Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-01-20, n. 202300720
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Pubblicato il 20/01/2023
N. 00720/2023REG.PROV.COLL.
N. 05208/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5208 del 2022, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ufficio Territoriale del Governo Caserta, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Caserta e di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Pres. M C e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il 22 novembre 2017 il Prefetto della Provincia di Caserta ha negato il rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale al sig. -OMISSIS- imprenditore caseario e amministratore unico del -OMISSIS-
Il provvedimento si fonda sulla ritenuta insussistenza del presupposto del “dimostrato bisogno” di cui all’art. 42, comma 3, r.d. n. 773/1931 (cd. TULPS).
In particolare, l’amministrazione ha ritenuto che:
- lo spostamento di residenza del soggetto dal comune di -OMISSIS- Infine abbia ridotto la distanza percorsa da quest’ultimo con denaro contante;
- gli episodi oggetto delle denunce presentate dall’interessato, tra cui la rapina a mano armata subita nella propria abitazione nel 2017, non evidenzino uno specifico rischio connesso all’attività professionale esercitata;
- il paventato rischio derivante dal frequente trasporto di contanti appare ridimensionato dal d.lgs. n. 231/2007, che dispone il divieto di trasferimento di denaro contante tra soggetti diversi per importi superiori ad euro 3.000;
- occorre accordare preminente rilievo alle esigenze di pubblica sicurezza, considerato che il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza pubblica ha espresso l’avviso che le richieste di rinnovo/rilascio delle licenze in materia di armi debbano essere sottoposte ad un criterio di valutazione più rigoroso da parte delle amministrazioni.
2. Avverso il sopra menzionato provvedimento l’interessato ha proposto ricorso per l’annullamento avanti al Tar per la Campania.
3. Con sentenza n. -OMISSIS-il Tar ha respinto il ricorso, escludendo da una parte l’illegittimità della valutazione discrezionale operata dalla Prefettura, ed evidenziando dall’altra come il rilascio del porto di pistola negli anni passati non determina un obbligo di motivazione rafforzato per l’amministrazione, non configurandosi alcun legittimo affidamento in tal senso in capo al privato.
4. Il ricorrente ha impugnato l’indicata sentenza con appello ritualmente notificato il 30 maggio 2022 e depositato il successivo 23 giugno.
Con il primo e unico motivo di impugnazione si deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 3, l. n. 241/1990, 11 e 42 TULPS, nonché la violazione del principio del legittimo affidamento.
In sintesi, la difesa censura l’operato dall’amministrazione per non aver essa dato conto di nuove ragioni giustificative del diniego, tenuto conto del fatto che fin dal 2004 il porto di pistola per difesa personale era stato concesso all’appellante sulla base dei medesimi presupposti di fatto.
Tra questi, assumerebbe preminente rilievo la circostanza per cui egli si occupa di incassare ingenti somme di denaro presso i punti vendita del Caseificio San Pietro, e di depositarli due volte a settimana presso la Banca sita in -OMISSIS-.
Si lamenta inoltre l’omessa considerazione delle denunce prodotte dall’interessato, l’ultima delle quali concernente una rapina a mano armata effettuata nella sua abitazione nel 2017.
5. Il Ministero dell’Interno e l’UTG di Caserta si sono costituiti in giudizio con memoria depositata il 20 agosto 2022.
6. All’udienza pubblica del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
1. Il provvedimento di diniego del porto d’armi è disciplinato dagli artt. 11, 42 e 43 del TULPS.
Il potere di rilasciare le licenze in materia di armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110/1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.
La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse». Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che «dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti».
Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, che «deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi».
La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972;7 giugno 2018, n. 3435).
Il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici.
Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l’Amministrazione compie nell’adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso. La peculiarità deriva dal fatto che, stante l’assenza di un diritto assoluto al porto d’armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato.
Delineata in questi termini la natura latamente discrezionale dei provvedimenti de quibus, occorre indagare le implicazioni che da essa derivano sul piano dell’intensità del sindacato giurisdizionale.
È noto che dal tradizionale approccio del giudizio amministrativo, teso ad escludere ogni forma di sindacato sulla attività discrezionale, si è passati alla possibilità di riconoscere la piena cognizione dei fatti oggetto dell’indagine e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’Autorità amministrativa, con il solo limite dell’ottica del merito, preclusa al giudice, e comunque del sindacato non sostitutivo. Solo in questo modo, infatti, si garantisce il principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, imposto dall’art. 113 Cost.
Consegue che la natura dei provvedimenti in esame non esclude né può legittimare un indebolimento del sindacato giurisdizionale. Al contrario, quanto più si estendono le maglie della discrezionalità dell’Autorità amministrativa, tanto più è necessario un sindacato penetrante da parte del giudice amministrativo volto ad evitare che sotto il mantello della discrezionalità possa celarsi un esercizio arbitrario della funzione amministrativa.
In questa logica, si pone del resto la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che, sia pur con riferimento alla discrezionalità tecnica delle Autorità amministrative indipendenti, ha affermato che la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, teso a riscontrare vizi di manifesta illogicità e incongruenza, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, attraverso la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e il controllo sull’attendibilità tecnica della valutazione compiuta dall’Amministrazione, salvo il limite rappresentato dall’oggettivo margine di opinabilità (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 10 dicembre 2014, n. 6050).
A maggior ragione, una forma penetrante di sindacato si impone a fronte di un’attività amministrativa che vede una scelta di opportunità afferente alla valutazione dei requisiti di legge. Anche qui la tutela giurisdizionale piena ed effettiva richiede un sindacato del giudice amministrativo pieno e particolarmente penetrante, che può estendersi sino al controllo dell’analisi dei fatti posti a fondamento del provvedimento, al fine di verificare se il potere attribuito all’Autorità amministrativa sia stato correttamente esercitato o presenti elementi di irragionevolezza o di erronea assunzione dei fatti.
Il giudice amministrativo è dunque chiamato a valutare la consistenza dei fatti posti a fondamento della determinazione dell’Autorità prefettizia in ordine all’esistenza dei requisiti di legge, di modo che il suo sindacato sull’esercizio della funzione amministrativa consenta non solo di vagliare l’esistenza o meno di questi fatti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da essi secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva – e non sanzionatoria – della misura in esame.
In questa prospettiva, si chiede al giudice una valutazione sull’esercizio del potere amministrativo che, muovendo da un accesso pieno ai fatti rivelatori del pericolo, ne dimostri la ragionevolezza e la proporzionalità.
È opportuno rilevare che il principio di proporzionalità – compreso tra i principi di diritto europeo, ma già insito nella Costituzione, quale corollario del buon andamento ex art. 97 Cost. – si compone di tre elementi: idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto. È idonea la misura che permette il raggiungimento del fine, il conseguimento del risultato prefissato. La misura deve essere poi necessaria, vale a dire l’unica possibile per il raggiungimento del risultato prefissato. La proporzionalità in senso stretto richiede, invece, che la scelta amministrativa non rappresenti un sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato. Il principio di ragionevolezza postula, invece, una coerenza tra la valutazione compiuta dall’Amministrazione e la decisione assunta.
2. Con specifico riguardo al rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, giova richiamare il consolidato orientamento della Sezione per cui l'esistenza del "dimostrato bisogno" dell'arma, lungi dal poter essere desunto dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, deve riposare su specifiche e attuali circostanze, non risalenti nel tempo, che l'Autorità di pubblica sicurezza ritenga integratrici della necessità in concreto del porto di pistola.
Esso non può nemmeno ricavarsi dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente, o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro (ex multis Consiglio di Stato, sez. III, n. 7315/2022;n. 7914/2022;n. 6139/2019).
Con riguardo alla prova del "dimostrato bisogno", essa ricade sul richiedente, e la circostanza che il porto sia stato autorizzato in passato non genera una inversione dell'onere probatorio. Chi chiede il rinnovo deve sempre provare l'esistenza di condizioni attuali e concrete di bisogno che giustificano la concessione dello speciale titolo di polizia, e l'esigenza di dar corso a questa verifica con frequente periodicità è confermata dal secondo periodo del terzo comma del citato art. 42 TULPS, per cui “la licenza ha validità annuale” (periodo aggiunto dall'art. 13, comma 1, lettera b), d.l. 9 febbraio 2012, n. 5).
Il rilascio del titolo di porto d'armi, dunque, come deroga al divieto di portare armi, non genera diritti, né legittimi affidamenti sul rinnovo in perpetuo, ma soggiace a un controllo assiduo e continuo, assai penetrante, che si dispiega normalmente proprio all'atto del periodico rinnovo, non solo sull'uso (o non abuso) del titolo e sul permanere attuale di tutti i requisiti e le condizioni che avevano condotto all'autorizzazione, ma che abilita altresì l'Autorità competente a condurre - nonostante i precedenti rinnovi - anche una riconsiderazione discrezionale sulla stessa opportunità del permanere del titolo autorizzatorio, e ciò eventualmente anche per l’effetto di mutati indirizzi in materia di sicurezza pubblica.
3. Alla luce di quanto fin qui esposto, nel caso di specie non sussiste il lamentato vizio di lesione del legittimo affidamento dell’appellante.
Come sopra accennato, infatti, l’amministrazione rimane sempre libera di rivalutare periodicamente gli interessi coinvolti nel procedimento, anche alla luce dell’immutato quadro fattuale e dei nuovi indirizzi in materia di pubblica sicurezza. Non sussiste dunque l’onere di motivazione rafforzato invocato nell’atto di gravame.
Peraltro, nella fattispecie all’esame vi sono diversi elementi sopravvenuti al primo rilascio (2004) che hanno condotto la Prefettura ad emettere una decisione di segno opposto a quella adottata negli anni passati, e segnatamente:
a) il cambio di residenza dell’istante, il quale comporta che egli debba percorrere circa 50 km in meno trasportando le somme di denaro prelevate dai punti vendita;
b) la normativa di cui all’art. 49, d.lgs. n. 231/2007, che limita il trasferimento di denaro contante tra soggetti diversi all’importo massimo di euro 3.000;
c) la possibilità di ovviare ai continui trasferimenti di denaro contante mediante le innovazioni tecnologiche oggi diffuse, quali gli strumenti di pagamento elettronici, il ricorso agli sportelli bancari diffusi sul territorio, ovvero il ricorso ai servizi di trasporto portavalori;
d) i mutati indirizzi in materia di sicurezza pubblica forniti dal Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, il quale ha imposto all’Autorità di p.s. criteri di valutazione più rigorosi per il rinnovo/rilascio delle licenze in parola.
A tali elementi si aggiungono le considerazioni dell’amministrazione circa il mancato collegamento tra la rapina in abitazione subita dall’appellante nel 2017 e l’attività lavorativa da egli svolta come imprenditore caseario. Dalla lettura della denuncia sporta dalla di lui moglie, in effetti, non si evincono circostanze utili ad evidenziare un simile nesso eziologico.
Peraltro, vale appena ribadire quanto già sottolineato dal Tar in merito alla necessità di impedire che il paventato pericolo di aumento di reati contro la persona e il patrimonio possa alimentare una generalizzata diffusione delle armi, determinando un ulteriore aggravio per la tutela della sicurezza pubblica.
4. In esito a quanto sopra esposto e considerato, visti i plurimi fattori valorizzati dall’amministrazione, la valutazione prefettizia deve ritenersi immune da censure sotto il profilo della ragionevolezza e della logicità.
L’appello deve dunque essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
5. Sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese del grado.