Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-04-17, n. 201802305

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-04-17, n. 201802305
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802305
Data del deposito : 17 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/04/2018

N. 02305/2018REG.PROV.COLL.

N. 00378/2016 REG.RIC.

N. 00379/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 378 del 2016, proposto da:
G D P, C G, S M, M N, G P e D V, rappresentati e difesi dagli avvocati G B e M S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S M in Roma, via Vessella n. 7;

contro

Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale legalmente domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;



sul ricorso numero di registro generale 379 del 2016, proposto da:
R B, rappresentato e difeso dagli avvocati M S e Francesco Menallo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S M in Roma, via Vessella n. 7;

contro

Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale legalmente domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

quanto al ricorso n. 378 del 2016:

della sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, Sezione III quater n. 12713/2015, resa tra le parti

quanto al ricorso n. 379 del 2016:

della sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, Sezione III quater n. 12739/2015, resa tra le parti


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per la parte appellante l’Avvocato Antonio Tallarida su delega di G B e l'Avvocato dello Stato Generoso Di Leo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

I giudizi di primo grado.

Con il ricorso n. 9221/2013, gli originari undici ricorrenti impugnavano dinanzi al T.A.R. Lazio le altrettante note, datate 2.8.2013, con le quali il Ministero della Salute aveva disposto la sospensione del procedimento per il riconoscimento automatico del titolo professionale di odontoiatra (precisamente, in lingua rumena, di “medic dentist, in domeniul sanatate, specializarea medicina dentara”) da loro conseguito in Romania (il sig. T M in data 19.11.2012, presso l’Università dell’Ovest “Vasile Goldis” di Arad, gli altri in data 5.2.2013, presso l’Università “Apollonia” di Iasi), disciplinato dall’art. 21, par. 1, direttiva 2005/36/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali), il quale recita, per quanto di interesse, che ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di dentista rilasciati da altri Stati membri, conformi alle condizioni minime di formazione di cui all’art. 34, e attribuisce loro nell’ambito del suo territorio, ai fini dell’accesso all’attività professionale e del suo esercizio, gli stessi effetti che hanno i titoli di formazione che esso rilascia.

La sospensione veniva disposta dal Ministero della Salute alla luce delle irregolarità nel rilascio di tale titolo professionale da parte di alcune Università rumene, di cui aveva dato conto allo Stato italiano il Presidente della Commissione per la salute e la famiglia del Parlamento rumeno con un dossier trasmesso nel giugno del 2008, e nelle more dell’acquisizione di “notizie certe circa la effettiva regolarità del percorso di studi seguito” dagli interessati, richieste alle competenti autorità romene con nota (non ancora riscontrata alla data dei provvedimenti di sospensione) del 17.7.2013.

I ricorrenti, nel contestare la legittimità delle note soprassessorie impugnate, evidenziavano essenzialmente che l’Amministrazione intimata aveva omesso di considerare che le autorità rumene avevano rilasciato il certificato di conformità alla direttiva 2005/36/CE (in lingua rumena: “certificat”), attestante che la laurea da loro conseguita possedeva tutti i requisiti previsti dalla citata direttiva, secondo quanto previsto dall’all. VII, par. 2, della stessa (ai sensi del quale “per facilitare l'applicazione del titolo III, capo III della presente direttiva, gli Stati membri possono prescrivere che i beneficiari che soddisfano le condizioni di formazione richieste presentino, unitamente al loro titolo di formazione, un certificato delle autorità competenti dello Stato membro di origine attestante che tale titolo è effettivamente quello di cui alla presente direttiva”).

I ricorrenti lamentavano altresì che le note impugnate confliggevano con il meccanismo di “riconoscimento automatico” previsto dalla citata direttiva per il titolo da loro posseduto, in base al quale era precluso all’autorità italiana il compimento di valutazioni di merito in ordine alla idoneità del titolo così come di richiedere documenti ulteriori rispetto a quelli menzionati nel citato all. VII della medesima direttiva, oltre ad essere dissonanti rispetto al disposto dell’art. 51, par. 2, della stessa, il quale prevede che il procedimento di riconoscimento dei titoli professionali si concluda entro tre mesi dalla presentazione della documentazione completa da parte del richiedente.

Il Ministero della Salute intimato, con la relazione del 13.5.2014, in riscontro all’ordinanza istruttoria del T.A.R. n. 4166 del 17.4.2014, oltre ad evidenziare che il sig. T M aveva conseguito il riconoscimento, rappresentava, relativamente agli altri ricorrenti, che il Ministero dell’Educazione romeno, in risposta alla citata nota del 17.7.2013, aveva trasmesso la nota del 20.12.2013, con la quale si affermava che “il percorso universitario” dei ricorrenti era stato oggetto di “verifiche” e che, “a seguito dei risultati, saranno disposti i rispettivi provvedimenti, dei quali sarà informato il Ministero italiano della Salute”: provvedimenti in ordine ai quali tuttavia, nonostante le sollecitazioni italiane, non era stata data alcuna ulteriore comunicazione.

Con i motivi aggiunti depositati il 22.7.2014, oltre a dare atto che, oltre al sig. T M, anche i sig.ri S A F e V M avevano ottenuto il riconoscimento (a seguito delle notizie positive in ordine alla regolarità del loro percorso formativo trasmesse dalla Romania), con la conseguente cessazione della materia del contendere, anche ai fini risarcitori, relativamente alla loro posizione, si insisteva, con riguardo agli altri ricorrenti (ovvero ai sig.ri D P, Governatori, F, M, N, P, P e V), con la domanda di annullamento (e di sospensione cautelare) dei provvedimenti impugnati, evidenziandosi che, con nota del 12.5.2014, il Ministero dell’Educazione rumeno aveva affermato la regolarità del loro percorso formativo (attestando che esso era “stato effettuato nel rispetto delle norme legali vigenti”), anche con riguardo al cd. accorpamento, ovvero alla possibilità di sostenere in un unico anno accademico gli esami previsti per l’anno successivo, con la conseguente abbreviazione temporale del complessivo corso di studi (da sei a cinque anni).

Con gli ulteriori motivi aggiunti, depositati in data 14.2.2015, i ricorrenti ancora interessati alla res iudicanda impugnavano il provvedimento prot. n. 62170 del 13.11.2014, con il quale il Ministero della Salute si era determinato nel senso di interpellare la Commissione Europea per ottenere la deroga di cui all’art. 61 della direttiva 2005/36/CE (a mente del quale “se uno Stato membro incontra forti difficoltà nell’applicare una disposizione della presente direttiva, la Commissione esamina tali difficoltà insieme allo Stato membro interessato. Eventualmente la Commissione adotta un atto di esecuzione per permettere allo Stato membro interessato di derogare, per un certo periodo, all’applicazione della norma in questione”).

La domanda di deroga era motivata dall’autorità ministeriale con riferimento al fatto che “il compendio di due anni in uno sarebbe stato accordato dagli atenei romeni in virtù del riconoscimento di materie studiate in precedenza presso istituti professionali per odontotecnico in Italia”, laddove “il diploma di scuola secondaria, al massimo, può costituire requisito di accesso ad un corso universitario” e “gli odontotecnici si formano in Italia al solo scopo di costruire manufatti (protesi, apparecchi ortodontici)”, per cui “al termine degli studi essi non hanno certo acquisito alcuna delle conoscenze e competenze tecniche specifiche dei dentisti di cui all’art. 34 co. 3 della direttiva 23005/36/CE”.

Deducevano i ricorrenti, a fondamento della relativa domanda di annullamento, che, come emergeva dalla nota del Ministero romeno del 28.7.2014, l’art. 34, par. 2, della direttiva 2005/36/CE prevede che “la formazione di base del medico dentista consiste in almeno cinque anni d’istruzione pratica a tempo pieno”, che in Romania il corso di studi aveva durata di sei anni e prevedeva l’acquisizione di 360 crediti formativi, che la legge rumena n. 84/1995, vigente all’epoca dello svolgimento dei corsi da parte dei ricorrenti, consentiva l’abbreviazione di un anno del corso, che detta abbreviazione non aveva comportato il riconoscimento di alcun precedente periodo di studi ma si era realizzata mediante il superamento dei relativi esami integrativi con l’acquisizione, al termine del percorso formativo, dei previsti 360 crediti ECTS, in conformità alla legislazione nazionale rumena, e che dal certificato di esami dei ricorrenti si evinceva che essi avevano sostenuto tutti gli esami, mentre l’unico beneficio conseguito era stato l’abbinamento di due anni in uno.

Concludevano i ricorrenti osservando che la Commissione UE aveva già mostrato di ignorare le richieste italiane intese ad ottenere la deroga e che comunque non sussistevano le “forti difficoltà nell’applicazione della direttiva” che, ai sensi dell’art. 61, avrebbero potuto giustificarla.

Va a questo punto evidenziato che le censure formulate con i suddetti motivi aggiunti corrispondono sostanzialmente a quelle contenute nel ricorso n. 2289/2015 del R.G., proposto dinanzi al T.A.R. Lazio, avverso il medesimo provvedimento, dai sigg. P B, G B, M G, G G, G G, R G, G L e R B, versanti in condizioni analoghe a quelle dei promotori del suindicato ricorso n. 9221/2013.

Con gli ulteriori motivi aggiunti, depositati agli atti del giudizio introdotto con il ricorso n. 9221/2013 in data 4.9.2015, corrispondenti ai primi motivi aggiunti nell’ambito del giudizio introdotto con il ricorso n. 2289/2015, i ricorrenti D P, Governatori, M, N, P, P, V e B impugnavano il provvedimento del Ministero della Salute prot. n. 0026420-P del 22.5.2015, con il quale si comunicava che i titoli di studio in loro possesso sarebbero stati esaminati “in base al regime generale di riconoscimento” (…) “in quanto le informazioni fornite dalla Romania sull’Ateneo Apollonia di Iasi minano ogni certezza circa la conformità della formazione, svolta dalle SS.LL. presso detta Università, ai requisiti minimi sanciti al riguardo dalla direttiva 2005/36/CE (…). Questo Ministero provvederà quindi a subordinare il riconoscimento dei titoli di studio al superamento di una misura compensativa (tirocinio di adattamento o prova attitudinale, a scelta dell’interessato) al fine di verificare le conoscenze e competenze delle SS.LL.”.

Tale ultimo provvedimento veniva adottato sulla scorta:

- della missiva del Ministero dell’Educazione romeno del 16.3.2015, con la quale si dava atto che, a seguito del monitoraggio cui l’Università privata “Apollonia” di Iasi era stata sottoposta negli anni 2010-2012 ed in base alla valutazione finale di ARACIS (Agenzia rumena di garanzia della qualità del sistema di istruzione universitaria) per il 2013, con la quale alla suddetta Università era stata attribuita la valutazione di “mancanza di affidabilità”, il medesimo Ministero aveva disposto, con ordine del 19.11.2013, che l’Università fosse sottoposta nuovamente a monitoraggio, e che a seguito dell’ultima valutazione da parte di ARACIS era stata proposta l’attribuzione alla stessa della valutazione “mancanza di affidabilità”, mentre per il corso di studi in Medicina dentale era stata proposta la valutazione “non affidabile”, nonché la messa in stato di liquidazione (trattandosi della seconda valutazione consecutiva di “non affidabile”);

- della nota della Commissione europea del 23.4.2015, con la quale, alla luce di quanto comunicato dalla Romania con la missiva succitata, erano stati forniti una serie di criteri-guida cui le autorità italiane avrebbero potuto attenersi, così formulati: “per le domande in questione, le autorità competenti italiane potrebbero esaminare in base al regime generale quelle in merito alle quali nutrono ancora dubbi fondati per quanto concerne la conformità della formazione dei dentisti ai requisiti minimi (…). Le autorità competenti italiane possono contemplare un simile approccio ad esempio nelle situazioni seguenti: a) per i dentisti laureati all’Università Apollonia (a Iasi) considerato che la recente decisione dell’Agenzia di accreditamento romena ha proposto la liquidazione di tale Università e soprattutto del suo programma odontoiatrico in quanto “inaffidabile” alla luce della normativa nazionale…”.

Con le censure formulate mediante i predetti motivi aggiunti, i ricorrenti deducevano che, in base ai documenti dell’8.7.2015, provenienti dalla Romania, la proposta di liquidazione dell’Università “Apollonia” di Iasi risultava definitivamente archiviata e che la stessa Università era accreditata per l’anno 2015/2016 anche per il corso di laurea in “Medicina dentara”.

Essi richiamavano inoltre il documento dell’ARACIS del 2.7.2015, con il quale si chiariva che, malgrado alcune criticità riscontrate in passato all’interno dell’Università “Apollonia” di Iasi, non potevano esservi dubbi circa la regolarità del percorso formativo dei ricorrenti, in quanto la Romania aveva adoperato una serie di meccanismi di tutela, come ad esempio l’istituzione di una “commissione per gli esami di finalizzazione”, composta per almeno il 50% da docenti universitari esterni, con lo scopo di garantire che tutti i laurearti dell’”Apollonia” avessero una preparazione adeguata alla vigente normativa rumena e comunitaria.

Allegavano altresì che gli ispettori ministeriali avevano verificato per oltre un anno la carriera degli studenti italiani, assistendo ai loro esami ed interrogandoli anche per verificare la conoscenza della lingua rumena, con esito favorevole ai ricorrenti, a dimostrazione del rispetto dei requisiti minimi previsti dalla direttiva 2005/36/CE.

I ricorrenti deducevano quindi che esulava dai poteri dei funzionari europei, nel rispetto del principio di separazione dei poteri, quello di autorizzare la disapplicazione della direttiva 2005/36/CE, la quale, in caso di “fondato dubbio”, consentiva esclusivamente allo Stato membro ospitante di chiedere chiarimenti allo Stato che aveva rilasciato il titolo (ai sensi dell’art. 50, par. 2), non residuando alcuna alternativa al riconoscimento dello stesso una volta che tali chiarimenti fossero stati resi: ebbene, poiché la Romania aveva attestato che il titolo conseguito dai ricorrenti rispondeva ai requisiti minimi di cui alla direttiva 2005/36/CE, il Ministero intimato non poteva che procedere al riconoscimento.

Aggiungevano i ricorrenti che i funzionari della Commissione UE, firmatari della lettera del 23.4.2015, avevano respinto espressamente la deroga, ex art. 61 della direttiva, invocata dalle autorità italiane, né avevano ritenuto fondate le “gravi preoccupazioni attinenti alla salute pubblica”, limitandosi a fornire un loro “punto di vista”, peraltro sulla base di presupposti poi rivelatisi errati (atteso che il provvedimento romeno che aveva sancito la “non affidabilità” dell’Università “Apollonia” aveva carattere “non definitivo”, costituendo oggetto la preannunciata liquidazione di una mera proposta, poi revocata).

Concludevano osservando che eventuali contestazioni contro i titoli romeni avrebbero dovuto essere proposte dall’autorità italiana dinanzi al giudice romeno (precisamente la Sezione amministrativa del Tribunale di Bucarest) e che decine di laureati di nazionalità romena presso l’Università “Apollonia”, che avevano seguito lo stesso percorso di studio dei ricorrenti (2 anni accademici in 1), avevano ottenuto il riconoscimento in Italia, risultando in tal modo violato il principio di non discriminazione.

Infine, ulteriori motivi aggiunti venivano depositati, nell’ambito di entrambi i giudizi, nella medesima data del 4.9.2015 ed avevano ad oggetto le determinazioni ministeriali con le quali era stata respinta l’istanza con la quale gli interessati avevano chiesto l’annullamento del provvedimento del 22.5.2015 ed erano state applicate nei loro confronti le preannunciate misure compensative, disponendo che ciascuno di loro, per ottenere il riconoscimento del titolo accademico rumeno, dovesse sottoporsi a un tirocinio di 18 mesi oppure ad una prova attitudinale: ciò all’esito della conferenza dei servizi di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 206/2007, svoltasi in data 14.7.2015, la quale aveva ritenuto la sussistenza di “fondati dubbi per quanto concerne la conformità della formazione svolta dai cittadini in questione presso detta Università romena, sussistendo la necessità di verificare l’effettiva acquisizione da parte dei suddetti cittadini delle conoscenze scientifiche, delle competenze tecniche e delle abilità previste dalla direttiva e dalla normativa italiana per l’esercizio della professione di odontoiatra, tenuto conto dell’obbligo di tutelare la salute pubblica cui è tenuta l’Amministrazione”.

Le sentenze appellate.

Nel decidere i ricorsi ed i motivi aggiunti, il T.A.R. Lazio, con le sentenze appellate ed uniformemente argomentate, preso atto dell’intervenuta cessazione della materia del contendere per i ricorrenti T, S e V e dichiarata l’improcedibilità del gravame relativamente al ricorrente F, il quale aveva omesso di impugnare il provvedimento finale lesivo adottato dal Ministero (con il quale erano state determinate le “misure compensative”), ha in parte dichiarato improcedibili ed in parte respinto le domande di annullamento (così come quella, consequenziale, di ordine risarcitorio) dei ricorrenti, evidenziando, in sintesi, quanto segue:

- con riferimento alla posizione del F, ed a prescindere dalla statuizione di improcedibilità adottata nei suoi confronti, sussistevano comunque i presupposti per invocare l’applicazione dell’art. 61 della direttiva 2005/36/CE, in considerazione del “comportamento contraddittorio tenuto nella vicenda in questione dalle competenti Autorità rumene, le quali in un primo tempo avevano affermato la correttezza del corso di studi seguito dai ricorrenti presso l’Università “Apollonia”, mentre successivamente, in esito alle richieste della Commissione europea, avevano affermato la "non affidabilità" del suddetto corso di studi”;

- per quanto concerne gli altri ricorrenti, le impugnative proposte con il gravame principale, i primi ed i secondi motivi aggiunti (ovvero, relativamente al ricorso n. 2289/2015, con il gravame principale ed i primi motivi aggiunti) dovevano essere dichiarate improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto i provvedimenti con essi impugnati erano stati superati da quelli contestati con i terzi motivi aggiunti (corrispondenti ai secondi motivi aggiunti in relazione al ricorso n. 2289/2015), con i quali il Ministero della Salute aveva rigettato la loro istanza di riesame ed individuato le misure compensative ex art. 22 d.lgs. n. 206/2007;

- il comportamento oscillante e non chiaro tenuto dalle competenti autorità rumene nella vicenda in esame aveva correttamente indotto il Ministero della Salute a chiedere di poter derogare al principio del riconoscimento automatico alla Commissione europea, la quale, in esito alle informazioni ricevute dalle autorità rumene, aveva autorizzato il resistente Ministero a derogare al menzionato principio;

- la revoca della liquidazione dell’Università “Apollonia” non era stata disposta in quanto era stato riconosciuto inattendibile il giudizio di “mancanza di affidabilità” a suo tempo formulato nei suoi confronti, ma sulla base dell’adozione di misure ritenute in grado di correggere le criticità precedentemente riscontrate, e, quindi, costituiva la conferma indiretta dell’esistenza di irregolarità nel corso di studi frequentato dai ricorrenti;

- il Ministero in passato aveva proceduto a riconoscere in modo automatico titoli accademici di odontoiatria rilasciati dall’Ateneo “Apollonia” del tutto identici a quelli in possesso dei ricorrenti, ma era stato condizionato dalla circostanza che solamente nel marzo 2015 le competenti Autorità rumene avevano evidenziato le palesi criticità del corso di studi rumeno, per cui, una volta acquisita la conoscenza di tali criticità, erano venuti meno i presupposti previsti dalla normativa per il riconoscimento automatico.

Gli appelli.

Mediante i motivi di appello, i suoi promotori (sig.ri D P, Governatori, M, N, P, P e V per l’appello n. 378/2016 e sig. B Raffaele per l’appello n. 379/2016) contestano le statuizioni di improcedibilità e di infondatezza recate dalle sentenze appellate e reiterano (limitatamente all’appello n. 378/2016) la domanda di condanna del Ministero intimato al risarcimento del danno, in conseguenza del ritardo con il quale essi conseguiranno il riconoscimento del titolo professionale di odontoiatra in base al regime generale di riconoscimento ed a seguito dell’esecuzione delle misure compensative disposte con i provvedimenti impugnati in primo grado con gli ultimi motivi aggiunti.

Si è costituito in entrambi i giudizi di appello il Ministero della Salute, per opporsi all’accoglimento dei gravami.

La riunione dei giudizi e la premessa alla decisione.

Preliminarmente, deve essere disposta la riunione degli appelli, siccome soggettivamente ed oggettivamente connessi.

Ritiene il collegio, prima di procedere alla disamina delle doglianze di parte appellante, di precisare che l’analisi sarà articolata in due momenti principali, ovvero:

- ricostruzione, con specifico riguardo ai profili rilevanti ai fini della definizione della controversia, della disciplina europea in tema di riconoscimento da parte di uno Stato membro della qualifica professionale di odontoiatra, conseguita all’esito di un corso di studi seguito dall’interessato presso un Ateneo avente sede in un altro Stato membro, al fine di svolgere la professione nel territorio del primo: sotto tale aspetto, dopo aver delineato nei suoi tratti essenziali l’istituto di origine euro-unitaria del “riconoscimento automatico”, occorrerà verificare se, entro quali limiti e nel rispetto di quali condizioni, sostanziali e procedimentali, sia consentito allo Stato membro sottrarsi alla sua rigorosa applicazione e/o mitigarne l’automaticità;

- verifica, con riferimento al caso di specie, della sussistenza dei presupposti applicativi della deroga, latamente intesa, al sistema di riconoscimento automatico e, quindi, della legittimità dei motivi addotti a tal fine dall’Amministrazione appellata, alla luce delle censure formulate dagli originari ricorrenti e riproposte con i motivi di appello.

All’esito di tali approfondimenti, e sulla base delle conclusioni raggiunte, occorrerà verificare la fondatezza della proposta azione risarcitoria (relativamente all’appello n. 378/2016) e la sussistenza dei presupposti per investire la Corte di Giustizia Europea con i quesiti interpretativi ipotizzati dagli appellanti (ed, eventualmente, degli altri ritenuti pertinenti dal collegio).

La normativa europea.

Ebbene, iniziando dal primo profilo dell’indagine impostata nei termini appena illustrati, deve osservarsi che, nel quadro dei principi del Trattato dell'Unione Europea, viene in rilievo ai fini della presente controversia quello inteso ad assicurare la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione ed in particolare ad affermare e tutelare il diritto di stabilimento del soggetto che, avendo acquisito in uno Stato membro (cd. di origine) il titolo per esercitare una “professione regolamentata” (ovvero, una professione l’accesso alle quale e il cui esercizio siano subordinati al possesso di una determinata qualifica professionale), intenda esercitarla in uno Stato membro (cd. ospitante) diverso da quello in cui ha acquisito la corrispondente qualifica professionale.

Al fine di garantire l’attuazione del suddetto principio, è stata emanata la direttiva 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali), avente appunto ad oggetto la disciplina del reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali tra gli Stati membri e recepita in Italia con il decreto legislativo n. 206 del 9 novembre 2007.

Il sistema di riconoscimento delineato dalla direttiva ha carattere complesso, al fine di rispondere in maniera adeguata alle diverse situazioni in cui si manifesta l’esigenza di garantire la libera circolazione degli esercenti le professioni regolamentate, e si articola nei seguenti sub-sistemi:

- un “regime generale di riconoscimento dei titoli di formazione”, cui ricorrere relativamente alle professioni “non armonizzate” (ovvero quelle per le quali la direttiva non indica i criteri qualitativi minimi dei titoli di formazione) e comunque nei casi in cui “i richiedenti, per una ragione specifica ed eccezionale, non soddisfano le condizioni previste” per le professioni per le quali sono state indicate le suddette condizioni minime di armonizzazione (cfr. art. 10 della direttiva): tale meccanismo di riconoscimento non ha carattere automatico (non “vincola” cioè l’Amministrazione ad assentire il riconoscimento sulla scorta del riscontro della mera corrispondenza del titolo di formazione in possesso del richiedente a quello che, nello Stato membro che lo ha rilasciato, consente l’esercizio della relativa professione), ma presuppone una valutazione, da parte della competente autorità dello Stato ad quem , del percorso formativo-professionale seguito nello Stato membro di origine e prevede la possibilità, nel caso in cui la formazione ricevuta riguardi “materie sostanzialmente diverse da quelle coperte dal titolo di formazione richiesto nello Stato membro ospitante” (cfr. art. 14, comma 1, lett. a) della direttiva e art. 22, comma 1, lett. b d.lvo n. 206/2007), di prescrivere la sottoposizione dell’interessato a “misure compensative”, alternativamente rappresentate da un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale;

- un regime di “riconoscimento dell’esperienza professionale”, utilizzabile quando, in uno Stato membro, l’accesso a una delle attività elencate all’allegato IV sia subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali: in tale ipotesi, lo Stato membro ospitante “riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l’aver esercitato l’attività considerata in un altro Stato membro” (cfr. art. 16 della direttiva e art. 27 d.lvo n. 206/2007);

- un regime di “riconoscimento automatico” dei titoli di formazione, previsto dall’art. 21 della direttiva (nonché dall’art. 31, comma 7, d.lvo n. 206/2007) e valevole per le professioni “armonizzate” (tra le quali quella, inerente alla presente controversia, di odontoiatra), incentrato sul possesso, acquisito in uno Stato membro, di uno dei titoli di formazione di cui al punto 5.3.2 dell’allegato V della direttiva, “attestante, se del caso, l’acquisizione nel corso della propria formazione complessiva, da parte del professionista interessato, delle conoscenze, delle abilità e delle competenze” di cui all’art. 34 della medesima direttiva.

Va altresì rilevato che, con specifico riferimento al sistema di “riconoscimento automatico”, la direttiva predispone tre diversi livelli di garanzia, a salvaguardia dell’interesse dello Stato membro ospitante all’esercizio sul suo territorio della professione regolamentata da parte dei soggetti effettivamente in possesso di idonei titoli professionali e ad alla correlata tutela di beni essenziali dei suoi cittadini (come quello della salute, alla quale attiene in particolare, e sulla quale può pericolosamente incidere, l’esercizio dell’attività odontoiatrica):

- il primo opera all’interno del medesimo sub-sistema di riconoscimento ed è incentrato sul principio di cooperazione che deve ispirare, secondo la direttiva, i rapporti tra gli Stati membri. In particolare, ai sensi dell’art. 50, comma 2, della direttiva (corrispondente all’art. 8, comma 4, d.lvo n. 206/2007), “in caso di dubbio fondato, lo Stato membro ospitante può richiedere alle autorità competenti di uno Stato membro una conferma dell’autenticità degli attestati e dei titoli di formazione rilasciati in questo altro Stato membro nonché, eventualmente, la conferma del fatto che il beneficiario soddisfa le condizioni minime di formazione” di cui (per quanto specificamente concerne la professione di odontoiatra) all’art. 34 della medesima direttiva. Nel medesimo solco collaborativo, l’art. 56, commi 2 e 3, della direttiva prevede che “le autorità competenti dello Stato membro d’origine e dello Stato membro ospitante si scambiano informazioni concernenti l’azione disciplinare o le sanzioni penali adottate o qualsiasi altra circostanza specifica grave che potrebbero avere conseguenze sull’esercizio delle attività previste dalla presente direttiva, nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali di cui alle direttive 95/46/CE e 2002/58/CE” e che “lo Stato membro d’origine esamina la veridicità dei fatti e le sue autorità decidono la natura e la portata delle indagini da svolgere e comunicano allo Stato membro ospitante le conseguenze che traggono dalle informazioni di cui dispongono”;

- il secondo meccanismo di protezione si esprime in un rapporto di collegamento tra il sistema di riconoscimento automatico ed il regime generale di riconoscimento, dianzi analizzati, ed è previsto dall’art. 10, comma 1, della direttiva, il quale prevede l’applicazione del secondo, anche in relazione alle professioni “armonizzate”, quando “i richiedenti, per una ragione specifica ed eccezionale, non soddisfano le condizioni previste” dalle disposizioni dedicate alle suddette professioni (ovvero, con riferimento alla professione di odontoiatra, dall’art. 34 della direttiva);

- il terzo livello di protezione, infine, colloca più radicalmente la fattispecie di riconoscimento al di fuori del perimetro regolativo della direttiva ed è contemplato dall’art. 61 (“clausola di deroga”), il quale dispone che “se uno Stato membro incontra forti difficoltà nell’applicare una disposizione della presente direttiva, la Commissione esamina tali difficoltà insieme allo Stato membro interessato”, aggiungendo che “eventualmente la Commissione adotta un atto di esecuzione per permettere allo Stato membro interessato di derogare, per un certo periodo, all’applicazione della norma in questione”.

L’esame dei motivi di appello.

Delineati nei termini che precedono i contorni regolativi della materia, può adesso procedersi al secondo profilo dell’indagine, il quale ha ad oggetto il modus procedendi seguito dall’Amministrazione nella fattispecie in esame e si propone di verificare la sua riconducibilità alle norme che, come si è visto, introducono correttivi e, quale extrema ratio , vere e proprie deroghe alla disciplina europea in tema di riconoscimento automatico dei titoli di formazione: nel contempo, si illustreranno i passaggi essenziali dell’attività amministrativa censurata, anche al fine di individuare quelli tuttora connotati da profili di lesività per gli appellanti.

Come emerge dall’esposizione, precedentemente operata, del contenuto dei ricorsi introduttivi dei giudizi di primo grado e dei successivi motivi aggiunti, l’appellato Ministero della Salute, in presenza delle istanze di riconoscimento automatico (dei titoli di formazione di odontoiatra acquisiti in Romania) presentate nel 2013 dagli appellanti, ha inizialmente adottato determinazioni soprassessorie, nell’attesa di acquisire informazioni dallo Stato rumeno in ordine alla regolarità del percorso formativo da essi seguito: la relativa esigenza scaturiva dalle irregolarità emerse, negli anni precedenti e sulla base del dossier trasmesso allo Stato italiano da un parlamentare romeno, con riferimento al percorso di studi universitari di cittadini italiani che avevano conseguito la qualifica professionale di odontoiatra presso Atenei rumeni.

Deve subito osservarsi che i suindicati provvedimenti (impugnati dai solo promotori del ricorso n. 9221/2013) devono ritenersi superati, determinando il venir meno dell’interesse degli appellanti al loro formale annullamento, da quelli successivamente adottati dal Ministero della Salute ed impugnati con le plurime serie di motivi aggiunti, intesi da ultimo a sottoporre la posizione pretensiva degli appellanti al “regime generale di riconoscimento” e ad individuare le “misure compensative” cui avrebbero dovuto sottoporsi al fine di ottenerlo.

E’ bensì vero che potrebbe residuare in capo ad essi, e con riferimento a tutti i provvedimenti che hanno costellato la vicenda oggetto di controversia, l’interesse all’accertamento della loro eventuale illegittimità, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a. (“quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”): ciò, tuttavia, subordinatamente alla verifica della fondatezza dell’interesse sostanziale degli appellanti al riconoscimento dei loro titoli di formazione secondo le regole proprie del “riconoscimento automatico” (ed in presenza degli altri presupposti della fattispecie risarcitoria), la quale sarà condotta in occasione dell’esame delle censure rivolte avverso i menzionati provvedimenti sopravvenuti (con i quali, si ripete, l’Amministrazione ha posto fine alla fase transitoria, incentrata sulla sospensione del procedimento di riconoscimento, e definito, sebbene in termini non satisfattivi, la posizione degli appellanti).

Alle stesse conclusioni (in termini di improcedibilità della domanda di annullamento) deve pervenirsi in relazione ai motivi aggiunti depositati (nell’ambito del giudizio introdotto con il ricorso n. 9221/2013) in data 22.7.2014, intesi essenzialmente a ribadire, anche sulla scorta di nuova documentazione, l’illegittimità degli atti impugnati con il corrispondente ricorso introduttivo del giudizio: non senza precisare che non sussiste, sotto tale profilo, la violazione dell’art. 112 c.p.c. dedotta dagli appellanti, i quali lamentano che il T.A.R. avrebbe omesso di prendere in considerazione i predetti motivi aggiunti, essendo in realtà gli stessi interessati, sebbene implicitamente, dalla declaratoria di improcedibilità recata, in relazione al ricorso introduttivo del giudizio, dalla sentenza appellata n. 12713/2015.

Con successivo provvedimento, datato 13.11.2014 ed impugnato con i motivi aggiunti (al ricorso n. 9221/2013) depositati in data 14.2.2015 (nonché con il ricorso introduttivo del giudizio n. 2289/2015), il Ministero appellato ha quindi disposto di richiedere ( rectius , rinnovato la richiesta già in precedenza formulata) alla Commissione UE l’applicazione della deroga di cui all’art. 61 della direttiva 2005/36/CE: ciò, essenzialmente (ma non solo), sulla scorta della abbreviazione del corso di studi seguito dagli appellanti in Romania, asseritamente ottenuto utilizzando (impropriamente) crediti formativi relativi ad attività di studio svolte in Italia ai fini del conseguimento del diploma di odontotecnico.

Anche il suindicato provvedimento, di carattere meramente transitorio ed interlocutorio, può considerarsi superato, al pari delle censure formulate al fine di ottenerne l’annullamento, per effetto della successiva adozione di quello datato 22.5.2015, con il quale è stata disposta l’applicazione del “regime generale” di riconoscimento e delle connesse “misure compensative” (impregiudicata, come si è già detto, l’eventuale reviviscenza dell’interesse all’accertamento della sua dedotta illegittimità ai fini risarcitori, ex art. 34, comma 3, c.p.a.).

Tuttavia, non può farsi a meno di osservare che se, da un lato, l’organo esecutivo europeo investito dal Ministero della Salute, con la nota del 23.4.2015, ha ritenuto l’insussistenza delle condizioni applicative della deroga ex art. 61 della direttiva (ciò che da solo, peraltro, non deporrebbe univocamente nel senso della illegittimità del citato provvedimento ministeriale, a meno che l’insussistenza di quelle condizioni non emergesse ex ante ed ictu oculi ), dall’altro lato, la stessa Amministrazione appellata, non riproponendo i suindicati profili di criticità del percorso formativo degli appellanti (inerenti, come si è detto, all’”accorpamento” di due anni del corso di studi seguito in Romania) con i successivi provvedimenti, ne ha evidentemente ed a posteriori ritenuto l’inconsistenza (senza tacere che sul ridetto “accorpamento” il Ministero dell’Educazione rumeno, con le missive del 28.7.2014 e del 24.9.2014, si è approfonditamente soffermato, illustrando il carattere del tutto fisiologico e legittimo dello stesso).

Strettamente connessi devono invece ritenersi – e quindi meritevoli di uno scrutinio congiunto della loro legittimità, alla luce delle censure della parte appellante – i provvedimenti, ed i relativi motivi aggiunti (depositati, in entrambi i giudizi di primo grado, con due atti formalmente distinti nella medesima data del 4.9.2015), con i quali il Ministero della Salute ha, prima, disposto che le istanze di riconoscimento degli appellanti sarebbero state esaminate secondo il “regime generale di riconoscimento”, ovvero mediante l’applicazione di “misure compensative”, quindi, ha concretamente individuato queste ultime e le relative modalità di esecuzione.

Ebbene, deve in primo luogo osservarsi che i menzionati provvedimenti non pretendono di trovare legittimazione nel potere dello Stato membro di derogare, previa autorizzazione (data con “atto di esecuzione”) della Commissione UE, alle disposizioni europee in tema di riconoscimento dei titoli di formazione, previsto dall’art. 61 della direttiva 2005/36/CE, con particolare riguardo all’art. 21 della medesima, dettato in tema di “riconoscimento automatico”: basti osservare che l’Amministrazione appellata, dopo la “bocciatura” dell’istanza di deroga avanzata alla Commissione UE, si è limitata ad applicare alle istanze degli appellanti, seguendo le indicazioni operative di quest’ultima (come si è detto e come si vedrà meglio infra ) il “regime generale di riconoscimento”, comunque contemplato e regolato dalla citata direttiva, sì che, piuttosto che un problema di disapplicazione o deroga delle disposizioni recate da quest’ultima, potrebbe discutersi della sussistenza dei presupposti applicativi del menzionato “regime generale” (in luogo di quello “speciale”, incentrato sul “riconoscimento automatico” dei titoli di formazione): profilo in ordine al quale si dirà in seguito, alla luce delle pertinenti censure della parte appellante.

Né si pone una questione di ingerenza dell’organo esecutivo della UE nella competenza degli organi legislativi, da cui promana la citata direttiva, atteso che la nota del 23.4.2015, non imputabile all’organo-Commissione (quindi, anche da questo punto di vista, non riconducibile al potere autorizzatorio di cui al citato art. 61 della direttiva) ma da suoi funzionari, lungi dall’esprimere alcuna effettiva potestà decisionale (tantomeno in chiave derogatoria di disposizioni di rango primario), si limita a sottoporre al Ministero italiano della Salute, in termini puramente orientativi e collaborativi, la possibilità di determinarsi in ordine alle istanze degli appellanti secondo la disciplina del “regime generale di riconoscimento”, ritenendo la sussistenza dei relativi presupposti applicativi.

Deve altresì osservarsi che i provvedimenti impugnati (si ripete, con le due serie di motivi aggiunti del 4.9.2015) si collocano al termine di un lungo ed articolato percorso istruttorio e procedimentale, nel corso del quale l’Amministrazione appellata ha dapprima sollecitato (ed in parte ottenuto: si veda, in particolare, la risposta rassicurante data all’istanza di chiarimenti con riguardo al percorso di studi degli originari ricorrenti sig. T, V e S, a favore dei quali il riconoscimento è stato successivamente assentito) la cooperazione delle autorità rumene al fine di verificare, “caso per caso”, l’idoneità formativa del corso di studi seguito dagli appellanti (nell’esercizio, sostanzialmente, del potere istruttorio di cui al richiamato art. 50, comma 2, della direttiva 2005/36/CE), trasmettendo di volta in volta alle autorità rumene gli elenchi dei richiedenti il riconoscimento del titolo di formazione.

In seguito il Ministero appellato, ravvisata l’inefficienza di tale sistema, in quanto attagliantesi a fronteggiare una situazione di “emergenza” ma non a disciplinare in forma stabile i rapporti tra i due Stati membri in tema di riconoscimento dei titoli di formazione, ha manifestato la sua disponibilità a procedere al riconoscimento dei titoli in forma automatica, qualora la Romania avesse potuto attestare che, a partire da un determinato anno accademico, i titoli di formazione erano stati rilasciati nel rispetto delle condizioni minime dettate dalla direttiva 2005/36/CE (cfr. nota ministeriale prot. n. 55391 dell’11.12.2013, richiamata nella relazione istruttoria del 13.5.2014).

Va detto che alla nota ministeriale suindicata ha fatto seguito la lettera del Ministero dell’Educazione rumeno del 20.12.2013 (richiamata nella relazione istruttoria del Ministero appellato del 23.1.2014), con la quale, in riscontro alla richiesta di chiarimenti relativa al percorso formativo degli appellanti, viene evidenziato che esso “è stato oggetto di verifiche e, a seguito dei risultati, saranno disposti i rispettivi provvedimenti dei quali sarà informato il Ministero italiano della Salute”.

Ebbene, è evidente che la lettera suindicata non può considerarsi idonea a fornire allo Stato italiano i richiesti chiarimenti in merito alla posizione degli appellanti, ma anzi, nel preannunciare l’adozione di “provvedimenti”, tenuto conto anche del fatto che, con la medesima nota, veniva rilasciata una dichiarazione liberatoria quanto al ricorrente sig. T M, essa non poteva che assumere un implicito contenuto confermativo (non della bontà del corso di studi seguito dagli appellanti, ma) dei “fondati dubbi” nutriti dall’autorità italiana.

Alla stessa conclusione deve pervenirsi in relazione alle note del Ministero dell’Educazione rumeno del 28.7.2014 e del 24.9.2014, anch’esse inappaganti rispetto alle richieste italiane di chiarimenti, riferite specificamente ai titoli di formazione conseguiti dai suddetti: le note suindicate, infatti, si limitano a dichiarare la generalizzata regolarità dei percorsi formativi svolti dai cittadini italiani presso le Università rumene, tanto da essere state ritenute espressamente insoddisfacenti dallo Stato italiano, come si evince dalla nota del 13.11.2014, prot. n. 62170-P, laddove sottolinea, tra l’altro, che “non è chiaro a partire da quale anno accademico i corsi di studio in odondoiatria debbano considerarsi pienamente conformi a tutti i requisiti di cui all’art. 34 della direttiva 2005/36/CE”.

Constatata quindi, come si è detto, l’inefficienza del precedente metodo operativo, il Ministero della Salute ha dapprima (ovvero con la citata nota del 13.11.2014) chiesto alla Commissione UE di essere autorizzato ad applicare la “clausola di deroga” di cui all’art. 61 della direttiva, quindi, col provvedimento del 22.5.2015, a fronte del diniego dell’istanza di deroga e seguendo l’indicazione (non vincolante, come si è detto, ma non per questo meno autorevole, tenuto conto della sua fonte) dei funzionari della Commissione, ha deciso di fare riferimento, ai fini della definizione delle istanze degli appellanti, al “regime generale di riconoscimento”.

Tale decisione trova essenzialmente fondamento nelle vicende, riguardanti l’Università “Apollonia”, riferite dal Ministero dell’Educazione rumeno con la nota del 16.3.2015 (richiamata nel suindicato provvedimento del Ministero della Salute prot. n. 0026420-P del 22.5.2015 oltre che nel provvedimento prot. n. 0036893-P-27/07/2015, di rigetto dell’istanza di riesame presentata dagli appellanti), acquisita nell’ambito dell’istruttoria avviata dalla Commissione UE a seguito della menzionata richiesta di intervento dello Stato italiano.

Con la suddetta nota, si da in primo luogo atto che l’Università privata “Apollonia” di Iasi è stata valutata “non affidabile” dall’ARACIS a seguito dei monitoraggi effettuati negli anni 2010-2013, ovvero proprio in quelli in cui gli appellanti hanno svolto gli studi e conseguito il titolo di formazione.

Dalla medesima nota dell’autorità rumena si evince che, a seguito dell’ulteriore monitoraggio condotto dal 22.11.2013 al 30.9.2014, l’ARACIS ha proposto l’attribuzione al suddetto Ateneo della valutazione “mancanza di affidabilità”, mentre per il corso di studi in Medicina dentale è stata proposta la valutazione “non affidabile” nonché la messa in stato di liquidazione, trattandosi della seconda valutazione consecutiva di “non affidabile”.

Sempre dalla menzionata nota del Ministero rumeno si evince che, nel corso del periodo di monitoraggio, gli “esami di ultimazione” dei corsi di laurea venivano presidiati da commissioni formate anche da docenti provenienti da altre Università.

Sulla base delle citate risultanze, la Commissione europea, con la richiamata nota del 23.4.2015, ha fornito alle autorità italiane una serie di criteri-guida cui le stesse avrebbero potuto attenersi, evidenziando in particolare che: “per le domande in questione, le autorità competenti italiane potrebbero esaminare in base al regime generale quelle in merito alle quali nutrono ancora dubbi fondati per quanto concerne la conformità della formazione dei dentisti ai requisiti minimi (…). Le autorità competenti italiane possono contemplare un simile approccio ad esempio nelle situazioni seguenti: a) per i dentisti laureati all’Università Apollonia (a Iasi) considerato che la recente decisione dell’Agenzia di accreditamento romena ha proposto la liquidazione di tale Università e soprattutto del suo programma odontoiatrico in quanto “inaffidabile” alla luce della normativa nazionale…”.

Come si diceva, la nota europea non ha carattere perentorio, ma si limita ad indicare alle autorità italiane un modus procedendi utile ad uscire dall’”impasse” venutasi a determinare, compatibilmente con le regole dettate dalla direttiva 2005/36/CE, di cui veniva anche fornita una contestuale analisi interpretativa.

Ebbene, la determinazione del Ministero della Salute del 22.5.2015 (al pari dei successivi provvedimenti di rigetto dell’istanza di riesame proposta dagli appellanti e di determinazione delle pertinenti “misure compensative”) non può ritenersi inficiata dalle deduzioni della parte appellante, intese a sostenere l’insussistenza - ab origine e comunque sopravvenuta - dei “fondati dubbi” in ordine alla regolarità del loro percorso formativo e, quindi, del titolo professionale conseguito al termine dello stesso.

Dal primo punto di vista, invero, la dedotta “pretestuosità” dell’esigenza di approfondimento istruttorio ravvisata dal Ministero della Salute non potrebbe trovare fondamento nel fatto che i titoli professionali degli appellanti erano accompagnati dal certificato di conformità di cui all’allegato VII della direttiva 2005/36/CE.

Premesso infatti che, ai sensi del citato allegato, par. 2, “per facilitare l’applicazione del titolo III, capo III della presente direttiva, gli Stati membri possono prescrivere che i beneficiari che soddisfano le condizioni di formazione richieste presentino, unitamente al loro titolo di formazione, un certificato delle autorità competenti dello Stato membro di origine attestante che tale titolo è effettivamente quello di cui alla presente direttiva”, deve osservarsi che il suddetto certificato attiene solo alla corrispondenza tipologica e formale del titolo da riconoscere a quelli di cui all’allegato V, senza investire anche le modalità del percorso di studi seguito e la loro idoneità a garantire l’acquisizione delle conoscenze e delle competenze di cui all’art. 34 della direttiva (per quanto attiene alla formazione dell’odontoiatra).

Dal secondo punto di vista, invece, ovvero in riferimento alle affermate rassicurazioni che sarebbero state successivamente date dalla Romania alla richiesta di chiarimenti dello Stato italiano, è stata già sottolineata la perdurante mancanza degli stessi (con riguardo alla richiesta di chiarimenti “individuali”, ovvero riferiti alla posizione dei singoli richiedenti il riconoscimento) e comunque il loro carattere insoddisfacente (in relazione alla richiesta di chiarimenti “collettivi”, cioè intesa a conoscere da quale anno accademico il corso di studi dell’Università “Apollonia” potesse ritenersi a tutti gli effetti regolare).

Consegue da tali rilievi, in primo luogo, che le richieste di chiarimenti inoltrate dallo Stato italiano ex art. 50, comma 2, della direttiva 2005/36/CE, oltre ad essere ab initio del tutto giustificate, non sono state in seguito adeguatamente riscontrate dallo Stato rumeno destinatario, in modo da consentire al Ministero appellato di definire conformemente, ed in senso favorevole agli appellanti, il procedimento di riconoscimento, giustificando invece il “cambio di passo” del primo e la conseguente richiesta di intervento (e la connessa istanza di deroga) rivolta alla Commissione UE con la nota del 13.11.2014.

Né potrebbe sostenersi che l’Amministrazione appellata, nel prescrivere le “misure compensative”, non abbia dato coerentemente seguito alle indicazioni fornite dalla Commissione UE con la nota del 23.4.2015.

In primo luogo, infatti, è la stessa Commissione, nel precisare che “le autorità competenti italiane possono contemplare un simile approccio (basato cioè sulle regole proprie del “regime generale di riconoscimento”: n.d.e. ) ad esempio nelle situazioni seguenti: a) per i dentisti laureati all’Università Apollonia (a Iasi) considerato che la recente decisione dell’Agenzia di accreditamento romena ha proposto la liquidazione di tale Università e soprattutto del suo programma odontoiatrico in quanto “inaffidabile” alla luce della normativa nazionale…”, a condividere la sussistenza di “fondati dubbi” sulla “conformità europea” del percorso formativo degli appellanti.

In ogni caso, non avendo la Romania fugato i suddetti “fondati dubbi” con le note da essa provenienti dianzi richiamate, il Ministero della Salute ha correttamente ritenuto, seguendo le indicazioni europee, che il “regime generale di riconoscimento” fosse pertinente alla situazione degli appellanti.

Quanto invece alle “contromisure” adottate dalla Romania al fine di garantire l’aderenza della formazione universitaria odontoioatrica somministrata dall’Università “Apollonia” ai canoni europei, deve rilevarsi che se le stesse possono assumere rilievo per il periodo successivo alla conclusione degli studi universitari da parte degli appellanti, non sono invece decisive in relazione al loro personale corso di studi.

Come si è detto, infatti, alla luce della stessa documentazione di provenienza rumena, il “monitoraggio speciale” che ha messo capo al giudizio di “mancanza di affidabilità” dell’Università “Apollonia” è stato svolto in un periodo interessante proprio il corso di studi degli appellanti (2010-2013), mentre le misure di contrasto cui fa riferimento, in particolare, la nota del Ministero rumeno del 28.7.2014, “al fine di evitare il rischio del verificarsi di situazioni che possano generare disfunzionalità nel processo di formazione degli studenti stranieri”, sono state dichiaratamente applicate dall’anno accademico 2014/2015 ( ergo , successivamente al rilascio del titolo di studi agli appellanti).

Inoltre, il fatto che anche la commissione che ha esaminato gli appellanti fosse composta da membri esterni (rientrando tra le misure adottate nel corso del suddetto “monitoraggio speciale” cui l’Università “Apollonia” è stata sottoposta dal 2010 al 2013) e che, nonostante ciò, al medesimo Ateneo sia stata attribuita la valutazione “non affidabile”, non dimostra affatto che il titolo di formazione conseguito dagli appellanti fosse rispondente agli standards qualitativi “armonizzati”, essendo piuttosto indice del fatto che le medesime commissioni di esame “miste” hanno potuto accertare la non perfetta rispondenza del loro percorso formativo ai suindicati standards euro-unitari.

Nemmeno l’impostazione ministeriale (aderente, come si è visto, a quella “presupposta” dei funzionari della Commissione UE) può ritenersi inficiata dalla deduzione della parte appellante secondo cui l’ARACIS, ai fini del compimento delle sue valutazioni, si basa sul rispetto da parte degli Atenei di vari requisiti ministeriali, alcuni dei quali del tutto indipendenti dalla qualità della didattica, come quelli di natura finanziaria e amministrativa, per cui da un giudizio di “non affidabilità” non potrebbero trarsi elementi per mettere in dubbio la formazione impartita agli appellanti.

Deve per contro osservarsi che proprio l’adozione di misure correttive, intese ad allineare la formazione impartita dall’Università “Apollonia” agli standards qualitativi “armonizzati”, denota che il deficit di affidabilità dell’istituto atteneva (anche, se non solo) ai suddetti profili formativi.

In ogni caso, dalla già menzionata nota del Ministero dell’Educazione rumeno del 16.3.2015 si evince chiaramente che l’ARACIS, ai fini della valutazione di “mancanza di affidabilità” dell’Università “Apollonia”, ha analizzato e valutato la “situazione relativa all’organizzazione e al contenuto dell’insegnamento dell’università, nonché il ruolo dello stesso nella preparazione degli specialisti nei settori e nei programmi di studio organizzati legalmente”.

Né, a rassicurare l’autorità ministeriale italiana in ordine alla regolarità del percorso formativo degli appellanti, poteva venire in decisivo rilievo il fatto che, per l’anno accademico 2015/2016, l’Università “Apollonia”, lungi dall’essere stata liquidata, era operativa ed aveva iscritto 30 studenti al corso di “Medicina dentara”: trattasi infatti di circostanza sopravvenuta al periodo formativo degli appellanti e fondata proprio sulle iniziative assunte dalla Romania per ripristinare le condizioni di affidabilità dell’Ateneo, di cui essa stessa aveva rilevato la compromissione.

In altre parole, la mancata effettiva liquidazione non dimostra che la relativa proposta, formulata dall’ARACIS, fosse ab initio infondata o illegittima e tale quindi da non giustificare i “fondati dubbi” delle autorità italiane.

Deve solo precisarsi che non si intende con ciò sostenere che le criticità pregresse abbiano necessariamente inficiato il titolo di formazione degli appellanti: tuttavia, il fatto che quelle “criticità”, come riconosciuto dagli appellanti e dallo Stato rumeno, quantomeno nel passato, vi siano state non può che aver giustificato l’esigenza ravvisata dal Ministero della Salute, in assenza di congrue rassicurazioni (“individualizzate” o generali) delle autorità rumene atte a soddisfare le istanze sottese all’ iter istruttorio avviato ex art. 50, comma 2, della direttiva 2005/36/CE, di verificare l’effettiva competenza professionale degli appellanti.

Pertanto, alla luce delle considerazioni formulate, deve ritenersi che, in base alla stessa disciplina della direttiva ed ai correttivi dalla stessa previsti alla rigida operatività del meccanismo di “riconoscimento automatico”, i titoli di formazione acquisiti in Romania dagli appellanti non potevano considerarsi idonei a determinare, in capo allo Stato italiano, l’obbligo di provvedere al riconoscimento (ovvero in alternativa, come dedotto dagli appellanti, ad impugnare dinanzi al giudice rumeno, titolare della relativa giurisdizione, i suddetti titoli di formazione o ricorrere ex art. 259 del Trattato UE alla Corte di Giustizia per lamentare che “un altro Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati”), non essendosi utilmente concluso l’ iter istruttorio previsto dall’art. 50, comma 2, della direttiva 2005/36/CE al fine di verificare la conformità di quei titoli agli standards formativi minimi previsti dal legislatore europeo.

Per concludere, l’azione amministrativa censurata non può nemmeno ritenersi inficiata, sotto il profilo dell’eccesso di potere per disparità di trattamento, dal fatto che il Ministero appellato avrebbe agito diversamente nei confronti di altri studenti italiani e rumeni, che hanno ottenuto il riconoscimento del titolo senza l’applicazione di “misure compensative”.

In primo luogo, non è dimostrato che gli altri studenti che hanno beneficiato del riconoscimento si trovassero nella stessa situazione degli appellanti.

Inoltre, a fronte delle ragionevoli giustificazioni che si è visto assistere i provvedimenti impugnati, il diverso modus agendi del Ministero in altri casi non è sufficiente a dimostrare l’illegittimità dei primi (e non, piuttosto, del secondo, quantomeno sotto il profilo del mancato svolgimento di una adeguata istruttoria).

In ogni caso, a fronte della persuasiva argomentazione del Ministero appellato, recepita dal T.A.R., secondo cui solamente nel marzo del 2015 le competenti autorità rumene hanno evidenziato le criticità del corso di studi in Medicina dentale presso l’Università “Apollonia”, le deduzioni della parte appellante, secondo cui la “pretestuosità” della condotta del Ministero si evincerebbe dal fatto che, anche dopo essere stato informato della situazione, non ha proceduto all’annullamento d’ufficio dei titoli oggetto di riconoscimento, nonostante le affermate “gravi preoccupazioni per la tutela della salute pubblica”, non tengono conto della diversità del potere di cui sono espressione gli atti impugnati rispetto al potere di autotutela di cui viene evidenziato il mancato esercizio, il quale ha evidente connotazione discrezionale e deve tenere conto dell’affidamento maturato in capo ai beneficiari degli atti favorevoli.

L’infondatezza dei motivi esaminati e riproposti dagli appellanti, dimostrando l’insussistenza dell’elemento costitutivo della invocata (almeno da parte dei promotori dell’appello n. 378/2016) responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione relativo all’ingiustizia del danno lamentato (connesso essenzialmente al mancato guadagno nel periodo in cui l’Amministrazione ha omesso di procedere al riconoscimento automatico dei titoli di formazione), impone conseguentemente di respingere anche la domanda di condanna al risarcimento del danno, prescindendo altresì dall’esame dei motivi di appello la cui riproposizione viene espressamente effettuata ai soli fini risarcitori.

Deve solo aggiungersi che l’istanza risarcitoria (come si è detto, effettivamente proposta dai promotori dell’appello n. 378/2016 e solo ventilata dal sig. B Raffaele, promotore dell’appello n. 379/2016) trova un ulteriore ostacolo sul piano dell’elemento soggettivo, avendo l’autorità italiana agito sulla scorta della menzionata nota della Commissione europea del 23.4.2015, con la quale, sebbene come si è detto in termini non vincolanti per lo Stato italiano, si rappresentava che:

- il “regime generale di riconoscimento” poteva trovare applicazione “anche se la professione è coperta dal sistema di riconoscimento automatico”, quando il richiedente, “per motivi particolari ed eccezionali, non soddisfi le condizioni per beneficiarne”;

- la “presentazione di un cosiddetto certificato di conformità in cui l’autorità competente dello Stato membro che ha rilasciato la qualifica attesta che la formazione specifica del dentista soddisfa le condizioni armonizzate in materia di formazione minima di cui alla direttiva e può essere pertanto trattata nell’ambito del regime di riconoscimento automatico” non avrebbe escluso che, “in caso di dubbio fondato, lo stato Membro ospitante possa richiedere alle autorità competenti dello Stato membro che ha rilasciato la qualifica conferma del fatto che il beneficiario soddisfa le condizioni minime di formazione di cui all’articolo 34 nel caso specifico delle professioni odonotoiatriche” e “se lo Stato membro ospitante nutrisse ancora dubbi fondati dopo aver ricevuto le citate conferme dallo Stato membro che ha rilasciato la qualifica e la pertinente documentazione dal richiedente, esso può trattare la domanda di riconoscimento nel contesto del regime generale”;

- “di conseguenza per le domande in questione le autorità competenti italiane potrebbero esaminare in base al regime generale quelle in merito alle quali nutrono ancora dubbi fondati per quanto concerne la conformità della formazione dei dentisti ai requisiti minimi, nonostante i chiarimenti forniti dalle autorità romene”;

- “le autorità competenti italiane possono contemplare un simile approccio ad esempio nelle situazioni seguenti: a) per i dentisti laureati all’Università Apollonia (a Iasi) considerato che la recente decisione dell’Agenzia di accreditamento romena ha proposto la liquidazione di tale Università e soprattutto del suo programma odontoiatrico in quanto “inaffidabile” alla luce della normativa nazionale…”.

Resta altresì superata, alla luce delle considerazioni svolte, anche la richiesta di investire la Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del Trattato UE, da ultimo formulata, nel giudizio di cui all’appello n. 378/2016, con memoria del 10.1.2018, non essendo il rinvio necessario ai fini della soluzione delle proposte questioni interpretative.

In particolare, quanto al primo quesito, inteso a richiedere alla Corte di Giustizia se “uno Stato membro di stabilimento (Italia) chiamato a riconoscere un titolo menzionato nell’art. 21 della direttiva 2005/36/CE, rilasciato dallo Stato membro d’origine (Romania), possa rifiutare di riconoscere il detto titolo in maniera automatica, nel caso in cui nutra fondati dubbi sul rispetto dei requisiti formativi minimi di cui all’art. 34 della direttiva 2005/36/CE”, deve osservarsi che la possibilità di sospendere il procedimento di riconoscimento automatico è prevista espressamente dall’art. 50, comma 2, della direttiva 2005/36/CE, di cui l’Amministrazione ha fatto applicazione nella specie: è infatti evidente che non avrebbe senso l’attribuzione allo Stato membro che deve procedere al riconoscimento del potere di richiedere chiarimenti allo Stato membro di origine, se esso non comportasse, nell’ipotesi di mancato riscontro o di riscontro non esauriente, l’impedimento alla conclusione del procedimento di “riconoscimento automatico” (non essendo garantito il rispetto delle condizioni minime di formazione previste dalla direttiva quale presupposto del suddetto meccanismo di riconoscimento).

Il secondo quesito che la parte appellante richiede di sottoporre alla Corte di Giustizia è così formulato: “se la decisione sul rispetto dei requisiti formativi minimi ex art. 34 della direttiva 2005/36/CE, ai sensi del principio di applicazione uniforme del diritto euro-unitario e delle pertinente giurisprudenza (cause A-Rosa, Ordine degli architetti, Tennah-Durez e FTS), possa essere presa unilateralmente dalle Autorità dello Stato membro di stabilimento (Italia) o se invece debba essere adottata da quelle dello Stato membro di origine (Romania)”.

La soluzione del quesito non è rilevante ai fini della decisione della controversia, atteso che il Ministero appellato, con i provvedimenti impugnati, non ha assunto alcuna “decisione sul rispetto dei requisiti formativi minimi ex art. 34 della direttiva 2005/36/CE”, ma si è limitato a richiedere chiarimenti al riguardo alla Romania, nel rispetto della procedura delineata dall’art. 50, comma 2, della suddetta direttiva, senza riceverne soddisfacente riscontro.

Infine, in relazione al quesito inteso a conoscere “i possibili rimedi giuridico-amministrativi esperibili nel caso in cui uno Stato membro (d’origine o di stabilimento) non condivida la decisione dell’altro Stato membro circa la declaratoria di conformità o non conformità dei titoli”, deve ribadirsi che nella specie la Romania, sebbene sollecitata dallo Stato italiano, non ha assunto alcuna espressa decisione in ordine alla conformità dei titoli rilasciati agli appellanti, nell’ambito della procedura di cui al citato art. 50, comma 2, della direttiva 2005/36/CE.

Analoghe considerazioni devono svolgersi in relazione ai quesiti prospettati dall’appellante sig. B Raffaele con la memoria del 1°.4.2016 (nel giudizio da lui introdotto con l’appello n. 379/2016).

In particolare, quanto al quesito inteso a conoscere “se il meccanismo di cui all'art. 21 della direttiva 2005/36/CE è derogabile dallo Stato membro ospitante”, deve osservarsi che non si discute, nella specie, di deroga alle disposizioni della direttiva, ma di esercizio dei poteri istruttori conferiti dalla medesima direttiva allo Stato membro ospitante ovvero dei rapporti sistematici tra il sistema di “riconoscimento automatico” ed il “regime generale”.

Con riguardo invece al quesito inteso a conoscere “se lo Stato membro ospitante, nel caso in cui ritenga che il titolo professionale di odontoiatra rilasciato dallo Stato Membro di origine non rispetti i requisiti formativi minimi di cui all'allegato V, punto 5.3.2 della direttiva 2005/36/CE, possa disapplicare l’art. 21 della direttiva medesima e imporre misure compensative, anche laddove lo Stato membro di origine garantisca, con il certificato di cui all'allegato VII, punto n. 2, della direttiva 2005/36/CE e tramite ulteriori rassicurazioni, che il titolo possiede i requisiti di cui alla direttiva 2005/36/CE”, si è già detto che, laddove nutra “fondati dubbi”, lo Stato membro ospitante può svolgere gli opportuni approfondimenti pur in presenza del menzionato “certificato”, privo di valenza vincolante in presenza di “fondati dubbi” sulla idoneità formativa del corso di studi al cui esito il titolo è stato rilasciato.

Quanto infine al quesito inteso a conoscere “quali sono le modalità di risoluzione dei conflitti tra Stato membro d’origine (Romania) e Stato membro ospitante (Italia), nonché quale sia il giudice munito di giurisdizione (giudice italiano o rumeno?) al fine di pronunciarsi sulla legittimità dei titoli oggetto di riconoscimento”, deve rilevarsi che lo Stato italiano non ha disconosciuto la legittimità dei titoli posseduti dagli appellanti, ma applicato le “misure compensative” previste, dalla disciplina europea, nell’ambito del “regime generale di riconoscimento”.

Gli appelli, in conclusione, devono essere complessivamente respinti.

L’originalità dell’oggetto della controversia giustifica infine la compensazione delle spese di giudizio sostenute dalle parti.

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