Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-08-25, n. 201005937

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-08-25, n. 201005937
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201005937
Data del deposito : 25 agosto 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03679/2002 REG.RIC.

N. 05937/2010 REG.DEC.

N. 03679/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 3679 del 2002, proposto da:
A A, M G, C R A, M A, P B, C S, S D e R R, rappresentati e difesi dall’avv. V F, unitamente al quale sono elettivamente domiciliati in Roma, al Viale Mazzini n. 134/B, presso lo studio dell’avv. A S;

contro

COMUNE di C, in persona del Sindaco in carica, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza n. 1442/01 del 26 settembre 2001, del T.A.R. Calabria, di reiezione del ricorso volto al riconoscimento della natura di pubblico impiego del rapporto intercorso tra i ricorrenti messi di conciliazione ed il Comune di Cosenza;

nonché per la declaratoria della natura di pubblico impiego del rapporto di lavoro intercorso tra gli appellanti ed il Comune di Cosenza, con condanna dell’Ente suddetto alla regolarizzazione dei rapporti i lavoro sotto il profilo contributivo e previdenziale.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Vista la memoria prodotta dalle parti ricorrenti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, nella udienza pubblica del 20.4.2010, il Consigliere Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Palma, su delega dell'avv. Ferrari, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe indicata il T.A.R. Calabria ha respinto il ricorso degli odierni appellanti, che avevano svolto le funzioni di messi di conciliazione del Comune di Cosenza, con il quale avevano chiesto il riconoscimento della natura di pubblico impiego del rapporto di lavoro intercorso con il Comune stesso, dalle rispettive date di nomina fino al 30.6.1994, in cui sono stati assunti dal Ministero di Grazia e Giustizia.

Con il ricorso in appello in epigrafe indicato i suddetti hanno chiesto l’annullamento di detta sentenza, deducendo i seguenti motivi:

1.- Violazione ed errata interpretazione dell’art. 249 del R.D. n. 2271 del 1924, dell’art. 91, lettera D, del R.D. n. 383 del 1934;
omessa considerazione e errata interpretazione della giurisprudenza del Consiglio di Stato. Vizio della motivazione.

1.1.- Il Giudice di prime cure avrebbe erroneamente dato rilievo alla estraneità, rispetto alle finalità istituzionali dell'Ente, dei compiti demandati ai Messi di conciliazione, che dipendevano funzionalmente dal Conciliatore, ignorando la complessità dell’organizzazione amministrativa che caratterizza il nostro ordinamento e che, poiché il rapporto di servizio collegava i messi con il Comune (cui la legge accollava l’onere finanziario del funzionamento dell’ufficio), la inesistenza di un atto formale di nomina non ostava alla configurabilità del rapporto di pubblico impiego.

1.2.- In secondo luogo con l’appello sono state censurate le argomentazioni contenute nella impugnata sentenza circa la ininfluenza della analisi della quantità di lavoro svolto dai ricorrenti e delle loro concrete modalità di utilizzo nell’assunto che la rilevata dipendenza funzionale dei ricorrenti dal locale Ufficio di Conciliazione escludeva la sussistenza di vincolo di subordinazione gerarchica con il Comune.

1.3.- In terzo luogo erroneamente il Giudice di prime cure non avrebbe attribuito rilievo alla delibera della G.M. del Comune di Cosenza n. 73 del 1990 (di inquadramento dei messi tra il personale del Comune di Cosenza), essendo la stessa stata annullata dal Co.Re.Co., senza tener conto che l’annullamento era stato causato dalla circostanza che il Comune di Cosenza aveva ignorato l’invito di detto Organo in ordine ad ulteriori chiarimenti e non dalla rilevata illegittimità della delibera.

Detta delibera, pur decaduta, sarebbe decisiva in ordine al requisito dell'inserimento dei messi nel rapporto organico.

Le prove documentali offerte in primo grado dimostrerebbero la natura subordinata del rapporto di lavoro, caratterizzato dal potere disciplinare e dall’osservanza di turni per ferie e congedi.

Con memoria depositata l’8.4.2010 le parti ricorrenti hanno ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 20.4.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato delle parti ricorrenti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, gli odierni appellanti, che avevano svolto le funzioni di messi di conciliazione del Comune di Cosenza, hanno chiesto l'annullamento della sentenza del T.A.R. Calabria con la quale è stato respinto il ricorso con il quale avevano chiesto il riconoscimento della natura di pubblico impiego del rapporto di lavoro intercorso con detto Comune, dalle rispettive date di nomina fino alla data del 30.6.1994, in cui sono stati assunti dal Ministero di Grazia e Giustizia.

2.- Con l’unico, complesso, motivo di appello sono stati dedotti violazione e errata interpretazione dell’art. 249 del R.D. n. 2271 del 1924 e dell’art. 91, lettera D, del R.D. n. 383 del 1934. Omessa considerazione e errata interpretazione della giurisprudenza del Consiglio di Stato. Vizio della motivazione.

2.1.- Il Giudice di prime cure ha in primo luogo posto in rilievo la estraneità rispetto alle finalità istituzionali del Comune dei compiti demandati ai Messi di conciliazione, non avendo l’Ente alcun potere di ingerenza nella concreta definizione della loro attività, perché essi dipendono funzionalmente dal Conciliatore.

Erroneamente secondo gli appellanti sarebbe stata ignorata la complessità dell’organizzazione amministrativa che caratterizza il nostro ordinamento: il R.D. n. 2271 del 1924, il cui art. 249 prevede la possibilità di utilizzazione anche di personale esterno nominato dal Procuratore della Repubblica;
il R.D. n. 383 del 1934, che stabilisce che le spese per il funzionamento dell'Ufficio di conciliazione siano a carico del Comune;
l’art. 243 del R.D. n. 2271 del 1924. che prevede che le funzioni di cancelliere dell’Ufficio di conciliazione fossero svolte dal Segretario comunale.

Secondo la giurisprudenza l’Ufficio di conciliazione, ex art. 256 del R.D. n. 2271 del 1924, è ufficio statale sottoposto alla sorveglianza del Conciliatore, ma facente parte dell’apparato organizzativo del Comune, ed il decreto del Presidente del Tribunale di nomina del messo ha natura di provvedimento autorizzativo di rapporto di impiego con il Comune.

Nel caso di specie il rapporto di servizio collegava i Messi con il Comune di Cosenza, cui la legge accollava l’onere finanziario del funzionamento dell’ufficio.

La inesistenza di un atto formale di nomina non osterebbe alla configurabilità del rapporto di pubblico impiego, la cui sussistenza è dimostrabile anche sulla base di comportamenti concludenti, rivelanti la volontà dell’Ente di far propria la prestazione lavorativa per utilizzarla ella propria struttura. Verificato che i Messi in questione avevano svolto la loro prestazione lavorativa con continuità (con riguardo alla mole di lavoro svolto e all’assoggettamento alle direttive del titolare dell’ufficio) non potrebbe escludersi la sussistenza del rapporto di pubblico impiego.

2.2.- In secondo luogo con l’appello sono state censurate le argomentazioni contenute nella impugnata sentenza circa la ininfluenza della analisi della quantità di lavoro svolto dai ricorrenti e delle loro concrete modalità di utilizzo, sulla base del rilievo che, pur potendo in astratto rivelare l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego (sussistendo lo stabile inserimento dei lavoratori nella organizzazione della P.A. con vincolo di subordinazione), nel caso di specie tale effetto era precluso dalla rilevata dipendenza funzionale dei ricorrenti dal locale Ufficio di conciliazione, cui risultano imputabili in via esclusiva le determinazioni inerenti le loro concrete modalità di impiego, con esclusione del vincolo di subordinazione gerarchica con il Comune.

Secondo gli appellanti se l’attività dei Messi di conciliazione non fosse imputabile al Comune si perverrebbe alla inammissibile conclusione che essi non sarebbero dipendenti comunali, non potrebbero essere dipendenti del Ministero di Grazia e Giustizia e dovrebbero quindi essere considerati dipendenti in nero.

2.3.- In terzo luogo gli appellanti criticano la sentenza di cui trattasi laddove ha negato la sussistenza di giuridico rilievo della delibera della Giunta Municipale del Comune di Cosenza n. 73 del 1990 (di inquadramento dei messi tra il personale del Comune di Cosenza), essendo la stessa stata annullata dal Co.Re.Co.

Il primo Giudice non avrebbe tenuto nel debito conto che esso Comitato invero non ha approvato la citata delibera della Giunta municipale perché il Comune di Cosenza aveva ignorato l’invito di detto Organo in ordine ad ulteriori chiarimenti e non per illegittimità della stessa.

La delibera pur decaduta sarebbe decisiva in ordine al requisito dell'inserimento dei messi nel rapporto organico.

In conclusione le prove documentali offerte in primo grado dimostrerebbero la natura subordinata del rapporto di lavoro, caratterizzato dal potere disciplinare e dall’osservanza di turni per ferie e congedi.

3.- Ritiene la Sezione che il rapporto intercorrente fra un Comune ed il Messo di conciliazione, che non sia dipendente comunale, può configurarsi, in astratto, tanto in regime di autonomia quanto in regime di subordinazione.

Ai fini della qualificazione del rapporto sono determinanti il contenuto, la quantità e le modalità con cui sono espletate le prestazioni lavorative del personale in questione.

La sussistenza del rapporto di impiego pubblico con il Comune del Messo di conciliazione può essere riconosciuta solo se siano accertati - sulla base dei sopra indicati elementi - l'inserimento del soggetto nell'organizzazione burocratica dell'Ente, la predeterminazione della retribuzione e delle prestazioni, l'obbligo del rispetto dell'orario di servizio ed il vincolo di gerarchia nei confronti della potestà autoritativa dell'amministrazione (Consiglio Stato, sez. V, 03 giugno 1994 , n. 607;
Sez. V, 7 settembre 1989, n. 531).

Va quindi verificato nel caso di specie se, in base alle modalità con le quali si sono svolti i rapporti di lavoro tra gli appellanti ed il Comune di Cosenza, essi siano stati volontariamente inseriti da detto Ente nella sua organizzazione, al punto tale di creare vincoli di natura personale che abbiano assoggettato i Messi di conciliazione di cui trattasi al potere direttivo dell’Ente.

Va al riguardo considerato che il tipo e la quantità di prestazioni di norma rese (notifica degli atti inerenti l'Ufficio di conciliazione, atti esecutivi, procedure di vendita) appare compatibile, in astratto, sia con la configurazione in regime di autonomia, che di subordinazione del rapporto in questione trattandosi del contenuto minimo, tipico ed indefettibile a cui deve assolvere l'attività stessa di Messo della conciliazione.

Va rilevato poi che la nomina disposta dal Presidente del Tribunale ha natura di provvedimento autorizzativo e non di atto costitutivo di un rapporto di pubblico impiego (Consiglio Stato, Sez. V, 26 marzo 2001 n. 1723) e che l'asserita osservanza di eventuali direttive non è circostanza idonea, da sola, a connotare l'assoggettamento al potere disciplinare dell'Amministrazione comunale.

Sono invero necessari, alla bisogna, o dichiarazioni attestanti il rispetto, da parte dei lavoratori, di determinati orari di servizio (con disciplina delle ferie, dei permessi, dei congedi e delle aspettative corrispondente a quella propria dei dipendenti comunali, obbligo di giustificazione delle assenze), ovvero documenti formali di qualsiasi specie, comunque in grado (direttamente o indirettamente) di svelare l'esistenza di un rapporto tra il Comune de quo e i lavoratori stessi.

Nel particolare caso di specie, ritiene il Collegio che è reperibile in atti un provvedimento, riconducibile agli elementi prima passati in rassegna, in grado di dimostrare - con sufficiente grado di certezza - la volontà del Comune di Cosenza di inserire gli appellanti nella propria struttura organizzativa per lo svolgimento di attività direttamente poste in correlazione con le finalità istituzionali dell'Ente locale.

Trattasi della deliberazione della Giunta Municipale di Cosenza n. 73 del 22.2.1990, con la quale è stato in primo luogo dato atto che gli appellanti sono stati nominati Messi di conciliazione con decreti del Presidente del Tribunale di Cosenza, senza retribuzione fissa ed assicurazione, e che il Cancelliere della conciliazione ha certificato che essi sin dalla data di nomina hanno prestato servizio alle sue dirette dipendenze firmando i relativi fogli di presenza.

In secondo luogo è stato osservato che detti Messi avevano chiesto il riconoscimento del rapporto di lavoro come instauratosi con il Comune stante la modalità di espletamento delle prestazioni lavorative e richiamando analoghi precedenti in materia.

In terzo luogo è stato dato atto che il Comune, a seguito di sentenza del Pretore di Cosenza (che aveva riconosciuto la sussistenza di rapporto di lavoro subordinato tra un Messo di conciliazione ed il Comune), aveva regolarizzato la posizione del suddetto, assumendolo in servizio, e che il Comune stesso, avendo “accertato l’assoluta possibilità e, quindi, legittimità di estendere quel giudicato” aveva esteso i benefici con deliberazione n. 98 del 1984, vistata dall’Organo di controllo, ad altri Messi di conciliazione nominati con lo stesso decreto di nomina del Messo che aveva ottenuto detta sentenza favorevole, disponendone la assunzione.

In quarto luogo la Giunta ha riconosciuto che dai documenti in atti risultava “in maniera inequivocabile”, che il rapporto di lavoro dei Messi appellanti si svolgeva “in tutto e per tutto” con le stesse caratteristiche che avevano consentito la assunzione dei M di conciliazione sopra indicati e che quindi poteva essere riconosciuto che tra essi ed il Comune era “in atto un rapporto di lavoro analogo” a quello e suo tempo espletato dal Messo che aveva ottenuto la sentenza del Pretore di Cosenza legittimante la regolarizzazione di quel rapporto.

In conclusione la Giunta stessa ha riconosciuto la sussistenza di rapporto di lavoro subordinato tra gli appellanti ed il Comune di Cosenza.

A nulla vale che il Co.Re.Co. non abbia poi approvato la citata delibera, sia perché tanto è avvenuto solo perché il Comune di Cosenza aveva ignorato l’invito di detto Organo in ordine ad ulteriori chiarimenti e non era stata riscontrata illegittimità della stessa, sia poiché la deliberazione comunque ha, in punto di fatto, dato atto che dai documenti in atti risultava “in maniera inequivocabile”, che il rapporto di lavoro dei messi appellanti si svolgeva “in tutto e per tutto” con le stesse caratteristiche che avevano consentito la assunzione di altri Messi di conciliazione, ammettendo quindi che essi erano stabilmente inseriti nella organizzazione dell'Ente.

Aggiungasi che risulta prodotta in atti sin dal giudizio di primo grado copia della nota prot. n. 585/92 del 13.10.1992, a firma del Capo ufficio di Conciliazione del Comune di Cosenza, indirizzata a tutti i Messi di conciliazione non ancora inquadrati come dipendenti comunali, con cui, rilevato un certo “rilassamento” nella puntualità nella firma dei fogli di presenza giornaliera, essi venivano diffidati ad attenersi alle disposizioni a suo tempo impartite al fine di evitare la adozione di provvedimenti disciplinari.

In definitiva, dunque, secondo il criterio ermeneutico di interpretazione dei contratti (ricerca della comune intenzione delle parti contraenti per come resa possibile alla stregua degli elementi di giudizio portati all'attenzione dell'interprete) deve ritenersi, nella fattispecie in esame, sussistente l'inserimento degli appellanti nell'organizzazione del Comune di Cosenza, elemento decisivo per riscontrare l'esistenza di fatto di un rapporto di pubblico impiego, sicché il rapporto tra i Messi di conciliazione appellanti ed il Comune suddetto va qualificato come di pubblico impiego.

Deve essere quindi riconosciuta la sussistenza dei rapporti di impiego con il Comune di Cosenza dei Messi di conciliazione appellanti, essendo accertato - sulla base dei suddetti decisivi elementi - l'inserimento di essi nell'organizzazione burocratica dell'Ente.

4.- L’appello deve essere conclusivamente accolto e, in riforma della sentenza di primo grado, va accolto il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R. della Calabria, dai Messi di conciliazione in epigrafe indicati, con conseguente riconoscimento della natura di pubblico impiego al rapporto di lavoro intercorso tra essi ed il Comune di Cosenza, che va condannato alla regolarizzazione il rapporto di lavoro sia sotto l’aspetto retributivo che previdenziale.

5.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

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