Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-02-19, n. 201801034
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Pubblicato il 19/02/2018
N. 01034/2018REG.PROV.COLL.
N. 04695/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4695 del 2017, proposto da:
Frangia Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati M D R e A C, con domicilio eletto presso lo studio M D R, in Roma, via Savoia, n. 86;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato G P, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione II, n. 05766/2017, resa tra le parti, concernente il rilascio di un’area pubblica posta a servizio di un esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2018 il Cons. A M e uditi per le parti gli avvocati A C, M D R e G P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con determinazione dirigenziale 23 gennaio 2017, prot. n. CB/15229 Roma Capitale ha disposto di riacquisire l’area pubblica (ubicata in piazzale delle Muse all’altezza del civico 22) precedentemente concessa alla Frongia Immobiliare s.r.l. per il posizionamento di tavoli, sedie e ombrelloni a servizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande da quest’ultima svolta nel locale prospicente l’area in questione, ingiungendo contestualmente il rilascio del bene.
Ritenendo il provvedimento illegittimo la Frongia Immobiliare lo ha impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Roma, il quale, con sentenza 15 maggio 2017, n. 5766, ha respinto il ricorso.
Avverso la sentenza la Frongia Immobiliare ha proposto appello.
Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio Roma Capitale.
Con successive memorie le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del giorno 8 febbraio 2018 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo l’appellante deduce che il giudice di prime cure avrebbe errato a ritenere che l’avversata determinazione dirigenziale si fondasse sull’intervenuta scadenza della concessione di suolo pubblico a suo tempo rilasciatale.
Il provvedimento si baserebbe, infatti, unicamente sulla ritenuta morosità della società nel pagamento dei canoni dovuti per l’occupazione dell’area, circostanza questa che vizierebbe l’atto in quanto l’ingiunzione di pagamento emessa dall’appellata per ottenere il versamento di quanto asseritamente dovuto dalla Frongia Immobiliare, era stata sospesa dal giudice ordinario.
In ogni caso la concessione non sarebbe scaduta il 31/12/2008, come si afferma nel provvedimento impugnato in primo grado, ma dovrebbe ritenersi tuttora in vigore come dimostrerebbero le note 14 ottobre 2015, n. 27178 e 4 febbraio 2016, n. QC/2666.
La doglianza è infondata.
Come si ricava inequivocabilmente dalla motivazione dall’impugnato provvedimento di sgombero, il medesimo si fonda sia sulla riscontrata morosità nel pagamento dei reclamati canoni, sia sull’intervenuta scadenza della concessione dell’area a sul suo conseguente utilizzo sine titulo , motivo quest’ultimo di per sé solo sufficiente a sorreggere la determinazione assunta.
La tesi dell’appellante, secondo cui il riferimento alla scadenza della concessione costituirebbe una mera premessa storica dell’atto non idonea ad integrarne la motivazione, non è suffragata da alcun elemento ermeneutico e contrasta con il tenore letterale del provvedimento.
Non trova poi riscontro negli atti invocati dalla Frongia Immobiliare la tesi della perdurante vigenza della concessione.
Ed invero:
a) con la prima delle note suddette l’amministrazione capitolina si è limitata a fornire ragguagli in ordine ai parametri utilizzati per la quantificazione delle somme dovute per l’uso del cespite, all’uopo specificando che “ Tale importo si desume dall’art. 3 dell’atto di concessione … aggiornato in base alla media biennale degli indici istat per l’annualità 2015, da aggiornare all’attualità in base all’effettiva consistenza dell’area ”;
b) con la seconda, invece, dopo aver invitato l’odierna appellante a versare quanto dovuto per l’occupazione del bene ha fatto presente che decorso il termine assegnato per pagare avrebbe dato avvio agli atti per il recupero giudiziale del credito e per la riacquisizione dell’area.
Nessuna affermazione contenuta nei menzionati atti indica che l’amministrazione considerasse la concessione ancora in essere o che intendesse rinnovarla.
Peraltro, giova rilevare che in linea di massima, sino alla materiale emissione del provvedimento recante la determinazione di volontà dell’amministrazione di accordare la concessione di un bene, questa non può considerarsi venuta ad esistenza, neppure se il richiedente sia già in possesso del bene stesso e abbia pagato per l’occupazione.
Vero è che la giurisprudenza ammette la figura dell’atto amministrativo implicito, ma ciò soltanto qualora l'amministrazione, pur non adottando formalmente il provvedimento, ne determini univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del corrispondente provvedimento formale non adottato.
In altre parole, deve emergere un collegamento biunivoco tra l'atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, tale per cui quest’ultima sia l'unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà (Cons. Stato, V, 31 marzo 2017, n. 1499;VI, 27 aprile 2015, n. 2112;27 novembre 2014, n. 5887;IV, 7 febbraio 2011, n. 813;C. Si. Sez. Giur. 1 febbraio 2012, n. 118).
Nella fattispecie, però, non si rinvengono i presupposti dell’atto implicito, posto che, giusta quanto sopra evidenziato, dagli atti invocati dall’appellante non si ricava alcun elemento che indichi una qualche volontà dell’amministrazione in ordine alla prosecuzione del rapporto concessorio scaduto.
Col secondo motivo si deduce che laddove l’amministrazione avesse inteso disporre la riacquisizione dell’area per carenza del titolo concessorio avrebbe dovuto comunicare l’avvio del procedimento e comunque munire il provvedimento della correlativa motivazione, la quale avrebbe dovuto essere particolarmente specifica in virtù di quanto previsto dall’art. 3 della deliberazione consiliare 27 settembre 1983 n. 5625.
La doglianza è inammissibile sia perché non prospettata in primo grado, sia perché non diretta contro un capo della sentenza, così come richiesto dall’art. 101, comma 1, del Cod. proc. amm.
Col terzo motivo si lamenta che:
a) attraverso le note n. 27178 del 2015 e n. QC/2666 del 2016 sopra citate e le delibere della Giunta municipale 22 maggio 2013, n. 290 e 25 settembre 2013, n. 375, l’amministrazione capitolina avrebbe “ convalidato ” l’occupazione del bene da parte della Frongia Immobiliare, con la conseguenza che l’eventuale intendimento di riacquisire l’area per carenza di titolo si porrebbe in contraddizione con la volontà espressa negli atti di cui sopra;
b) il giudice di prime cure non avrebbe esaminato la censura, qui riproposta, con cui era stata denunciata la violazione del legittimo affidamento riposto dalla Frongia Immobiliare sulla prosecuzione del rapporto concessorio.
La censura prospettata sotto la lett. a) è inammissibile sia perché non dedotta in primo grado, sia perché, in violazione della norma di cui all’art. 101, comma 1, Cod. proc. amm., non è rivolta contro uno specifico capo della sentenza.
La doglianza di cui alla lett. b) è, invece, infondata, atteso che nessun legittimo affidamento può essere riconosciuto a favore di colui che da lungo tempo occupa abusivamente un’area pubblica, per di più essendo in mora nel pagamento di quanto, comunque, dovuto per l’occupazione non titolata del bene.
Giova solo soggiungere che nessun legittimo affidamento poteva derivare all’odierna appellante dall’invocata delibera della Giunta municipale n. 375 del 2013.
Con tale delibera, infatti, il suddetto organo collegiale premesso che:
a) l’area a suo tempo concessa all’odierna appellante interferiva, in parte, con i lavori concernenti la realizzazione di un parcheggio pubblico sotterraneo;
b) con determinazione dirigenziale 2 luglio 2009 n. 375 era stato disposto lo sgombero della porzione di area in concessione che impediva l’avvio del cantiere relativo alla suddetta opera pubblica;
c) con la medesima determinazione era stato previsto che al termine dei lavori sarebbe stata << verificata la possibilità di consentire l’uso da parte della “Società Frongia Immobiliare S.r.l.” di una porzione di area da quantificare formalizzandone l’utilizzazione con specifico provvedimento concessorio previa definizione contabile dell’utilizzazione pregressa >>;
ha stabilito che << tuttavia da approfondimenti successivi è emerso che l’area oggetto di futura concessione alla Società “Frongia Immobiliare S.r.l.” risulta essere sovrastante i locali tecnici che ospitano impianti indispensabili per garantire la sicurezza dell’autorimessa già realizzata, ai fini della prevenzione incendi;l’area in questione pertanto, non risulta disponibile per conferimenti in concessione, dovendo essere mantenuta libera da persone e cose per non ostacolare le attività manutentive degli impianti in questione e per non comportare vincoli operativi per il personale ed i mezzi delle squadre di soccorso in caso di emergenza >>.
E’ evidente, quindi, che da tale delibera non può ricavarsi alcun intendimento dell’amministrazione appellata di considerare tuttora vigente la concessione dell’area oggetto dell’avversato provvedimento di sgombero o di accordare un rinnovo del titolo scaduto.
Alla luce delle esposte considerazioni l’appello va, pertanto, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che la Sezione ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.