Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-11-11, n. 201008021

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-11-11, n. 201008021
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201008021
Data del deposito : 11 novembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06654/2004 REG.RIC.

N. 08021/2010 REG.SEN.

N. 06654/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6654 del 2004, proposto da:
B E, rappresentato e difeso dall'avv. G D C, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
P B, n.q. di erede di E B, rappresentato e difeso dall'avv. G D C, con domicilio eletto presso Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Universita' degli Studi di Siena, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Gen. dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE I n. 00880/2004, resa tra le parti, concernente RICHIESTA DI RESTITUZIONE DI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI VERSATI DALL’UNIVERSITA’ DI PISA DURANTE IL PERIODO DI ASPETT. PER MANDATO PARLAMENT.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2010 il Cons. Armando Pozzi e udito l’ avvocato dello Stato Giustina Noviello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1 - Il prof. E B, già professore di Diritto Amministrativo nell’ Università di Siena, essendo stato eletto Deputato del Parlamento italiano nell’aprile 1992, venne collocato in aspettativa per mandato parlamentare, cessando di percepire lo stipendio di professore universitario dall’aprile 1993, ai sensi dell’art. 71 del d. lgd. N.. 29/1993.

In data 4-2-1994 al prof. B pervenne la nota n. 2512 del Servizio stipendi della Università di Siena - emanata a seguito delle circolare telegrafica del Ministero del Tesoro n. 84 dell’ 11-1-1994 - con la quale gli veniva chiesto il rimborso dei contributi previdenziali versati dalla università medesima nel periodo 1-4- 1993, 31-1-1994 limitatamente alla quota prevista per il dipendente in aspettativa.

I suddetti atti sono furono impugnati dall’interessato con ricorso al TAR Toscana, sez. I, R.G. n. 1392/94, il quale, con sentenza n. 880 del 29-3-2004, rigettò il ricorso.

La sentenza del TAR è stata impugnata con il presente appello per i seguenti due motivi:

1) VIOLAZIONE DELL’ART. 111 COST. PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE VIOLAZIONE ED ERRONEA INTERPRETAZIONE DELL’ART. 71 DEL D. LGS. N. 29/1993;
ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA’ E PERPLESSITA’.

2) ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA’ MANIFESTA E IRRAGIONEVOLE DISPARITA’ DI TRATTAMENTO.

Si è costituito in giudizio il figlio del defunto prof. B, a seguito di comunicazione di avviso di perenzione emesso in data 30.12.2009.

Alla pubblica udienza de4l 15 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1- Con il primo motivo d’appello si lamenta che la sentenza del TAR, con motivazione “praticamente inesistente”, avrebbe “ sbrigativamente risolto una questione di diritto di notevole rilievo “, invocando un principio generale secondo cui l’aspettativa senza assegni comporti, ove non vi sia una disciplina speciale — come quella di cui all’art. 2 della legge n. 816/1985 — non rinvenibile nel caso di specie, una contribuzione a carico dell’amministrazione e un’altra a carico del dipendente.


2 - L’appellante contesta tale assunto, non solo per mancata indicazione delle fonti del preteso “principio generale”, ma, altresì, perché erroneo, arbitrario, irragionevole e contrario al dato normativo.

L’art. 71 del decreto legislativo n. 29/1993 sarebbe, infatti, espressione dell’opposto principio generale di totale fiscalizzazione e contribuzione figurativa, anche per la quota parte a carico del dipendente, di cui sarebbe espressione la disposizione contenuta nell’art. 31 dello Statuto dei lavoratori con riferimento alle aspettative sindacali e per mandati elettorali, esteso anche ai dipendenti pubblici eletti nel Parlamento nazionale dall’art. 22, comma 39, della legge n. 724 del 1994.

Il citato art. 71, in relazione al principio per cui i periodi utili ai fini del trattamento previdenziale devono essere effettivamente coperti, implicherebbe, pertanto, che le amministrazioni di provenienza dell’eletto effettuino i versamenti contributivi obbligatori alle competenti gestioni, ma non pure l’obbligo per il dipendente in aspettativa di pagare le proprie quote contributive, pur non percependo alcuna retribuzione o assegno.


3 - Siffatta conclusione, a detta dell’appellante, oltre che illegittima, sarebbe anche illogica ed inutilmente vessatoria, considerato che il mancato godimento del trattamento economico fa venire meno la ratio del pagamento della quota contributiva a carico del dipendente e che la indennità parlamentare dal medesimo nel frattempo percepita è già netta di tutta una serie di trattenute per contributi sanitari, pensionistici, assistenziali, ed altro.

Che quella prospettata con l’atto d’appello sia la corretta interpretazione del dato normativo, sarebbe dimostrato dal fatto che lo stesso Ministero resistente, con nota prot. n. 136851 del 10-1-1987 notava che “per quanto riguarda 1’aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità prevista dall’ art. 13 del DPR 11-7-198O n. 382, si precisa che gli oneri previdenziali ed assistenziali debbano essere versati ai rispettivi istituti... dal datore di lavoro pubblico e, su richiesta di questo rimborsati dall ‘ente presso il quale il lavoratore posto in aspettativa esercita il mandato” .


4 - Nello stesso senso, d’altronde, si porrebbe anche la disposizione dell’art. 2, comma 3, della legge n. 816/1985, in materia di aspettativa senza assegni per lo svolgimento delle cariche elettive presso gli enti locali, che anziché essere espressione di una disciplina speciale che sarebbe contraria ad un preteso principio generale di segno contrario — come erroneamente ritenuto dal TAR — sarebbe invece espressione proprio del principio generale che parifica — in chiara attuazione dell’art. 51, comma 3, della costituzione - il trattamento di tutti i dipendenti, pubblici e privati, sottoposti ad aspettativa per lo svolgimento di mandati elettorali determinandosi, altrimenti, inammissibili differenziazioni giuridiche per coloro che ricoprono cariche elettive e, in particolare, un trattamento deteriore e penalizzante proprio a quei dipendenti che svolgono il mandato più importante per essere eletti al Parlamento nazionale.


5 - L’appello è manifestamente infondato.

L’articolo 71 del D.Lgs. 3-2-1993 n. 29 disponeva ( la norma è stata abrogata e trasfusa nell'articolo 68 del successivo D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ) che “ I dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo e nei Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato “, potendo essi optare, in alternativa all'indennità parlamentare e all'analoga indennità corrisposta ai consiglieri regionali, per la conservazione del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima.

Lo stesso articolo disponeva poi, al comma 2, che “ il periodo di aspettativa è utile ai fini dell'anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza”.

Vale osservare subito che da questa disposizione non emerge alcun elemento in favore della tesi dell’appellante in ordine alla non sussistenza degli obblighi contributivi su di lui gravanti in quanto pubblico dipendente.

Vero è, al contrario, che laddove la norma introduce una disposizione di indubbio favore, quale è quella della rilevanza del periodo di aspettativa ai fini del maturarsi dei requisiti temporali per poter vantare il trattamento previdenziale, presuppone evidentemente il rispetto degli altri requisiti sostanziali, in primis quello del rispetto del regime contributivo come distribuito fra datore di lavoro e lavoratore.

Questo – e non altro – senso può avere l’uso dell’aggettivo “ utili “ usato da legislatore per qualificare i periodi trascorsi in aspettativa a fini previdenziali, l’utilità essendo correlata al rispetto della disciplina complessiva che caratterizza gli istituti previdenziali, compreso evidentemente il regime contributivo a carico del datore di lavoro e del lavoratore.


6 - Neppure giova alla tesi dell’appellante il richiamo all’art. 22, comma 39, della legge finanziaria 2005, n. 724/1994, secondo il quale “la normativa prevista dall'articolo 31 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni, si interpreta autenticamente nel senso della sua applicabilità ai dipendenti pubblici eletti nel Parlamento nazionale, nel Parlamento europeo e nei consigli regionali “.

La norma non aiuta l’appellante, poiché essa non incide sul regime contributivo ma ha solo inteso estendere, in senso perequativo, il regime previdenziale di lavoratori pubblici e privati chiamati ad assolvere mandato politico o sindacale ( cfr. Corte costituzionale, 3 maggio 2002 , n. 149;
Consiglio di stato, sez. IV, 20 novembre 2008 , n. 5753 ).


7- Vale ricordare, al riguardo, che il richiamato articolo 31 dello Statuto del lavoratori prevede che i periodi di aspettativa di cui godono, a domanda, i lavoratori eletti membri del Parlamento nazionale o del Parlamento europeo o di assemblee regionali ovvero chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive, ovvero, ancora, chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali , sono considerati utili, a richiesta dell'interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne comportino comunque l'esonero.

Aggiunge, tuttavia, la stessa norma dello Statuto che le disposizioni di favore ad effetti previdenziali ivi contenute non si applicano qualora a favore dei lavoratori siano previste forme previdenziali per il trattamento di pensione e per malattia, in relazione all'attività espletata durante il periodo di aspettativa.

A tale riguardo è da rilevare, per inciso, che, al di là di generiche affermazioni – quale quella per cui “la indennità parlamentare nel frattempo percepita è già netta di tutta una serie di trattenute per contributi sanitari, pensionistici, assistenziali, ed altro. “ ( pag. 4 atto d’appello ) - l’appellante non ha fornito alcuna allegazione probatoria che il periodo trascorso in regime di mandato parlamentare sia stato caratterizzato da un prelievo contributivo alternativo a quello generale, utile a fini previdenziali.


7 - Dal riportato quadro normativo emerge, dunque, che il regime previdenziale connesso a mandato politico o sindacale è uguale per tutti i dipendenti, pubblici e privati e che esso, di norma e salve ipotesi di forme sostitutive per il periodo del mandato, non subisce modifiche temporali e neppure sostanziali per effetto dell’aspettativa.


8 - Elementi a favore dell’appellante neppure possono rinvenirsi nel, peraltro neanche dedotto come motivo d’appello, art. 88 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati approvato con D.P.R. 30-3-1957 n. 361, il quale già si limitava a riconoscere il diritto potestativo all’aspettativa per tutta la durata del mandato parlamentare. Anzi, lo stato di membro del Parlamento non altera la disciplina generale del trattamento previdenziale dei pubblici dipendenti, come stabilisce l’articolo 6 del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato approvato con D.P.R. 29-12-1973 n. 1032.

Il citato testo unico fissa un principio generale - giustamente richiamato dall’appellata sentenza - di sinallagmaticità non già fra retribuzione e contribuzione, ma fra prestazioni previdenziali e contributi obbligatori che alimentano il relativo Fondo, a carico dell’amministrazione in misura prevalente e a carico del dipendente in proporzione assai più leggera ma pur sempre inderogabile ( art. 37 del citato DPR n. 1032 ).


9 - Conclusivamente, l’appello va respinto.

Le spese, liquidate in dispositivo nella misura coerente con la palese infondatezza dell’appello, seguono come di regola la soccombenza.

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