Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-07-17, n. 202306994

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-07-17, n. 202306994
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202306994
Data del deposito : 17 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/07/2023

N. 06994/2023REG.PROV.COLL.

N. 05380/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5380 del 2021, proposto dal signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dagli avvocati N M e M R A, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima quater, 18 novembre -OMISSIS-resa tra le parti, avente ad oggetto “dimissione” da corso di aggiornamento e formazione professionale per la nomina a vice sovrintendente della Polizia di Stato.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023 il Cons. Antonella Manzione e udito per l’appellante l’avvocato N M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il sig. -OMISSIS- vincitore del concorso interno, per titoli di servizio, a 3824 posti per l’accesso al corso di formazione professionale per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo dei sovrintendenti della Polizia di Stato bandito con d.m. 30 gennaio 2003, ha impugnato innanzi al T.a.r. per il Lazio il provvedimento con il quale l’Amministrazione lo ha “dimesso” dallo stesso per avere superato il numero massimo di assenze consentite, ai sensi dell’art. 24 quinquies del d.P.R. n. 335 del 1992. A seguito di ordinanza cautelare favorevole, è stato ammesso con riserva a partecipare al corso successivo, senza tuttavia accedere all’esito all’auspicata progressione in carriera, giusta la non definitività della conseguita ammissione. Posto in congedo dal 23 settembre 2012 a causa di una grave infermità, per la quale percepisce trattamento pensionistico, ha ribadito il proprio interesse alla decisione al fine di ottenere una corretta ricostruzione della carriera.

2. Il Tribunale adito ha respinto il ricorso innanzi tutto sull’assunto che la convocazione al corso, diversamente da quanto affermato dalla parte, sarebbe avvenuta regolarmente a mezzo di telegramma in data 3 agosto 2004. Ad ogni buon conto, la circostanza sarebbe irrilevante, stante che nel periodo di svolgimento dello stesso il poliziotto non avrebbe potuto prendervi parte siccome sospeso in via cautelare dal servizio ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981 in ragione del procedimento penale promosso nei suoi confronti per il reato di cui agli artt. 81 e 317 c.p. (accusa dalla quale è stato successivamente assolto con formula piena ai sensi dell’art. 530 c.p.p.).

3. Con l’appello in esame il signor -OMISSIS- articola un unico, complesso motivo di gravame, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 24 quinquies , lett. c), del d.P.R. n. 533 del 1982, eccesso di potere per difetto dei presupposti e difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta, illogicità, incongruità ed irragionevolezza dell’azione amministrativa. Nel caso di specie non si sarebbe potuto applicare la norma su richiamata in quanto ha per destinatario un soggetto che supera il livello di assenze consentite dopo essere stato messo in condizione di partecipare al corso, laddove l’interessato, non solo non ha ricevuto la convocazione relativa al suo inizio, ma neppure ne aveva la possibilità in quanto al momento sospeso dal servizio. Sarebbe inoltre stato erroneamente del tutto pretermesso l’avvenuto superamento del corso successivo (il 19°), cui ha regolarmente partecipato totalizzando un solo giorno di assenza. Il telex versato in atti dall’Amministrazione a comprova dell’avvenuta convocazione, oltre che non essere mai pervenuto al destinatario, avrebbe tenore del tutto incomprensibile. Infine, sarebbe del tutto inconferente il richiamo ad arresti giurisprudenziali riferiti a fattispecie analoghe (cons. Stato, sez. III, nn. 498 e 1618 del 2018), stante che le stesse hanno ad oggetto situazioni di mancata frequenza, seppure incolpevole, dei corsi da parte di soggetti che hanno potuto quanto meno iniziare a frequentarli.

4. Si è costituito il Ministero dell’Interno per chiedere il rigetto dell’appello, stante la natura necessitata del provvedimento impugnato, meramente applicativo della disciplina vigente in materia.

4.1. In data 29 maggio 2023 l’appellante ha controdedotto in replica.

5. Alla pubblica udienza del 20 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Il Collegio ritiene l’appello da accogliere.

7. L’art. 24 quinquies del d.P.R. n. 335 del 24 aprile 1982, aggiunto dall’art. 2, del d. lgs. 12 maggio 1995, n. 197, come modificato dall’art. 2, del d. lgs. 28 febbraio 2001, n. 53, stabilisce che l’assenza per più di venti giorni dal corso al quale il personale della Polizia di Stato è stato ammesso, ne comporta le “dimissioni” - id est , l’esclusione. Solo nel caso in cui l’assenza sia stata determinata da infermità contratta durante il corso o dipendente da causa di servizio, ovvero, per le donne, sia da ricondurre a maternità, il personale interessato è ammesso a partecipare al primo corso successivo.

8. Ora, in disparte l’invocata frequenza del corso successivo a seguito di decisione cautelare favorevole, su cui più avanti, è innegabile che l’interessato in alcun modo avrebbe potuto prendere parte a quello originario, in quanto sospeso cautelativamente dal servizio nel periodo del suo svolgimento.

9. Di fatto, cioè, si versa effettivamente fuori dal perimetro di operatività della norma, non venendo all’evidenza un impedimento, ancorché incolpevole, sopravvenuto, ma una condizione soggettiva ostativa originaria, per la quale vige peraltro uno specifico regime giuridico, ai cui principi è necessario fare riferimento.

10. Proprio tale status , infatti, giustifica - recte , chiarisce - l’apparente contrasto nella ricostruzione dei fatti di causa tra appellante e Amministrazione intimata: a prescindere dal tenore letterale del telex di comunicazione dell’avvio del corso, di non agevole intellegibilità, esso è stato recapitato presso la sede di lavoro del dipendente, laddove lo stesso evidentemente non poteva essere reperito in tale peculiare momento della vita professionale, evidentemente ben noto all’Amministrazione di appartenenza.

11. Né può ritenersi tale circostanza ininfluente ai fini di causa, stante che laddove lo status di sospeso precauzionalmente dal servizio fosse stata ritenuta ontologicamente incompatibile con la partecipazione al corso, ovvero con l’affermazione del diritto alla stessa, la convocazione non avrebbe dovuto neppure avere luogo, venendo al più sostituita da una “dimissione” preventiva, senza attendere di utilizzare ex post l’ escamotage dell’inevitabile accumulo di assenze.

12. Il Collegio ritiene opportuno a questo punto richiamare brevemente i principi in materia di « sospensione cautelare in pendenza di procedimento penale », adottata dall’Amministrazione in applicazione dell’art.9, comma 2, del d.P.R. n. 737/1981 (il quale – come noto – prevede che « l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio […]»). Va in proposito evidenziato – in linea con la giurisprudenza di settore – che si tratta di una misura precauzionale facoltativa di sospensione dall’impiego, la cui funzione è quella di allontanare il dipendente dal servizio al fine di evitare un pregiudizio per il buon andamento e il prestigio dell’Amministrazione e per la credibilità della stessa presso la collettività, determinando gli atti e le vicende, in considerazione anche del particolare status dell’appartenente ai ruoli della Polizia di Stato, l’effetto della generalizzazione del comportamento attribuendolo non al singolo, ma alla struttura, con derivante sfiducia nei confronti dell’intera Istituzione. Essa dunque è frutto di scelte di cautela dell’Amministrazione che, malgrado la presunzione di innocenza dell’imputato-dipendente fino alla condanna con sentenza irrevocabile, risultano prioritarie per la preminente tutela degli interessi pubblici rilevanti coinvolti. Da qui la sua natura di provvedimento di portata interinale correlato ad una situazione di particolare gravità, che colloca il dipendente in una sorta di limbo, in quanto pur non estinguendosi il rapporto di pubblico impiego, esso rimane in vita in forma quiescente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2001, n. 334).

12.1. Il provvedimento, dunque, ben diverso da una sanzione disciplinare, tanto da non richiedere la previa comunicazione di avvio del procedimento, non necessita neppure di una specifica e diffusa motivazione, essendo sufficiente il richiamo all’oggettiva gravità dei fatti ascritti, unitamente alla posizione di impiego rivestita dal dipendente e alla loro commissione in occasione o a causa del servizio.

12.2. In forza del disposto contrattuale, al dipendente sospeso è corrisposta un’indennità di natura assistenziale pari al 50% dello stipendio tabellare in godimento al momento della sospensione nonché gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianità, salvo conguaglio nel caso in cui il procedimento penale si concluda con una pronuncia di assoluzione con formula piena e il procedimento disciplinare, a esso correlato, si chiuda conseguentemente con un provvedimento di archiviazione (la c.d. restitutio in integrum ).

13. Il Collegio ritiene che la chiave di volta per risolvere la questione di cui è causa risieda proprio nella peculiarità della situazione giuridica del dipendente sospeso cautelativamente dal servizio, la cui vita professionale deve essere integralmente ricostruita (mediante la ricordata restitutio in integrum, appunto), laddove la parentesi processuale e disciplinare si chiudano definitivamente, sia in termini di carriera, che in termini retributivi. E ciò tanto nel caso in cui interviene l’assoluzione del lavoratore con sentenza passata in giudicato (Cass. civ., Sez. lav., 5 marzo 2018, n. 5060), quanto addirittura in quello in cui il periodo di sospensione sofferto sia superiore alla condanna inflitta.

14. Può concludersi, quindi, sotto questo aspetto, sottolineando che la sospensione cautelare, per il suo carattere unilaterale e discrezionale, non fa venir meno l’obbligazione retributiva - lato sensu intesa, in contrapposizione a quella risarcitoria- ma la sospende e la subordina all’accertamento della responsabilità penale prima e disciplinare dopo del dipendente. Solo qualora il procedimento disciplinare si concluda sfavorevolmente per il dipendente con la sanzione del licenziamento, il diritto alla retribuzione viene definitivamente meno, in quanto gli effetti della sanzione retroagiscono al momento dell’adozione della misura cautelare;
viceversa, qualora la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura tale da non giustificare la sospensione sofferta, il rapporto riprende il suo corso dal momento in cui è stato sospeso, con obbligo per il datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni arretrate, dalle quali dovranno essere detratte quelle relative all’eventuale periodo di privazione della libertà personale perché in tal caso, anche in assenza dell’atto datoriale, il dipendente non sarebbe stato in grado di rendere il servizio richiesto.

15. Il Sig. -OMISSIS-, dunque, è stato sospeso dal servizio con decreto del Capo della Polizia del 25 maggio 2004, ovvero pochi mesi prima l’inizio del corso, avvenuto il 24 agosto 2004;
ma è stato poi assolto ai sensi dell’art. 530 c.p.p. per non aver commesso il fatto con sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Roma emessa il giorno 8 novembre 2004, depositata il 14 dicembre 2004, ovvero una settimana prima della sua fine.

16. Egli ha pertanto diritto ad essere ricollocato nella situazione giuridica che la sospensione ha temporaneamente “congelato”, all’interno della quale non può non rientrare anche la possibilità di frequenza di un corso prodromico alla promozione, del cui inizio peraltro non gli era stata data alcuna notizia, sì da permettergli di chiarire preliminarmente la propria posizione.

17. Vero è che l’avvenuto collocamento in quiescenza non consentirebbe più di accedere al bene della vita agognato dal dipendente, stante che nel caso di specie ciò che deve essergli consentito è la partecipazione al Corso, non il suo superamento. Ma nel caso di specie l’appellante ha già ottenuto in sede cautelare ridetta partecipazione, cui ha fatto seguito il superamento del percorso formativo/promozionale, sicché è sufficiente che l’Amministrazione sciolga la doverosa riserva originaria riveniente dall’ottemperanza al giudicato cautelare per assicurargli la spettante restitutio in integrum che l’assoluzione necessariamente postula. Quanto detto ferma restando la mancata retrodatazione degli effetti giuridici della partecipazione al 19°, anziché al 18 ° corso, siccome affermato dal primo giudice e non contestato dall’appellante.

18. Per tutto quanto esposto, l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. per il Lazio, sez. I quater, 18 novembre -OMISSIS-deve essere accolto il ricorso di primo grado n.r.g. -OMISSIS-

18.1. La peculiarità e la parziale novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del grado di giudizio.

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