Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-07-24, n. 201703658
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Pubblicato il 24/07/2017
N. 03658/2017REG.PROV.COLL.
N. 05600/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5600 del 2015, proposto dalla Pam Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato S F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Viale Giuseppe Mazzini, n. 25;
contro
Il Comune di Artena, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tar Lazio, Roma, Sez. I-quater, n. 11733/2014, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il Cons. I V e udito l’avvocato S F;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Col ricorso in epigrafe, la Pam Costruzioni s.r.l. ha impugnato, per la sua riforma, la sentenza del Tar Lazio, Sede di Roma, n. 11733/2014, depositata il 24 novembre 2014, che ha respinto il suo ricorso avverso l’ordinanza r.g. n. 14 in data 18 marzo 2013 del Comune di Artena, che le ha ingiunto la demolizione di una serie di opere realizzate senza titolo.
1.1. La sentenza, in pratica, si basa su tre sintetiche affermazioni:
a) che l’area in cui gli interventi edilizi erano stati realizzati sarebbe risultata soggetta a vincolo, in particolare che la zona interessata ricadeva in «beni puntuali e lineari diffusi testimonianza dei caratteri identitari archeologici e storici e terreni contenuti e relativa fascia di rispetto di mt 100 » ;
b) che l’area fosse altresì ancora interessata da uso civico di pascolo, la cui affrancazione né sarebbe stata ancora stipulata, né trascritta;
c) che, quanto ad opere riguardanti una pensilina, sarebbe risultato in atti « che alla DIA in data 22.12.2009 non è stato mai comunicato l’inizio dei lavori, il nominativo del direttore dei lavori né la fine degli stessi ».
2. Col ricorso l’appellante ha premesso:
- di avere comprato nel 2006 l’appezzamento di terreno sul quale è stato realizzato un magazzino, assistito da p.d.c. del 2003, che essa aveva inizialmente preso ad utilizzare come ricovero di automezzi senza mutarne l’originaria destinazione d'uso (zona E2 «Agro ricadente nelle immediate vicinanze dei centri abitati»);
- di avere nel 2007 presentato all'Agenzia di Sviluppo Provinciale, per la realizzazione in loco di un ulteriore capannone per attività produttive, un progetto positivamente valutato dal Comune e poi adottato in C.C. con deliberazione n. 39 dell'11 ottobre 2011, il cui procedimento era però ancora in corso;
- viste le lungaggini, di avere nel 2010 chiesto al Comune un permesso di costruire per cambiare la destinazione d’uso dell’immobile in magazzino per attività produttive con annessi uffici, ricevendone tuttavia un diniego il 28 settembre 2010, giacché l’edificio ricadeva nella suindicata zona E2, nella quale erano vietate immutazioni per finalità diverse da quelle legate a produzioni agricole ed attività connesse;
- allora, dato che nel P.R. comunale mancava la previsione di zona per insediamenti artigianali e attività produttive (Zona D1), di avere ritenuto che il diniego le consentisse, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. n. 447/1998, di avviare, con apposito progetto, un procedimento di variante urbanistica;
- di avere comunque, nel 2009, presentato una DIA per la posa in opera di geogriglie per rinforzo di terra;
- di avere altresì il 15 settembre 2011 presentato una comunicazione ex art. 6 del d.P.R. 380/2001 per interventi di manutenzione (posa in opera, per non più di 90 giorni, di una struttura removibile con teloni laterali in PVC);
- di avere ricevuto il 4 novembre 2011 (prima della scadenza dei predetti 90 giorni) il sopralluogo da cui poi scaturiva il provvedimento impugnato;
- di averlo quindi impugnato – ritenendo in particolare illegittima la parte di motivazione del provvedimento in cui si assumeva l’abusività degli interventi, trattandosi di « Area di tutela paesaggistica - immobili ed aree di notevole interesse pubblico - lettera c) e d) beni d’insieme (art. 136 Divo 42/2004) e aree di interesse archeologico - beni lineari con fascia di rispetto (art. 134 c. 1 lett. c) D.Ivo 42/2004) », nonché di « Terreno privato gravato da uso civico di pascolo, ex art. 5 - 7 L. 1766/27 » – per i seguenti motivi:
-- violazione e falsa applicazione degli artt. 134, 136, da 138 a 141, 142, 143, 167 e 153 del d.lgs. n. 42/2004;
-- violazione e falsa applicazione della l.n. 1766/27 e del R.D. n. 332/28;
-- eccesso di potere per errore sul presupposto e difetto di istruttoria - contraddittorietà, illogicità manifesta;
-- eccesso di potere per motivazione carente e comunque insufficiente;
-- insussistenza dei presupposti per l'adozione di un provvedimento di demolizione;
-- violazione dell'art. 7 della l.n. 241/90 per mancata comunicazione di avvio del procedimento di demolizione di opere abusive;
- che il Comune non s’era costituito in giudizio e che, per esigenze istruttorie, il Collegio aveva chiesto il deposito di una relazione che giustificasse i presupposti della ritenuta sussistenza del vincolo e replicasse ai rilievi della ricorrente, il cui adempimento – effettuato solo dopo ordini reiterati – era avvenuto molto a ridosso dell’udienza di discussione e soprattutto mostrava solo poche righe realmente dedicate agli argomenti evidenziati, invece, dal Collegio.
Tanto premesso, l’appellante ha quindi lamentato l’erroneità della sentenza impugnata in quanto affetta da difetto di motivazione, mancato esame di punti decisivi della controversia, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti.
2. Il Comune non si è costituito neppure in questo grado di giudizio.
3. Con ordinanza della Sezione n. 3954/2015, depositata il 31 agosto 2015, è stata sospesa l’esecutività della sentenza « valutati il danno e la non manifesta infondatezza, allo stato, del gravame ».
4. Con memoria depositata il 12 dicembre .2016, l’appellante ha riepilogato le proprie difese, rilevando peraltro che il Consiglio comunale di Artena, con deliberazione n. 42 del 28.7.2016, aveva adottato il « Documento Preliminare di Indirizzo (D.P.I.) propedeutico all'avvio della redazione del nuovo Piano Urbanistico Generale Comunale (P.U.G.C.) ai sensi dell'art. 32 della Legge Regionale n. 38/99 », per effetto della quale l’area in questione diverrà «Zona D», destinata ad insediamenti produttivi, quindi commerciali, artigianali e industriali.
5. La causa è stata una prima volta chiamata alla pubblica udienza di discussione del 12. gennaio 2017 ed ivi trattenuta in decisione.
6. Con ordinanza collegiale della Sezione n. 112/2017, pubblicata il 16 gennaio 2017, è stato così disposto:
« considerato e ritenuto che
- col ricorso in epigrafe, l’appellante ha impugnato la sentenza in oggetto, che ha respinto il suo ricorso avverso l’ordinanza n. 14 del 18 marzo 2013 del Comune di Artena, che le ha ingiunto la demolizione di una serie di opere, da essa realizzate;
- il più rilevante abuso contestato ha riguardato l’edificazione di un capannone destinato all’esercizio di attività produttive e ciò perché l’immobile ricadrebbe in un’area che non ne avrebbe consentito la presenza;
- in particolare, l’area in questione rientrerebbe – secondo la prospettazione del Comune, per come ricostruita dall’appellante, dal momento che l’ente locale non si è costituito in giudizio né nel suo primo né nel suo secondo grado - in “beni puntuali e lineari diffusi testimonianza dei caratteri identitari archeologici e storici e terreni contenuti e relativa fascia di rispetto di mt 100;
- tale circostanza è tuttavia contestata dalla ricorrente, ad avviso della quale, in sintesi, l’area nella quale era stato edificato l’immobile non sarebbe stata all’epoca dei fatti ricompresa in quella soggetta al vincolo di zona ritenuto sussistente, all’opposto, dal Comune;
- dalle produzioni in atti, non è desumibile in modo inequivoco l’attendibilità certa dell’uno ovvero dell’altro assunto;
- ai fini del decidere – trattandosi di una circostanza dotata di profilo dirimente – è dunque necessario acquisire dal Comune una formale certificazione, resa dal dirigente responsabile dell’Ufficio per ciò competente, in ordine all’esatta ubicazione geografica dell’immobile in questione e alla identificazione dell’esatta perimetrazione catastale dei vincoli rilevati dall’ente locale, con indicazione sicura altresì della loro natura, allo scopo di poter stabilire se l’area di sedime dell’immobile rientri o meno all’interno di detta perimetrazione (con riferimento sia alla data di realizzazione delle opere, sia a quella di emanazione dell’atto impugnato in primo grado);
- per l’adempimento dell’incombente istruttorio va stabilito il termine di giorni sessanta, decorrente dalla data di comunicazione al Comune, ad opera della Segreteria della Sezione, della presente ordinanza ovvero, qualora anteriore, dalla data di notificazione della stessa all’ente locale ad opera di parte ricorrente, fissandosi fin d’ora per il prosieguo la pubblica udienza di discussione del 15 giugno 2017 (…)”.
7. Il Comune ha adempiuto con deposito del 14 marzo 2017.
8. La PAM ha depositato memoria difensiva il 12 maggio 2017.
9. La causa quindi, chiamata alla pubblica udienza di discussione del 15 giugno 2017, è stata ivi definitivamente trattenuta in decisione.
10. L’appello è parzialmente fondato e merita di essere accolto nei limiti di seguito indicati.
10.1. Delle censure articolate risultano fondate, in particolare, quelle di difetto di istruttoria e conseguentemente di mancato esame di punti decisivi della controversia e difetto di motivazione, in ordine alla prima questione rilevante, ossia quella del posizionamento dell’area di interesse della parte appellante rispetto alla perimetrazione dell’area soggetta a vincolo.
Rispondendo alla disposta istruttoria, il Comune ha depositato una propria nota, n. 4998 del 13.3.2017, con la quale riferisce che, effettuati approfondimenti, « l’immobile, oggetto di ricorso, risulta tangente al vincolo in questione » e che lo stesso si colloca « quindi all’esterno del vincolo (…) e relativa fascia di rispetto ».
Cade in tal modo uno dei presupposti che hanno sorretto l’impugnata ingiunzione di demolizione e corrispondentemente uno dei capisaldi della sentenza in scrutinio.
10.2. Le riportate censure dell’appellante trovano poi riscontro anche in relazione ad un altro caposaldo della sentenza, riguardante il fatto che l’immobile in questione sarebbe ancora interessato da uso civico di pascolo, la cui affrancazione né sarebbe stata ancora stipulata né trascritta.
Al riguardo, però, occorre considerare le circostanze dedotte e documentate dalla parte appellante – che non hanno trovato smentita – per cui:
- con determinazione n. 874 del 24 giugno 2002 della Regione Lazio, di liquidazione degli usi civici, sono state accolte le istanze dei richiedenti, tra cui quella del precedente proprietario dell’immobile, e stabilito a suo carico un capitale di affrancazione di euro 3.259,68;
- con determinazione n. 473 R.G. 32 dell'Area Tecnica Urbanistica del Comune in data 7 ottobre 2002 è stato dato atto che i richiedenti (tra i quali il precedente proprietario) hanno ultimato l’ iter procedurale ai sensi della l.n. 1766/1927, con specificazione dell’avvenuto pagamento del capitale di affrancazione (euro 3.259,68) « pagato tramite boll. Postale n. 70 del 05/09/2002 », con conseguente approvazione dell'allegato « Atto di affrancazione di canone enfiteutico - liquidazione diritti di uso civico » riguardante l’affrancazione anche dei terreni di cui al detto immobile.
Pur se non risulta la trascrizione di un formale atto di affrancazione, rileva la circolare della Agenzia del territorio n. 2/2004, riguardante l’« affrancazione usi civici - forma dei relativi atti - eseguibilitaÌ€ delle formalitaÌ€ ipotecarie - trattamento tributario » e l’« IdoneitaÌ€ della determinazione dirigenziale quale titolo idoneo per l’affrancazione».
«L’Avvocatura Generale dello Stato, interpellata al riguardo dalla Scrivente, con consultiva CS/2749/02 del 15/1/2004, ha in proposito osservato come, “...in mancanza di una specifica indicazione di legge ed anche in considerazione dei ridotti effetti di tale affrancazione rispetto a quella ex art. 971 cc (infatti nel caso che ne occupa non si trasferisce la proprietà del fondo ma si fa venir meno semplicemente la debenza dei canoni), la determinazione dirigenziale, da considerarsi “atto dovuto”, con la quale i Comuni prendono atto della domanda dell’occupante legittimato e ne fanno scaturire gli effetti propri (interruzione del pagamento del canone ed eventuale richiesta di voltura...), sembra possa essere considerato titolo idoneo per l’affrancazione e per il conseguimento degli effetti espansivi del diritto di proprietà ad essa correlati. ».
La stessa circolare – sulla « TrascrivibilitaÌ€ degli atti di affrancazione» - ha rilevato che « i particolari effetti prodotti dalla peculiare forma di affrancazione di cui trattasi fanno sorgere non poche perplessitaÌ€ in ordine alla necessitaÌ€ di rendere opponibile, attraverso il mezzo della trascrizione, un diritto che giaÌ€ esiste nel patrimonio giuridico del legittimario e che con l’affrancazione viene, di fatto, soltanto ampliato».
«In sostanza, l’opponibilità del diritto del legittimario dovrebbe essere assicurata non tanto a valle, attraverso al pubblicità del provvedimento di affrancazione, quanto, a monte, dalla trascrizione del provvedimento di legittimazione a suo tempo adottato ai sensi degli artt. 9 e 10 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 e relativo regolamento di esecuzione (R.D. 26 febbraio 1928, n. 332)».
«Per quanto attiene più specificatamente i profili di pubblicità immobiliare, dunque, l’atto (provvedimento) di affrancazione stipulato nelle forme indicate, in considerazione degli effetti meramente espansivi del diritto di proprietà, potrebbe determinare l’esecuzione di una formalità di annotazione. Formalità da eseguire a margine della trascrizione – se già avvenuta – del provvedimento di legittimazione di cui agli artt. 9 e 10 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, in analogia a quanto previsto dall’art. 2655, comma 2, del codice civile, per l’annotazione della sentenza di devoluzione del fondo enfiteutico in margine della domanda».
«Si evidenzia che le conclusioni appena esposte, sono state pienamente condivise dall’Avvocatura Generale dello Stato con la consultiva innanzi menzionata » .
Oltre a queste considerazioni, di per sé condivisibili, poiché l’ente locale ha incamerato le somme a suo tempo determinate, una formale trascrizione neppure sarebbe stata necessaria.
Tale formalità rileva per l’opponibilità ai terzi di determinati atti o contratti ma, nella specie, il Comune è stata parte diretta dell’affrancazione e dunque, nei suoi riguardi, neppure si pone un’esigenza di opponibilità.
11. L’appello non risulta invece fondato relativamente alla parte del provvedimento impugnato che si riferisce ad una «pensilina».
Al riguardo, per un verso, risulta sufficiente la motivazione della sentenza impugnata secondo la quale « risulta in atti che alla DIA in data 22.12.2009 non è stato mai comunicato l’inizio dei lavori, il nominativo del direttore dei lavori né la fine degli stessi » e, per altro verso, soprattutto che si trattava di una struttura ab origine descritta come non fissa e da rimuovere dopo novanta giorni, e che pertanto si sarebbe dovuta subito dopo rimuovere.
D’altra parte, pur se il sopralluogo (a scopo verificativo) è avvenuto con anticipo rispetto a tale termine, è decisivo considerare che anche successivamente l’opera è rimasta in loco , per di più con caratteristiche diverse da quelle previste nel progetto .
11. In conclusione, in ragione dell’accoglimento parziale dell’appello, si possono compensare le spese dei due gradi del giudizio.