Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-10-02, n. 201906583

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-10-02, n. 201906583
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201906583
Data del deposito : 2 ottobre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/10/2019

N. 06583/2019REG.PROV.COLL.

N. 09603/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9603 del 2013, proposto da
Moscato V G T dell'Omonima Ditta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F F, L L, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Gestore dei Servizi Energetici-Gse S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati S C, A Pzarola, Sergio Fidanzia, Angelo Gigliola, con domicilio eletto presso lo studio Sergio Fidanzia in Roma, Piazzale delle Belle Arti 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 04241/2013, resa tra le parti, concernente decadenza del diritto alle tariffe incentivanti per impianto fotovoltaico


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. A A e uditi per le parti gli avvocati F F per sé e su delega dichiarata di L L, Sergio Fidanzia e l’Avvocato dello Stato Marinella Di Cave;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Nel dicembre del 2010 la Ditta appellante ha richiesto al GSE la concessione degli incentivi previsti dal DM 19.2.2007 in relazione ad impianto fotovoltaico realizzato nel comune di Oliveto Citra.

Trattandosi di impianto inserito su due serre funzionali all’attività agricola, gli incentivi richiesti erano quelli maggiorati previsti per installazioni che non generano ulteriore consumo di suolo.

Nel maggio del 2011 il GSE ha proceduto alla verifica della conformità dell’impianto a quanto dichiarato dalla proprietà ed ha riscontrato una discrepanza tra la documentazione fotografica all’epoca presentata ( rappresentante una sola serra) e le risultanze dell’apposito sopralluogo ( impianto costituito su due serre come da progetto).

Il Gestore ha nell’occasione altresì rilevato che le due serre non risultavano chiuse sui lati e che il terreno circostante era incolto.

Per conseguenza, esperito il contraddittorio procedimentale, in data 30.1.2012 il GSE ha negato l’ammissione agli incentivi, a causa della mancata ultimazione dell’impianto entro il 31 dicembre 2010.

Il provvedimento di diniego è stato impugnato dalla Ditta avanti al TAR Lazio.

Successivamente il GSE, avendo riscontrato la non veridicità della dichiarazione della Ditta circa l’avvenuta chiusura lavori, ne ha disposto l’esclusione per dieci anni da analoghi incentivi, ai sensi dell’art. 43 del D. L.vo n. 28 del 2011.

La società ha quindi impugnato tale sanzione con motivi aggiunti.

Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito Tribunale ha respinto sia il ricorso sia i motivi aggiunti.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dalla soccombente che ne ha chiesto la riforma, con accoglimento del ricorso introduttivo.

Si è costituito per resistere il GSE.

Le Parti hanno depositato memorie e repliche, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.

La Ditta appellante ha, in particolare, rappresentato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 51 del 2017, ha dichiarato l’illegittimità della norma in base alla quale le era stata inflitta l’esclusione per un decennio dall’accesso agli incentivi.

Alla pubblica udienza del 26 settembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello non è fondato e va pertanto respinto, con integrale conferma della sentenza gravata.

Con il primo motivo l’appellante deduce che il Gestore ha dato corso all’attività di verifica della completezza documentale quando il termine istruttorio di 90 giorni previsto dalla normativa tecnica era ormai decorso.

Tale termine, benchè non espressamente qualificato come perentorio, deve ritenersi invalicabile, pena la lesione dell’affidamento sorto in capo all’impresa in ordine alla possibilità di impegnarsi in gravosi investimenti per mettere in esercizio l’impianto entro la successiva scadenza legale del 30 giugno 2011.

Il mezzo non merita positiva considerazione, in primo luogo in quanto la verifica condotta dal Gestore non si è limitata a riscontrare l’incompletezza formale della documentazione a suo tempo inviata dall’istante ( tre foto invece di cinque) ma ha riguardato anche la sostanziale difformità tra la situazione dell’impianto riscontrata nel sopralluogo e le allegazioni proposte dalla Ditta all’atto della domanda.

Tanto chiarito, la giurisprudenza della Sezione ( cfr. per tutte IV Sez. n. 5637 del 2019 alla cui esaustiva disamina si fa integrale rinvio) ha da tempo evidenziato che:

a) il termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento di verifica, previsto dall’art. 10 del D.M. 31.1.2014, nella parte in cui richiama l’articolo 2 della legge n. 241/1990, ha carattere meramente acceleratorio e non perentorio, non essendo espressamente qualificato in tal senso.

b) malgrado il carattere perentorio o meno del termine, possa essere ricavato anche dalla ratio delle disposizioni che regolano la materia, nel caso di specie la complessità degli accertamenti è tale da rendere plausibile un configurazione ordinatoria dello stesso.

c) siffatte conclusioni vanno affermate anche in relazione al termine che il GSE è legittimato ad individuare ai sensi del medesimo art. 10 cit., e che, nella specie, è stato determinato in giorni 90.

d) la potestà esercitata dal Gestore non ha connotazioni sanzionatorie, trattandosi, piuttosto, di un atto vincolato di decadenza accertativa dell'assodata mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine l'ammissione all’incentivo pubblico.

e) va escluso che, nel rapporto intercorrente tra il Gestore e il fruitore degli incentivi, quest'ultimo possa arrivare ad acquisire, grazie all'infruttuoso decorso del termine entro il quale concludere una verifica, una posizione tale da precludere ogni futuro esercizio delle attribuzioni di controllo (come se si trattasse di un procedimento sanzionatorio rispetto al quale è intervenuto un evento estintivo), e tale da consentirgli di percepire l'incentivazione pubblica, pure in assenza dei necessari presupposti, in esplicito contrasto con i canoni di buon andamento e di parità di trattamento tra gli operatori.

Il mezzo in rassegna va quindi pianamente disatteso.

Con il secondo motivo l’appellante ribadisce che l’incompletezza documentale è dovuta ad obbiettive difficoltà di trasmissione causate da malfunzionamenti telematici e che comunque il Gestore, in omaggio al criterio di leale collaborazione, ben avrebbe potuto verificare la documentazione presenta dalla ditta presso il comune di Oliveto ( scia e documenti allegati) appunto attestante la data di realizzazione ed ultimazione delle serre.

Il mezzo non è fondato, in quanto per giurisprudenza ormai consolidata le fotografie da allegare alla domanda di ammissione agli incentivi hanno una portata probatoria privilegiata ove si tratti di dimostrare in fatto che l’impianto è stato realizzato in modo conforme al titolo edilizio e che le caratteristiche strutturali dello stesso, come descritte nella relazione, fossero effettivamente riscontrabili alla data di riferimento.

Invece, le foto trasmesse dalla Ditta hanno ad oggetto una sola delle due serre previste.

Dal momento che, in linea generale, nel regime di incentivazione vige il principio di autoresponsabilità, era dunque onere dell’interessato fornire gli elementi idonei a comprovare l’esistenza dei presupposti per l’ammissione alle agevolazioni.

Peraltro, anche volendo aderire alla tesi del malfunzionamento informatico, resta che nemmeno a seguito del preavviso di rigetto la società risulta aver prodotto le foto mancanti, e cioè le foto a data certa dalle quali potesse dedursi che alla data di riferimento anche la seconda serra era stata realizzata.

Anche questo mezzo va dunque respinto, non avendo la Ditta comprovato adeguatamente che alla data di scadenza l’impianto era stato ultimato nelle sue due componenti.

Il terzo motivo è rivolto contro il rilievo del GSE relativo alla incompletezza dell’impianto anche alla data del sopralluogo, in quanto mancante di tamponature sui quattro lati.

Al riguardo l’appellante deduce in primo luogo che la chiusura delle serre deve intervenire prima della messa in esercizio dell’impianto e dunque può essere successiva alla ultimazione dello stesso.

Il mezzo, che esibisce peraltro carattere di evidente novità rispetto a quanto dedotto in prime cure, non è comunque fondato in quanto la conclusione dei lavori di realizzazione di una serra agricola postula che essa sia dotata di tutti gli elementi strutturali che ne consentono la funzione, e quindi chiusa ( magari con componenti rimovibili come consentito dalle norme tecniche) sui lati.

In via subordinata sostiene l’appellante che in ogni caso le chiusure laterali sarebbero state assicurate mediante applicazione di teli di polietilene.

Anche questo rilievo non convince, in quanto da un lato all’atto del sopralluogo non risulta riscontrata traccia sulle serre dei suddetti teli;
dall’altro, come osserva il Gestore, nel progetto presentato in origine erano previste apposite e non precarie tamponature.

Tanto statuito nel merito dei motivi d’appello, deve poi rilevarsi che, come eccepito dal Gestore, la società non si può giovare della sentenza n. 51 del 2017 con la quale la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità, per difetto di delega, dell’art. 43 comma 1 del D. L.vo n. 28 del 2011 ( in base al quale le fu inflitta l’esclusione decennale dagli incentivi).

Come è noto, l’art. 30 commi 3 e 4 della legge cost. n. 87 del 1953 prevede che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione e che quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali.

Ne consegue che, al di fuori dell’ambito penale propriamente detto, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma non incide sugli effetti irreversibili ( irrevocabili) già prodottisi.

Ciò, in quanto la naturale retroattività degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma incontra un limite negli effetti che la stessa, ancorchè successivamente rimossa dall'ordinamento, abbia irrevocabilmente prodotto qualora resi intangibili dalla preclusione nascente o dall'esaurimento dello specifico rapporto giuridico disciplinato dalla norma espunta dall'ordinamento giuridico, oppure dal maturare di prescrizioni e decadenze ovvero, ancora, come dalla formazione del giudicato.

Nel caso all’esame, non avendo l’appellante specificamente gravato con apposito e specifico motivo di impugnazione il capo della sentenza di primo grado portante reiezione dei motivi aggiunti proposti contro l’esclusione decennale, il capo stesso risulta in questa sede di secondo grado coperto da giudicato interno esplicito e l’esclusione non più pertanto essere messa qui in discussione.

Per completezza, si precisa che non è applicabile alla fattispecie in esame la novella ( introdotta al comma 3 dell’art. 42 del D. L.vo n. 28 del 2011 dall’art. 1 comma 960 della legge finanziaria

n. 205 del 2017) secondo cui… al fine di salvaguardare la produzione di energia da fonti rinnovabili degli impianti che al momento dell'accertamento della violazione percepiscono incentivi, il GSE dispone la decurtazione dell'incentivo in misura ricompresa fra il 20 e l'80 per cento in ragione dell'entità della violazione.

La novella infatti non ha portata interpretativa ma innovativa e dunque non può che applicarsi alle violazioni accertate dopo il 1 gennaio 2018, data di entrata in vigore della legge finanziaria che l’ha introdotta.

Peraltro, poiché nel caso in controversia non sembra che l’impresa abbia mai percepito incentivi risultando non ammessa al regime promozionale invece che decaduta dallo stesso, resta impregiudicata anche l’applicabilità teorica della sanatoria.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va perciò complessivamente respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza nei confronti del G.S.E. e sono liquidate in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi