Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-07-13, n. 202205942
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Pubblicato il 13/07/2022
N. 05942/2022REG.PROV.COLL.
N. 04427/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4427 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S S, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con decreto del 28 gennaio 2016, notificato il 29 gennaio 2016, il Prefetto di Milano, richiamato l’art. 23, comma 1, lett. a) e d), d.lgs. n. 142 del 2015, ha revocato l’ammissione alle misure di accoglienza di -OMISSIS-, cittadino afgano richiedente la protezione internazionale.
Il provvedimento è motivato sul rilievo che, secondo la nota della struttura di accoglienza “-OMISSIS-”, lo straniero avrebbe tenuto comportamenti in violazione del regolamento della struttura cagionando problemi di ordine igienico-sanitario e, unitamente ad altri occupanti la struttura, si sarebbe rivolto in modo aggressivo nei confronti degli operatori della struttura medesima. Inoltre, alla base della revoca è stata posta anche la circostanza che il sig. -OMISSIS-, alla presenza dei Carabinieri intervenuti sul posto, avrebbe abbandonato la struttura.
2. Con ricorso n. -OMISSIS-proposto dinanzi al Tar per la Lombardia, il sig. -OMISSIS- ha impugnato il citato provvedimento del Prefetto, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, per:
a) violazione e falsa applicazione degli art. 3 e 7 l. n. 241 del 1990, dell’art. 23 d.lgs. n. 142 del 2015, travisamento o erronea valutazione dei fatti, omessa o apparente motivazione. Il provvedimento di revoca sarebbe illegittimo, in quanto non individuerebbe nessuna delle ragioni di urgenza idonee a giustificare la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 23 d.lgs. n. 142 del 2015, travisamento o erronea valutazione dei fatti, omessa o apparente motivazione. Il ricorrente sostiene che il Prefetto avrebbe fondato la revoca delle misure di accoglienza esclusivamente sull’asserito abbandono della struttura e sulla pretesa disponibilità di mezzi economici sufficienti da parte dello straniero, ma non già sulle condotte aggressive riferite dalla struttura di accoglienza. Ciò si evincerebbe dal fatto che il provvedimento prefettizio ha richiamato esclusivamente le fattispecie di cui alle lettere a) e d) dell’art. 23 d.lgs. n. 142 del 2015 cit. Sempre secondo il ricorrente, nessuna di tali fattispecie sarebbe integrata nel caso in esame, né, ad ogni modo, la condotta tenuta dallo straniero potrebbe essere sussunta in quella di cui all’art. 23, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 142 del 2015.
3. La Sezione II del Tar, con ordinanza n. -OMISSIS-, ha rigettato l’istanza cautelare.
4. Con ordinanza n. -OMISSIS-, la Sezione, in accoglimento dell’appello cautelare n. -OMISSIS--, in riforma della predetta ordinanza del Tar, ha sospeso gli effetti del provvedimento impugnato in primo grado.
5. Il Tar, con sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso. In particolare, il giudice di primo grado ha osservato, per un verso, che sebbene il provvedimento di revoca non richiami le esigenze di celerità giustificative dell’omissione della comunicazione di avvio del procedimento, dette esigenze sarebbero insite nella condotta del ricorrente contraria alle regole della struttura;per altro verso, che, tenuto conto anche del margine di discrezionalità in capo all’Amministrazione, il comportamento del sig. -OMISSIS- sembrerebbe integrare la fattispecie di grave violazione delle regole della struttura di cui all’art. 23, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 142 del 2015.
6. Con l’appello in esame, notificato il 5 giugno 2017 e depositato il successivo 16 giugno 2017, il sig. -OMISSIS-, deducendo – in sostanza – le medesime censure formulate nel giudizio di primo grado, ha chiesto che, in riforma della decisione impugnata, il provvedimento impugnato in primo grado sia annullato. L’appellante ha formulato altresì istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
7. Il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Milano si sono costituiti in giudizio, senza espletare difese scritte.
8. Alla pubblica udienza del 19 maggio 2022 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello è fondato.
2. In particolare, va affermata la fondatezza della censura con cui si deduce la violazione dell’art. 7 l. n. 241 del 1990, non potendosi accedere alla soluzione prospettata dal Tar, secondo la quale l’urgenza di provvedere sarebbe insita nel comportamento tenuto dall’odierno appellante.
Come spiegato dalla giurisprudenza della Sezione, la revoca delle misure di accoglienza di cui all'art. 23 d.lgs. n. 142 del 2015 ha natura sanzionatoria e, salvo ragioni di particolare urgenza connesse alla particolare pericolosità dello straniero o, più in generale, alla tutela della sicurezza pubblica, deve essere preceduta da una necessaria interlocuzione procedimentale con lo straniero destinatario dell'eventuale revoca (03/07/2019, n. 4576);e ciò, in ragione delle gravi conseguenze che la misura può determinare per il godimento dei suoi stessi diritti fondamentali (18/09/2018, n. 5446).
È stato precisato che l'urgenza che consente di prescindere dall’interlocuzione procedimentale deve essere "qualificata" in relazione alle circostanze del caso concreto e non può essere rinvenuta in re ipsa (Cons. St. Sez. III, Sent., 09-04-2018, n. 2148).
In particolare, affinché le viste ipotesi eccettuate si possano conciliare con le generali garanzie procedimentali occorre che le contingenze che impongono di sacrificare all'urgenza il diritto di partecipazione dei diretti destinatari della misura di revoca emergano compiutamente dal provvedimento amministrativo. Inoltre, è necessario che le stesse ragioni di urgenza vengano qualificate e valutate, di volta in volta, in relazione alle circostanze del caso concreto ed alla sussistenza di fatti di gravità ed evidenza tali da non consentire di procrastinare ulteriormente l'adozione del provvedimento (Consiglio di Stato sez. III, 30/11/2020, n.7588).
2.2. Nel caso all’esame del Collegio, dal provvedimento prefettizio, oltre a un generico riferimento alla gravità dei fatti, non emerge una reale motivazione in ordine all’esistenza di ragioni di particolare urgenza tali da giustificare l’omissione dell’avvio del procedimento (e, quindi, del contraddittorio procedimentale con l’interessato).
Inoltre, neppure può ritenersi che l’avvenuta revoca delle misure di accoglienza fosse espressione di attività vincolata e che, dunque, l’omessa comunicazione di cui all’art. 7 l. 241 del 1990 sia irrilevante ex art. 21-octies l. 241 del 1990. Infatti:
a) da un lato, la fattispecie di cui alla lettera e) d.lgs. n. 142 del 2015 ritenuta integrata dal Prefetto (il richiamo operato nel provvedimento prefettizio alla lettera “d” del citato art. 23 è con tutta evidenza da attribuirsi ad un irrilevante lapsus calami) sottende, ai fini dell'adozione del provvedimento di revoca, l’esercizio di un potere discrezionale da parte dell’Amministrazione, come si evince dal chiaro disposto dell’art. 23, comma 4, d.lgs. n. 142 del 2015;
b) dall’altro lato, come correttamente osservato dall’appellante con il motivo di censura rimasto assorbito in primo grado e riproposto in questa sede, nel caso di specie non può reputarsi configurata l’ipotesi di “revoca automatica” di cui all’art. 23, comma 1, lett. a), d.lgs. 142 del 2015 (per effetto del quale, l’Amministrazione, preso atto dell’abbandono della struttura, è vincolata a revocare le misure di accoglienza).
Invero, come chiarito dalla giurisprudenza della Sezione, la nozione di “abbandono” del centro di accoglienza va tenuta distinta da quella di “allontanamento”, atteso che solo nella prima è insito il riferimento implicito ad un coefficiente di tipo soggettivo implicante l’intenzionalità della scelta dello straniero di fare a meno in modo definitivo del dispositivo di accoglienza (Cons. Stato Sez. III, 14 maggio 2019, n. 3122).
Nel caso in esame, la volontà dello straniero di rifiutare in modo definitivo le misure di accoglienza è contraddetta dalla circostanza che, secondo quanto si legge nella nota della struttura di accoglienza richiamata nel provvedimento prefettizio, l’intervento dei Carabinieri sarebbe stato richiesto dalla struttura di accoglienza in quanto otto utenti, tra cui l’odierno appellante, “volevano essere accompagnati in altra struttura”. Si aggiunga che, sempre come osservato nell’atto di appello, il provvedimento impugnato in primo grado, recante data 28 gennaio 2016, risulta esser stato notificato all’odierno appellante il giorno successivo (29 gennaio 2016) proprio presso il suddetto centro di accoglienza;circostanza anch’essa sintomatica dell’assenza di una reale intenzione del cittadino straniero di abbandonare la struttura. Pertanto, la condotta in questione, diversamente da quanto ritenuto dal Prefetto, risulta qualificabile non già come “abbandono”, ma come “allontanamento” e, quindi, come violazione del regolamento del centro di accoglienza, al più rientrante nella fattispecie di cui all’art. 23, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 142 del 2015.
2.3. Né si può a monte ritenere che il caso in questione sia compreso fra quelle ipotesi nelle quali l'apporto dell'interessato, in ragione dell'evidenza e della gravità dei fatti contestati, non avrebbe potuto ragionevolmente orientare verso un diverso esito le valutazioni dell'Amministrazione e il contenuto del provvedimento adottato.
3. In conclusione, quindi, il provvedimento impugnato dinanzi al giudice di primo grado deve ritenersi illegittimo in quanto adottato senza la previa comunicazione di avvio del procedimento, al di fuori delle ipotesi di particolare urgenza che ne avrebbero legittimato l’omissione.
4. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere accolto e, in riforma della decisione impugnata, deve essere annullato il provvedimento impugnato in primo grado.
5. Dalla fondatezza del ricorso discende l’accoglimento dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio.
6. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti.