Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-10-14, n. 202006227

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-10-14, n. 202006227
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006227
Data del deposito : 14 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/10/2020

N. 06227/2020REG.PROV.COLL.

N. 00669/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 669 del 2020, proposto da
Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

Casa di Cura L'Immacolata di Celano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Mazzini n. 55;
Azienda Sanitaria Locale n. 1 Avezzano Sulmona L'Aquila, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Colagrande, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi n. 35b;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) n. 00599/2019, resa tra le parti


Visto l'art. 105, comma 2, cod. proc. amm.;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Casa di Cura L'Immacolata di Celano e dell’Azienda Sanitaria Locale n. 1 Avezzano Sulmona L'Aquila;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2020 il Cons. Ezio Fedullo e uditi l’Avvocati F C, per la Casa di Cura appellata, e l'Avvocato dello Stato Bruno Dettori;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza appellata, il T.A.R. Abruzzo, in accoglimento della eccezione della ASL intimata, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla controversia -instaurata dalla Casa di Cura “L’Immacolata” di Celano, accreditata per l’erogazione dei servizi e prestazioni a favore e nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale Abruzzese - avente ad oggetto il provvedimento n. 263 del 12 ottobre 2018, col quale la ASL dell’Aquila ha disposto la “liquidazione in acconto 85% entro budget mensile fatturato mese di settembre 2018”, disponendo, tra l’altro, la determinazione quantitativa e la liquidazione della somma di € 309.725,50 a fronte di un fatturato pari ad € 725.190,15.

Precisato che, con il provvedimento impugnato, la ASL ha ridotto il compenso dovuto per l’erogazione del servizio nel mese di settembre del 2018 in ragione del superamento del tasso di occupazione dei posti letto, all’esito delle verifiche condotte dal competente Nucleo di controllo previste dall’art. 3 dell’accordo, il T.A.R., dopo aver inquadrato l’accreditamento delle strutture sanitarie private per l’erogazione di prestazioni sanitarie, con oneri a carico del Servizio sanitario regionale, entro la categoria delle concessioni di servizi ed aver affermato la sottrazione alla cognizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera c) c.p.a. oltre che delle indicazioni della Corte costituzionale (di cui alle sentenze nn. 204/2004 e 191/2006), delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ha evidenziato che “nel caso in decisione la ASL ha esercitato, tramite in NOC, prima il controllo sulla corrispondenza ai termini stabiliti nel contratto delle prestazioni sanitarie erogate, e poi, sulla base dei risultati del controllo, ha determinato, in riduzione, il corrispettivo a detto titolo dovuto alla Casa di cura”, ponendo in essere una attività che “non è diversa dalla verifica che qualsiasi committente, pubblico o privato esercita nella fase di esecuzione del contratto sull’attività svolta dal prestatore d’opera o venditore, prima di eseguire la propria prestazione patrimoniale (cfr. articoli 1665, 2226, 1520 del codice civile)”.

La suindicata sentenza declinatoria della giurisdizione amministrativa viene censurata dalla Regione Abruzzo, che mira invece alla sua affermazione.

Si sono costituite in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale n. 1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila, per resistere all’appello anche eccependone l’inammissibilità (per carenza di interesse a proporlo), e la Casa di Cura L’Immacolata di Celano, la quale si è riportata alle deduzioni formulate in primo grado in ordine alla questione qui controversa.

Tanto premesso, deve preliminarmente esaminarsi l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulato dalla ASL Avezzano – Sulmona – L’Aquila, sul rilievo della dedotta carenza di interesse a proporlo in capo all’appellante Regione Abruzzo.

L’eccezione è infondata.

Deve invero rilevarsi che ciascuna delle parti della controversia di merito ha interesse alla sua definizione da parte del giudice munito, secundum legem , della corrispondente giurisdizione: interesse che trascende e precede quello alla risoluzione della res iudicanda in senso ad essa favorevole e che, per tale ragione, può essere fatto valere, in sede di impugnazione della sentenza o dell’ordinanza che si sia pronunciata in tema di giurisdizione, prescindendo dalla rilevazione di una effettiva posizione di soccombenza cd. sostanziale.

Tale conclusione trova conforto nel disposto dell’art. 10, comma 1, c.p.a. laddove, estendendo al processo amministrativo la facoltà di proporre il regolamento preventivo di giurisdizione di cui all’art. 41 c.p.c., ne recepisce anche i presupposti di legittimazione, che la norma processual-civilistica definisce attribuendo il relativo potere di impulso a “ciascuna parte”.

Nel merito, l’appello, inerente alla sopra sintetizzata questione di giurisdizione, è meritevole di accoglimento.

Deve premettersi che l’art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a. devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.

La connotazione esclusiva della giurisdizione in tal modo affidata al giudice amministrativo nella materia dei rapporti concessori aventi ad oggetto pubblici servizi, quali sono pacificamente qualificabili quelli che traggono origine da un provvedimento di accreditamento (cfr. Cassazione civile, Sez. Un., n. 10149 del 20 giugno 2012), induce a prescindere, ai fini della definizione del profilo della giurisdizione, dalla attinenza della controversia ad una posizione di interesse legittimo o di diritto soggettivo, venendo invece in preminente rilievo il coinvolgimento del potere della P.A. concedente di definire l’oggetto e le caratteristiche del rapporto di accreditamento, ergo gli aspetti quantitativi e qualitativi delle prestazioni che il soggetto concessionario deve rendere all’Amministrazione, con i connessi e consequenziali risvolti di ordine patrimoniale (ovvero inerenti alla definizione del corrispettivo ad esso spettante per le prestazioni erogate): potere la cui espressione, eventualmente ravvisabile nella concreta fattispecie, ne implica la devoluzione alla giurisdizione del giudice della funzione amministrativa, quale è tipicamente il giudice amministrativo.

A fini ulteriormente chiarificatori, laddove la controversia in tema di corrispettivi involga esclusivamente tematiche di carattere contrattuale, potrà dirsi spettante al giudice ordinario la relativa giurisdizione;
quando, invece, sia attribuito all’Amministrazione il compito di verificare la corrispondenza delle prestazioni erogate, ai fini della insorgenza in capo al concessionario del diritto alla relativa remunerazione, alle regole disciplinatrici del rapporto di accreditamento ed, in ultima analisi, ai profili di interesse pubblico che si compenetrano in esso, la quantificazione del corrispettivo spettante al concessionario risulterà mediata da una attività dell’Amministrazione finalizzata a definire i termini del rapporto concessorio, rispetto alla quale la prima assume rilievo meramente consequenziale (e non quindi, anche ai fini della individuazione del giudice munito di giurisdizione, caratterizzante della concreta controversia).

Nella specie, come innanzi accennato, il provvedimento impugnato principaliter , recante la riduzione del corrispettivo richiesto dalla Casa di Cura ricorrente sulla scorta dell’analisi dei flussi informativi effettuati dalla struttura di controllo (NOC), scaturisce dal superamento del tasso di occupazione dei posti letto relativi alla disciplina accreditata, sul presupposto della non remunerabilità delle prestazioni eseguite in misura superiore al 100% della capacità produttiva massima giornaliera dei posti letto accreditati.

Trattasi quindi - e ciò anche laddove si ritenga di fare riferimento, ai fini della giurisdizione, alla tradizione distinzione dicotomica delle situazioni soggettive facenti capo al privato - di atto costituente espressione del potere dell’Amministrazione di verificare unilateralmente, nell’ an e nel quantum , la coerenza dell’attività eseguita dal concessionario con i principi regolatori del rapporto di accreditamento, avente indubbie implicazioni di carattere tecnico-valutativo, e comunque finalizzato a verificare che le prestazioni del concessionario si pongano nell’alveo di quelle autorizzate, ergo a puntualizzare e definire esattamente i contorni della relazione concessoria così come dovrebbe correttamente esplicarsi al fine di assicurarne la coerenza con l’interesse pubblico che la permea: rilievi, questi ultimi, che inducono a ravvisare concreti elementi di avvicinamento della posizione della struttura agli schemi dell’interesse legittimo piuttosto che a quelli del diritto soggettivo.

Del resto, se si pone attenzione ai motivi di doglianza formulati dalla originaria ricorrente, ci si avvede del fatto che essi non si fondano sull’applicazione immediata di precetti contrattuali, quindi sull’invocazione di garanzie proprie della posizione paritetica di cui essa è titolare, essendo piuttosto rivolti a contestare, in sintesi e per quanto rileva ai fini della giurisdizione: 1) la sufficienza istruttoria e motivazionale del provvedimento di decurtazione impugnato, di cui viene quindi riconosciuta la supremazia ai fini della gestione del rapporto di accreditamento;
2) il contrasto del provvedimento impugnato con i criteri dettati dalla d.G.R. n. 611/2017, avente ad oggetto “Manuale operativo per i controlli ispettivi delle case di cura private accreditate della Regione Abruzzo”, e quindi l’interpolazione da parte dell’Amministrazione di regole estranee a quelle che essa stessa si è data ai fini dello svolgimento dei controlli de quibus ;
3) la mancanza di tempestive contestazioni in ordine alla sovrasaturazione dei posti letto, ovvero, anche qui, un vizio tipico della funzione amministrativa autoritativa;
4) l’illegittimità della d.G.R. n. 611/2017 (dedotta con autonomo ricorso), rispetto alla quale il provvedimento impugnato si pone quale atto esecutivo e quindi destinato a subire in via derivata gli effetti invalidanti asseritamente derivanti dalla illegittimità della prima, ovvero di un atto diretto a conformare autoritativamente il rapporto di accreditamento e le connesse pretese corrispettive del soggetto accreditato.

Dai rilievi svolti deve quindi trarsi la conclusione che oggetto della controversia non sia, tout court , il corrispettivo spettante alla Casa di Cura, così come contrattualmente determinato, ma la legittimità del provvedimento col quale l’Amministrazione ha proceduto alla sua decurtazione, nell’esercizio di un potere di segno autoritativo, ovvero quella degli atti a monte, di cui il primo costituisce applicazione, con la cui adozione essa ha esercitato, in modo asseritamente illegittimo, il potere di determinare il metodo ed i criteri di svolgimento dei controlli sulle prestazioni fornite dall’erogatore.

Deve quindi farsi applicazione, in conclusione, dell’indicazione giurisprudenziale, in tema di individuazione del giudice avente giurisdizione in subiecta materia , di cui al precedente di Cassazione civile, Sez. Un., n. 28053 del 2 novembre 2018, secondo cui “è vero che quando la legge (nella specie per come risultante dalla già ricordata pronuncia della Corte costituzionale e per come faceva già la L. n. 1034 del 1971, art. 5 ed ora fa nel D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), recante il codice del processo amministrativo) allude a dette controversie, usa una formulazione che certamente si presta in prima battuta ad essere intesa come comprensiva anche delle liti nelle quali si discute della pretesa a dette spettanze in quanto dovute sulla base della disciplina del rapporto di concessione e, dunque, anche con riferimento alle varie modalità che esso prevede per la loro determinazione e ciò indipendentemente dal fatto che si tratti di modalità di determinazione espressione di poteri soggetti al diritto comune o di modalità di determinazione espressione di poteri autoritativi della p.a. concedente. Ma in concreto l'ampiezza della formulazione non toglie che il legislatore abbia inteso riferirsi ad esse solo nel primo senso e dunque esclusivamente alla controversia sulla determinazione che dipenda dall'applicazione della disciplina del rapporto concessorio in quanto connotata da una posizione di pariteticità delle parti e pertanto dall'assenza di poteri autoritativi della p.a. concedente e dall'attribuzione ad essa soltanto di poteri iure privatorum , cioè dei normali poteri riconosciuti ad una parte di un rapporto di diritto comune, qual è l'accordo contrattuale che la p.a. e il concessionario stipulano per dar corso al regime di erogazione delle prestazioni in c.d. accreditamento. Se ed invece la controversia riguardi quella determinazione in quanto dipendente da poteri autoritativi pubblicistici riconosciuti alla p.a., nel senso di abilitarla ad intervenire autoritativamente sulle indennità, sui canoni, sui corrispettivi, la formulazione attributiva della giurisdizione al giudice ordinario non può essere intesa nel senso che ad esso competa di controllare la legittimità dell'esercizio di quel potere”.

Inoltre, con più diretta attinenza alla fattispecie in esame e sempre ai fini della riforma della sentenza appellata, è opportuno richiamare, come fa la Regione appellante, l’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 23540 del 20 settembre 2019, laddove, in particolare, si afferma che “il potere il cui esercizio sorregge la pretesa delle Amministrazioni è quello di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art.

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