Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-11-24, n. 201008224

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-11-24, n. 201008224
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201008224
Data del deposito : 24 novembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05822/2010 REG.RIC.

N. 08224/2010 REG.SEN.

N. 05822/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5822 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ivri Istituti di Vigilanza Riuniti s.p.a. in proprio e quale Capogruppo Rti, Rti - Prodest Milano s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi dagli avv. M S M, E R, con domicilio eletto presso M S M in Roma, via della Vite, 7;

contro

Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano, in persona del legale rappresentante in carica,rappresentato e difeso dagli avv. C B, M B, M S, con domicilio eletto presso M S in Roma, viale Parioli, 180;

nei confronti di

Sicuritalia s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Zoppolato, con domicilio eletto presso Maurizio Zoppolato in Roma, via del Mascherino 72;
Sicurezza Professionale s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio Paoletti, con domicilio eletto presso Fabrizio Paoletti in Roma, via G. Bazzoni, 3;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – Sede di MILANO- SEZIONE I n. 2682/2010, resa tra le parti, concernente AFFIDAMENTO SERVIZIO DI VIGILANZA ARMATA.


Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano e di Sicuritalia s.p.a. e della Sicurezza Professionale S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, od. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2010 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Masini,M B, Clarizia per Zoppolato e Paoletti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la decisione in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – Sede di Milano - ha deciso il ricorso proposto dall’odierna appellante volto a censurare la procedura aperta bandita dalla Camera di Commercio di Milano per l’affidamento del servizio di vigilanza armata presso le sue sedi, con durata triennale, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso, che era stata aggiudicata provvisoriamente in favore dell’odierna controinteressata, l’ATI costituenda Sicuritalia s.p.a. e Sipro s.r.l., che aveva presentato il maggior ribasso (seconda classificata era risultata l’odierna appellante ATI Ivri s.p.a. e Prodest s.r.l.).

Con successiva determina del 27 gennaio 2010, a distanza di mesi dalla prima, si era proceduto all’aggiudicazione definitiva.

L’appellante seconda classificata era insorta deducendo l’illegittimità dell’azione amministrativa per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, chiedendone l’annullamento oltre al risarcimento in forma specifica o in subordine per equivalente.

Con un unico articolato motivo di ricorso si era censurata l’eccessiva durata della procedura (era trascorso un anno e quattro mesi tra la pubblicazione del bando e l’aggiudicazione ed oltre otto mesi tra l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva, a motivo della verifica dei requisiti di partecipazione in capo alla Sipro s.r.l.) e, per altro verso, le modalità di conservazione dei plichi contenenti la documentazione prodotta dai concorrenti, avuto riguardo alla mancata specificazione nei verbali di gara della cautele apprestate per la loro salvaguardia, nell’arco di tutta la procedura.

Il Tribunale amministrativo regionale ha preso atto della circostanza che, quanto al primo profilo di doglianza, la stazione appaltante costituitasi aveva rilevato che tale ritardo era imputabile, in parte, alle iniziative procedimentali e richieste istruttorie dell’odierna appellante ed, in altra parte, al tempo occorso alla Prefettura di Milano per il rilascio del nulla-osta antimafia, richiesto dalla Camera di Commercio per la Sipro s.r.l. (mandante del RTI aggiudicatario) sin dal 21 maggio 2009 ed ottenuto solamente il 24.11.2009 (a norma dell’art. 12, comma 1, del decreto legislativo n.163 del 2006, il termine generale di 30 giorni per l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria “è interrotto dalla richiesta di chiarimenti o documenti, e inizia nuovamente a decorrere da quando i chiarimenti o documenti pervengono all’organo richiedente”) ed ha ritenuto fondata tale prospettazione respingendo il ricorso di primo grado.

Non poteva essere rimproverato alla Camera di Commercio di non avere comunque aggiudicato definitivamente l’appalto alla scadenza dei 45 giorni dalla richiesta di informazione - come le era consentito dall’art. 11 d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 – ma di avere atteso prudenzialmente il rilascio del nulla- osta, in ragione tanto della natura ordinatoria del termine dell’art. 11, quanto della circostanza che era stata proprio la stessa odierna appellante, in sede di gara, a rappresentare ripetutamente alla stazione appaltante la necessità di un approfondimento istruttorio in merito a tale profilo.

Neppure era condivisibile il richiamo, da parte della appellante, all’art. 11, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006 quale possibile fondamento di un obbligo di legge di aggiudicare entro e non oltre 180 giorni dalla presentazione dell’offerta: ciò, tanto sul piano generale, trattandosi di un termine previsto nei confronti dell’aggiudicatario (e vincolante la sua offerta) e non anche della stazione appaltante, quanto nel caso di specie, trattandosi di un appalto rientrante nell’ambito dell’Allegato II B cui si applicavano le sole disposizioni del Codice dei contratti pubblici richiamate nell’art. 20.

Quanto all’altra doglianza, relativa alla contestazione delle modalità di custodia delle offerte per tutta la durata della procedura in oggetto (non risultava dai verbali di gara alcun riferimento al luogo deputato ed alle modalità impiegate per la conservazione dei plichi), doveva essere disattesa in quanto formulata in termini meramente ipotetici, senza allegare alcun elemento integrante il benché minimo indizio o sospetto di irregolarità commesse dalla stazione appaltante nella valutazione delle offerte economiche (tanto più che avverso il relativo esito non era stato mosso alcun rilievo).

Peraltro la procedura in contestazione doveva aggiudicarsi con il criterio “automatico” del prezzo più basso, senza alcuna valutazione concernente la qualità tecnica le offerte economiche;
le offerte economiche e le buste contenenti la documentazione amministrativa erano state aperte in seduta pubblica, alla presenza dei rappresentanti dei concorrenti (tra cui quello dell’appellante) ed il loro contenuto era stato integralmente trasfuso nei verbali di gara, in assenza di qualunque contestazione e nel rispetto del principio di trasparenza.

Avverso il dispositivo della sentenza reiettiva in epigrafe indicata l’odierna appellante ha proposto appello con riserva dei motivi riproponendo le doglianze avanzate in primo grado;
la controinteressata ha depositato una memoria chiedendo il rigetto del ricorso in appello.

Alla adunanza in camera di consiglio del 6 luglio 2010 fissata per l’esame della domanda di sospensione della esecutività del dispositivo di sentenza, si è preso atto che nelle more erano state depositate le motivazioni della decisione, ed è stata fissata la trattazione del merito all’odierna pubblica udienza.

L’appellante mercè il proprio ricorso in appello recante motivi aggiunti ha censurato l’iter motivazionale della sentenza chiedendone l’annullamento.

In primo luogo ha evidenziato che la mancata verbalizzazione delle cautele adottate per la custodia dei plichi costituiva vizio insanabile della procedura, anche isoltatamente considerato: non poteva essere addossato al partecipante l’onere (diabolico) di provare l’avvenuta effettiva alterazione/manomissione dei medesimi.

Ciò rilevava anche a fini del rispetto del disposto di cui all’art. 97 Cost., che, con il suo contenuto immediatamente precettivo, consentiva di “superare” il rilievo del primo giudice relativo alla circostanza (punto 2.3 dell’appellata sentenza) che trattavasi di appalto rientrante nell’Allegato II B del d.lgs. n. 163 del 2006, di guisa che ad esso dovevano applicarsi le (sole) disposizioni di cui all’art. 20 del Codice dei contratti pubblici.

Nemmeno il criterio di aggiudicazione prescelto (punto 3.2 della appellata decisione) poteva fungere da discrimine: la procedura da aggiudicarsi al prezzo più basso, infatti, in gare che non duravano un solo giorno, doveva essere soggetta alle stesse disposizioni in materia di conservazione dei plichi e di documentazione delle modalità di espletamento di tale obbligo, postulate per tutte le procedure ad evidenza pubblica (nel caso di specie, le buste contenenti offerte economiche erano state aperte soltanto il 5 marzo 2009, a quasi quattro mesi di distanza dalla prima seduta della commissione).

Il pericolo di manomissione, quindi, si era ampiamente concretato (anche con riguardo alla successiva fase di verifica dell’anomalia dell’offerta, dove non era stata verbalizzata la modalità di custodia della documentazione di gara).

L’abnorme durata della procedura, peraltro, costituiva vizio autonomo facilmente rilevabile, non privo di rilevanza alla luce della natura ordinatoria del termine di cui al d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252.

Era palese la violazione del disposto di cui all’art. 11 comma 6 d.lgs. n. 163 del 2006.

In via subordinata, infine, era da ritenere immotivata la condanna dell’originaria ricorrente alle spese del giudizio di primo grado pronunciata dal primo giudice.

L’appellante ha puntualizzato le censure (e indicato i parametri di specificazione del petitum risarcitorio avanzato) con memoria conclusiva del 27 settembre 2010, facendo presente che la omessa verbalizzazione delle cautele di conservazione dei plichi viziava l’andamento della procedura, dato anche che le buste con le offerte economiche erano state aperte soltanto il 5 marzo 2009 (a quattro mesi di distanza dalla prima seduta di gara, posto che il 6 novembre 2008 erano stati aperti soltanto i “bustoni” ma non anche le buste delle offerte economiche ivi contenute, ed in detta seduta era stata verificata l’integrità dei plichi, ma non erano state indicate le modalità di conservazione delle buste medesime).

L’eccessiva durata della procedura, poi, costituiva una autonoma illegittimità, in quanto circostanza ingiustificata e non ascrivibile a condotte dilatorie dell’appellante.

La controinteressata SIPRO ha depositato scritti difensivi ed ha chiesto il rigetto del gravame perché infondato.

DIRITTO

Il ricorso in appello principale è infondato e va respinto.

La censura investente la durata della procedura è infondata per più ordini di ragioni.

In primo luogo (quanto alla posizione della controinteressata e alle verifiche che il seggio appaltante ebbe a svolgere sulla posizione di quest’ultima) la stessa appellante non contesta che il termine fissato ai sensi dell’art. 11 d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 abbia natura semplicemente ordinatoria.

Ciò risponde alla ragione e alla natura del procedimento ivi previsto (la complessità dell’istruttoria del quale è tale da non rendere agevole prevedere ex ante ed in via generale la durata degli approfondimenti eventualmente necessari).

È altresì coerente con il principio generale secondo cui i termini del procedimento amministrativo vanno considerati come ordinatori, qualora non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge (Cons. Stato, VI, 20 aprile 2006, n. 2195).

Si aggiunga, inoltre, che per costante giurisprudenza l’ampiezza della valutazione della stazione appaltante è insussistente (la stazione appaltante non dispone del potere di sindacare il contenuto dell'informativa prefettizia, perché il d.lgs. 8 agosto 1994 n. 490 assegna al prefetto stesso , in via esclusiva, la raccolta degli elementi e la valutazione sulla sussistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa;
di conseguenza, ai sensi dell'art. 11, comma 3, d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, la stazione appaltante può solo deliberare di non revocare l'appalto, per quanto il collegamento dell'impresa con organizzazioni malavitose sia stato accertato, a conclusione di una valutazione di convenienza fondata sul tempo di esecuzione del contratto, sulle difficoltà di trovare un nuovo contraente e sullo stato di esecuzione dei lavori, e sempre al fine di tutelare l'interesse pubblico: Cons. Stato, V, 27 giugno 2006, n. 4135). Perciò non si vede quale negligenza omissiva l’appellante possa imputare alla stazione appaltante per avere atteso le informazioni prefettizie.

In ultimo: se anche fosse condivisibile (il che si nega) la tesi dell’appellante secondo cui il termine di 180 giorni fissato ai sensi dell’art. 11, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006 determina il termine massimo delle procedure aggiudicatorie e vincola anche la stazione appaltante (anziché limitarsi a fissare la durata dell’impegno negoziale dell’offerente), la non perentorietà a tal fine del termine risulta evidente dall’assenza di comminatorie di preclusioni o decadenze a carico dell’amministrazione per il superamento del detto termine.

Peraltro, la tesi non pare condivisibile, sol che si consideri che permane in capo alla stazione appaltante la potestà di chiedere il differimento della durata dell’impegno;
che l’accoglimento della richiesta è rimesso alla volontà dell’offerente;
che la richiesta non è vincolata al ricorrere di particolari requisiti.

Una diversa conclusione, infine, appare illogica anche sotto un profilo pratico, perché finirebbe per attribuire di fatto alla stazione appaltante una surrettizia facoltà di auto annullamento tacito delle gare da essa bandite, non ancorata ai presupposti, da esplictare, dell’autotutela, ma al mero trascorrere del tempo.

Il Consiglio di Stato, in fattispecie analoga (Cons. Stato, V, 7 gennaio 2009, n. 9) ha fatto riferimento alla ratio di un termine di 180 giorni (lì posto dal bando) individuandola nella intenzione di mantenere ferma l'offerta per tutto il periodo di presumibile durata della gara e non di limitarne nel tempo la validità o, meglio, l'efficacia, non corrispondendo tale limitazione ad un interesse dell'amministrazione.

Di “presumibile durata”, quindi, può discorrersi: non di termine caducatorio della procedura, come assume l’appellante.

La doglianza appare dunque infondata.

Quanto alla questione della custodia dei plichi, afferma la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che il difetto di custodia delle buste contenenti le offerte per la partecipazione alla gara, dopo la loro apertura, va sostenuto da elementi atti a far ritenere che possa essersi verificata in concreto la sottrazione o la sostituzione dei plichi, o altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura.” (Cons. Stato, V, 3 gennaio 2002, n. 5) e la censura della mancata custodia, dopo la loro apertura, delle dette buste è priva di rilievo, per difetto di elementi atti a far ritenere che possa essersi verificata una conseguente sottrazione o la sostituzione dei plichi o altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura (si veda anche Cons. Stato, V, 20 settembre 2001, n. 4973). Spetta, infatti, al deducente suffragare l’assunto con dati, elementi circostanziali o altri elementi sintomatici tali da far ritenere verosimile o comunque probabile che la condotta dell'Amministrazione possa avere dato adito a manomissioni;
in mancanza di che, come nella specie, ogni censura in proposito è affetta da assoluta genericità.

L’appellante non contesta in punto di fatto il passaggio di cui alla’impugnata decisione per cui le offerte economiche (e, prima ancora, le buste contenenti la documentazione amministrativa) sono state aperte in seduta pubblica, alla presenza dei rappresentanti dei concorrenti (tra cui quello dell’odierna ricorrente) ed il loro contenuto è stato integralmente trasfuso nei verbali di gara in assenza di qualunque contestazione e nel rispetto del principio di trasparenza.

Ma se così è, la contestazione si risolve nel prospettare, in via di mera e astratta ipotesi, la possibilità che, a cagione della lunga durata della procedura ed in carenza di verbalizzazione della modalità di custodia, le buste possano essere state mal custodite e poi manomesse.

Una siffatta prospettazione si fonda su due dati ipotetici, nessuno dei quali è supportato da riscontro (le “circostanze” cui ha fatto riferimento l’appellante verso il dispositivo dell’appellata decisione, in realtà, sono solo specificazioni della doglianza di fondo dell’eccessiva lunghezza della procedura e delle possibili manomissioni che potrebbero essersi verificate, in astratto, durante tale arco temporale)

Del resto, l’appellante non individua, nemmeno in via di ipotesi, l’oggetto della manomissione né indica sospetti verso un qualsiasi elemento della documentazione a corredo, presentata dalla contro interessata, che potrebbe essere stato oggetto di alterazione o contraffazione.

Anche la deduzioni del ricorso per motivi aggiunti – volte a criticare il passaggio motivazionale n.

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