Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-06-30, n. 202105001
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Testo completo
Pubblicato il 30/06/2021
N. 05001/2021REG.PROV.COLL.
N. 06806/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6806 del 2013, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati U G e A P, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato A P in Roma, via Palumbo, n. 26,
contro
- il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
- la Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati A Fisullo e Adriana Pavesi, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato A Fisullo in Roma, via Nazionale, n. 91;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il -OMISSIS-, resa inter partes , concernente un provvedimento di cancellazione dall’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze e della Banca d’Italia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 aprile 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70) il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n.-OMISSIS-, proposto innanzi al T.a.r. -OMISSIS-, la -OMISSIS-. in liquidazione (-OMISSIS- aveva chiesto quanto segue:
- l’annullamento:
a ) del provvedimento n. 281/385 - c del Ministro dell’economia e delle finanze del 9 aprile 2010, con il quale era stata decretata la cancellazione per gravi violazioni di legge ex art 111 del d.lgs. n. 38511993 della-OMISSIS- dall’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario di cui all’art. 106 del medesimo decreto;
b ) della nota della Banca d’Italia del 3 settembre 2009, con la quale era stato comunicato l’avvio del procedimento di cancellazione;
c ) della nota del 24 dicembre 2009, con la quale la Banca stessa che aveva proposto al Ministro l’adozione del decreto;
- l’eventuale risarcimento del danno.
2. A sostegno dell’impugnativa la società, a fronte di quanto contestatole in ordine alla violazione della normativa in materia di antiriciclaggio e di usura, aveva dedotto: - che l’Amministrazione non aveva considerato l’idoneità del software utilizzato dalla società, nel quale confluivano le operazioni non registrate nell’archivio informatico, nel garantire in ogni caso la possibilità di trarre informazioni integrate, ordinate cronologicamente e tracciabili così come richiesto dalla vigente normativa;- che era stato erroneamente riscontrato il superamento del tasso di usura;- che non era stata considerata la pronta disponibilità della società a ripristinare il rispetto delle disposizioni ritenute violate;- che sarebbe erroneo il rilievo relativo all’asserita inesistenza dell’attività di controllo da parte del Collegio sindacale della società ricorrente.
3. Costituitisi il Ministero dell’economia e delle finanze e la Banca d’Italia, entrambi resistendo, il Tribunale amministrativo adìto (-OMISSIS-) ha respinto il ricorso ed ha compensato le spese di lite.
4. In particolare, il T.a.r. ha ritenuto che, poiché il software utilizzato dalla società ricorrente per registrare diverse tipologie di operazioni non consentiva che tali dati confluissero automaticamente nell’archivio informatico, era preclusa la possibilità di trarre con un’unica interrogazione tutte le informazioni integrate e l’ordine cronologico delle stesse e dei dati, con conseguente palese violazione della normativa antiriciclaggio. Il T.a.r., a proposito del tasso usurario, ha poi rilevato l’inammissibilità dello sconto di assegni postdatati, in quanto strumenti di pagamento e non di credito, e l’irrilevanza del comportamento dell’intermediario finalizzato ad eliminare ex post le irregolarità riscontrate.
5. Avverso tale pronuncia la società, al fine di riproporre le deduzioni di primo grado ritenute non adeguatamente scrutinate, ha interposto appello, notificato il 9 luglio 2013 e depositato il 18 settembre 2013, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame, quanto di seguito sintetizzato:
I) il T.a.r. non avrebbe dato peso al fatto che la società si era servita di un registro informatico diverso dall’A.U.I. (Archivio Unico Informatico) ma parimenti efficace, così come regolamentato con delibera della stessa Banca d’Italia, e che l’avvio della procedura interna di regolarizzazione è avvenuto circa quattro mesi prima degli accertamenti ispettivi;
II) il T.a.r. non avrebbe considerato che le operazioni di sconto delle cambiali sono da qualificare come apertura di credito in conto corrente ex artt. 1842 e 1843 c.c. e consistono in meri prestiti personali garantiti da titoli;
III) il T.a.r., nel respingere la censura di violazione del principio di proporzionalità, non avrebbe considerato che la norma, che dispone la cancellazione dall’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario, concede all’Amministrazione margini di valutazione discrezionale che avrebbero consentito di valorizzare il comportamento della società immediatamente disponibile, a dimostrazione della sua buona fede, ad assumere le necessarie azioni rettificative e di revisione;
IV) erronea sarebbe, infine, la statuizione d’inammissibilità del quarto motivo sollevato col ricorso di primo grado, in quanto l’inesistenza dell’attività di controllo del Collegio sindacale ha rappresentato comunque un elemento a sostegno del rapporto ispettivo della Banca d’Italia e per il quale è stato avviato il procedimento di cancellazione e pertanto assume rilievo il fatto che detto organo ha comunque esperito i suoi compiti di verifica della regolare amministrazione dell’azienda.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado con vittoria di spese.
7. In data 25 settembre 2013, il Ministero dell’economia e delle finanze si è costituito in giudizio.
8. In data 26 settembre 2013, la Banca d’Italia si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto dell’opposto gravame.
9. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti appellate, insistendo per il rigetto dell’appello, hanno svolto le seguenti difese scritte: la Banca d’Italia ha eccepito la sopravvenuta carenza d’interesse della società appellante, ormai da tempo in liquidazione, pur riconoscendo che il ricorso in appello deve essere esaminato nel merito in ragione della domanda risarcitoria avanzata in prime cure;ha quindi argomentato nel senso dell’infondatezza di tutti i motivi d’appello, evidenziando, tra l’altro, che l’archivio A.U.I., pur attivato, non era collegato a quello accessibile mediante l’altro software in uso alla società, che gli assegni postdatati non possono essere riqualificati come strumenti di credito e che il comportamento successivo alla rilevata omissione è irrilevante;il Ministero appellato ha a sua volta evidenziato la gravità in re ipsa delle riscontrate violazioni alla normativa antiriciclaggio e la mancata contestazione circa il fatto che gli assegni postdatati sono stati contabilizzati dalla società soltanto in sede di ispezione.
10. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica svoltasi con modalità telematica del 20 aprile 2021, è stata ivi trattenuta in decisione.
11. L’appello è infondato
11.1 L’infondatezza delle deduzioni sollevate dall’appellante consente di prescindere da ogni eccezione in rito sollevata dalle parti appellate, fermo restando che la Banca d’Italia, nell’eccepire l’improcedibilità del gravame, non ha insistito per il suo accoglimento avendo riconosciuto la permanenza dell’interesse a ricorrere in appello in considerazione della domanda di risarcimento del danno avanzata in prime cure.
11.2 Con il primo mezzo, parte appellante innanzitutto deduce che, avvalendosi della facoltà concessale dall’art. 37 del d.lgs. n. 231/2007, avrebbe regolarmente registrato i dati obbligatori seppure in un formato elettronico diverso dall’archivio unico informatico, comunque attivato, in modo da consentirle di contenere tutti gli elementi richiesti dalla normativa antiriciclaggio. Il ricorso al diverso software utilizzato dall’appellante sarebbe consentito anche dalla delibera n. 895 del 23 dicembre 2009, con la quale la Banca d’Italia, in espressa applicazione del citato art. 37, aveva previsto che “ i dati identificativi e le altre informazioni relative ai rapporti continuativi possono essere contenuti in archivi informatici diversi dall’archivio unico ”, sia pure nel rispetto di alcune condizioni che troverebbero riscontro nel caso di specie. Con tale delibera non sarebbe imposta “ la limitazione ad un’unica e sola interrogazione dell'archivio alternativo all’AUI al fine di trarre le informazioni relative ai rapporti registrati, potendosi, al contrario, consultare il detto archivio anche più volte ” (cfr. appello, sub motivo n. 1) e questo diverso archivio avrebbe riguardato dati relativi a “ rapporti che, peraltro, hanno avuto un peso marginale nell’operatività aziendale ”.
11.3 L’infondatezza del motivo in esame si deve al fatto che:
- non risulta che la società abbia rispettato la precondizione necessaria per utilizzare un archivio sostitutivo, in quanto l’archivio A.U.I., pur attivato, non era collegato a quello accessibile mediante l’altro software in uso alla società, venendo così a mancare la possibilità di trarre con un’unica interrogazione tutte le informazioni integrate e l’ordine cronologico delle stesse e dei dati;
- i due archivi, infatti, risultavano separati invece che reciprocamente integrabili, tanto è vero che la stessa società, in sede di controdeduzioni rese nell’ambito del procedimento di cancellazione, ammetteva di avere “ adoperato un software che non consentiva l’automatico afflusso nell’archivio dei dati riferiti a rapporti diversi da quelli di finanziamento dietro cessione del quinto di stipendio o pensione ”;
- tale non permeabilità dei dati tra i due archivi integra la violazione della disposizione di cui all’articolo 37 su citato, laddove impone che “ sia comunque assicurata la possibilità di trarre con un’unica interrogazione informazioni integrate a l’ordine cronologico delle stesse e dei dati ”;
- la difesa della Banca d’Italia ha, altresì, evidenziato, senza smentita di controparte, che non risultavano registrate nell’Archivio unico informatico numerose attività, tra le quali “ a) n. 96 rapporti continuativi e n. 97 movimenti (per complessivi € 2.365.369) relativi a finanziamenti diretti a persone fisiche;b) n. 39 rapporti e n. 84 operazioni (per € 4.463.612) concernenti impieghi verso attività produttive;c) n. 17 rapporti e n. 36 operazioni (per € 1.898.845) riferibili a sconti commerciali ” oltre che operazioni di bonifico di importo rilevante.
11.4 Infondato è anche quanto ulteriormente dedotto con il motivo in esame in ordine al fatto che le operazioni di regolarizzazione interna, consistenti in semplice trasfusione di dati, si sarebbero esaurite entro il mese di dicembre 2008 e pertanto prima (e non durante come erroneamente contestato) dell’espletamento degli accertamenti ispettivi che venivano compiuti tra il 23 aprile e il 5 giugno 2009.
Invero, la circostanza temporale che afferisce alla collocazione di questa sorta di ravvedimento operoso assume carattere neutro in quanto comunque tale comportamento non elimina la perpetrata violazione al d.lgs. n. 231/2007, prevedendo questo (art. 36, commi 2, 3 e 4) che la mancata registrazione entro il termine prescritto consuma la violazione. Come correttamente osservato dalla difesa della Banca d’Italia, nella sua memoria di controdeduzioni, è la stessa disciplina di cui al citato decreto, per quanto attiene alla rilevanza penale della condotta del trasgressore, a denotare l’influenza della semplice registrazione dei dati dovendo tale operazione essere effettuata entro un determinato termine configurandosi quindi il reato sia nel caso di “ omessa ” che di “ tardiva ” registrazione.
12. Privo di fondamento è anche il secondo motivo d’appello, col quale si deduce che gli assegni postdatati, emessi dalla società, sarebbero strumenti di credito ed il comportamento assunto dalla stessa in sede di accertamento, ai fini della restituzione ai clienti di eventuali somme a titolo di maggiori interessi richiesti, non incidenti sul TEG (Tasso Effettivo Globale), sarebbe stato erroneamente interpretato come riconoscimento di colpevolezza.
Va premesso che l’accettazione da parte della società di assegni postdatati, peraltro in maniera statisticamente significativa (92 rapporti su 142 operazioni analizzate), non è stato valorizzato, in sede di adozione del provvedimento impugnato in prime cure, quale comportamento autonomamente trasgressivo quanto piuttosto perché tali titoli sono da collocare nell’ambito di un’attività creditizia dietro corresponsione d’interessi complessivamente superiori al tasso d’usura.
Ebbene, l’appellante deduce che tali operazioni non sarebbero “ prestiti personali ” quanto aperture di credito (segnatamente “ in conto corrente ex artt. 1842 e 1843 c.c. ”) trattandosi di operazioni di sconto dei titoli e successiva messa a disposizione di fondi, ma tale configurazione si scontra con il fatto che l’assegno postdatato, a differenza della cambiale, non impedisce a chi lo riceve di incassarlo in qualsiasi momento e pertanto non può assolvere, sebbene non sia gravato da nullità, quella funzione creditizia che per sua natura assolve la cambiale. Deve essere, quindi, confermata la statuizione recata dall’impugnata sentenza in ordine al fatto che un assegno postdatato, quale strumento di pagamento, non può essere piegato a finalità creditizie per cui le operazioni poste in essere dalla società non sono altro che prestiti personali garantiti da titoli postdatati in sintonia con la ricostruzione operata dall’ufficio. Risulta a tale scopo non significativa la considerazione del comportamento assunto dalla società, in sede di accertamento, consistente nella restituzione degli interessi, rappresentando un mero post factum in sé irrilevante, essendosi precedentemente consumata la violazione della disciplina antiriciclaggio attraverso la ricezione, in forma reiterata, di assegni postdatati per la concessione di veri e propri prestiti personali ad interessi garantiti dagli stessi titoli.
13. Infondato è anche il terzo motivo, col quale si deduce la violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, in quanto postula la discrezionalità del provvedimento che, invece, secondo la disciplina di riferimento, costituisce determinazione vincolata ove, come nel caso di specie, siano state accertate le gravi violazioni alla normativa antiriciclaggio ed alla disciplina in materia di usura. Infatti, come rimarcato dalla difesa della Banca d’Italia, l’art. 111 del d.lgs. n. 385/1993 (TUB), nel testo ratione temporis vigente, stabiliva che il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta dell’Ufficio Italiano dei Cambi - poi Banca d’Italia ex art. 62 del d.lgs. n. 231/2007 - “ dispone la cancellazione ” dall’elenco generale di cui all’art. 106 del d.lgs. n. 385/1993 degli intermediari finanziari, qualora, tra l’atro, “ risultino gravi violazioni di norme di legge o delle disposizioni emanate ai sensi del presente decreto legislativo ” (art. 111, comma 1, lett. c). La misura espulsiva adottata risulta ad ogni modo giustificata dalla oggettiva gravità della condotta della società, così come scolpita nel provvedimento impugnato in prime cure e suffragata dalla documentazione di causa, nella irrilevanza della condotta riparatoria assunta in sede ispettiva non avendo cittadinanza giuridica, come detto, il ravvedimento operoso.
14. Infondato è, infine, il quarto (ed ultimo) motivo d’appello, col quale si contesta l’erroneità del capo della sentenza impugnata con cui è stata dichiarata inammissibile la censura di primo grado relativa all’operato del collegio sindacale della società, in quanto, come correttamente rilevato dal T.a.r., il comportamento di tale organo di controllo non è stato preso in considerazione sia nella proposta della Banca d’Italia sia nel decreto di cancellazione impugnato.
15. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
16. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo il criterio della soccombenza, sono liquidate nella misura stabilita in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.