Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-19, n. 201003174

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-19, n. 201003174
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201003174
Data del deposito : 19 maggio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09759/2009 REG.RIC.

N. 03174/2010 REG.DEC.

N. 09759/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 9759 del 2009, proposto da:
L B, rappresentato e difeso dall'avv. G F, con domicilio eletto presso Patrizia Finelli in Roma, via G. Calderini N. 68;

contro

Comune di Pozzuoli, rappresentato e difeso dall'avv. A S, con domicilio eletto presso Claudia De Curtis in Roma, via Marianna Dionigi, 57;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VI n. 07338/2009, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Pozzuoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2010 il Cons. S A e udito l’avv Gianluca Contaldi su delega dell’avv A S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso di primo grado, non ravvisando fondamento alcuno nelle censure rivolte all’annullamento dei provvedimenti con i quali il Comune di Pozzuoli nella veste del dirigente competente, ha, prima, respinto l’istanza di condono presentata dal ricorrente, odierno appellante, (delib.n.25676 del 26 giugno 2009) e successivamente ha ordinato la demolizione delle opere da esso abusivamente realizzate (delib.n.29485 del 21 luglio 2009).

La parte soccombente in primo grado ha proposto impugnazione avverso detta decisione per chiederne la riforma, riproponendo in sostanza le stesse censure utilizzate nel ricorso originario, seppure adattate alle argomentazioni dal primo decidente.

Il Comune si è costituito in giudizio per chiedere il rigetto del gravame che all’udienza odierna è stato trattenuto in decisione dal Collegio su richiesta del difensore del Comune.

L’appello è infondato

Le censure con esso proposte, due di merito, e due relative a vizi procedimentali non meritano invero alcuna condivisione.

Le prime due censure, attengono all’art. 32 comma 27, lett. d), del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla l. n. 326 del 2003, come noto recante disposizioni sul “terzo”condono edilizio, di cui l’appellante chiede l’applicazione in relazione alla realizzazione senza titolo dell’ ampliamento di un edificio residenziale situato in zona sottoposta a vincolo ambientale, sulla base delle prescrizioni di P.R.G. e del P.T.P. , in cui non è consentita l’edificazione trattandosi di zona “Et. Agricola a Tutela” nonché “ Area a protezione integrale”.

L'art. 32 comma 27, lett. d), l. n. 269 del 2003 è previsione normativa che esclude dalla sanatoria le opere abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli (in particolare, quelli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e della falde acquifere, dei beni ambientali e paesaggistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), subordinando peraltro l'esclusione a due condizioni costituite:

a) al fatto che il vincolo sia stato istituto prima dell'esecuzione delle opere abusive;

b) al fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Da tale ricostruzione emerge, quindi, un sistema che consente la sanatoria delle opere realizzate su aree vincolate solo in due ipotesi, previste disgiuntamente, costituite dalla realizzazione delle opere abusive prima dell'imposizione dei vincoli (e, in questo caso, trattasi della mera riproposizione di una caratteristica propria della disciplina posta dalle due precedenti leggi sul condono con riferimento ai vincoli di inedificabilità assoluta di cui all'art. 33 comma 1, l. n. 47 del 1985);
dal fatto che le opere oggetto di sanatoria, benché non assentite o difformi dal titolo abilitativo, risultino comunque conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Pertanto, la novità sostanziale della suddetta previsione normativa è costituita proprio dall'inserimento del requisito della conformità urbanistica all'interno della fattispecie del condono edilizio, così dando vita ad un meccanismo di sanatoria che si avvicina fortemente all'istituto dell'accertamento di conformità previsto dall'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, piuttosto che ai meccanismi previsti dalle due precedenti leggi sul condono edilizio.

Poste tali premesse, in base alla disciplina posta dal d.l. n. 269 del 2003, la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è radicalmente esclusa solo qualora si tratti di un vincolo di inedificabilità assoluta e non anche nella diversa ipotesi di un vincolo di inedificabilità relativa, ossia di un vincolo superabile mediante un giudizio a posteriori di compatibilità paesaggistica. Infatti, è ben possibile ottenere la sanatoria delle opere abusive realizzate in zona sottoposta ad un vincolo di inedificabilità relativa, purché ricorrano le condizioni previste dall'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla l. n. 326 del 2003, vale a dire che non si tratti di opere realizzate dopo l’imposizione del vincolo ed in assenza o in difformità del titolo abilitativo che risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. (Tar Puglia, Lecce, sez. III, 10 gennaio 2009, n. 17).

Non sussiste quindi il difetto di motivazione del diniego di condono dedotto dall’appellante a fronte di disposizioni non derogabili puntualmente richiamate nel contestato detto diniego, essendo stato realizzato l’abuso in questione in zona a “tutela integrale”, istituita prima dell’intervento e comunque in aperto contrasto con le previsioni urbanistiche in vigore.

Non può essere, poi, condivisa la tesi sostenuta dal ricorrente secondo cui il termine “immobili” deve essere inteso come riferito alle sole costruzioni e non anche alle aree sicché l’esclusione dal condono disciplinata dall’art. 32 comma 27 lett. D) del D.L. n.269 del 2003 disciplinerebbe solo gli abusi commessi su opere dell’uomo vincolate specificamente, non su aree assoggettate a vincoli.

Ed invero, la riferibilità del sostantivo in questione ad ampie aree, in quanto “immobili”, risulta (oltre che dall’utilizzazione dello stesso con riferimento sia alle opere dell’uomo che a quelle della natura nell’art.1 della legge n.1497 del 1939, nell’art.1 della legge n.1089 del 1939, negli artt.2 – beni culturali - e 139 – beni ambientali - del D.Lgs. n.490 del 1999, negli artt.

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