Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-05-31, n. 202104143

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-05-31, n. 202104143
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104143
Data del deposito : 31 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/05/2021

N. 04143/2021REG.PROV.COLL.

N. 08964/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8964 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato S C, elettivamente domiciliato in Roma, al Viale Carso, n. 51, presso lo studio dell’avvocato A R

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 maggio 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. Roberto Politi;

Nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Espone l’appellante – già Assistente capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Sottosezione autostradale di -OMISSIS- – di essere stato sottoposto a procedimento penale (per i reati di -OMISSIS-).

A seguito di richiesta di applicazione della pena ex art. 444 c.p., il sig. -OMISSIS-veniva condannato alla reclusione per anni uno, mesi due e giorni venti (con sospensione condizionale della pena).

Disposta la sospensione dal servizio, l’Amministrazione di appartenenza avviava, con contestazione di addebiti, azione disciplinare, conclusasi con l’irrogazione della sanzione della destituzione, ai sensi dell’art. 7, comma 2, nn. 1, 2, 3 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981, a far data dal 30 luglio 2009.

2. Con ricorso N.R.G. -OMISSIS-, proposto innanzi alla Sezione staccata di -OMISSIS- del T.A.R. -OMISSIS-, il signor -OMISSIS-ha chiesto l’annullamento del provvedimento anzidetto.

Costituitasi l’Amministrazione intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso, con compensazione fra le parti delle spese di lite.

3. Avverso tale pronuncia, è stato interposto appello, notificato il 28 novembre 2013 e depositato il successivo 10 dicembre, con il quale il sig. -OMISSIS-lamenta che il giudice di prime cure abbia omesso di esaminare le risultanze emerse in sede penale, parametrandole con l’entità della sanzione disciplinare avversata.

Ciò, segnatamente, ove si consideri che la sentenza di condanna è stata resa a seguito di patteggiamento.

Ripropone, quindi, parte appellante le doglianze già in primo grado articolate, così compendiabili:

3.1) Violazione di legge ed eccesso di potere

L’Amministrazione, ai fini della valutazione della responsabilità disciplinare, avrebbe dato automatica rilevanza alle risultanze del procedimento penale, omettendo una compiuta valutazione dei fatti addebitati al sig. -OMISSIS-, al fine di graduare la sanzione al medesimo applicabile.

3.2) Disparità di trattamento. Violazione di legge

Assume parte appellante che sia stata, nella fattispecie, violata la disposizione di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 737 del 1981, atteso che, in presenza di una pluralità di soggetti indagati in sede penale, l’Amministrazione avrebbe dovuto avviare un unico procedimento disciplinare nei confronti di tutti i dipendenti coinvolti.

3.3) Violazione e falsa applicazione di legge

La notifica della richiesta della prosecuzione dell’azione disciplinare è stata effettuata dal Vicario del Questore nei confronti di se stesso (nella qualità di Presidente del Consiglio provinciale di disciplina), con riveniente valutazione, ex ante, di colpevolezza dell’incolpato.

Avrebbe, sul punto, errato il giudice di prime cure, che ha escluso ricorrere alcuna ipotesi di obbligatoria astensione;
ulteriormente osservandosi come i componenti del predetto Consiglio non abbiano avuto modo di consultare il fascicolo formato in sede di procedimento penale.

3.4) Violazione di legge

Il procedimento sarebbe, inoltre, viziato in ragione della mancata menzione della sanzione proposta dal componente dissenziente;
né risulterebbero in atti la relazione del funzionario relatore, nonché la prova che tutti i membri dell’organo ne abbiano preso visione.

3.5) Eccesso di potere

Denuncia da ultimo parte appellante che, anche a fronte dei precedenti di carriera, l’irrogazione della sanzione si sia fondata esclusivamente sulle risultanze penali, ribadendo le già svolte considerazioni in tema di graduazione (segnatamente, con riferimento all’applicazione di omogenea sanzione espulsiva nei confronti di tutti gli incolpati, pur a fronte delle diversificate posizioni ai medesimi facenti capo).

Conclude la parte per l’accoglimento dell’appello;
e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

4. In data 23 dicembre 2013, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio.

5. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 18 maggio 2021.

DIRITTO

1. Giova, preliminarmente, evidenziare gli essenziali tratti motivazionali della gravata sentenza della Sezione staccata di -OMISSIS- del T.A.R. -OMISSIS-.

Con riferimento alla lamentata disparità di trattamento, rispetto ad altri colleghi parimenti coinvolti nella medesima vicenda, il giudice di prime cure ha precisato che “tali colleghi … sono stati anch’essi successivamente sottoposti a distinti procedimenti disciplinari, che si sono conclusi tutti con l’irrogazione della sanzione espulsiva. I relativi ricorsi proposti dagli interessati avverso tali provvedimenti sono stati respinti da questo Tribunale con sentenze -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-;
e l’ultima di tali sentenze è stata confermata dal Consiglio di Stato con sentenza della III sez. -OMISSIS-”.

Quanto alla richiesta della prosecuzione dell’azione disciplinare, effettuata dal vicario del Questore a se stesso in veste di Presidente del Consiglio provinciale di disciplina, il T.A.R. ha ritenuto che – sulla base dell’art. 16 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 e dell’art. 149 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 – possano “far parte della Commissione di disciplina anche coloro che, in ragione del loro ufficio, abbiano dovuto prendere cognizione dei fatti che formano oggetto del procedimento disciplinare, pure se ciò abbia comportato l’assunzione di provvedimenti sfavorevoli nei confronti del pubblico dipendente, non rientrando tale evenienza tra le tassative cause di astensione codificate nei predetti artt. 149 e 16”: sul punto osservando che, “nella specie, l’aver trasmesso – nella qualità di vicario del Questore – gli atti al Consiglio di disciplina non imponeva al Presidente del Consiglio di astenersi, in quanto si era occupato della vicenda nell’esercizio delle sue funzioni di vicario del Questore”.

Osservato, poi, che “la circostanza … che i membri del Consiglio di disciplina non avevano avuto piena conoscenza di tutti gli atti risulta smentita dagli atti da causa dai quali si evince che in sede di svolgimento della discussione orale tutti gli atti del procedimento erano stati analiticamente esaminati”, il Tribunale:

- richiamata l’ampia discrezionalità dell’Amministrazione “in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere e ciò in considerazione degli interessi pubblici che devono essere tutelati attraverso tale procedimento”

- ed evidenziato che “la partecipazione ad un’associazione per delinquere, dedita peraltro alla commissione di reati sfruttando il metus che deriva dall’appartenenza ad un corpo dotato di poteri repressivi, è … un comportamento del tutto incompatibile e antitetico ai compiti e doveri di un tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica”

ha dato atto della “sufficienza del richiamo ai fatti accertati dal giudice penale”, al fine della legittima irrogazione della sanzione nella circostanza inflitta al ricorrente di primo grado.

2. Il provvedimento in prime cure gravato:

- preliminarmente osservato che il sig. -OMISSIS-, “ associandosi in forma stabile ed organizzata con dei colleghi, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, nel corso di servizi di Polizia Stradale, aveva minacciato, in più occasioni, di elevare contravvenzioni al codice della strada nei confronti di autisti di mezzi pesanti di nazionalità straniera, inducendoli a consegnargli somme in denaro”;

- e rilevato che l’appellato, “ con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, indebitamente rifiutava atti del suo ufficio che avrebbe dovuto compiere senza ritardo, segnatamente omettendo di procedere a formale contestazione delle violazioni al codice della strada rilevate nei confronti di autotrasportatori stranieri sottoposti a controllo, arrecando con ciò anche pregiudizio all’erario, in ragione della mancata percezione delle sanzioni pecuniarie collegate agli illeciti fraudolentemente non documentati”;

- ha escluso che le giustificazioni addotte dall’interessato fossero “ sufficienti a sminuire la gravità della condotta addebitata al soggetto, conclamata dagli elementi accertati nell’istruttoria disciplinare ed in sede penale, ponderata anche alla luce dei precedenti disciplinari ed indicativa di totale distacco dai principi deontologici condivisi dall’Amministrazione”, evidenziando la particolare gravità degli ascritti comportamenti, in quanto posti in essere “da chi aveva l’obbligo istituzionale e legale di prevenirli e reprimerli, e che, invece, la loro commissione, avvenuta durante l’espletamento di operazioni di polizia, ha evidenziato nello stesso la più assoluta mancanza del senso dell’onore e della morale, poiché, nella sua qualità di tutore dell'ordine, avrebbe dovuto considerare il disvalore delle sue azioni, astenendosi dal commetterle ed attivando invece ogni attività necessaria, volta ad impedire il perpetuarsi degli illeciti”.

Ritenuto, per effetto di quanto sopra riportato, il comportamento tenuto dal sig. -OMISSIS-“ oltremodo riprovevole e assolutamente inconciliabile con le funzioni di un operatore di polizia, pregiudizievole per il servizio e tale da rendere incompatibile una sua ulteriore permanenza nella Polizia di Stato”, l’Amministrazione ha dato atto della definitiva compromissione del “rapporto fiduciario … anche con la collettività, in modo tale da non poter più esercitare le delicate funzioni istituzionali demandategli”: per l’effetto, pervenendo all’adozione della misura espulsiva, in prime cure gravata.

3. Quanto sopra premesso, le doglianze articolate con l’appello all’esame non si prestano a condivisione.

3.1 In primo luogo, l’acritica adesione alle risultanze del procedimento penale (e, segnatamente, della sentenza con la quale è stata accertata la responsabilità dell’odierno appellato, con conseguente condanna dello stesso alla pena di anni uno, mesi due e giorni venti di reclusione) risulta, invero, smentita dal riportato contenuto motivazionale del provvedimento gravato in prime cure, laddove:

- pur a fronte della presa d’atto dei fatti e delle circostanze rilevanti a fini della declaratoria di responsabilità penale dell’incolpato (per un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’Amministrazione ben potendo assumere a presupposto gli stessi fatti oggetto del procedimento penale, con l’onere di valutare i medesimi accadimenti nell’ambito del procedimento disciplinare, ferma restando l’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità operato dal giudice penale: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 gennaio 2020, n. 468),

- nondimeno, la procedente Amministrazione ha proceduto ad un’autonoma valutazione degli stessi, nel quadro delle fattispecie (di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 7 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737) suscettibili di determinare l’irrogazione della sanzione della destituzione.

Esse contemplano, in particolare:

- gli atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale;

- gli atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento;

- il grave abuso di autorità o di fiducia;

- la dolosa violazione dei doveri, che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, all'Amministrazione della pubblica sicurezza, ad enti pubblici o a privati.

Nell’osservare come la motivazione del provvedimento espulsivo abbia, correttamente ed adeguatamente, dato conto del contrasto delle condotte poste in essere dall’odierno appellato, rispetto ai doveri sul medesimo istituzionalmente incombenti, con riferimento alla violazione delle previsioni da ultimo riportate, va ulteriormente osservato come il successivo art. 13 disponga che l’organo competente ad infliggere la sanzione debba:

- “tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e dell'anzianità di servizio”;

- “sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali”.

Proprio il concorso con altri colleghi, quanto ai comportamenti sanzionati in sede penale (ed oggetto di attenzione nell’ambito del procedimento disciplinare in discorso), integra più grave fattispecie sanzionabile;
rispetto alla quale anche buoni precedenti di servizio, dimostrano inevitabilmente recessiva valenza, attesa la primaria esigenza dell’Amministrazione di stigmatizzare condotte che, oltre ad essere connotate da mancanza del senso morale e dell’onore (con riveniente violazione dell’obbligo di fedeltà), si rilevano efficienti ai fini di determinare discredito in capo all’Istituzione.

3.2 Escluso, poi, che possa assumere rilevanza l’affermata disparità di trattamento, dalla parte appellante evocata con riferimento ad altri colleghi parimenti coinvolti nella medesima sequenza di condotte (i quali, come posto in luce dal giudice di prime cure, sono anch’essi stati sottoposti a procedimento disciplinare e sanzionati), va disattesa la doglianza con la quale il sig. -OMISSIS-ha censurato l’irrogata sanzione, a fronte del non osservato obbligo di astensione da parte di uno dei componenti del Consiglio di disciplina.

In particolare, viene lamentato che il Presidente del Consiglio Provinciale di Disciplina abbia predisposto, nella qualità di Vicario del Questore (temporaneamente assente) l’atto di deferimento del sig. -OMISSIS-al giudizio del medesimo organo.

In proposito, si osserva che l’art. 16 del D.P.R. n. 737 del 1981, al comma 10, stabilisce che “il presidente o i membri dei consigli di disciplina possono essere ricusati o debbono astenersi ove si trovino nelle condizioni di cui all'art. 149 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3”.

Tale ultima disposizione, a sua volta, prevede (comma 1, lett. b) che “il componente della Commissione di disciplina può essere ricusato … se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle sue funzioni”.

Escluso che le cause di incompatibilità siano suscettibili di lettura estensiva (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. III, 18 aprile 2012, n. 2264), la trasmissione dell’atto di deferimento ad opera del Vice Questore (nella qualità di Vicario del Questore) al Consiglio di disciplina non integra alcuna delle fattispecie dalle disposizioni anzidette qualificate come di incompatibilità, attesa la carente manifestazione, ad opera del suindicato funzionato, di parere alcuno sull’oggetto del procedimento, fuori dell'esercizio delle funzioni al medesimo rimesse.

3.3 Né il giudizio reso dal Consiglio è inficiato, come ulteriormente sostenuto dalla parte appellante, in quanto in esso non vi sarebbe menzione della sanzione proposta dal componente dissenziente;
ulteriormente censurandosi:

- la mancata menzione della relazione del funzionario relatore

- e l’assenza di prova, quanto alla presa visione degli atti da parte di tutti i membri dell’organo.

Il comma 7, lett. b), del D.P.R. n. 737 del 1981 stabilisce che “qualora nella votazione si manifestino più di due opinioni, i componenti il consiglio che hanno votato per la sanzione più grave si uniscono a quelli che hanno votato per la sanzione immediatamente inferiore fino a che venga a sussistere la maggioranza. In ogni altro caso, quando su una questione vi è parità di voti, prevale l'opinione più favorevole al giudicando”.

L’inapplicabilità della predetta disposizione, quanto alla vicenda all’esame, appieno rileva, laddove si consideri che, fin dalla prima votazione, risulta essere stata raggiunta dal Consiglio una maggioranza, quanto alla proposta di sanzione da irrogare nei confronti del sig. -OMISSIS-;
né, altrimenti, la norma all’esame impone che nel conclusivo giudizio venga dato conto del contenuto e delle motivazioni espresse dal componente dissenziente.

Quanto, poi, alla mancata redazione della “relazione del relatore”, nessuna disposizione del D.P.R. n. 737 del 1981 prevede che tale atto debba formare oggetto di integrale trascrizione, atteso che, secondo quanto disposto dall’art. 21 dello stesso D.P.R., la delibera viene sottoscritta dal presidente, dall’estensore e dal segretario del Consiglio, mentre i verbali delle sedute del Consiglio vengono firmati da tutti i componenti, compreso il relatore.

Né, ulteriormente, parte appellante ha fornito alcuna dimostrazione in ordine alla mancata cognizione, da parte di questi ultimi, degli atti del procedimento disciplinare: non potendosi, per l’effetto, dare ingresso a censure che, non sollevandosi dal rango di indimostrate asserzioni, non ricevano dal contenuto degli atti del procedimento neppure indiretta dimostrazione, rilevante almeno sotto il profilo meramente indiziante.

3.4 Non rivelano, da ultimo, condivisibilità le doglianze dalla parte dedotte con riferimento al difetto motivazionale che invaliderebbe l’avversata determinazione espulsiva, segnatamente sotto il profilo della mancata ostensione delle ragioni che hanno indotto all’irrogazione della destituzione, con affermata violazione del principio di gradualità e proporzionalità della sanzione.

In proposito, va preliminarmente rammentato, in termini generali, che, per costante giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., ex multis, Sez. IV, 23 marzo 2020, n. 2020, 21 gennaio 2020, n. 484 e 15 gennaio 2020, n. 381;
Sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858 e 16 aprile 2015, n. 1968;
Sez. III, 20 marzo 2015, n. 1537), “ la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità”.

Quanto alla vicenda all’esame, non si presta a condivisione il lamentato difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, in quanto la natura e la oggettiva gravità dei fatti addebitati all’appellante rendono non irragionevole la valutazione di mancanza dell’etica professionale, del senso morale e dell’onore, che devono essere dimostrati dal pubblico dipendente nello svolgimento del servizio d’istituto.

Le condotte addebitate al sig. -OMISSIS-si prestano, infatti, ad essere valutate quali comportamenti in totale spregio dei doveri assunti con il giuramento, e tali da pregiudicare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l’Amministrazione: dovendo, al riguardo, essere tenuti in considerazione i superiori interessi pubblici, nonché le aspettative riposte dall’Amministrazione e dal consorzio civile in ogni operatore.

La oggettiva gravità dei fatti contestati (ed accertati in sede penale), che si pongono in netto contrasto con la rettitudine nello svolgimento del servizio e con la morale richiesti al dipendente, così arrecando un grave pregiudizio all’Amministrazione di appartenenza, escludono che nella fattispecie sia ravvisabile, quanto all’inflitta sanzione, quel carattere di abnormità o manifesta illogicità, irragionevolezza e sproporzionalità, tale da concretare il dedotto eccesso di potere.

Invero, la complessiva condotta tenuta dal ricorrente, oggetto del procedimento penale, costituisce grave violazione degli obblighi di servizio, perché in contrasto con i doveri di correttezza, lealtà e rettitudine in ragione delle peculiari qualifiche dallo stesso rivestite, e per tale motivo giustifica pienamente l’applicazione della massima sanzione disciplinare.

4. La constatata infondatezza delle doglianze articolate con il presente appello, ne impone la reiezione, con riveniente conferma della sentenza di primo grado.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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