Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-06-26, n. 201703123
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Pubblicato il 26/06/2017
N. 03123/2017REG.PROV.COLL.
N. 02791/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2791 del 2013, proposto da:
Ministero dell’Economia e delle Finanze - Comando Generale della Guardia di Finanza Roma, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
T R e T A, quali eredi di T U, rappresentate e difese dall’avvocato P N, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L P M in Roma, via Giambattista Vico, n. 1;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. - SEZIONE AUTONOMA DI BOLZANO, n. 373/2012, resa tra le parti e concernente: risarcimento danni da illegittimo provvedimento disciplinare di natura espulsiva;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 1° dicembre 2016, il consigliere Bernhard Lageder e uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato Galluzzo e l’avvocato Prosperi Mangilli, in dichiarata delega dell’avvocato Nardini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il T.r.g.a. - Sezione autonoma di Bolzano pronunciava definitivamente sul ricorso n. 50 del 2011, proposto da T U (deceduto in corso di causa) nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Comando Generale della Guardia di Finanza per sentir condannare l’Amministrazione resistente al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da rimozione illegittima.
1.1. Il ricorrente (nato il 3 settembre 1940) era entrato nella Guardia di Finanza nel 1961, raggiungendo nel 1968 il grado di appuntato.
Lo stesso, nella primavera del 1980, era in servizio a S. Candido nell’ufficio di dogana alla frontiera con l’Austria, quando insieme a due colleghi finanzieri asportò dall’ ex caserma abbandonata “Val di Landro” alcuni radiatori dell’impianto di riscaldamento.
Per tale fatto veniva imputato del reato di concorso in furto militare, con la circostanza aggravante di aver commesso il reato in concorso con subordinati.
Il ricorrente, con sentenza n. 24/1981 del 27 febbraio 1981 del Tribunale militare di Verona, è stato assolto dall’imputazione con la formula “perché il fatto non costituisce reato per mancanza di dolo” (sotto il profilo che i radiatori asportati potevano essere considerati alla stregua di res derelictae ).
Ancora in pendenza del procedimento penale, il ricorrente è stato sottoposto a procedimento disciplinare definito con provvedimento n. 6525 del 7 maggio 1982, con cui gli è stata inflitta la sanzione della perdita di grado per rimozione, con conseguente cessazione del servizio.
Su ricorso del sig. T, il T.a.r. per il Lazio annullava la sanzione con sentenza n. 1999/1998 del 6 novembre 1998 (passata in giudicato), per carenza di motivazione e con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Il Comando generale della Guardia di Finanza, in sede di riedizione del potere, rinnovava l’atto finale precedentemente annullato e, con atto n. 1751 del 30 novembre 1999, confermava sostanzialmente il contenuto del primo provvedimento (rimozione con perdita di grado e cessazione dal servizio).
Anche il nuovo provvedimento sanzionatorio è stato annullato dal T.a.r. per il Lazio, con sentenza n. 7712/2001 del 21 settembre 2001 (confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 4327/2009 del 9 luglio 2009), per violazione del termine perentorio di sessanta giorni (sia dalla comunicazione sia dalla notificazione della prima sentenza di annullamento), quale previsto dall’art. 5 l. 27 gennaio 1968, n. 37.
Su istanza di diffida ad adempiere, il Comando generale della Guardia di Finanza, con provvedimento del 22 dicembre 2008, ne disponeva la reintegrazione con riserva nel grado di appuntato e la riammissione in servizio a decorrere dal 7 maggio 1982 fino alla data di congedo per raggiunti limiti di età (4 settembre 1996).
Per tutti gli anni del contenzioso, il ricorrente aveva lavorato come operaio presso l’impresa Boatto S.r.l. in Dobbiaco, cessando dal servizio per pensionamento il 16 aprile 2003.
Messa nuovamente in mora, la Guardia di Finanza, nel 2009, provvedeva anche alla ricostruzione economica della carriera, pagando gli arretrati previa detrazione dei redditi percepiti come operaio.
Sulla base di queste premesse di fatto, il sig. T ha promosso il giudizio dinanzi al T.r.g.a. - Sezione autonoma di Bolzano per ottenere l’integrale risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, esposti nell’importo complessivo di 1.500.000,00 (o nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia).
Dopo il decesso del ricorrente in data 28 luglio 2011, la causa veniva proseguita dagli eredi, i quali si sono costituiti con comparsa di costituzione ex artt. 300 e 302 cod. proc. civ., depositata il 23 novembre 2011.
1.2. In particolare, il T.r.g.a. adìto, con la sentenza in epigrafe, provvedeva come segue:
(i) respingeva le eccezioni di inammissibilità della costituzione delle eredi (e delle domande da esse proposte), di carenza di giurisdizione, di incompetenza territoriale e di prescrizione, sollevate dall’Amministrazione resistente;
(ii) affermava la responsabilità contrattuale dell’Amministrazione resistente per aver irrogato al ricorrente una sproporzionata sanzione espulsiva (e insistito nella relativa irrogazione dopo un primo annullamento), e per aver in seguito ricostituito la sua carriera con notevole ritardo (nel 2009, quando il medesimo aveva ormai un’età di 69 anni) e in modo incompleto;
- al contempo, affermava il concorso del fatto colposo dello stesso ricorrente nella causazione del danno ai sensi dell’art. 1227, comma 1, cod. civ., poiché il fatto commesso nell’anno 1980 avrebbe senz’altro comportato ripercussioni negative sulla sua carriera;
(iii) fissava i criteri di ricostruzione della carriera ai fini della liquidazione del danno, ritenendo – sulla base di un giudizio probabilistico fondato su elementi presuntivi – non inverosimile che il ricorrente avrebbe percorso i vari scalini della carriera con un anno di ritardo a causa del fatto commesso nel 1980 (e in ciò consisteva la valorizzazione del concorso di colpa), e che lo stesso, pertanto, avrebbe raggiunto il grado di vicebrigadiere nell’ottobre 1990 (con certezza), il grado di brigadiere nel maggio 1992 (con certezza), il grado di brigadiere scelto nel novembre 1993 (con una probabilità vicina al 90%) ed il grado di brigadiere capo nel maggio 1994 (con una probabilità vicina al 80%), per essere congedato con tale grado il 4 settembre 1996 per raggiunti limiti di età;
- alle somme spettanti al ricorrente in applicazione di tali criteri aggiungeva, con decorrenza dal mese di gennaio 1990, l’aumento stipendiale per l’incarico di ufficiale di polizia giudiziaria, nonché, fino al 1995 (anno di abolizione dei controlli alle frontiere), l’indennità di dogana, oltre alla correlativa incidenza sulle indennità di fine rapporto, il tutto maggiorato della rivalutazione monetaria e degli interessi legali nei limiti di cui all’art. 22, comma 36, l. n. 724/1994, mentre nulla riconosceva a titolo di lavoro straordinario, festivo o notturno;
- in decurtazione della somme così riconosciute, applicava un “coefficiente di riduzione” sulla base della compiuta valutazione probabilistica di raggiungimento dei vari gradi, disponendo che, fino al grado di brigadiere raggiunto nel mese di maggio 1992, la carriera economica andava ricostituita al 100%, mentre le differenze stipendiali tra il grado di brigadiere ed il grado di brigadiere scelto, raggiunto nel mese di novembre 1993, andavano decurtate del 10% e le differenze stipendiali tra il grado di brigadiere scelto ed il grado di brigadiere capo, raggiunto nel mese di maggio 1994, andavano decurtate del 20%, nonché detraendo l’ aliunde perceptum in virtù del rapporto di lavoro intercorso con la Boatto S.r.l. fino al 4 settembre 1996, data del pensionamento, oltre alle somme già percepite in seguito alla ricostruzione attuata dall’Amministrazione nel 2009;
- a titolo di danno non patrimoniale riconosceva in favore del ricorrente, in via equitativa, un importo pari al 10% delle somme come sopra liquidate a titolo di danno patrimoniale;
(iv) in considerazione della natura esorbitante della pretesa azionata, riconosciuta fondata in misura alquanto inferiore all’importo richiesto, dichiarava le spese di causa interamente compensate tra le parti.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello il Ministero soccombente, deducendo i seguenti motivi:
a) l’erronea reiezione dell’eccezione di incompetenza territoriale, dovendosi ritenere competente il giudice dell’ottemperanza (per l’attuazione delle sentenze annullatorie pronunciate dal T.a.r. per il Lazio);
b) l’erronea reiezione dell’eccezione di prescrizione;
c) la violazione degli artt. 2043 e 1218 cod. civ., essendo i provvedimenti irrogativi della sanzione espulsiva stati annullati per motivi di « illegittimità formale [che] valgono, di per sé, ad escludere l’ingiustizia dell’azione amministrativa » (v. così, testualmente, a p. 10 del ricorso in appello) e difettando in ogni caso l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, né avendo il ricorrente fornito un principio di prova circa la chance di progressione in carriera assunta dal T.r.g.a., né, infine, essendo la perdita di chance causalmente imputabile alla presunta condotta illecita dell’Amministrazione, a prescindere dal rilievo che il ricorrente poteva vantare una mera aspettativa di fatto, dovendo la chance , ai fini della risarcibilità della relativa perdita, essere già esistente nel patrimonio del danneggiato al momento del verificarsi della condotta illecita di parte datoriale, mentre nella specie, all’atto dell’adozione del primigenio provvedimento espulsivo (1982), né il militare né l’Amministrazione erano in grado di ipotizzare il mutamento del quadro normativo di riferimento, dapprima con la l. n. 53/1989 e, successivamente, con il d.lgs. n. 199/1995.
L’appellante Ministero chiedeva pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, la reiezione dell’avversario ricorso di primo grado, in rito e nel merito.
3. Si costituivano in giudizio le parti appellate (nella loro qualità di eredi dell’originario ricorrente), contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione, nonché proponendo appello incidentale incentrato sui seguenti motivi:
a) l’erronea affermazione del concorso del fatto colposo del de cuius ;
b) l’erroneo riconoscimento ai fini della ricostruzione della carriera, all’atto del suo collocamento a riposo (4 settembre 1996), del grado di brigadiere capo, anziché del grado di maresciallo, ai sensi del 65 d.lgs. n. 199/1995;
c) la genericità della liquidazione del danno non patrimoniale nella misura del 10% di quello patrimoniale, sotto il profilo che « dalla sentenza non emerge in modo chiaro che il danno non patrimoniale deve essere per l’appunto determinato anche sul trattamento di quiescenza da corrispondere da oggi in poi alla coniuge superstite, aumentando l’ammontare della pensione annua corrisposta del corrispondente 10% » (v. così, testualmente, p. 32 della memoria di costituzione con appello incidentale).
4. Accolta con ordinanza n. 1858/2013 l’istanza di sospensiva, la causa all’udienza pubblica del 1° dicembre 2016 è stata trattenuta in decisione.
5. Premesso che avverso le statuizioni reiettive delle eccezioni di inammissibilità della costituzione (in prosecuzione del giudizio di primo grado) degli eredi dell’originario ricorrente e di carenza di giurisdizione non sono stati interposti specifici motivi d’appello, talché ogni relativa questione esula dal devolutum e dai limiti oggettivi del presente giudizio d’appello, si osserva che entrambi gli appelli, proposti in via principale e, rispettivamente, in via incidentale, sono infondati.
5.1. In accoglimento di correlativa eccezione sollevata dalle parti appellate, potrebbe ritenersi inammissibile il motivo d’appello proposto dall’Amministrazione avverso la statuizione reiettiva dell’eccezione di incompetenza territoriale del T.r.g.a., sotto il profilo che la controversia rientrerebbe nell’ambito di cognizione del Ta.r. per il Lazio quale giudice competente a conoscere dell’azione di ottemperanza ex art. 112 cod. proc. amm. in relazione alle sentenza n. 1999/1998 e n. 7712/2001 pronunciate dallo stesso T.a.r., trattandosi di profilo di censura dedotto per la prima volta nel presente grado, mentre in prima istanza l’incompetenza territoriale era stata eccepita dalla difesa erariale sotto profili del tutto diversi.
Ad ogni modo, ed in via dirimente, va rilevata la manifesta infondatezza del motivo in esame, non essendo stata esperita azione di ottemperanza, bensì autonoma azione risarcitoria da responsabilità contrattuale dell’Amministrazione datrice di lavoro, conseguente all’adozione di provvedimenti disciplinari illegittimi ad effetto espulsivo, annullati in sede giurisdizionale: azione che, a mente dell’art. 112, comma 3, c.p.a., può essere esercitata “ anche ” – e, dunque, non esclusivamente – in sede di ottemperanza (in questo caso essa è stata appunto proposta al giudice della cognizione, ratione loci la Sezione autonoma del T.R.G.A. di Bolzano, parimenti competente).
5.2. Destituito di fondamento è, altresì, il motivo d’appello proposto avverso la statuizione reiettiva dell’eccezione di prescrizione, in quanto:
- si verte in fattispecie di azione risarcitoria da responsabilità contrattuale del datore di lavoro, soggetta all’ordinario termine di prescrizione di dieci anni;
- il dies a quo va individuato al 6 luglio 2009, data della decisione n. 4327/2009 del Consiglio di Stato, che (anche a non considerare la successiva scadenza dei termini per il ricorso ex art. 111 Cost., nella specie non proposto) segna il passaggio in giudicato della sentenza con cui è stata acclarata l’illegittimità del provvedimento espulsivo (se non al momento successivo della ricostruzione incompleta della carriera, nel quale soltanto si è attualizzato in modo compiuto l’interesse ad un’azione di risarcimento dei conseguenti danni patrimoniali e non patrimoniali), con sequela d’indubbia tempestività del ricorso di primo grado, pervenuto all’Amministrazione resistente il 14 febbraio 2011;
- si verte in fattispecie di rapporto di pubblico impiego non privatizzato, rientrante nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, avente ad oggetto il rapporto e i diritti soggettivi da esso scaturenti, e non di giurisdizione generale di legittimità, con conseguente inoperatività del correlativo regime di decadenza ex art. 30, comma 3, cod. proc. amm. (peraltro, non specificamente eccepita);
- ad ogni modo, l’impugnazione tempestiva dei provvedimenti espulsivi, lesivi dei diritti soggettivi del militare scaturenti dal rapporto d’impiego, ha determinato un effetto interruttivo-sospensivo sul decorso del termine prescrizionale, ai sensi degli artt. 2943, comma 1, e 2945, comma 2, cod. civ., fino alla definizione del relativo giudizio con la menzionata decisione n. 4327/2009 del Consiglio di Stato, in quanto la domanda di annullamento dei provvedimenti espulsivi illegittimi, proposta prima dell’esercizio dell’azione vòlta al conseguimento dei danni consequenziali, dimostra la volontà della parte di reagire all’esercizio, reputato illegittimo, del potere disciplinare a valenza espulsiva, con conseguente idoneità della proposizione di tale domanda ad interrompere, per tutta la durata di quel giudizio, il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria.
5.3. Privo di pregio è il motivo d’appello principale sub 2.c).
Quanto all’asserito difetto dell’elemento soggettivo, si osserva che, come puntualmente rilevato nell’impugnata sentenza, a fronte della natura contrattuale della responsabilità da illegittimo esercizio del potere di licenziamento disciplinare, la colpevolezza è presunta (art. 1218 cod. civ.), sicché incombeva a parte datoriale fornire la prova liberatoria della causa non imputabile, nella specie neppure offerta, a prescindere dal rilievo che l’annullamento dei provvedimenti sanzionatori espulsivi è intervenuto per motivi di illegittimità sostanziale, quali quelli della carenza di motivazione e della violazione dei termini perentori cui è subordinato l’esercizio del potere disciplinare, incidenti in senso gravemente lesivo sulla sfera giuridica soggettiva dell’originario ricorrente, ponendosi, oltre che come condotte non iure , anche come condotte contra ius , la cui rimproverabilità sotto il profilo dell’elemento soggettivo della colpevolezza è tanto più grave, essendo la seconda intervenuta dopo un primo annullamento giudiziale.
Quanto alle doglianze dell’inconfigurabilità di una perdita di chance nella progressione di carriera causalmente imputabile alla condotta dell’Amministrazione, della relativa asserita carenza di prova e della configurabilità di una mera aspettativa di fatto in relazione alla normativa sopravvenuta, in reiezione dei singoli profili di censura s’impongono le seguenti considerazioni:
- nel caso di specie, la natura espulsiva della sanzione illegittimamente applicata dalla parte datoriale ha comportato, quale effetto consequenziale immanente alla cessazione illegittima del rapporto d’impiego, l’impossibilità di una progressione in carriera, con conseguente evidente sussistenza di un nesso eziologico immediato e diretto tra illecito datoriale e l’effetto lesivo costituito da tale preclusione, qualificabile in termine di perdita di chance , giuridicamente apprezzabile in quanto incidente in senso pregiudizievole sull’integrità patrimoniale del militare proiettata nel futuro sulla base di plausibili criteri prognostici ex ante (v. sul punto, in fattispecie analoghe, Cass., Sez. lav., 1° marzo 2016, n. 4014;Cass., Sez. Un., 23 settembre 2013, n. 21678);
- l’onere probatorio incombente sul lavoratore, diretto a dimostrare la possibilità che egli avrebbe avuto di conseguire la promozione, può essere fornito in modo presuntivo attraverso elementi idonei a suffragare un giudizio di probabilità improntato all’ id quod plerumque accidit (in virtù della regola della “inferenza probabilistica”), nel senso che il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza;
- nel caso di specie il T.r.g.a., nell’adottare la statuizione sub 1.(iii), avente ad oggetto l’individuazione dei criteri di ricostruzione della carriera, ha fatto corretta applicazione di tali principi, peraltro sulla base di una normativa di raffronto (l. n. 53/1989;d.lgs. n. 199/1995) già entrata in vigore al momento dell’adozione del secondo provvedimento espulsivo annullato (30 novembre 1999), che segna il perfezionamento definitivo dell’illecito contrattuale, con conseguente manifesta inconferenza dell’assunto dell’Amministrazione circa la non prevedibilità del mutamento del quadro normativo al momento dell’adozione del primo provvedimento.
5.4. In reiezione dei motivi d’appello incidentale sub 3.a.) e 3.b), è sufficiente rilevare:
- la condivisibile qualificazione (da parte del T.r.g.a.) della condotta addebitata dell’originario ricorrente, comprovata nella sua materialità (asporto di radiatori da una caserma, seppure abbandonata), come condotta gravemente negligente e imprudente, lesiva dei doveri di servizio incombenti su un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza, correttamente è stata posta a base del ritenuto concorso del fatto colposo dello stesso ricorrente, per gli effetti di cui all’art. 1227, comma 1, cod. civ., con conseguente corretta e ragionevole applicazione della presunzione di una ritardata progressione in carriera;
- il mancato riconoscimento del grado di maresciallo è da collocare nell’ambito del giudizio inferenziale complessivo cui è pervenuto il T.r.g.a., tra cui la valorizzazione del ritenuto concorso colposo, con conseguente inconferenza di ogni relativa censura sub specie di violazione (in astratto) della disciplina della carriera dei militari.
5.5. Infondato è, infine, il motivo d’appello incidentale sub 3.c), attesa la manifesta estraneità del danno non patrimoniale (riconosciuto in favore del de cuius ) dalla base di calcolo della pensione spettante al coniuge superstite, disciplinata dalla speciale normativa previdenziale (di natura inderogabile).
6. Tenuto conto dei criteri della causalità e della soccombenza prevalente dell’Amministrazione (a fronte del peso dei dedotti motivi d’appello principale), alla stessa devono essere addebitati due terzi delle spese del presente grado (come da liquidazione nella parte dispositiva), con compensazione fino a concorrenza del terzo residuo.