Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-07-29, n. 202206706
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Testo completo
Pubblicato il 29/07/2022
N. 06706/2022REG.PROV.COLL.
N. 07709/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7709 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2022 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 5 luglio 2016, l’odierno appellante, cittadino egiziano, ha presentato alla Questura di Milano istanza volta all’aggiornamento del permesso di soggiorno di lungo periodo.
Ritendendo di poter omettere la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, con decreto emesso il 5 marzo 2018 e notificato il successivo 28 marzo, la Questura di Milano ha revocato il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo e contestualmente rigettato l’istanza di aggiornamento.
Il provvedimento questorile ha tratto fondamento dai seguenti elementi: in data 22 luglio 2015, il Tribunale di Milano ha condannato il cittadino straniero alla pena di anni 1, mesi 4, di reclusione, in quanto considerato colpevole del reato di cui all’art. 609-bis c.p., perché con violenza costringeva la vittima a subire atti sessuali, del reato di cui agli artt. 81 e 337 c.p., perché usava violenza nei confronti degli agenti di polizia intervenuti sul posto, del reato di cui agli artt. 582-585 c.p., in relazione all’art. 576 comma 1, n. 1), c.p., perché cagionava ad uno degli agenti lesioni personali;dagli accertamenti compiuti presso la banca dati INPS è emerso che l’istante, dopo l’anno 2015, ha percepito redditi in maniera discontinua e sempre insufficienti al suo sostentamento, non risultando versamenti contributivi successivi al 2013;infine la Questura ha valutato l’assenza di familiari sul territorio nazionale, in quanto la moglie e i tre figli si trovano in Egitto.
Sulla base di tali elementi, l’Amministrazione ha formulato il giudizio di pericolosità sociale dello straniero, tale da non consentire neppure il rilascio di un differente titolo di soggiorno.
Con ricorso proposto innanzi al Tar Lombardia, il cittadino straniero ha avversato il citato decreto, lamentandone l’illegittimità sotto i profili della violazione di legge e dell’eccesso di potere. In primo luogo, il ricorrente ha censurato il provvedimento questorile, in quanto la Questura avrebbe formulato il giudizio di pericolosità in modo automatico dall’unica sentenza di condanna a suo carico, senza tener conto del suo inserimento sociale, familiare e lavorativo, nonché della durata del soggiorno nel territorio dello Stato. In secondo luogo, la valutazione negativa compiuta dall’Amministrazione in ordine all’inserimento lavorativo dello straniero e al requisito reddituale non escluderebbero la possibilità che il ricorrente sia impegnato in un’attività lavorativa lecita ma irregolare.
Il Tar Lombardia ha rigettato il ricorso, ritenendo esente il provvedimento avversato dai prospettati vizi. In particolare, il Giudice di primo grado ha sostenuto che l’Amministrazione non si fosse limitata a considerare, in via automatica, la sussistenza della citata condanna ai fini della formulazione del giudizio di pericolosità sociale, avendo al contrario valutato un insieme di ulteriori elementi, quali l’inesistenza di legami familiari sul territorio nazionale e l’inesistenza di una attività lavorativa idonea ad assicurare flussi reddituali adeguati al proprio sostentamento.
Il cittadino straniero ha impugnato la sentenza e ne ha chiesto la riforma, previa istanza di sospensione, riproponendo i motivi di gravame non accolti in primo grado, sebbene in chiave critica nei confronti dell’avversata sentenza.
Il Ministero dell’interno si è costituito in giudizio, senza espletare difese scritte.
Nella camera di consiglio del 30 settembre 2021, il Consiglio di Stato ha rigettato l’istanza cautelare.
Alla pubblica udienza del 23 giugno 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
In materia di revoca del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo è consolidato l’orientamento giurisprudenziale, costantemente seguito anche da questa Sezione, secondo il quale, ai sensi dell’art. 9, co. 4, del d.lgs. n. 286/1998, il diniego e la revoca del permesso di soggiorno di lungo periodo non possono essere adottati per il solo fatto che lo straniero abbia riportato sentenze penali di condanna: al contrario, tali misure richiedono un giudizio di pericolosità sociale dello straniero e una motivazione articolata su più elementi, che tenga conto della durata del soggiorno sul territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, tale da escludere ogni automatismo tra provvedimento sfavorevole e condanne penali (cd. tutela rafforzata dei soggiornanti di lungo periodo) (ex multis, Cons. St., sez. III, 1 ottobre 2020, n. 5755;Cons. St., sez. III, 23 luglio 2018, n. 4455).
Diretto riscontro normativo di tale orientamento è fornito dall’art. 9, co. 4, d.lgs. n 286/1998, in forza del quale «ai fini dell’adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno, di cui al presente comma, il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero».
Tanto premesso, il Collegio ritiene che il provvedimento questorile, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, abbia compiuto una valutazione in ordine alla pericolosità sociale del soggetto, nell’esercizio della discrezionalità che riconoscono le citate disposizioni del TU immigrazione, con motivazione che appare immune dai censurati vizi.
Invero, la Questura non si è limitata a richiamare la condanna in quanto tale, ma ha piuttosto fondato la propria valutazione complessiva circa la pericolosità del soggetto tenendo in debita considerazione gli ulteriori elementi rilevanti ai sensi dell’art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 286/1998.
In particolare, la Questura ha espresso un giudizio negativo in ordine all’inserimento lavorativo dello straniero, accertando la percezione di redditi in maniera discontinua e comunque sempre insufficienti al suo sostentamento.
Quanto alla durata del soggiorno in Italia, l’Amministrazione ha considerato che lo straniero, nonostante avesse ottenuto un permesso di soggiorno di lungo periodo, non si fosse tuttavia sottratto a comportamenti rivelatori di uno scarso inserimento sociale.
Non sono di ostacolo alla revoca del permesso di soggiorno di lungo periodo neppure i vincoli affettivi vantati dall’appellante, poiché i legami familiari invocati non rilevano nel giudizio di bilanciamento imposto alla Questura. Infatti, la moglie e i tre figli del cittadino straniero non soggiornano in Italia, ma risiedono in Egitto, con la conseguenza che il cittadino straniero non può invocare quel diritto all’unità familiare che rende necessario il giudizio bilanciamento di cui all’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 286/1998.
Tali elementi si aggiungono alla già di per sé grave condotta, accertata con sentenza penale, posta in essere dal cittadino straniero, rivelatrice di un’indole violenta e irrispettosa dei valori primari su cui si fonda la comunità, nonché di un’incapacità di controllare e reprimere i propri impulsi.
La valutazione che la Questura ha tratto dall’insieme di tali elementi non manifesta carenze motivazionali, in quanto fondata su elementi di pericolosità sociale che non risultano smentiti dalle valutazioni compiute in ordine alla situazione lavorativa, reddituale e familiare dello straniero. Il bilanciamento operato dall’Amministrazione è dunque ragionevole, proporzionato e immune dal vizio di automatismo.
Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.