Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-06-25, n. 201004116

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-06-25, n. 201004116
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201004116
Data del deposito : 25 giugno 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05051/2008 REG.RIC.

N. 04116/2010 REG.DEC.

N. 05051/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 5051 del 2008, proposto da:
C A, C M, C M e C A, nella qualità di eredi di C G, rappresentati e difesi dall'avv. B B, con domicilio eletto presso Francesca Romana Nanni in Roma, viale Vaticano 46;

contro

il Ministero dell'Economia e delle Finanze ed il Comando Generale della Guardia di Finanza, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – sezione staccata di Lecce, Sezione III, n. 00419/2008.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Comando Generale Guardia di Finanza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2010, il Consigliere Raffaele Potenza e uditi per le parti l’avv. Bruno e l'avv. dello Stato Greco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto al TAR Puglia, sezione staccata di Lecce, gli odierni appellanti esponevano che in data 28.4.1998 il loro congiunto C G, militare della Guardia di Finanza, decedeva a seguito di un incidente stradale occorsogli alla guida della propria auto mentre percorreva la strada statale n. 372 (Fiumicino-Roma) per raggiungere la sede di servizio. Gli esponenti facevano altresì presente che, in relazione a tale fatto, il padre del deceduto richiedeva all’amministrazione finanziaria il riconoscimento della pensione privilegiata e dell’equo indennizzo, in quanto il decesso del finanziere era da ritenersi dipendente da causa di servizio. Sia la Commissione medica di prima che di seconda istanza emettevano tuttavia un giudizio di non dipendenza da causa di servizio, rilevando che nel processo penale derivante dal sinistro accaduto era emersa, seppure in concorso con altri, la colpa grave dello stesso dipendente deceduto.

A tali rilievi si uniformava l’amministrazione, provvedendo ad archiviare (quindi a rigettare) l’istanza presentata dal sig. C, dandone notizia e motivazione all’interessato. Quest’ultimo, unitamente ai coeredi del deceduto, adìva il TAR della Puglia, chiedendo l’annullamento del provvedimento di diniego (nota n.88286 del 9.5.01) e deducendo l’illegittimità di una motivazione limitatasi a richiamare i giudizi resi dalle CC.MM.OO. senza esternarli, e sostenendo altresì che i medesimi non avrebbero accertato la colpa grave del dipendente quale condizione necessaria per escludere il nesso di causalità tra i fatti di servizio e l’evento lesivo.

Il TAR respingeva il ricorso, richiamandosi alla giurisprudenza che in materia ammette la motivazione “per relationem”, e rilevando in particolare che entrambi i giudizi resi dalle commissioni recano precisi riferimenti alla responsabilità per condotta colposa (imprudenza nella guida ) da parte del sig. C G, impeditivo del necessario nesso di causalità tra l’infortunio ed il servizio.

Il TAR ha anche ritenuto infondati i vizi procedimentali dedotti (composizione delle commissioni mediche senza inserimento di un medico del Corpo di appartenenza e presidenza di un colonnello anzicchè di un generale).

Contro tale pronunzia gli eredi hanno proposto l’odierno appello, a sostegno del quale sono stati dedotti quattro ordini di censure, riassunte nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.

Si è costituita nel giudizio l’amministrazione appellata.

Alla pubblica udienza del 19 gennaio 2010 il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1- Col primo mezzo di gravame gli appellanti ripropongono il motivo, rigettato dal primo Giudice, per il quale l’archiviazione della domanda di equo indennizzo sarebbe affetta da insufficienza della motivazione , essendo questa formulata semplicemente “per relationem” ai pareri degli organi medico-legali e perciò, secondo la tesi in esame, in violazione all’art. 9 del D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349. La censura è infondata.

1.1- Sul punto il Collegio deve anzitutto richiamare l’orientamento giurisprudenziale, già indicato dal TAR, che ammette la motivazione “per relationem” a sostegno del provvedimento di diniego dell’equo indennizzo, e precisa anche che il richiamo al parere della CMO comporta l’integrale recepimento dell’iter logico da essa seguito (Cons. di Stato, sez. VI, n.2214/2004);
è perciò evidente l’insussistenza del profilo di difetto di motivazione sostenuto.

E del resto, la tipologia di motivazione di cui si tratta è “ormai accolta come regola generale a mente dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, laddove la natura dell’atto da emanarsi non consigli uno specifico chiarimento del percorso volitivo seguito dall’Amministrazione” (Cons. di Stato, sez. VI, n.4949/2007).

1.2- Per quanto riguarda il riferimento all’art. 9 del citato DPR è sufficiente una lettura della disposizione (all’epoca dei fatti ancora vigente), che prevede: “ L'amministrazione si pronuncia sulla concessione dell'equo indennizzo con provvedimento espresso, debitamente motivato, ………”;
da tale testo emerge che la motivazione “per relationem” non è affatto preclusa all’amministrazione, poichè l’espressione “debitamente motivato” indica semplicemente la necessità di emanare un atto che espliciti le ragioni del diniego;
e a tale onere assolve l’impugnato atto di archiviazione dell’istanza col riferimento esplicito al contenuto del verbale redatto dall’organo medico collegiale (v. nota 9.5.2001, n. 88286).

2- Parimenti non può essere accolto il motivo d’appello che fa nuovamente rilevare, e critica, che l’amministrazione non abbia espresso alcuna valutazione in merito alla colpa del dipendente deceduto nonostante spetti solo ad essa tale valutazione;
la censura, che integra un ulteriore profilo di difetto di motivazione, non tiene conto che, come anche qui chiaramente indicato dal TAR, i pareri richiamati “per relationem” recano a loro volta ampi riferimenti ai fatti accertati in sede penale, tra cui il comportamento di guida del C. Non può pertanto fondatamente affermarsi che l’amministrazione abbia omesso di valutare il ruolo svolto dalla condotta del dipendente nel determinare l’evento a lui fatale.

3.- Altro profilo inerente tale valutazione emerge dal terzo mezzo d’appello, per il quale, nel determinismo del sinistro occorso, non avrebbe avuto valenza decisiva il comportamento del conducente C, essendosi l’incidente verificato con concorso di colpa;
da ciò l’illegittimità del diniego reso senza tenere conto di tale elemento.

Al riguardo il Collegio rileva che la figura del concorso di colpa, che assume rilievo nelle fattispecie in cui necessita l’individuazione della misura della responsabilità civile e del correlato risarcimento (art. 1227 cod. civ., applicabile anche in materia di circolazione stradale) opera primariamente tra i soggetti coinvolti nel sinistro, ma non risulta utile a stabilire, al contrario tende ad escludere, il nesso di causalità che, ai fini in questione, deve invece correre tra l’evento lesivo occorso al dipendente ed il servizio dal medesimo prestato alle dipendenze dell’Amministrazione (nel quale si colloca come è noto anche l’infortunio “in itinere”). Ragionare in senso opposto, e quindi affermare, in linea di principio, il diritto all’equo indennizzo anche in caso di concorso di colpa del dipendente, equivarrebbe peraltro ad accollare all’amministrazione un rischio per comportamenti ed eventi che indiscutibilmente non sono ad essa riferibili. In particolare poi tale esclusione deve essere affermata allorchè il grado della colpa concorrente può definirsi senza alcun dubbio “grave”, come nel caso in esame , caratterizzato da quelle specifiche quanto pericolose infrazioni al codice della strada emerse nella sede della istruttoria penale come con-causa del sinistro.

Conclusivamente sul punto il Collegio condivide l’orientamento del giudice di prima istanza che ha richiamato il concetto per il quale la grave responsabilità (seppur concorrente) del dipendente, acclarata nel determinismo causale dell’infortunio, pone l’evento al di fuori della tutela pubblicistica di cui si tratta e della quale l’equo indennizzo costituisce logica espressione consequenziale . Questo orientamento è stato peraltro già espresso dalla giurisprudenza richiamata dal TAR nella sentenza gravata (Cons. di Stato, sez. VI, n.1309/2007 e Cass n.11885/03 ivi cit.).

4- Secondo gli appellanti, inoltre , la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omessa pronunzia, con riferimento alla censura di ricorso che sosteneva la violazione dell’art. 175 del d.P.R. n. 1092/1973 , ai sensi del quale la CMO esprime il proprio giudizio sulla relazione causale tra infermità ed i fatti denunziati;
nella specie, secondo gli appellanti, questa verifica difetterebbe invece del tutto, sia nel verbale reso dalla CMO che in quello redatto dalla Commissione di II istanza. Le illegittimità ipotizzate risiederebbero, per il primo verbale, nell’aver espresso il proprio parere in base ad un atto del giudice penale e, per il secondo, nell’aver richiamato il primo.

Entrambe le deduzioni non hanno fondamento.

Sotto il profilo formale la censura di omessa pronunzia da parte del TAR non sussiste, atteso che la doglianza di non aver esaminato il predetto nesso di causalità deve ritenersi implicitamente esaminata (e quindi assorbita) ove il primo giudice ha esaminato la doglianza di difetto di motivazione sotto il profilo che contestava la sussistenza della responsabilità del dipendente.

Per completezza, e quanto al contenuto oggettivo del motivo svolto, il Collegio non può esimersi dal rilevare invece che l’accertamento di un concorso di colpa ai fini dell’equo l’indennizzo, rientra senza alcun dubbio nel giudizio di competenza delle Commissioni mediche chiamate a valutare la relazione tra servizio ed infortunio, sia perché lo stesso art. 175 le chiama ad esprimersi su tutti i fatti rilevanti allo scopo, sia poiché il concetto di responsabilità comprende per definizione (cfr. art. 2043 cod. civ.) tre le proprie componenti costitutive il nesso di causalità tra due elementi entrambi di natura fattuale, quali la condotta del soggetto e l’evento che ne deriva. Gli organi medici si sono pertanto correttamente espressi in merito alla relazione causale tra infermità ed i fatti denunziati, come impone la norma.

A nulla rileva poi che gli elementi in base ai quali le Commissioni pervengano ad escludere detto nesso di causalità siano attinti da indagini penali (come anche amministrative), quanto piuttosto che i medesimi rivestano oggettivamente una sufficiente attendibilità e certezza ai fini che interessano.

5-. Debbono infine essere esaminati i vizi procedimentali (ed in fatto precisati), anche con riguardo ai quali il Collegio deve rilevare l’infondatezza delle censure d’appello svolte.

5.1- Il TAR avrebbe in particolare errato nell’ affermare:

- l’impossibilità di integrare il collegio medico ospedaliero con l’ufficiale medico del Corpo della Guardia finanza (perché non presente nell’ordinamento);

- l’acquiescenza degli appellanti, per mancata impugnativa del provvedimento (pur versato in atti) di nomina del Presidente della commissione medica, nella persona di un ufficiale rivestente il grado di Colonnello (medico) anzicchè di Generale (medico).

5.1.1- La prima censura è inammissibile, in quanto non supportata da alcuna contraria argomentazione né in fatto né in diritto, forse perché oggettivamente insuperabile la non previsione dell’ufficiale medico nell’ordinamento del Corpo della Guardia di Finanza, affermata dal TAR.

5.1.2- Quanto alla contestazione dell’acquiescenza nei confronti della nomina del Presidente , gli appellanti argomentano in contrario che il ricorso aveva espressamente impugnato tutti gli atti presupposti , tra i quali il cennato provvedimento di nomina della Commissione medica.

Dall’esame dell’atto introduttivo, la nomina del Presidente non risulta menzionata tra gli atti gravati e tanto meno oggetto di specifici motivi aggiunti formulati in primo grado.

Né può considerarsi decisiva la presenza della c.d. “clausola di stile” , indicante, come d’uso, l’ impugnazione degli atti presupposti;
ed invero “ l’estensione dell' impugnativa ad « ogni altro atto preordinato, connesso e conseguenziale » al provvedimento gravato in via principale, non può ritenersi sufficiente a far ricomprendere nell' oggetto dell' impugnazione anche l' atto presupposto, laddove lo stesso non solo non sia mai nominato, ma neppure ne sia consentita l' individuazione nel testo del ricorso” (TAR Basilicata, 27 dicembre 1996, n.355;
idem Cons. Stato, VI, Sez., 19 settembre 1992 n. 659, in Cons. Stato 1992, I, 1167). Contro la nomina risulta invece che il ricorso di primo grado aveva formulato specifica censura, lamentando come la Commissione fosse stata presieduta da un ufficiale col grado di colonnello, anziché col grado di generale;
ciò in violazione dell’art. 15 del R.D. n. 1024/1928. Non si tratterebbe, secondo l’appellante di un vizio meramente formale, considerato che le CC.MM.OO. costituiscono un collegio “perfetto”. La censura non è però convincente. Ed invero, come afferma lo stesso appellante la posizione di collegio perfetto comporta l’invalidità delle sedute svoltesi in assenza di un componente, mentre nella specie il collegio ha operato nella sua integrità numerica. D’altro canto anche il colonnello medico non appare certo sfornito della necessaria qualificazione professionale per esercitare la funzione.

Tant’è che il terzo comma del citato art. 15 prevede la possibilità che il presidente (generale-ispettore) possa essere sostituito da colonnello.

6.- Conclusivamente l’appello, per le ragioni sopra esposte, deve essere respinto, con conferma della sentenza impugnata.

6.1- Le spese del giudizio d’appello possono essere compensate in ragione della natura della controversia.

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