentenza.

4. Deve ritenersi fondato l’appello già nella parte in cui contesta l’ammissibilità del ricorso in primo grado, alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale che è andato consolidandosi in materia (v. Cons. St., VI, n. 1481/2011;
8716/2010;
1056/2009), in epoca peraltro successiva alla sentenza qui impugnata.

5. I ricorrenti di primo grado hanno infatti soltanto genericamente dedotto di aver svolto servizi esterni espletati fuori dalla sede di servizio, senza tuttavia specificare per quali periodi ciascuno di loro è stato impegnato;
né sono stati indicati i turni (richiesti dall'art. 12 del d.p.r. 5 giugno 1990, n. 147), stabili e periodici, nell'ambito dei quali detti servizi sarebbero stati prestati e, soprattutto, sulla scorta di quali ordini formali.

Ebbene, a fronte di tale carenza strutturale dell’originaria domanda, tanto più rilevante a motivo della natura collettiva del ricorso di primo grado - che imponeva la specifica indicazione, per ciascuno dei ricorrenti, degli elementi appena indicati -, reputa il Collegio che lo stesso debba ritenersi inammissibile, dato che l'attenuazione, nel processo amministrativo, del principio dispositivo non può tradursi in uno svuotamento dell'onere probatorio e del connesso e pregiudiziale dovere di allegare, con specificità e precisione, i fatti costitutivi della domanda.

Su questo specifico punto, si è già sottolineato (v., ad esempio, Cons. St., VI, n. 1481/2011, cit.) come la ragione sottesa alla attenuazione dell'onere probatorio nel giudizio amministrativo (ed alla applicazione del principio cosiddetto dispositivo-acquisitivo) risiede notoriamente nella asimmetria informativa e dispositiva (soprattutto con riguardo all'accesso al materiale probatorio) in cui tendenzialmente versa la parte privata rispetto alla parte pubblica, quando si tratti dell'esercizio del potere pubblico. E come, invece, tutte le volte in cui tale ragione giustificatrice della deroga alle ordinarie regole processuali non ricorra, in quanto l'interessato può indicare quali circostanze di fatto lo abbiano riguardato, non vi sia ragione di disattendere il principio fondamentale che impone all'attore di allegare, sia pure sinteticamente, i fatti costitutivi della domanda e di fornire i relativi elementi di prova (cfr. art. 64 co. 1 c.p.a.).

Nel caso in esame non risulta vi fosse alcun ostacolo che, in concreto, impedisse agli originari ricorrenti di corredare la domanda giudiziale di ogni utile indicazione o elemento fattuale per consentire al giudice di apprezzarne il fondamento.

6. Né potrebbe essere invocato, quanto alla condotta serbata dall’Amministrazione resistente in primo grado, il principio processuale di non contestazione, da ultimo accolto anche nel codice del processo amministrativo (art. 64 co. 2), in quanto tale principio presuppone pur sempre, per la sua effettiva rilevanza, che i fatti, non contestati dalla (contro)parte costituita, siano stati allegati dalla parte attrice in maniera precisa e dettagliata.

7. Ciò posto in rito, l'appello sarebbe comunque fondato anche nel merito, laddove si ritenga desumibile dal ricorso introduttivo che i ricorrenti siano stati addetti ad attività di "tutela, scorta, traduzione, vigilanza, lotta alla criminalità" nel periodo decorrente dall'entrata in vigore dell'art. 12 del citato d.p.r. n. 147/1990 (azionandosi quindi una pretesa per emolumenti da corrispondersi per il periodo luglio 1990 - dicembre 1996, salvi gli effetti della prescrizione riconosciuti anche nella sentenza di primo grado).

Per il periodo così individuabile, va richiamata infatti sempre la giurisprudenza della Sesta Sezione, secondo cui i servizi di scorta e tutela non erano in origine contemplati nell'ambito dei protocolli di intesa e delle "circolari" del Ministero elencanti i servizi esterni remunerabili, ciò sul presupposto che tali protocolli d'intesa e tali circolari applicative non possano avere valore solo esemplificativo, attesi i riflessi finanziari dell'individuazione di tali servizi e l'espressa considerazione del servizio di scorta - e di vigilanza - quale servizio esterno, solo a decorrere dal 1 giugno 1999 con il d.p.r. 16 marzo 1999 n. 254 (Cons. St., VI, n. 1056/2009, 5215/2006).

8. In conclusione, per tali ragioni, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza, va dichiarato inammissibile il ricorso in primo grado.

9. Si ravvisano giustificati motivi per compensare le spese di lite, anche alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale sopra ricordata.

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