Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-05-23, n. 201903398
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Pubblicato il 23/05/2019
N. 03398/2019REG.PROV.COLL.
N. 04898/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4898 del 2009, proposto da:
G A, rappresentato e difeso dall'avvocato G V, con domicilio eletto presso lo studio Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza, n. 24;
contro
Comune di Monopoli, non costituito in giudizio;
nei confronti
Garrappa Maria T, non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI, SEZIONE II, n. 277/2009, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2019 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e udito per la parte appellante l’avvocato Pasqualone, su delega di Valla Giacomo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione seconda, ha respinto tutti e sette i motivi di ricorso proposti da Angelo Goffredo contro il Comune di Monopoli e nei confronti di Maria T Garrappa, per l’annullamento del provvedimento del 28 maggio 1998, con cui il Comune aveva autorizzato “trattenimenti danzanti” sulla pista da ballo “Boccacheballa” sita in Monopoli alla contrada Lamandia, n. 3.
1.1. Angelo Goffredo ha avanzato appello con quattro motivi, prestando acquiescenza al rigetto dei motivi di ricorso non riproposti nel presente grado di giudizio.
1.2. Le parti appellate non si sono costituite.
1.3. Alla pubblica udienza del 28 febbraio 2019 la causa è stata assegnata a sentenza, previo deposito di memoria difensiva dell’appellante.
DIRITTO
2. Preliminarmente va detto che l’infondatezza o l’inammissibilità dei motivi di gravame, per le ragioni di cui appresso, consente di prescindere dalla verifica della persistenza dell’interesse alla decisione del presente grado di giudizio.
3. Col primo motivo di appello è riproposto l’originario quinto motivo di ricorso.
La sentenza di primo grado (relativamente alle censure, che ha riassunto nella parte in fatto della motivazione sub 5, come eccesso di potere e violazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 perché, consentendo l’adibizione del piazzale a pista da ballo, si è determinato di fatto un mutamento di destinazione d’uso in assenza del relativo provvedimento, nonché un uso incompatibile con la zona), ha respinto il motivo perché ha escluso:
- sia l’abusivo mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, in quanto si era trattato dell’uso di un piazzale “ubicato all’interno di un complesso alberghiero, per l’intrattenimento danzante, con modalità discontinue e temporanee, di ospiti a vario titolo della struttura”, senza alcuna trasformazione permanente del suolo;
- sia la mancanza di standard adeguati, in quanto il Comune aveva ceduto in uso alla ricorrente (in solido con altra proprietà alberghiera), con atto rogato dal Segretario comunale di Monopoli il 28 maggio 1998, rep. n. 4238, un terreno in stato di abbandono onde, previo intervento di risanamento urbanistico, adibirlo a verde pubblico e parcheggio, con obbligo di manutenzione costante dell’area.
3.1. Col motivo di appello in esame, l’appellante, ribadito che l’area in questione non risulta che abbia mai ottenuto la specifica destinazione d’uso a pista da ballo, sostiene che:
- in fase di rilascio della concessione edilizia per la costruzione dell’impianto recettivo non sono stati determinati gli standard (né è stato pagato il relativo contributo concessorio) per una pista da ballo capace di accogliere circa 500 persone;
- l’autorizzazione impugnata determina un illegittimo mutamento di destinazione d’uso dell’area scoperta “incidendo pesantemente sulle condizioni e sulla qualità della vita delle unità residenziali circostanti” e saturando anche le aree a parcheggio, di cui la struttura non sarebbe sufficientemente dotata;
- in mancanza di specifica destinazione d’uso, l’autorizzazione ex art. 68 T.U.L.P.S. non avrebbe potuto essere rilasciata;
- comunque il provvedimento è viziato da eccesso di potere per non aver considerato che l’attività autorizzata è del tutto incompatibile con la zona e con le esigenze di igiene dell’abitato;
- andrebbero considerati parametri di tolleranza diversi da quelli provvisoriamente vigenti (art. 6 d.p.c.m. 1 marzo 1991), in base alla destinazione delle aree.
3.2. L’appellante censura quindi la su riportata decisione di primo grado, osservando che:
- l’esercizio di una discoteca estiva (sulla base di autorizzazioni annue) non integra un fenomeno temporaneo, in quanto la stagionalità non equivale affatto ad episodicità;
- l’autorizzazione viene rinnovata ogni anno, per sei mesi all’anno, sicché si tratta di attività professionale, ancorché stagionale;
- l’intrattenimento danzante non è estrinsecazione dell’attività alberghiera, in quanto attività aperta al pubblico, del tutto indipendente rispetto alla gestione dell’albergo;
- non è pertinente il richiamo del primo giudice alla “trasformazione permanente del suolo” poiché la doglianza attiene all’illegittimità dell’autorizzazione comunale ad utilizzare la struttura ricettiva “in difformità dall’uso autorizzato”;
- parimenti privo di pertinenza è il richiamo fatto in sentenza al precedente giurisprudenziale di cui al T.g.a.r. dell’Alto Adige, Bolzano, 6 giugno 2006, n. 248, dovendosi piuttosto fare riferimento al precedente del Consiglio di Stato, V, 3 luglio 2003, n. 3975, che ha statuito la necessaria compatibilità della autorizzazione alla gestione di una discoteca con la destinazione d’uso della zona;
- il certificato di agibilità della struttura non contempla affatto l’attività di discoteca;
- inoltre, l’autorizzazione, favorendo l’accesso di un numero cospicuo di persone in zona residenziale, altera gli standard;al riguardo, non sarebbe dimostrata l’adeguatezza a garantire i parcheggi del terreno oggetto della cessione in uso di cui alla sentenza di primo grado, in quanto, trattandosi di una discoteca con capienza di 480 avventori richiederebbe un parcheggio per oltre duecento automobili e “non sembra che il suolo concesso dal Comune sia idoneo a garantire un parcheggio tanto capiente. Né ciò è stato dimostrato in giudizio”;
- comunque, le aree a parcheggio non costituiscono l’unico standard della zona insufficiente rispetto all’iniziativa autorizzata, in quanto risulterebbero violati altri standard.
4. Il motivo è infondato.
L’autorizzazione impugnata è stata rilasciata ai sensi dell’art. 68 TULPS per intrattenimento in forma temporanea. Siffatta qualificazione non dipende dalla stagionalità o meno dell’attività esercitata, bensì dalla tipologia di intrattenimento autorizzato e del luogo in cui questo viene svolto. In particolare, le attività di intrattenimento, che presuppongono la partecipazione attiva del pubblico, come appunto la discoteca, possono essere svolte in forma permanente, di regola in locali al chiuso, ovvero in forma temporanea, vale a dire in luoghi estemporaneamente utilizzati allo scopo, quali vie o piazze. Nel caso di specie, si è trattato di uno spazio all’aperto, adiacente la struttura alberghiera. L’autorizzazione risulta essere stata rilasciata nel rispetto dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dal citato art. 68 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773.
Quanto alla situazione urbanistico-edilizia dell’immobile adibito all’esercizio dell’attività, è oramai dato giurisprudenziale acquisito quello secondo cui, effettivamente, come dedotto dalla parte ricorrente, le prescrizioni degli strumenti urbanistici debbano essere rispettate anche ai fini del rilascio di provvedimenti autorizzatori (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 14 ottobre 2011 n. 5537;id., V, 8 maggio 2012, n. 5590;id., VI, 23 ottobre 2015, n. 4880 e, da ultimo, id., V, 29 maggio 2018, n. 3212).
Tuttavia, non è corretto l’assunto ulteriore del ricorrente secondo cui l’esercizio autorizzato di un’attività di pubblico intrattenimento sarebbe di per sé solo idoneo a comportare il mutamento di destinazione d’uso rilevante a fini urbanistici.
E’ vero piuttosto che, come ben argomentato nella sentenza appellata, perché si abbia mutamento di destinazione d’uso rilevante a tali fini è necessario che l’attività svolta, comportando una trasformazione permanente dell’immobile, abbia incidenza significativa sull’assetto edilizio-urbanistico della zona: ciò che, per la tipologia dell’immobile (spazio aperto adiacente a struttura alberghiera) e dell’attività di intrattenimento autorizzata, non è accaduto nel caso di specie.
Giova aggiungere che la fattispecie non è affatto equiparabile a quella di cui al precedente del Consiglio di Stato, V, 3 luglio 2003, n. 3975, citata dall’appellante, poiché tale decisione aveva ad oggetto il rilascio di una concessione in sanatoria;per di più, questa aveva comportato un’attività edilizia di modificazione dell’immobile per adibirlo a discoteca, in violazione delle norme tecniche di attuazione del PRG, che espressamente escludevano dalle zone residenziali “i locali per spettacolo”.
Nel presente giudizio il ricorrente non ha mai dedotto la violazione degli strumenti urbanistici comunali e delle relative norme di attuazione, lamentando piuttosto una modifica di destinazione d’uso dell’immobile adibito a “pista da ballo”, rispetto alla destinazione d’uso della struttura alberghiera adiacente.
Una volta chiarito che la destinazione d’uso di quest’ultima non è in discussione e che l’ubicazione della “pista da ballo” nella zona non risulta essere in violazione della normativa urbanistico-edilizia, è infondata la doglianza secondo cui l’autorizzazione si dovrebbe reputare illegittima perché avrebbe comportato un’abusiva modifica della destinazione d’uso dell’immobile.
4.1. Non meritano accoglimento nemmeno le censure concernenti l’asserita violazione degli standard urbanistici di zona. Riguardo a tali censure, il ricorrente -gravato dell’onere della prova, secondo i principi generali- avrebbe dovuto indicare specificamente gli standard applicabili e le ragioni della loro violazione nel caso concreto.
In particolare, attesa la produzione in primo grado dell’atto rogato dal Segretario comunale di Monopoli il 28 maggio 1998, rep. n. 4238, avente ad oggetto un terreno da adibire a parcheggio, sarebbe stato onere del ricorrente dimostrare l’inadeguatezza di questo terreno rispetto agli standard applicabili, così come sarebbe stato onere del medesimo ricorrente dimostrare che, malgrado l’utilizzazione di siffatta area di parcheggio, permaneva l’insufficienza di altri spazi pubblici riservati ai sensi d.m. 2 aprile 1968, n. 1444.
In mancanza di tali dimostrazioni le censure in esame risultano inammissibili.
4.2. Parimenti inammissibile è la censura di mancanza di agibilità del locale. Essa è stata prospettata per la prima volta in appello con un contenuto del tutto generico, in quanto privo di qualsivoglia riferimento ai presupposti di applicabilità dell’art. 80 TULP (nemmeno menzionato negli scritti di parte) al luogo di svolgimento dell’attività autorizzata.
4.3. In conclusione, il primo va motivo va respinto.
5. Col secondo motivo di appello è riproposto l’originario sesto motivo di ricorso.
La sentenza di primo grado (relativamente alle censure, che ha riassunto nella parte in fatto della motivazione sub 6) come violazione e falsa applicazione dell’art. 68 del T.U.L.P.S., R.D. 18 giugno 1931, n. 773, nonché eccesso di potere perché l’impugnato provvedimento non ha tenuto conto dei danni alla quiete e alla salute psico-fisica degli abitanti della zona che avrebbe determinato) ha respinto il motivo ritenendo adeguatamente valutati dal Comune i contrapposti interessi “tanto da aver imposto precise e circostanziate prescrizioni il cui mancato rispetto, in ipotesi, può costituire oggetto di domanda inibitoria o risarcitoria in sede civile, ma non impinge nella legittimità del provvedimento autorizzatorio”;ha aggiunto che comunque il provvedimento è stato emanato facendo salvi i diritti dei terzi, sicché non incombe sull’autorità emanante il provvedimento l’obbligo di compiere “complesse operazioni ricognitive” ovvero accertamenti in ordine alle pretese dei terzi, come da giurisprudenza amministrativa richiamata in sentenza.
5.1. Col motivo di appello in esame, l’appellante sostiene che:
- il Comune di Monopoli avrebbe dovuto considerare, nell’esercizio della propria discrezionalità, le legittime esigenze di privacy (intesa come diritto al riposo e alla quiete nella propria abitazione) e di tutela della salute psicofisica dei numerosi cittadini che abitano negli immobili della zona, assoggettati ad immissioni rumorose, soprattutto nelle ore notturne, idonee a disturbare la quiete pubblica ed a produrre danno alla salute del ricorrente e della sua famiglia;
- contrariamente a quanto affermato in sentenza, il provvedimento di autorizzazione non impone alcuna specifica prescrizione, se non il rispetto dei limiti imposti alle sorgenti sonore dal