Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-07-28, n. 201403990

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-07-28, n. 201403990
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201403990
Data del deposito : 28 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05922/2003 REG.RIC.

N. 03990/2014REG.PROV.COLL.

N. 05922/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5922 del 2003, proposto dal Fallimento Autotrasporti Vitaglione di Vitaglione F. &
C., nonché dei soci illimitatamente responsabili, F V, G V, T V, rappresentato e difeso dall'avvocato G T, con domicilio eletto presso l’avvocato A B in Roma, via Visconti 20;

contro

Il Comune di Castellammare di Stabia, rappresentato e difeso dall'avvocato E S, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via degli Avignonesi 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE IV, n. 3596/2002, resa tra le parti, concernente un ordine di demolizione di opere edilizie abusive


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellamare di Stabia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. F F e uditi per le parti l’avvocato Verrusio, per delega di Torrese, e l’avvocato Soprano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Col ricorso n. 2775 del 1990, il sig. G V impugnava davanti al TAR Campania – sede di Napoli l’ordine di demolizione delle opere edilizie realizzate sul terreno di sua proprietà in via Schito n. 15, consistenti in un manufatto in cemento armato di tre piani fuori terra, di cui all’ordinanza del sindaco di Castellamare di Stabia, n. 51 del 2 febbraio 1990.

Il TAR– dopo aver accolto la domanda cautelare con l’ordinanza n. 1048 del 25 settembre 1990 - con la sentenza n. 3596 del 2002 respingeva l’impugnativa, affermando, per quanto qui ancora di interesse, l’irrilevanza dell’avvenuta presentazione dell’istanza di condono per l’abuso in questione, essendo quest’ultima stata presentata “nel corso dell’anno 1994, quando l’area di sedime del fabbricato era già da tempo acquisita con ordinanza n.183 del 30 giugno 1990” .

2. Ha proposto appello il fallimento Autotrasporti Vitaglione di Vitaglione Francesco &
C. e dei soci illimitatamente responsabili Francesco, Giovanni e T V, contestando il suddetto capo di sentenza.

Il fallimento appellante, già succeduto all’originario ricorrente nel giudizio di primo grado, deduce che il TAR non si sarebbe avveduto che non si trattava di un’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 13 l. n. 47/1985 (accertamento di conformità), bensì di condono ai sensi dell’art. 39 l. n. 724/1994, la quale non è impedita dalla già avvenuta acquisizione del sedime ed anzi determina la sospensione del provvedimento repressivo.

3. Si è costituito in resistenza il Comune di Castellamare di Stabia.

DIRITTO

1. Nell’unica censura di cui si compone il presente appello, il fallimento deduce la violazione dell’art. 39, comma 19, l. n. 724/1994, ponendo in rilievo il fatto che l’accoglimento dell’istanza di condono presentata dall’originario ricorrente potrebbe determinare l’annullamento dell’ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale dell’area di sedime (n. 51 del 2 febbraio 1990), che invece il TAR ha ritenuto ostativa alla presentazione della domanda di sanatoria, ed in ogni caso la sospensione del procedimento sanzionatorio nelle more della definizione della domanda medesima.

2. Controdeduce il Comune di Castellamare di Stabia, in memoria conclusionale, che l’istanza di condono non poteva più essere presentata, avendo i richiedenti perso la disponibilità dell’area di sedime per effetto del provvedimento comunale di acquisizione n. 183 del 30 giugno 1990, emesso ex art. 7, comma 3, l. n. 47/1985.

In ogni caso - soggiunge l’amministrazione comunale appellata - la presentazione della domanda di condono renderebbe al più improcedibile l’impugnativa nei confronti dell’ordine di demolizione, ma non inficia la legittimità di quest’ultimo provvedimento.

3. Così riassunte le opposte prospettazioni delle parti, il Collegio rileva in fatto che la domanda di condono ex art. 39 l. n. 724/1994 risulta effettivamente depositata presso l’amministrazione appelata.

La circostanza si ricava dall’ammissione della stessa da parte del dirigente del settore urbanistico contenuta nella nota n. 22692 del maggio 2000, emessa in riscontro ad una richiesta della curatela del fallimento, e dalla successiva denuncia di smarrimento inoltrata al competente comando dei Carabinieri (nota n. 23335 del 1: giugno 2000).

La data di deposito risale precisamente al 28 febbraio 1995, come da attestazione dell’archivio comunale in data 26 novembre 2002, resa su richiesta del Ctu del fallimento odierno appellante.

4. In diritto, rileva il Collegio che, diversamente da quanto sostiene il Comune appellato, sulla base delle disposizioni rilevanti ratione temporis , la presentazione di un’istanza di condono non è impedita dall’acquisizione al patrimonio comunale dell’area di sedime su cui è stato realizzato l’abuso, potendo l’accoglimento dell’istanza determinare, ai sensi dell’art. 39, comma 19, correttamente invocato dal fallimento appellante, “l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell'articolo 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 , così come del presupposto ordine di demolizione.

Va peraltro segnalato che la presentazione della domanda di sanatoria per abusi edilizi impone al Comune la sua disamina e l'adozione dei provvedimenti conseguenti, cosicché gli atti repressivi dell'abuso adottati in precedenza non possono essere materialmente eseguiti fino alla definizione della medesima domanda.

5. Per un orientamenti richiamato dal Comune appellato, i medesimi atti repressivi, ancorché non divengano illegittimi, a seguito della domanda di sanatoria perderebbero efficacia, sicché la relativa impugnazione diventerebbe conseguentemente improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il riesame dell'abusività dell'opera provocato dalla domanda di sanatoria implicherebbe la necessità di attivare un nuovo provvedimento che, se di rigetto, supererebbe il precedente provvedimento sanzionatorio e dovrebbe essere a sua volta impugnato (Const. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2013, n. 5115, 21 ottobre 2013, n. 5090, 16 aprile 2012, n. 2185;
Sez. V, 17 gennaio 2014, n. 172;
28 giugno 2012, n. 3821;
26 giugno 2007, n. 3569, 19 febbraio 1997, n. 165;
Sez. VI, 26 marzo 2010, n. 1750, 7 maggio 2009, n. 2833, 12 novembre 2008, n. 5646).

Peraltro, nell’ambito di tale orientamento si eccettuano casi di “macroscopici ritardi nella definizione del procedimento di sanatoria” , nel quale si afferma essere “opportuno che il giudice esprima comunque il proprio sindacato di legittimità sul provvedimento che ingiunge la demolizione (…) , fermo comunque restando che il condono edilizio eventualmente sopravvenuto impedirà di dar corso alla demolizione medesima” (Sez. IV, 16 settembre 2011, n. 5228).

6. Si tratta quindi di una pronuncia espressa in una situazione abnorme, quale è senza dubbio anche quella verificatosi nella presente vicenda contenziosa, in cui la perdita dell’incartamento relativo alla pratica di condono dell’odierna appellante rende di fatto inapplicabile l’orentamento sopra evidenziato: nella specie, risulta l’impossibilità che l’amministrazione comunale si pronunci sulla domanda di sanatoria.

Già in base a queste considerazioni, pragmatiche e ragionevoli, sottese al precedente in esame, oltre che pienamente applicabili al caso oggetto del presente giudizio, l’appello del fallimento deve essere respinto.

7. A ben guardare, peraltro, la pronuncia da ultimo richiamata coglie un profilo più generale dei rapporti tra il provvedimento repressivo di abusi edilizi e la successiva domanda di condono: tali rapporti rendono non condivisibile l’indirizzo sopra citato.

In realtà, nessuna disposizione contenuta nelle varie leggi sul condono edilizio prevede che la presentazione della domanda di sanatoria determini la perdita di efficacia dell’ordine di demolizione, mentre l’art. 38 l. n. 47 del 1985 si limita a disporre per questo caso la sospensione dei procedimenti sanzionatori amministrativi.

Ciò consente, in primo luogo, di ritenere pienamente persistente l’interesse del destinatario dell’ordine di demolizione a coltivare l’impugnativa contro quest’ultimo, anche in seguito alla presentazione dell’istanza di condono, e, in secondo luogo, del pari risulta pienamente applicabile l’incontrastato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere accertata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, in applicazione del principio del tempus regit actum , con conseguente irrilevanza di provvedimenti successivi (in applicazione, quindi, di un consolidato indirizzo, di cui sono espressione, da ultimo, le seguenti pronunce: Cons. Stato, Sez. IV, 11 aprile 2014, n. 1763, 6 dicembre 2013, n. 5822, 21 agosto 2012, n. 4583, 9 febbraio 2012, n. 693).

Per il principio di legalità, dunque, si deve ritenere che l’ordinanza di demolizione non perde effetti a seguito della presentazione di una domanda di condono (o di sanatoria): solo la legge può prevedere le ipotesi in cui un provvedimento legalmente emanato perde effetti a seguito di circostanza sopravvenute e può individuare i casi in cui gli organi amministrativi non hanno più il dovere di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.

8. Tanto precisato, è evidente che l’ordine di demolizione qui impugnato è legittimo, essendo stato emesso a fronte di una nuova costruzione per la quale non era stato chiesto il necessario titolo ad edificare, il tutto come risulta dalla motivazione del medesimo provvedimento repressivo, nei confronti della quale il fallimento odierno appellante non muove alcuna specifica censura.

9. L’appello deve quindi essere respinto, dovendo confermarsi la sentenza di primo grado, sia pure con le correzioni motivazionali di cui sopra.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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