Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-02-16, n. 202401565

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-02-16, n. 202401565
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202401565
Data del deposito : 16 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/02/2024

N. 01565/2024REG.PROV.COLL.

N. 08080/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8080 del 2023, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati E S e L T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L T in Napoli, via Toledo, n. 323,

contro

il Ministero dell’Interno, l’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta e l’ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

nei confronti

della -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Scacchi e Antonio Pugliese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Scacchi in Roma, via Crescenzio, n. 19,

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. III -OMISSIS- del 10 maggio 2023 e per la conseguente riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sez.

1 -OMISSIS- del 23 agosto 2022.


Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta, dell’ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione e della -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. La -OMISSIS-, operante nel campo -OMISSIS-, ha impugnato dinanzi al T.A.R. per la Campania l’informativa ostativa antimafia -OMISSIS- del 28 ottobre 2021 emessa a suo carico dalla Prefettura di Caserta, unitamente ai relativi atti presupposti e consequenziali.

A fondamento della prognosi interdittiva, l’autorità prefettizia ha posto le risultanze giudiziarie concernenti il passato assoggettamento di -OMISSIS-, amministratore unico della società interdetta, alle richieste estorsive del clan -OMISSIS-, essenzialmente tratte dalla sentenza della Corte di appello di Napoli, VII Sezione penale, -OMISSIS- R.G. AP e -OMISSIS- Reg. Ins. Sent. del 30 dicembre 2014, passata in giudicato il 26 febbraio 2015, confermativa della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Napoli del 2 dicembre 2011.

2. Ai fini reiettivi del gravame, formalizzati con la sentenza -OMISSIS- del 23 agosto 2022, il T.A.R. ha posto l’accento sui seguenti principali rilievi:

- l’idoneità a concretizzare il rischio di condizionamento mafioso di un atteggiamento di soggiacenza dell’imprenditore alle richieste estorsive dei clan, dal medesimo non denunciate;

- la perdurante attualità del pericolo di condizionamento, in mancanza di prova in ordine all’adozione di misure atte ad interrompere la continuità gestionale;

- il carattere meramente eventuale del contraddittorio procedimentale nella materia delle certificazioni antimafia.

3. Il giudizio di appello instaurato dalla originaria ricorrente avverso la sentenza suindicata è stato definito, in senso per essa sfavorevole, con la sentenza di questa Sezione -OMISSIS- del 10 maggio 2023, con la quale è stato in sintesi ritenuto che la tesi prefettizia in ordine alla esposizione dell’impresa al pericolo di condizionamento mafioso non fosse “ carente sotto il profilo istruttorio o motivazionale, né illogica o sproporzionata ”.

4. La predetta sentenza di appello costituisce oggetto del ricorso per revocazione proposto dalla originaria ricorrente/appellante ai sensi degli artt. 106 c.p.a. e 395, n. 4, c.p.c., al cui accoglimento si oppone, anche eccependone l’inammissibilità, la -OMISSIS-.

5. Con la memoria del 28 dicembre 2023, la parte ricorrente, dopo aver dato atto che la Prefettura di Caserta ha emesso un provvedimento liberatorio (prot. -OMISSIS- del 21 giugno 2023) e che anche -OMISSIS- (con nota prot. -OMISSIS- del 31 ottobre 2023) ha riattivato le convenzioni nn. -OMISSIS-), ha dichiarato di non avere più interesse all’accoglimento del gravame, chiedendo la compensazione delle spese di causa.

6. Al Collegio non resta che dare atto, alla luce della suindicata dichiarazione della parte ricorrente, della improcedibilità dell’odierno ricorso per revocazione.

Tuttavia, tenuto conto che il difensore della -OMISSIS- si è opposto in udienza alla compensazione delle spese di giudizio, invocando l’applicazione del principio della cd. soccombenza virtuale, mentre la difesa erariale non ha espressamente aderito alla richiesta di compensazione della parte ricorrente, occorre comunque esaminare il proposto ricorso per revocazione, sebbene ai soli fini del regolamento delle spese di lite.

7. Mediante il primo motivo rescindente, essa evidenzia preliminarmente che, con l’atto di appello, aveva tra l’altro lamentato la difformità della prognosi interdittiva sottesa al provvedimento impugnato in primo grado dai parametri dell’attualità e della concretezza che devono caratterizzare il pericolo di condizionamento mafioso per assurgere a causa giustificativa dell’esercizio del potere preventivo prefettizio, atteso che nel periodo 2007 (in cui erano collocabili le condotte sintomatiche della soggiacenza mafiosa di -OMISSIS-) – 2021 (cui risaliva l’impugnato provvedimento interdittivo) non era riscontrabile alcun elemento nuovo espressivo del suddetto pericolo, essendo piuttosto rilevabili plurimi fatti positivi indicativi del superamento di ogni possibile rischio di permeabilità mafiosa della società ricorrente, quali le denunce sporte da -OMISSIS-, l’amministrazione giudiziaria alla quale la predetta società era stata sottoposta ed i contributi offerti dal nominato -OMISSIS- nel giudizio penale ai fini dell’accertamento della responsabilità del clan -OMISSIS-, dei quali dava conto la sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Napoli -OMISSIS-.

Ciò premesso, lamenta la parte ricorrente l’errore revocatorio inficiante il passaggio motivazionale con il quale la Sezione, in risposta alle deduzioni innanzi sintetizzate, ha osservato quanto segue:

7.2.1. Anche questo argomento non persuade il Collegio, dal momento che il punto problematico, rilevato in modo non illogico dal Prefetto, si situa esattamente nel momento della restituzione del compendio aziendale alla famiglia che lo aveva precedentemente gestito in modo da suscitare (quanto meno e senz’altro) forti sospetti di connivenza con il clan malavitoso dominante nel territorio, sospetti poi dequotati in sede penale a vicende non penalmente rilevanti, o comunque non tali da inverare le gravi accuse di reati associativi e di reati fine inizialmente ascritti sia a -OMISSIS- che a -OMISSIS-, ma comunque fattualmente tali da poter del tutto ragionevolmente fondare il convincimento, nell’Autorità di prevenzione, del possibile ripetersi di fenomeni di non trasparente esposizione a forme di condizionamento malavitoso ”.

Deduce in proposito la parte ricorrente che, a differenza di quanto affermato dalla sentenza qui impugnata, il provvedimento interdittivo non individua nella restituzione del compendio aziendale alla gestione dei proprietari, al termine dell’amministrazione giudiziaria, il nucleo sintomatico del pericolo di condizionamento, quanto piuttosto nei passaggi di denaro avvenuti nel tempo ( ergo nel periodo 1994-2007) tra il gruppo -OMISSIS- e gli esponenti del clan -OMISSIS-: tale discrasia, a suo avviso, integrerebbe il prospettato vizio revocatorio.

7.1. Il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

7.2. Deve preliminarmente osservarsi che, sebbene la parte ricorrente si proponga di contestare, in chiave revocatoria, l’esito reiettivo cui sono andate incontro entrambe le deduzioni, da essa formulate in sede di appello, intese ad evidenziare la carenza di attualità della valutazione prefettizia sulla scorta, da un lato, dell’atteggiamento collaborativo assunto dal sig. -OMISSIS- in sede penale, dall’altro lato, della cesura gestionale determinata dalla sottoposizione della società all’amministrazione giudiziaria, le predette deduzioni hanno costituito oggetto di due distinte statuizioni recate dalla sentenza impugnata, una sola delle quali direttamente attinta dal surriportato motivo rescindente: invero, quella incentrata sui contributi resi dal sig. -OMISSIS- in sede penale è stata respinta dalla Sezione con la statuizione di cui al par. 6.2.4., laddove si è affermato che “ non convince, dunque, la critica svolta dalla società appellante, secondo la quale il Tar non avrebbe considerato il contributo determinante fornito dal -OMISSIS- in sede penale per ricostruire e dimostrare le accuse nei confronti del clan -OMISSIS-: tale condotta, in sé encomiabile, non muta il convincimento che il predetto imprenditore abbia scelto in precedenza di “convivere” con il clan malavitoso, e ciò con reciproco vantaggio (pur al di fuori di quel rapporto sinallagmatico e organico con il gruppo malavitoso sostenuto dall’accusa, ma negato dalla sentenza del Giudice penale), ciò che sicuramente costituisce un indice valutabile di permeabilità ai condizionamenti malavitosi ”.

7.3. Delimitata, quindi, la portata critica della censura revocatoria in esame con riferimento alla sola pronuncia reiettiva del motivo di appello inteso a far valere la rilevanza anti-sintomatica (del pericolo di condizionamento) della sottoposizione della società alla gestione giudiziaria, occorre in primo luogo evidenziare che la sentenza impugnata reca sul punto una motivazione policentrica, di cui il passaggio attinto dal mezzo revocatorio costituisce solo un elemento, cui si affiancano quelli, non interessati da censure revocatorie, con i quali si afferma quanto segue:

In ogni caso, ad avviso del Collegio la sottoposizione ad amministrazione giudiziaria (prima per sequestro penale, poi per sequestro preventivo) non equivale ex se a self cleaning ex artt. 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, o a una sorta di forma anticipata del nuovo istituto delle “Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione” di cui all’art. 94-bis introdotto nel codice delle leggi antimafia dall’art. 49, comma 1, del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233 ”. (…) “ Questa Sezione (sentenza 16 giugno 2022, -OMISSIS-) ha peraltro avuto modo di chiarire che la conclusione favorevole del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 non è di per sé ostativa a che il Prefetto, in sede di aggiornamento dell’informativa, possa confermare l’informativa antimafia disposta antecedentemente alla sottoposizione al controllo, poiché non può sostenersi che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante o condizionante sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata (Cons. Stato Sez. III, -OMISSIS-). Del resto il giudizio di permeabilità e di esposizione alle infiltrazioni malavitose riguarda principalmente e direttamente le persone fisiche che hanno il controllo e la direzione gestionale e operativa dell’impresa, non il complesso aziendale in sé o l’attività d’impresa oggettivamente considerati. Non vi è dubbio che esistono settori “sensibili” e più esposti a quel tipo di condizionamento, ma il giudizio prognostico in funzione preventiva dell’Autorità prefettizia verte primieramente e soprattutto sulle persone titolari o gestori dell’impresa. In quest’ottica è evidente che la gestione commissariale, anche se protrattasi per un non breve lasso di tempo (e indipendentemente dai risultati operativi ed economici conseguiti), se può aver “bonificato” il compendio aziendale e introdotto metodi operativi migliori e più affidabili, non può per ciò solo tradursi in un conseguenziale mutamento di approccio e di atteggiamento di quelle persone fisiche che, in precedenza coinvolte in rapporti di contiguità soggiacente con l’organizzazione criminale (ancorché in termini penalmente non rilevanti, in quanto imprenditori vittime), ora tornano alla direzione e gestione dell’impresa ”.

Ebbene, il rilievo che precede sarebbe di per sé sufficiente a destituire il motivo revocatorio in esame di ogni (potenziale) efficacia rescindente, in quanto la sentenza impugnata, pur eventualmente amputata del contestato fondamento motivazionale, resterebbe sostenuta da quello, concorrente, non aggredito con il suddetto mezzo di censura e dianzi illustrato.

7.4. In ogni caso, ad avviso del Collegio, la prospettazione della parte ricorrente, intesa ad affermare che la sentenza impugnata in sede revocatoria avrebbe erroneamente individuato il cardine motivazionale della prognosi interdittiva prefettizia nella “ restituzione del compendio aziendale alla famiglia che lo aveva precedentemente gestito in modo da suscitare (quanto meno e senz’altro) forti sospetti di connivenza con il clan malavitoso dominante nel territorio ”, piuttosto che nelle condotte soggiacenti poste in essere fino al 2007 dalla famiglia -OMISSIS- nei confronti del clan -OMISSIS-, non coglie il reale significato della statuizione censurata, ravvisabile, in coerenza con il contenuto della censura che ne costituiva oggetto (intesa, come si è detto, a lamentare la mancata considerazione da parte della Prefettura dell’amministrazione giudiziaria cui è stata sottoposta la società ricorrente, quale fatto asseritamente estintivo del pericolo di condizionamento), nell’assunto che il ripristino della gestione originaria, facente capo al sig. -OMISSIS-, era idoneo a rivitalizzare, dopo la parentesi dell’amministrazione giudiziaria, il rischio di permeabilità mafiosa della suddetta società, scaturente dai fatti del 2007.

Non può quindi attribuirsi alla sentenza impugnata alcun fraintendimento, riconducibile ad un ipotetico errore revocatorio, della reale motivazione del provvedimento interdittivo, potendo “ il punto problematico, rilevato in modo non illogico dal Prefetto ” e situato, ad avviso della Sezione, “ esattamente nel momento della restituzione del compendio aziendale alla famiglia che lo aveva precedentemente gestito ”, agevolmente ricavarsi dalla correlazione tra i fatti pregressi e l’attuale ruolo del sig. -OMISSIS- quale amministratore unico della società ricorrente, posti in luce dall’informativa prefettizia.

7.5. Ulteriore e conclusivo corollario dei rilievi che precedono è che lo snodo motivazionale della sentenza impugnata fatto oggetto delle critiche revocatorie della ricorrente non ha portata meramente ricognitiva – come tale astrattamente suscettibile di costituire il terreno di germinazione di ipotetici vizi revocatori – ma ricostruttiva e chiarificatrice della struttura motivazionale del provvedimento interdittivo, del quale completa – senza tuttavia modificare né tampoco stravolgere – le linee essenziali, in modo da farne emergere più chiaramente i punti di resistenza alle doglianze della parte appellante e così lumeggiare le ragioni della non accoglibilità delle stesse.

8. Con il successivo motivo rescindente, la parte ricorrente afferma, testualmente, che “ il secondo vizio revocatorio in cui è incorso il Collegio giudicante del Consiglio di Stato risiede nell’aver reiterato l’errore già commesso dal TAR Napoli ovvero di aver erratamente ritenuto applicabile alla fattispecie oggetto di causa l’art. 84 comma 4 del D.lgs. 159/2011 secondo cui “Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che 9 danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte … c) dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui …” ”.

Deduce in senso critico la parte ricorrente che, all’epoca dei fatti (ovvero nell’arco temporale 1995-2007), l’art. 84, comma 4, d.lvo n. 159/2011, che attribuisce rilevanza ai fini della sussistenza di un pericolo di condizionamento mafioso all’omessa denuncia dei reati di estorsione, non era ancora entrato in vigore.

8.1. Deve rilevarsi che non solo la censura in esame è priva di ogni concreta indicazione utile a dimostrare la riconducibilità del vizio dedotto alla fattispecie di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., ma questo difetta comunque dei tratti essenziali per concretizzare gli elementi costitutivi del vizio revocatorio.

8.2. Occorre in primo luogo evidenziare che la censura intesa a lamentare l’erroneità della sentenza appellata per “ non aver constatato che, alla predetta epoca dei fatti (ovvero nell’arco temporale 1995-2007) l’art. 84 comma 4 d.lgs. 159/2011 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 28.9.2011 n. 226), che attribuisce rilevanza ai fini della sussistenza di un pericolo di condizionamento mafioso in caso di omessa denuncia dei reati di estorsione, non era ancora entrato in vigore ” ha costituito oggetto di una duplice statuizione del giudice di appello.

Il suddetto motivo infatti (cfr. par.

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