Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-11-05, n. 201205590
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N. 05590/2012REG.PROV.COLL.
N. 01151/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1151 del 2011, proposto da:
F S, rappresentato e difeso dall'avv. G L, con domicilio eletto presso G L in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;
contro
Comune di Pompei, non costituito;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE III n. 00636/2011, resa tra le parti, concernente cessazione attività commerciale - mcp
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2012 il Cons. Carlo Schilardi e udito per l’appellante l’avvocato Leone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso innanzi al TAR della Campania, il sig. F S esponeva di essere proprietario di un’azienda agrituristica denominata “Vivi Natura”, sita nel comune di Pompei e di essere in possesso sia della autorizzazione all’esercizio dell’attività di agriturismo, conseguita per silenzio assenso a termini della Legge n. 730/1985, sia della autorizzazione sanitaria, rilasciata con provvedimento n. 666 del 29.11.1999.
Quanto al profilo edilizio il sig. S esponeva che l’azienda aveva una estensione di circa 8.000 metri quadrati ed era costituita da un corpo di fabbrica centrale, rappresentato da un antico casolare degli inizi del 900;da due manufatti per i quali erano state presentate al Comune di Pompei distinte domande di condono (ancora pendenti);da tre gazebo a struttura smontabile ed un altro manufatto, anch’esso a struttura smontabile, adibito al ricovero di cavalli durante la stagione invernale.
Per queste ultime opere il sig. S assumeva di aver presentato al Comune domanda di sanatoria edilizia straordinaria ai sensi della Legge n. 326/2003 e di condono ambientale ai sensi della Legge n. 308/2004. Anche tali domande sono rimaste inevase.
In definitiva la struttura in questione, a parere dell’appellante, risultava essere un’azienda in regola, con le uniche irregolarità rappresentate dai manufatti accessori e di corredo dell’impianto, per i quali erano state presentate le pratiche di condono per gli abusi.
A seguito dell’ordinanza n. 150, prot. 19609 del 18.5.2009, con la quale il Comune di Pompei disponeva la cessazione dell’attività commerciale, presumendosi che la stessa fosse condotta in difetto di autorizzazione, il sig. S presentava allo stesso Comune istanza di regolarizzazione, prot. 24189 del 24.6.2009, ai sensi dell’art. 4 D.P.R. 447/98.
Successivamente l’Amministrazione comunale adottava una serie di atti ritenuti lesivi dall’appellante - in quanto non rispettosi del principio del contraddittorio e del giusto procedimento – tra i quali, da ultimo, l’ordinanza n. 417, prot. n. 42326 del 23.11.209, a firma congiunta dei dirigenti dei Settori IV, V, VI del Comune, con la quale veniva disposta la cessazione dell’attività di agriturismo.
Il sig. S, pertanto, impugnava innanzi al TAR della Campania, con ricorso introduttivo l’ordinanza dirigenziale n. 150/2009 con cui veniva disposta la cessazione dell’attività commerciale e con successivi motivi aggiunti: la nota n. 191/C del 24.4.2009 della Polizia Commerciale e Tributaria del Comune di Pompei, con la quale si contestava la violazione degli artt. 3 e 10 della L. n. 287/1999;l’ordinanza n. 417/2009 con la quale si ordinava la cessazione dell’attività di agriturismo;la nota prot. n. 33482/2009 con la quale si esprimeva parere negativo all’istanza presentata ex art. 4 D.P.R. n. 447/1998;la nota prot. n. 33780/2009 con la quale veniva dichiarata la improcedibilità del rilascio del parere inerente l’autorizzazione sanitaria;la nota 29.9.2009 reg. p.m. 7530 di comunicazione delle note di cui ai precedenti punti;il verbale n. 426/2009 con il quale veniva contestatola violazione delle Leggi n. 730/1985 e n. 96/2000;la nota prot. n. 39764 del 4.11.2009 di comunicazione di avvio del procedimento;tutti gli atti presupposti , connessi o consequenziali lesivi dei diritti del ricorrente.
Il sig. S articolava, nel corso del giudizio di primo grado, le proprie doglianze in diciannove motivi di censura.
Il TAR adito, con sentenza n. 636 del 1° febbraio 2011, rigettava sia l’impugnazione avverso l’ordinanza dirigenziale n. 150/2009, in quanto improcedibile essendo stata sostituita in toto dalla successiva ordinanza n. 417/2009, sia i motivi aggiunti al ricorso perché infondati.
Avverso tale pronuncia il sig. S ha interposto appello.
In via preliminare l’appellante, al capo I dell’atto, ha lamentato la asserita “lesione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato o, quanto meno, un chiaro difetto di motivazione”, non essendosi i giudici di prime cure pronunciati su gran parte dei motivi di censura proposti.
Al capo II, l’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza anche nella parte in cui era stata rilevata l’illegittimità della struttura commerciale perché nel corso degli anni sarebbe stata interessata da una pluralità di interventi realizzati in assenza dei titoli abilitativi.
Sul punto l’appellante ha sostenuto che erano state presentate una serie di istanze volte ad ottenere permessi di costruire in sanatoria, sulle quali l’Amministrazione comunale non si sarebbe mai pronunciata.
In ordine alla improcedibilità dell’istanza relativa all’autorizzazione sanitaria rilevata dal TAR, il sig. S ha rappresentato di essere già in possesso di una autorizzazione sin dal 29.11.1999 e di aver presentato “documentata DIA sanitaria differita” ai sensi dell’art. 6, Reg. CE, n. 852/2004, per l’adeguamento dei locali.
Sulla contestata violazione della normativa nazionale e regionale in materia di agriturismo, l’appellante ha sostenuto di essere in possesso della prescritta autorizzazione in quanto formatasi a seguito di silenzio-assenso, come disposto dalla legge n. 730/1985.
In ordine a quanto statuito dal TAR con riferimento all’ubicazione dell’agriturismo in area sottoposta a vincolo paesaggistico, in virtù del vincolo posto dal D.M. 27.10.1961), a termini del quale è preclusiva la eventuale sanabilità a posteriori dei manufatti realizzati, l’appellante ha fatto presente che tale vincolo avrebbe natura relativa e potrebbe essere superato con il parere positivo della Soprintendenza, ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004.
L’appellante, poi, ai capi IV e V, si duole del fatto che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto di un vizio procedimentale inerente la conferenza di servizi, all’esito della quale era stata emessa l’ordinanza di cessazione dell’attività commerciale.
Sul tema, il sig. S, ha rappresentato che la predetta conferenza non si sarebbe svolta correttamente a termini dell’art. 4 del D.P.R. n. 447/1998, in quanto tenutasi con la sola presenza dei dirigenti comunali, senza la necessaria partecipazione (perché non convocate) della Regione Campania e della Soprintendenza.
L’appellante ha, inoltre, lamentato che il Comune non avrebbe esaminato l’istanza presentata in sede di Sportello Unico, come previsto dal D.P.R. 447/1998 e nelle forme contemplate dal T.U. delle attività produttive, ma avrebbe illegittimamente convocato la conferenza di servizi ai sensi dell’art. 14 e ss. della L. 241/1990.
Al capo VI dell’atto d’appello, il sig. S ha, altresì, lamentato un’ulteriore violazione del D.P.R. n. 447/1998, in quanto il Comune non avrebbe preso in considerazione la richiesta di una nuova convocazione della “conferenza di servizio”, ai sensi dell’art. 4, al fine di concordare quali fossero le condizioni per ottenere il superamento della pronuncia negativa, dopo il rigetto dell’istanza di autorizzazione a svolgere l’attività di agriturismo avvenuta a seguito della prima “conferenza di “servizi”.
Nel capo VII l’appellante ha contestato, poi, il parere di non ammissibilità reso dai Dirigenti del Comune, perché non motivato ed in contrasto con la dichiarazione del Dirigente del V settore di “improcedibilità del procedimento inerente l’autorizzazione sanitaria”.
Nel capo VIII, il sig. S, richiamando l’art. 21 nonies della L. 241/1990, ha censurato il difetto di motivazione della sentenza gravata nella parte in cui sono stati ritenuti prevalenti gli interessi pubblici rispetto a quello privato, esercitato in buona fede e per un lasso significativo di tempo, tanto da ingenerare, nello stesso, la legittima aspettativa di poter proseguire l’esercizio dell’attività di agriturismo.
In ultimo l’appellante, al capo IX, ha censurato l’irragionevolezza della sentenza in quanto i primi giudici, anziché confermare la decisione dell’Amministrazione comunale di far cessare l’attività commerciale, avrebbero potuto disporre, così come richiesto, la prosecuzione dell’attività nel corpo edilizio principale dell’agriturismo “Vivi Natura” ed inibirla nei locali non in regola con la normativa edilizia.
L’appellante ha, inoltre, riproposto i motivi di censura che il TAR non avrebbe esaminato nella sentenza gravata:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 17 bis e ter del T.U.L.P.S., delle leggi n. 730/1985 e n. 92/2006 e della LR n. 41/1984. Violazione delle norme in materia di procedimento amministrativo, eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto.
- Violazione dell’art. 17 ter del T.U.L.P.S., delle norme in materia di procedimento amministrativo ed incompetenza, con riferimento all’ordinanza di cessazione dell’attività che avrebbe dovuto essere disposta dal Sindaco e non dai dirigenti dell’UTC.
- Violazione dell’art. 17 ter del T.U.L.P.S., violazione dei principi in materia di sanzioni amministrative, eccesso di potere per tardività e impossibilità di provvedere, carenza di potere, atteso che l’ordinanza impugnata di cessazione dell’attività commerciale sarebbe dovuta intervenire entro 5 giorni dalla ricezione del verbale di contestazione.
- Violazione dell’art. 17 ter del T.U.L.P.S., degli artt. 18 e 20 della L. n. 689/1981, della L. n. 241/1990, violazione del principio di partecipazione, eccesso di potere per carenza istruttoria, violazione dei principi di trasparenza e buon andamento dell’azione amministrativa, violazione dell’art. 24 della Costituzione, in quanto il Comune, nonostante le richieste formulate dall’appellante non avrebbe mai disposto la sua audizione.
- Violazione dell’art. 17 ter del T.U.L.P.S., dell’art. 6 della L. n. 241/1990, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per carenza istruttoria e omissione di atti necessari, atteso che, nell’ordinanza n. 417/2009, non vi è alcun riferimento al parere rilasciato dal responsabile del procedimento, parere necessario nel caso in cui le determinazioni finali vengano prese da soggetto diverso.
- Violazione dell’art. 17 ter del T.U.L.P.S., degli artt. 6 e 10 della L. n. 241/1990, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per illogicità.
L’appello è infondato e va rigettato.
1. Con il primo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza del TAR di Napoli per una asserita omessa pronuncia su ciascuno dei diciannove motivi articolati con l’impugnazione innanzi al primo giudice, peraltro dettagliatamente riproposti anche nel presente giudizio.
La censura è inconferente, atteso che la sentenza del TAR affronta compiutamente tutti i motivi di doglianza, con riferimento ai “punti nodali” della vicenda, e ciò, peraltro, con argomentazioni che, seppure talvolta espressa in forma sintetica, appaiono al Collegio pienamente condivisibili come appresso si illustrerà.
Il Collegio deve, peraltro, sul punto, ribadire l’orientamento di questo Consiglio di Stato in ossequio al quale al fine di scrutinare il vizio di omessa pronuncia non può mai privilegiarsi l’aspetto formale della sentenza gravata, dovendosi, invece, valutare la motivazione dei primi giudici nel suo complesso;sicché il vizio lamentato può ritenersi integrato esclusivamente nelle ipotesi in cui risulti privo di scrutinio il “punto controverso” e deve, invece, essere escluso quando, come nel caso di specie, la decisione sui vari motivi di impugnazione risulti implicitamente dall’iter argomentativo complessivo e dalle conseguenti statuizioni decisorie che risultino incompatibili con le diverse censure (Cons. St., sez. IV, 16/4/2012, 2161).
2. Con il secondo motivo, il sig. S impugna la sentenza di primo grado nelle sue singole articolazioni argomentative, contestando innanzitutto che la struttura commerciale oggetto del presente giudizio (l’azienda agrituristica denominata “Natura Viva”) possa considerarsi irregolare, perché interessata da molteplici interventi abusivi e comunque realizzata in contrasto con la violazione nazionale e regionale in materia di agriturismo (cfr. II motivo d’appello, nn. 1, 2, 3, 4).
Il motivo è del tutto infondato.
Il Collegio, infatti, condivide quanto ritenuto sul punto dal TAR di Napoli, che nella sentenza impugnata ha evidenziato come il compendio aziendale di proprietà del sig. S sia stato interessato, nel corso degli anni, da una pluralità di interventi realizzati in assenza di titoli abilitativi (il dato è chiaramente evincibile dalla documentazione presentata dal ricorrente a corredo dell’istanza di regolarizzazione ai sensi dell’art.4 del D.P.R. 447/98 e prodotta in giudizio dalla difesa del Comune in allegato alle note di udienza del 10 dicembre 2009 innanzi al TAR).
Orbene, il numero e qualità degli interventi abusivi in parola è tale da condurre alla conclusione (già affermata dal TAR nella decisione gravata), che il cespite aziendale di proprietà del sig. S, risultante dall’insieme di questi interventi è del tutto diverso da quello originario. Da ciò l’inevitabile corollario della impossibilità di considerare il complesso agrituristico oggi legittimato in virtù delle autorizzazioni iniziali, ovvero dall’esistenza di un titolo autorizzatorio iniziale, formatosi per silentium ai sensi dell’art.8 Legge n.730 del 1985 e di un’autorizzazione sanitaria rilasciata in data 29.11.1999 ‘per la cucina annessa all’azienda agricola”.
Anche sotto tale profilo, quindi, l’iter argomentativo seguito dal primo Giudice appare al Collegio immune da censure.
3. Con i motivi III, IV, V e VI l’appellante censura la decisione del TAR di Napoli con specifico riferimento agli aspetti centrali della controversia, relativi:
- all’affermata impossibilità, per l’Amministrazione comunale, di rilasciare autorizzazione commerciali in locali che presentano irregolarità sotto il profilo edilizio-urbanistico (motivo III);
- alla validazione, da parte del TAR, della procedura seguita dal Comune di Pompei sull’utilizzazione del modulo procedimentale della Conferenza di Servizi, per istruire la pratica (motivi IV, V e VI).
3.1. Sul primo aspetto il Collegio ritiene di richiamare, facendolo proprio, il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato secondo il quale “nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con la naturale conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività e/o non regolarità delle opere edilizie in questione con le prescrizioni urbanistiche” (Consiglio di Stato, sez. IV, 14/10/2011, n. 5537).
Sicché del tutto corretta appare la motivazione del TAR di Napoli, che muovendosi sul solco tracciato dalla citata giurisprudenza ha confermato che il legittimo esercizio di un'attività commerciale, soprattutto se essa comporti – come nel caso di specie - la somministrazione di alimenti e bevande, deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere.
Nel caso di specie, per quanto allegato dallo stesso ricorrente, è incontroversa la mancanza di conformità urbanistica-edilizia del compendio aziendale, di talché ineccepibile appare il consequenziale provvedimento inibitorio adottato dal Comune di Pompei, rispetto alla richiesta di rilascio della relativa autorizzazione commerciale. E ciò, anche alla luce della disciplina regionale e statale in materia di aziende agrituristiche, puntualmente richiamata dal TAR nella decisione gravata, che il Collegio ritiene di condividere pienamente anche sotto tale specifico aspetto.
Ne consegue che la sentenza merita conferma anche nella parte in cui ha ritenuto corretto il comportamento del Comune di Pompei che ha ordinato la cessazione dell’attività abusiva di agriturismo condotta dall’appellante, sul rilievo della non assentibilità dei manufatti realizzati nel compendio aziendale e della improcedibilità dell’istanza di rilascio dell’autorizzazione sanitaria in relazione a locali ed ambienti oggetto di una pluralità di modifiche, oltre che in ragione dell’insussistenza di altri fondamentali presupposti (quali l’iscrizione all’elenco regionale degli operatori agrituristici).
3.2. Anche con riferimento alle censure rivolte dall’appellante al procedimento seguito dal Comune di Pompei nell’istruire la istanza ex art. 4 D.P.R. n.447/98, la sentenza del primo Giudice, che ha rigettato i relativi motivi di ricorso, va pienamente confermata.
Invero, la determinazione del Comune di Pompei, assunta all’esito della “conferenza di servizi” indetta a valle dell’attivazione del procedimento di cui al citato D.P.R. n.447/98, è stata correttamente qualificata dal primo Giudice come “atto complesso interno” adottato dai Dirigenti comunali (figure apicali), rispettivamente del Settore IV - Comando P.M, dell’Ufficio Tecnico Comunale - Settore V e dell’Ufficio Tecnico Comunale - Settore VI. Sicché l’atto è certamente imputabile alla sola Amministrazione Comunale di Pompei, pur essendosi formato attraverso il concorso funzionale dei Dirigenti apicali riuniti in “conferenza di servizi” a valle dell’istanza presentata dal sig. S.
Né può esservi alcun dubbio sulla competenza dei Dirigenti degli enti locali (ai sensi degli art. 107 e 109 comma 2 t.u. 18 agosto 2000 n. 267) ad adottare atti di contenuto inibitorio con efficacia esterna (Consiglio di Stato, sez. V, 05/07/2005, n. 3692).
Deve poi in questa sede rimarcarsi come, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, il modulo procedimentale della “conferenza di servizi” è adottato dall’Amministrazione investita della relativa istanza ed ha finalità di “semplificazione”.
Pertanto, nel convocare una “conferenza di servizi” l’amministrazione procedente ha il potere discrezionale di invitare le altre amministrazioni, ovvero i soggetti interessati al procedimento, per una composizione accelerata di tutti gli aspetti del procedimento propedeutici all’adozione del provvedimento finale.
Orbene, nel caso di specie il Comune di Pompei ha ritenuto, legittimamente, di convocare una preliminare “conferenza di servizi” con i Dirigenti dei settori competenti, per l’esame completo della questione. Ciò, fatta salva la possibilità di convocare successivamente una nuova Conferenza di Servizi cui invitare anche le altre amministrazioni, in caso di ammissibilità della istanza ex art. 4 DPR 447/98. Tale ammissibilità ben può essere negata dall’amministrazione procedente tutte le volte in cui vi siano degli ostacoli di natura amministrativa, per questioni la cui competenza spetta, come nel caso di specie (presenza di abusi edilizi) alla stessa autorità procedente, risultando un inutile aggravio procedimentale la convocazione di altre amministrazioni, stante l’esito negativo scontato del procedimento.
Tale conclusione è confortata dal disposto di cui al comma 1 dell’art. 4 del DPR in questione, il quale rimette alla “struttura” procedente la facoltà di adottare gli atti del procedimento anche “direttamente”.
Nella fattispecie, quindi, essendo stata valutata non ammissibile, in radice, l’istanza avanzata dall’appellante, correttamente il Comune di Pompei ha ritenuto di non gravare inutilmente l’azione amministrativa attivando una “conferenza di servizi” estesa alle altre amministrazioni.
Giova sul punto rammentare che il legislatore con il modulo procedimentale in questione previsto dall’art. 4 D.P.R. 447/98 ha inteso introdurre nell’ordinamento uno strumento di natura eccezionale volto a semplificare i procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione degli impianti produttivi e non, invece, finalizzato alla sanatoria di abusi edilizi attraverso la modifica dell'assetto urbanistico (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 1038 del 03-03-2006).
Anche sul punto, quindi, questo Collegio non ravvisa il “macroscopico error in iudicando” lamentato dall’appellante con riferimento alla motivazione della decisione del TAR sulla legittimità del procedimento seguito dal Comune di Pompei, sia nell’istruire la “conferenza di servizi” attraverso l’esame preliminare dei Dirigenti Comunali dei Settori interessati dall’intervento, sia nell’avere deciso (stante la inammissibilità della istanza) di non estendere la “conferenza di servizi” alla Regione Campania e alla Soprintendenza.
La convocazione e la tenuta della “conferenza di servizi” tra i Dirigenti comunali, inoltre, attesta anche l’infondatezza della domanda di declaratoria di illegittimità del silenzio-inadempimento che il Comune di Pompei avrebbe serbato sull’istanza di regolarizzazione ex art.4 D.P.R. 44//98.
Com’è noto, infatti, il silenzio-inadempimento presuppone un comportamento “inerte” della P.A. rispetto ad una istanza dell’interessato, in violazione dell’obbligo di provvedere previsto dalla L.n. 241/90.
Nel caso di specie, per stessa ammissione dell’appellante, il Comune di Pompei ha provveduto sulla richiesta, convocando una “conferenza” tra i Dirigenti del Comune e tanto è certamente sufficiente a ritenere soddisfatto l’onere “provvedimentale” della P.A. sull’istanza del sig. S.
3.3. L’appellante lamenta, poi, il fatto che il TAR non avrebbe considerato la circostanza, quanto alla interruzione della propria attività, che vi fosse un affidamento formatosi “medio tempore”.
Sul punto, mutuando i principi in tema di provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, la Sezione ritiene che tutti i provvedimenti legittimamente fondati su tali presupposti (abusi edilizi) non necessitino di alcuna particolare valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti, non essendo configurabile alcun tipo di affidamento meritevole di tutela alla conservazione di situazione fondate su “illeciti permanenti”, che il tempo non può sanare in via di fatto (Cons. St., sez. IV, 16/4/2012, n. 2185).
3.4. Ciò vale tanto più nel caso di specie, atteso che - come opportunamente evidenziato dal TAR di Napoli – nella materia delle aziende agrituristiche vi è una disciplina legislativa statale e regionale particolarmente rigorosa, perché finalizzata a preservare la specificità del settore agrituristico e la genuinità dei prodotti fruibili all’interno dell’azienda agrituristica.
3.5. Quanto all’argomentazione offerta dall’appellante circa una presunta illegittimità degli atti impugnati – e conseguente erroneità della sentenza gravata – per non avere considerato la possibilità di preservare l’attività commerciale/agrituristica, consentendone la prosecuzione nell’originario corpo di fabbrica, è da condividere l’approccio ermeneutico seguito dai giudici di primo grado, atteso che la semplice lettura dei testi normativi in materia attesta come l’azienda agrituristica venga concepita dal legislatore in funzione della conservazione e del recupero del patrimonio edilizio rurale esistente.
Al contrario, nel complesso aziendale di proprietà dell’appellante, i molteplici interventi non appaiono affatto tutti rivolti alla finalità di conservazione e recupero del patrimonio rurale edilizio esistente, per cui, in definitiva, correttamente il Comune di Pompei ha concluso per la improcedibilità dell’istanza presentata dall’appellante, sul rilievo della non assentibilità dei manufatti realizzati nel compendio aziendale
4. Alle pagg. 19 e ss. dell’atto di appello, infine, il sig. S ripropone le censure già articolate nel ricorso introduttivo, che si assume non siano state affrontate dal TAR di Napoli nella sentenza gravata.
Le questioni afferiscono, per lo più, alla presunta violazione delle norme del TULPS da parte dell’Amministrazione, che avrebbe nella fattispecie:
- applicato misure sanzionatorie non previste dalla vigente normativa (lett. A);
- disposto tali misure con funzionari incompetenti (lett. B);
- violato termini procedimentali di legge (lett. C);
- non effettuato la richiesta previa “audizione” dell’interessato (lett. D);
- adottato i provvedimenti con funzionari differenti rispetto al “responsabile del procedimento” indicato nell’atto di avvio;
- non rispettato l’art. 10-bis della L.n.241/90.
Tutte tali censure (alcune delle quali espressamente delibate dal TAR), di natura procedimentale, non trovano alcun fondamento giuridico alla luce del presupposto di fatto da cui ha avuto origine il procedimento: la natura abusiva degli illeciti edilizi di cui si pretendeva la sanatoria. Ed invero, costituisce allora un punto incontroverso e decisivo quello che la presupposta abusività del compendio immobiliare imponeva all’Amministrazione l’adozione di provvedimenti sanzionatori/repressivi di natura vincolata. Di talché ogni questione procedimentale afferente all’istruttoria compiuta deve intendersi superata ai sensi dell’art. 21-octies L.n. 241/90, opportunamente richiamato dalla difesa dell’Amministrazione nei propri scritti difensivi di primo grado.
Conclusivamente l’appello è infondato e va rigettato.
Nessuna determinazione deve essere adottata in ordine alle spese del presente grado di giudizio non essendosi costituita la parte appellata.