Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-03-14, n. 201801623

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-03-14, n. 201801623
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801623
Data del deposito : 14 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/03/2018

N. 01623/2018REG.PROV.COLL.

N. 08118/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8118 del 2017, proposto da:
Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato B D R, con domicilio eletto presso lo studio Riccardo Vicere' in Roma, Lungotevere Flaminio, 60;

contro

V G, in qualità di esercente la potestà nei confronti della figlia incapace, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Agenzia di Tutela della Salute Città Metropolitana di Milano (già Azienda Sanitaria Locale Milano 2), Regione Lombardia, Assemblea Distrettuale dei Sindaci del Distretto n. 5 ASL MI 2, Società Cooperativa Sociale Insieme a r.l. O.N.L.U.S., non costituiti in giudizio;

per l'ottemperanza

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE III, n.-OMISSIS-, resa tra le parti, concernente ottemperanza della sentenza del TAR Lombardia, Sezione III, n. -OMISSIS-, concernente ripartizione spese per l’assistenza di disabile grave;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2018 il Cons. Pierfrancesco Ungari e udito per il Comune appellante l’avvocato B D R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia concerna la ripartizione delle spese necessarie al mantenimento della -OMISSIS-disabile grave inserita con d.G.C. n. -OMISSIS-presso il Centro Diurno per persone Disabili (C.D.D.) del Comune di -OMISSIS- e presso la Comunità Sociosanitaria (C.S.S.) Accoglienza di -OMISSIS-, dove si trova tuttora.

2. Con sentenza n. -OMISSIS-, il TAR della Lombardia ha accolto parzialmente il ricorso dell’odierno appellato, padre e tutore di -OMISSIS-, annullando la nota comunale in data 2 febbraio 2012, l’art. 25, in parte qua e l'art. 40, comma 3, della d.C.C. n. 14/2003, nonché la d.G.C. n. -OMISSIS-, nella parte in cui prevedeva una quota mensile per spese personali di soli 50,00 euro mensili.

2.1. In particolare, il TAR, ai fini dell’accoglimento, ha affermato che l’art. 8 della l.r. Lombardia 3/2008 prevede ai fini della compartecipazione dell’utenza la valutazione della situazione reddituale e patrimoniale della sola persona assistita (e non anche dei familiari) e che il Comune non può chiedere un contributo a soggetti diversi da quelli indicati dalla legge, che non è comunque possibile l’incameramento dell’intero importo dei benefici assistenziali, in quanto una quota non irrilevante deve rimanere al disabile (il TAR ha precisato che non era tale il suddetto importo di 50,00 euro mensili, in quanto non teneva conto dell’impegno che la famiglia profonde per l’assistenza del disabile, riducendo la disponibilità economica di questa ai minimi termini, quasi si trattasse di somme assegnate ad un minore per le sua spese voluttuarie, mentre si tratta di somme nella disponibilità della famiglia per assistere un suo componente nello svolgimento della sua vita di relazione), che i soggetti indicati dall’art. 3 della l.r. cit. hanno titolo ad essere previamente consultati.

2.2. Il TAR ha invece respinto le censure volte a rivendicare nei confronti della Regione Lombardia l’adempimento dell’obbligo di far fronte al 70% degli oneri dei servizi residenziali per disabili gravi, come previsto dal d.P.C.M. 29 novembre 2001, ritenendo omessa, ovvero formulata genericamente l’impugnazione delle deliberazioni regionali che avevano quantificato il relativo contributo (a quanto sembra, in un “voucher sanitario” giornaliero di euro 20,75 per la C.S.S. e 58,00 per il C.D.D.).

2.3. La sentenza ha ordinato al Comune di -OMISSIS- di ridefinire la base imponibile della compartecipazione alla spesa per il mantenimento della disabile e revisionare il regolamento comunale sui servizi socio sanitari, sulla base dei predetti criteri.

3. Il Comune di -OMISSIS- ha inteso dare esecuzione alla sentenza mediante le d.G.C. n.-OMISSIS-.

3.1. Con la prima, il Comune ha rideterminato la quota di compartecipazione richiesta all'utente, commisurandola alla sola indennità di accompagnamento, pari a euro 512,34 mensili per l’anno 2016, ed ha stabilito la propria compartecipazione nella misura (ex punto 9 dell’allegato 1C del d.P.C.M. 29 novembre 2001) del 30%, al netto della predetta quota a carico dell’assistita.

3.2. Con la seconda, ha espresso l’indirizzo della non cumulabilità del beneficio del ricovero in regime di residenzialità presso C.S.S. o R.S.D. con quello in regime di semi residenzialità presso C.D.D.;
quindi, con nota applicativa n. 11027 del 25 luglio 2016, dopo aver sottolineato che le prestazioni sociosanitarie diurne ricomprese nelle rette applicate dalla C.S.S. e dal C.D.D. (entrambe gestite dalla medesima Cooperativa “Insieme” di -OMISSIS-) erano pressoché analoghe e, conseguentemente, non potevano esser interamente fruite dalla persona disabile, benché ricomprese in entrambe le rette, ha ritirato il contributo comunale per la frequenza del C.D.D. di -OMISSIS- da parte della sig.ra -OMISSIS-

4. L’odierno appellato ha impugnato in sede di ottemperanza le delibere n. 35/2016 e n. -OMISSIS-, unitamente alla nota comunale prot. -OMISSIS-, predette, chiedendone la dichiarazione di nullità o l’annullamento.

Ha lamentato in quella sede che, per effetto di tali atti, in violazione della sentenza n. -OMISSIS-: il contributo del Comune per il servizio residenziale sia passato da euro 1.250,00 a poco più di 670,002 mensili, così che gli oneri restanti siano rimasti addossati alla famiglia;
per l’arretrato accumulatosi siano stati riconosciuti alla sola -OMISSIS- l’insufficiente somma di 27.133,67 euro;
gli sia stato chiesto un contributo per il servizio C.D.D. per gli anni 2012/2016 pari ad ulteriori 3.769,93;
il Comune pretenda di incamerare interamente, anziché nei limiti previsti dalla disciplina ISEE, il valore di un immobile in -OMISSIS-, di cui la sig.ra -OMISSIS- aveva una quota e che la famiglia ha dovuto vendere, versando interamente il prezzo in conto retta.

5. Il TAR Lombardia, con la sentenza appellata (III, n. 1616/2017) ha ritenuto di non poter accogliere, allo stato, il ricorso di ottemperanza.

5.1. Ha anzitutto rilevato che la materia ha formato oggetto di una evoluzione normativa statale importante costituita dall’approvazione del nuovo ISEE e dei nuovi LEA, che prevalgono sempre sulla disciplina regionale, e che, rispetto alla disciplina sopravvenuta (che prevede anche il divieto di utilizzo di assegni di natura assistenziale che non rientrano nell’ISEE), il giudicato non può prevalere, anche perché i rapporti futuri sono estranei all’oggetto del giudizio.

Conseguentemente, per le prestazioni successive agli atti impugnati, ha disposto la conversione del giudizio e la prosecuzione nelle forme del rito ordinario di cognizione.

5.2. Per quanto riguarda, invece i rapporti pregressi, ha ritenuto che, non essendo possibile definire se vi fosse stata inottemperanza o meno in quanto non era chiaro il contenuto della retta che il Comune e la famiglia sono chiamati a coprire, allo stato potessero essere dati esclusivamente chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza ex art. 112, comma 5, cod. proc. amm..

In questa prospettiva, ha precisato che:

- le parti debbono richiedere alla struttura di accoglienza la composizione della retta richiesta all’assistito, al fine di stabilire se essa sia riferita solo ai costi alberghieri dell’assistenza, oppure anche a prestazioni sanitarie;
- una volta stabilito se si tratta di una retta sociale o sociale-sanitaria, per la parte sociale il Comune deve stabilire la compartecipazione del privato, in quanto la legge pone a carico dello stesso la partecipazione primaria, calcolando le disponibilità economiche dell’assistito mediante l’ISEE;

- il Comune provvederà quindi a determinare la propria quota di partecipazione, tenendo conto che, alla luce dell’art. 38 Cost., si tratta di una funzione obbligatoria che non può essere trasformata in facoltativa stabilendo livelli di contribuzione che non garantiscano l’assistenza agli indigenti (ha aggiunto il TAR, con crudo realismo, che, poiché l’ordinamento impedisce ai genitori di sopprimere i disabili alla nascita e gli impone obblighi di mantenimento, tocca all’amministrazione di impedire che ciò conduca all’indigenza il disabile e la sua famiglia).

6. Il Comune di -OMISSIS- ha appellato la sentenza, prospettando gli ordini di censura appresso indicati.

6.1. Il TAR ha omesso di pronunciare sull’eccezione di inammissibilità parziale del ricorso in ottemperanza relativamente alla domanda di nullità/annullamento della delibera n. -OMISSIS-, che non incide neanche indirettamente sul giudicato;
la conversione del rito ex art. 32, comma 2, cod. proc. amm., presuppone che l’azione sia proposta (non già entro il termine dell’ actio iudicati , bensì) entro il termine decadenziale, che nel caso in esame non sarebbe stato rispettato.

6.2. Il TAR ha di fatto rimesso alla discrezionalità della struttura di accoglienza la determinazione delle componenti (o quote, c.d. sanitaria e sociale) della retta, senza tener conto che la ripartizione percentuale tra Regione e Comune è stabilita dalla norma. La cooperativa Insieme, alla quale il Comune ha reiteratamente richiesto di indicare la quota riferibile a costi alberghieri (ma che è ben consapevole che la determinazione del contributo regionale non può essere messa in discussione e che sarebbe ben difficile recuperare dall’utente quanto dovuto), continua a sostenere che l’intera retta applicata all’assistita -OMISSIS- rientra nella quota c.d. sociale, di fatto così ponendo a carico della Regione, in violazione dei d.P.C.M. 14 febbraio 2001, 29 novembre 2001 e 12 gennaio 2017, nonché del giudicato formatosi sulla sentenza n. -OMISSIS-, solo il 18%, mentre la parte residua grava sul Comune;
la sentenza appellata finisce con l’assegnare ad un soggetto non imparziale la decisione su chi deve pagare la retta.

6.3. Il TAR ha errato nel non riconoscere l’avvenuta ottemperanza da parte del Comune, rimettendo invece alla struttura socio sanitaria l’indicazione delle componenti della retta di degenza;
questa ultima, dopo reiterate richieste, ha comunicato (nota prot. -OMISSIS-) che la retta richiesta va interamente “considerata ai fini della determinazione della retta alberghiera che comprende la totale gestione delle esigenze di cura e assistenza delle quali necessita la sig.ra … [-OMISSIS-]”. Il TAR, sebbene sollecitato dal Comune resistente, non ha svolto alcuna considerazione sull’eccessiva onerosità dei costi relativi al servizio erogato e sull’inserimento dell’assistita presso la C.S.S. di -OMISSIS- (anziché presso altre strutture operanti sul territorio, assai più economiche), scelta fatta dalla famiglia senza che il Comune fosse mai coinvolto.

6.4. Il TAR ha omesso di pronunciarsi anche in ordine alla richiesta del Comune di dichiarare non rimborsabile la retta relativa al ricovero in regime di semi residenzialità presso un C.D.D. con quella relativa al ricovero in regime di residenzialità presso una C.S.S. o una R.S.D., pur essendo evidente l’alternatività dei due regimi e la duplicazione di costi per il medesimo servizio che in caso contrario ne deriverebbe.

7. Né il padre di -OMISSIS-, né la Regione Lombardia, né la cooperativa che gestisce i servizi di assistenza si sono costituiti in giudizio.

8. Va anzitutto disattesa la prima censura, concernente l’impugnazione della d.G.C. n. -OMISSIS-.

E’ evidente che la conversione del rito disposta dal TAR ha presupposto la sola valutazione della non riconducibilità dell’impugnazione all’ambito dell’ottemperanza, e ogni valutazione concernente le pretese per le quali il TAR ha disposto la prosecuzione del giudizio nelle forme del rito ordinario, ivi compresa la questione della eventuale tardività dell’impugnazione, è demandata ad una nuova fase di giudizio in primo grado.

Le pretese per le quali è stata disposta la prosecuzione del giudizio sono infatti tutte quelle relative alle “prestazioni successive agli atti impugnati” (punto 2.3. della sentenza appellata), in quanto da tali atti disciplinate e riferibili ad un mutato quadro normativo, e quindi comprendono ogni questione relativa all’impugnazione degli atti stessi, compresa la d.G.C. n. -OMISSIS-.

Del resto, non è stato prospettato che l’applicazione della disciplina dettata dalla d.G.C. n. -OMISSIS- possa essere retroattiva.

Riguardo all’eccezione di irricevibilità del ricorso, dunque, non vi è stata omissione di pronuncia bensì mero rinvio ad una successiva fase di giudizio, secondo il rito ordinario.

9. Quanto esposto dimostra anche l’infondatezza del quarto ordine di censure, in quanto concernente la questione dell’alternatività (non cumulabilità) dei regimi assistenziali in C.S.S./R.S.A. e C.D.D. e delle relative rette, aspetto centrale nell’impugnazione della d.G.C. n. -OMISSIS- e della nota applicativa prot. -OMISSIS-

Anche sotto questo profilo, non vi è stata omessa pronuncia, ma rinvio alla successiva fase di giudizio.

10. Occorre poi precisare, per attinenza, che esula dal presente giudizio ogni valutazione sulla congruità della scelta della struttura assistenziale nonché delle rette richieste dal gestore del servizio, non venendo in rilievo un’impugnazione degli atti con i quali i ricoveri sono stati disposti o le rette quantificate, ma soltanto questioni di ripartizione tra i soggetti onerati.

Del resto, il Comune in primo grado ha sottolineato la sua estraneità alla scelta (e la possibilità di accedere ad altre strutture della zona, assai più economiche) al solo fine di contestare le pretese del ricorrente.

11. Il secondo e terzo ordine di censure appaiono in larga parte sovrapponibili.

11.1. Il Collegio osserva che il d.P.C.M. 14 febbraio 2001, all’art. 3, prevede che “ Sono da considerare prestazioni sanitarie a rilevanza sociale le prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale. Dette prestazioni, di competenza delle aziende unità sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell'àmbito di strutture residenziali e semiresidenziali ” (comma 1) e che “ Sono da considerare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute. Tali attività, di competenza dei comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi e si esplicano attraverso: … d) gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell'autonomia, non assistibili a domicilio;
… f) ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente. Dette prestazioni, inserite in progetti personalizzati di durata non limitata, sono erogate nelle fasi estensive e di lungoassistenza.
” (comma 2).

Secondo l’art. 4, comma 1, “ La regione nell'àmbito della programmazione degli interventi socio-sanitari determina gli obiettivi, le funzioni, i criteri di erogazione delle prestazioni socio-sanitarie, ivi compresi i criteri di finanziamento, tenendo conto di quanto espresso nella tabella allegata . …”

Nella tabella, quanto ai criteri di finanziamento (% di attribuzione della spesa), per ciò che appare riferibile alla lungoassistenza, si prevede una ripartizione del “ 70% a carico del SSN e 30% a carico dei Comuni, fatta salva la partecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale, per l’assistenza in strutture semiresidenziali e residenziali per disabili gravi, in strutture accreditate sulla base di standard regionali ”.

Analogamente, nell’allegato 1C del d.P.C.M. 29 novembre 2001, riguardo all’assistenza territoriale sia semiresidenziale (n. 8) che residenziale (n. 9), per le “prestazioni diagnostiche, terapeutiche e socio-riabilitative … per disabili gravi”, è prevista a carico dell’utente o del Comune una percentuale del 30% dei costi.

Va aggiunto che il d.P.C.M. 12 gennaio 2017 qui non rileva, in quanto si applica alle prestazioni successive a quelle che, con statuizione per tale aspetto non appellata, sono state ritenute comprese nel giudizio di ottemperanza.

11.2. La legge regionale non considera espressamente una diversa ripartizione della spesa tra Regione e Comune, rilevando invece, come è emerso nelle fasi precedenti del giudizio, sotto i diversi profili dell’individuazione dei limiti di compartecipazione dell’utenza.

11.3. Tra i soggetti pubblici, si applica quindi la ripartizione disposta dalla disciplina statale, che rappresenta una forfettizzazione dell’incidenza rispettiva della componente sanitaria (a rilevanza sociale) e di quella sociale (a rilevanza sanitaria), in un trattamento assistenziale nel quale, come ha ricordato anche il TAR, l’intreccio è particolarmente rilevante.

Tale ripartizione riposa su una presunzione normativa di quello che è, o dovrebbe essere, mediamente, il rapporto tra i costi dell’una e dell’altra componente, e prescinde necessariamente dalla considerazione delle situazioni dei singoli assistiti, e tanto meno può essere affidata alla determinazione di ciascun soggetto erogatore.

11.4. Da quanto esposto, discende che l’impostazione data dal TAR all’ottemperanza non è condivisibile, in quanto le percentuali di partecipazione alla spesa sono prefissate dalla norma.

11.5. Tuttavia, non per questo è fondata la pretesa del Comune di -OMISSIS- ad essere riconosciuto ottemperante per il fatto di aver calcolato il proprio contributo nella misura (secondo quanto prospettato, non avendo il Collegio modo di verificare se ciò sia in concreto effettivamente avvenuto) del 30% della retta.

E’ utile rimarcare come in primo grado il ricorrente avesse prospettato che, pur di fronte alla ripartizione percentuale stabilita dal d.P.C.M. 14 febbraio 2001, il Comune si sarebbe dovuto far carico della quota gravante sulla Regione (ma non erogata da questa).

Il TAR non ha pronunciato su tale aspetto dell’impugnazione, che, peraltro, al Collegio sembra (rilevante, ai fini di contrastare la pretesa del Comune appellante e) condivisibile.

Infatti, in base al principio della presa in carico personalizzata, desumibile dagli artt. 6 e 14 della legge 328/2000, nonché 2 e 7 della l.r. 3/2008, e comunque ai principi di sussidiarietà, cooperazione, omogeneità, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, affermati dall’art. 1, comma 3, della legge stessa 328/2000, quali principi informatori del sistema integrato di interventi e servizi sociali, è il Comune che deve garantire il servizio al cittadino. Salvo poi agire nei confronti degli altri soggetti onerati, per l’eventuale recupero delle somme necessarie al pagamento del servizio, che non possono certo essere scaricate sull’utente o sulla famiglia.

Tali considerazioni conducono a ritenere che – fermo restando l’obbligo definitivo del Comune di -OMISSIS- sopportare la quota pari al 30% della retta, al netto della compartecipazione alla spesa dell’assistita (come definita in primo grado) – il Comune non possa sottrarsi all’ulteriore onere di anticipare la parte residua non coperta dal contributo stabilito dalla Regione Lombardia, qualora ciò sia necessario al fine di evitare la sospensione del servizio in favore dell’assistita.

In questo senso, alla luce della pretesa azionata dall’odierno appellato e di quanto stabilito dal TAR, non può essere accertata la piena ottemperanza del Comune.

12. In conclusione, l’appello deve essere respinto, meritando conferma l’esito di prosecuzione dell’ottemperanza dinanzi al giudice di primo grado, seppur con la diversa motivazione sopra esposta e quindi con riferimento ai diversi parametri di ottemperanza che ne discendono.

13. Può aggiungersi, per completezza, che resta impregiudicata ogni ulteriore azione da parte del Comune di -OMISSIS- nei confronti della Regione Lombardia, volta ad ottenere la contribuzione in misura pari al 70% stabilito dalla normativa – non ostandovi la circostanza che, nei confronti dell’odierno appellato, sia intervenuta una pronuncia negativa in ordine all’impugnazione del provvedimento che aveva, pro-tempore , inteso quantificare la quota regionale di contribuzione.

14. D’altro canto, non sembra debba ritenersi preclusa nemmeno un’ulteriore azione da parte dell’odierno appellato. Infatti, se è vero che gli atti di programmazione sanitaria, ed anche quelli che stabiliscono l’impegno finanziario delle Amministrazioni pubbliche, hanno di regola un contenuto autoritativo, non per questo la situazione giuridica di colui il quale rivendica la piena tutela della salute (sotto il profilo del pagamento dei costi dell’assistenza socio sanitaria), propria o del soggetto che rappresenta legalmente, cessa di essere un diritto soggettivo incomprimibile, con ogni conseguenza in termini di opportunità di tutela giurisdizionale nei confronti di una Amministrazione che non abbia rispettato appieno la misura del proprio impegno finanziario prevista dalla normativa.

15. Nulla per le spese del grado di giudizio, in assenza di costituzione delle controparti.

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