Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-09-18, n. 202308395

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-09-18, n. 202308395
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202308395
Data del deposito : 18 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/09/2023

N. 08395/2023REG.PROV.COLL.

N. 05219/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOE DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5219 del 2022, proposto dal Ministero dell'interno e dalla Prefettura – UTG di Reggio Calabria, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12

contro

l’impresa individuale -OISSIS-, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato G S, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, nonché

nei confronti

del Comune di Sinopoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio,
della Città metropolitana di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria -OISSIS-, che ha accolto il ricorso, proposto dalla impresa individuale -OISSIS- per l’annullamento del provvedimento della Prefettura di Reggio Calabria, Area I, n. -OISSIS- emesso ex art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della impresa individuale -OISSIS-;

Viste le memorie depositate dalla impresa individuale -OISSIS- in date 15 luglio 2022, 17 ottobre 2022 e 14 luglio 2023;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella udienza pubblica del giorno 14 settembre 2023 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. A seguito di richieste di diverse Pubbliche amministrazioni, intese ad ottenere il rilascio dell'informazione antimafia della impresa individuale -OISSIS-, ai sensi degli artt. 91 e 100, d.lgs. n. 159 del 2011, la Prefettura di Reggio Calabria ha emesso l’informazione interdittiva antimafia n. -OISSIS-. Tale informativa si è fondata sul rapporto di parentela che lega il titolare dell’impresa, -OISSIS-, al suocero, -OISSIS-, acquisito per averne sposato la figlia nel 2012.

2. L’interdittiva è stata impugnata dalla Impresa -OISSIS-con ricorso proposto dinanzi al Tar Reggio Calabria che, con sentenza -OISSIS- lo ha accolto per difetto di motivazione, omettendo il gravato provvedimento interdittivo di enunciare elementi o circostanze da cui possa essere desunto il pericolo o il tentativo di condizionamento, ad opera dei soggetti menzionati nell’atto, dell’attività imprenditoriale della Impresa.

3. La sentenza è stata impugnata con appello notificato il 23 giugno 2022 e depositato il successivo 24 giugno.

È stato innanzitutto dedotto che non è stato correttamente interpretato il reale compendio motivatorio del provvedimento impugnato, che non si fonda sul mero legame di parentela, ma su una pluralità di considerazioni che vengono sviluppate a partire da un rapporto di parentela qualificato, e dunque di per sé significativo, quale quello che il titolare dell'impresa ha contratto con un esponente di spicco di famiglia di 'ndrangheta, per averne sposato la figlia. E’ stato aggiunto che i rilievi mossi dal Tar al provvedimento impugnato integrano la violazione di altri principi consolidati nella materia: quello della atipicità degli elementi informativi utilizzabili dal Prefetto nel provvedimento interdittivo nonché quello per cui, nel controllo dell'adeguatezza della motivazione dell'informativa antimafia, stante la funzione altamente preventiva svolta dall'istituto, non occorre che sia riscontrata la prova dell'infiltrazione in atto, ma è sufficiente che siano indicati elementi - purché concreti - circa la sussistenza del rischio dell'infiltrazione o del condizionamento mafioso dell'impresa.

4. Si è costituita in giudizio l’impresa individuale -OISSIS-, che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, dell’appello.

5. Il Comune di -OISSIS-non si è costituito in giudizio.

6. La Città metropolitana di Reggio Calabria non si è costituita in giudizio.

7. All’udienza pubblica del 17 novembre 2022 la trattazione della causa è stata rinviata in attesa della decisione dell'Adunanza Plenaria sulla sospensione del giudizio avverso l’interdittiva antimafia in caso di ammissione al controllo giudiziario.

8. Con ordinanza -OISSIS- l’istanza di sospensione cautelare è stata accolta.

9. All’udienza del 14 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, il Ministero dell’interno e la Prefettura di Reggio Calabria hanno impugnato la sentenza del Tar per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, -OISSIS-, che ha accolto il ricorso, proposto dalla Ditta individuale -OISSIS- avverso l’informazione interdittiva antimafia n. -OISSIS-. Tale informativa si è fondata sul rapporto di parentela che lega il titolare dell’impresa, -OISSIS-, al suocero, -OISSIS-, acquisito per averne sposato la figlia il 13 settembre 2012, nonché al padre -OISSIS-.

-OISSIS- il 5 ottobre 2015 è stato condannato a 18 anni ed 8 mesi di reclusione per costituzione, direzione o finanziamento di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, importazione, detenzione e trasporto di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi.

Lo -OISSIS-era stato coinvolto anche nell’operazione cd. -OISSIS-(durante la quale è stato tratto in arresto per associazione di tipo mafioso) che ha messo in luce la struttura unitaria dell’organizzazione criminale e l’esistenza di aree di influenza della cosca “-OISSIS-” - individuandone le figure apicali, il circuito di interessi economici e societari ed acclarando, fra l’altro, ipotesi di condizionamento degli appalti pubblici. La stessa interdittiva ha dato atto che la sentenza (del 2 ottobre 2017) della Corte di appello di Reggio Calabria - che aveva confermato la decisione (del 28 settembre 2015) del Tribunale di -OISSIS-, che lo aveva condannato a 10 anni di reclusione per associazione a delinquere – era stata riformata dalla Corte di cassazione (sentenza n. 4818 del 23 ottobre 2018), che ha annullato la sentenza con rinvio ad altra Sezione della stessa Corte di appello.

-OISSIS- è inoltre figlio di -OISSIS-, arrestato in data 13 novembre 2003 in occasione dell’operazione “-OISSIS-”, ma poi rilasciato e destinatario di un provvedimento di archiviazione (decreto del 14 gennaio 2005).

Infine, è stato controllato con soggetto con gravi pregiudizi per porto e detenzione illegale di armi e produzione e traffico di stupefacenti.

2. L’appello è fondato.

Con un unico motivo di appello il Ministero dell’interno e la Prefettura di Reggio Calabria affermano che il quadro indiziario appare sufficiente a dimostrare che l’attività svolta dalla ditta individuale -OISSIS-possa, anche indirettamente, agevolare le attività criminose della ndrangheta, egemone nel territorio di -OISSIS- ove ha sede l’impresa -OISSIS-e ha la residenza la famiglia -OISSIS-, con la conseguente legittimità dell’interdittiva antimafia n. -OISSIS-.

Giova premettere, richiamando una ormai consolidata giurisprudenza della sezione (tra le tante, 16 giugno 2023, n. 5964;
22 maggio 2023, n. 5024;
27 dicembre 2019, n. 8882;
5 settembre 2019, n. 6105;
20 febbraio 2019, n. 1182), che l’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Ha aggiunto la Sezione (n. 758 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

Ha ancora chiarito la Sezione (5 settembre 2019, n. 6105) che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di “tentativi” di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), d.lgs. n. 159 del 2011), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica.

L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.

Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio ai principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2018, n. 111).

Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame.

Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio.

La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).

E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi.

Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel «tenere il passo con il mutare delle circostanze» secondo una nozione di legittimità sostanziale.

Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale, il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché «il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale» (Cass. pen., sez. II, 9 luglio 2018, n. 30974).

Il delicato bilanciamento raggiunto dall’interpretazione di questo Consiglio di Stato è stato avallato dalla Corte costituzionale dapprima con le recenti sentenze n. 24 del 27 febbraio 2019 e n. 195 del 24 luglio 2019.

Come ha ben posto in rilievo la Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, infatti, allorché si versi al di fuori della materia penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base «dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione».

Essenziale – nell’ottica costituzionale così come in quella convenzionale (v., ex multis, Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione quinta, sentenza 26 novembre 2011, Gochev c. Bulgaria;
Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione prima, sentenza 4 giugno 2002, Olivieiria c. Paesi Bassi;
Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione prima, sentenza 20 maggio 2010, Lelas c. Croazia) – è, infatti, che tale interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa.

Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, «ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale» (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).

3. I principi elaborati dalla Sezione – che, come si è detto, hanno ricevuto un primo avallo dal giudice delle leggi (sentenze n. 24 del 27 febbraio 2019 e n. 195 del 24 luglio 2019) – sono stati da ultimo nuovamente confermati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 57 del 26 marzo 2020), che, sebbene abbia pronunciato con specifico riferimento alla comunicazione antimafia interdittiva che impinge sull’esercizio di una attività imprenditoriale puramente privatistica, ha ribadito le linee fondanti di tale misura preventiva.

In particolare, in detta occasione il giudice delle leggi è stato chiamato ad esaminare la conformità dell’art. 89-bis (e in via conseguenziale dell’art. 92, commi 3 e 4), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. perché priverebbe un soggetto del diritto, sancito dall’art. 41 Cost., di esercitare l’iniziativa economica, ponendolo nella stessa situazione di colui che risulti destinatario di una misura di prevenzione personale applicata con provvedimento definitivo.

Nel respingere la questione di legittimità costituzionale la Corte – prendendo le mosse da una analisi della giurisprudenza di questa Sezione - ha affermato che il fenomeno mafioso rappresenta un quadro preoccupante non solo per le dimensioni ma anche per le caratteristiche del fenomeno, e in particolare – e in primo luogo − per la sua pericolosità (rilevata anche da questa Corte: sentenza n. 4 del 2018). Difatti la forza intimidatoria del vincolo associativo e la mole ingente di capitali provenienti da attività illecite sono inevitabilmente destinate a tradursi in atti e comportamenti che inquinano e falsano il libero e naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana.

Le modalità, poi, di tale azione criminale non sono meno specifiche, perché esse manifestano una grande “adattabilità alle circostanze”: variano, cioè, in relazione alle situazioni e alle problematiche locali, nonché alle modalità di penetrazione, e mutano in funzione delle stesse.

Ha aggiunto la Corte costituzionale che quello che si chiede alle autorità amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell’autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento.

È in questa prospettiva anticipatoria della difesa della legalità che si colloca il provvedimento di informativa antimafia al quale, infatti, è riconosciuta dalla giurisprudenza natura “cautelare e preventiva” (Cons. St., A.P., 6 aprile 2018, n. 3), comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa.

La Corte costituzionale ha quindi fatto riferimento alle situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale, individuate da questa Sezione. Tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;
le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa;
la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011;
i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”;
i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;
le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;
la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;
l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

4. I principi elaborati dalla Sezione e più volte ribaditi dalla Corte costituzionale portano all’accoglimento dell’appello.

É ben vero, come ha affermato parte appellante, che l’interdittiva si fonda essenzialmente sui rapporti di parentela e gli stessi possono supportare la misura preventiva ma a conduzione – come insegna la Corte costituzionale n. 57 del 26 marzo 2020 – che assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”.

Proprio con riferimento ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose la Sezione (29 maggio 2023, n. 5227;
7 febbraio 2018, n. 820) ha chiarito che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;
una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti.

In altri termini, tale influenza può essere desunta dalla doverosa constatazione che l'organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello "clanico", che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicché in una famiglia mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l'influenza, diretta o indiretta, del capofamiglia e dell'associazione (Cons. St., sez. III, 29 maggio 2023, n. 5227).

Questo presupposto – come emerge evidente sub 2 – pare al Collegio presente nel caso di specie, essendo l’appellante genero di -OISSIS- che, nonostante l’assoluzione pronunciata dalla Corte di appello di Reggio Calabria, risulta comunque essere stato vicino alla consorteria mafiosa (come sembra ammettere la stessa parte appellata nella memoria depositata il 15 luglio 2023: pag. 7). Nessun dubbio, inoltre, sulla vicinanza della moglie del -OISSIS-al padre, che andava a trovare spesso in carcere, con il quale non aveva dunque reciso ogni rapporto.

Il rapporto parentale, infatti, connotato da particolare intensità, è sufficiente a “colorare” il dato familiare posto a fondamento del provvedimento interdittivo impugnato in primo grado con i tratti qualificanti che, secondo la citata giurisprudenza della Sezione, devono concorrere per legittimare la estrapolazione dallo stesso della valenza indiziaria necessaria alla dimostrazione, pur di taglio probabilistico, del pericolo di condizionamento mafioso nelle scelte e negli indirizzi dell’impresa attenzionata.

Altro elemento indiziario, al di fuori dei rapporti parentali, è dato dalla circostanza che nel 2012, proprio nel periodo in cui -OISSIS- si è unito in matrimonio con la figlia di -OISSIS-, la -OISSIS-ha cambiato oggetto sociale, da impresa agricola a impresa attiva anche nel settore degli appalti.

Si tratta di indizi da soli idonei, per la loro consistenza, a supportare l’impugnata interdittiva anche alla luce della considerazione che l’assoluzione da parte della Corte di appello nel 2022 costituisce una sopravvenienza, di cui non poteva ancora tenersi conto in sede di procedimento per l’adozione dell’interdittiva.

5. In conclusione, nella specie, correttamente il coacervo di elementi è stato ritenuto dal Prefetto di Reggio Calabria sufficiente ad evidenziare il pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio – come si è detto sub 2 – connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).

6. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

7. Per le ragioni sopra esposte l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata del Tar Reggio Calabria -OISSIS-, va respinto il ricorso di primo grado, essendo l’impugnata interdittiva fondata su di una valutazione prognostica non irragionevole, comunque esente dai vizi dedotti con il ricorso di primo grado.

8. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere compensate tra le parti in causa costituite;
esonera dalla rifusione delle spese il Comune di -OISSIS-e la Città metropolitana di Reggio Calabria, non costituite in giudizio.

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