Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-08-19, n. 202105939

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-08-19, n. 202105939
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202105939
Data del deposito : 19 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/08/2021

N. 05939/2021REG.PROV.COLL.

N. 01722/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1722 del 2013, proposto dal sig. P L, rappresentato e difeso dagli avvocati B V e F V, coi quali elettivamente domicilia presso l’avv. F P in Roma, via Lazio n. 20/C;

contro

Comune di Sant’Antimo, non costituito in giudizio;

nei confronti

P A, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) del 6 luglio 2012, n. 3258, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Francesco Guarracino nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2021, svoltasi con modalità telematica ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176, nessuno comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il sig. Ludovico Petrone ha appellato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania del 6 luglio 2012, n. 3258, nella parte in cui ha respinto la sua domanda di condanna del Comune di Sant’Antimo al risarcimento del danno in relazione alla condotta tenuta dall’amministrazione nel rilascio di un permesso di costruire richiesto il 4 luglio 2006 e rilasciato il 23 ottobre 2009.

Le parti appellate non si sono costituite in giudizio.

Alla pubblica udienza del 16 febbraio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – In primo grado il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 3258/12, ha accolto il ricorso proposto contro l’ordinanza n. 39 del 2010 con la quale il Comune di Sant’Antimo aveva dichiarato decaduto il permesso di costruire rilasciato al ricorrente per la realizzazione di un garage interrato, per mancato inizio dei lavori nel termine perentorio di un anno e, comunque, per il loro mancato completamento entro il triennio successivo.

Il T.A.R. ha riconosciuto, infatti, che il ritardo era imputabile al tardivo rilascio della autorizzazione sismica da parte del Settore provinciale del Genio Civile della Regione Campania e, perciò, dovuto non alla condotta del ricorrente, ma a causa di forza maggiore.

Il giudice di primo grado, inoltre, ha dichiarato improcedibile, per illegittimità derivata, l’impugnazione del provvedimento di diniego del permesso di costruire in variante, intanto annullato in autotutela, ha respinto i motivi aggiunti del 28 gennaio 2011, intesi a ottenere il risarcimento del danno derivante dalla condotta del Comune, e ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti del 21 luglio 2011 e quelli del 1° marzo 2012 avverso le richieste del Comune di documentazione integrativa ai fini dell’esame della domanda di variante, trattandosi di meri atti endoprocedimentali.

2. – Il ricorrente ha appellato il capo di sentenza sul rigetto della domanda risarcitoria (pag. 18 ss. dell’appello), rappresentando di non aver interesse ad impugnare la declaratoria di inammissibilità dei secondi e dei terzi motivi aggiunti né a insistere sul riconoscimento della voce di danno “ A1) Incremento dei costi complessivi di costruzione dell’opera ”, avendo ormai rinunciato alla realizzazione di quest’ultima (pag. 19 appello).

Ribadisce tuttavia, ai fini risarcitori, l’illegittimità delle richieste di integrazioni documentali del 24 giugno 2011 (impugnata con i secondi motivi aggiunti) e del 6 dicembre 2011 (impugnata con i terzi motivi aggiunti).

3. – Il danno lamentato dall’odierno appellante (da "ritardo" e da "disturbo") sarebbe ricollegato soprattutto al fatto che il permesso di costruire, richiesto il 4 luglio 2006, era stato rilasciato il 23 ottobre 2009, dopo 3 anni e 4 mesi dall’istanza e dopo tre impugnazioni di altrettanti provvedimenti di diniego, annullati dal T.A.R. della Campania con la sentenza n. 3138 dell’8 giugno 2009, passata in giudicato.

Peraltro, il ritardo nella realizzazione del parcheggio interrato sarebbe dipeso non solo dal periodo di efficacia dell’ordinanza n. 39 del 2010 di decadenza del permesso di costruire, annullata dal T.A.R. con la sentenza n. 3258/12, ma anche dal rifiuto di rilascio della variante al permesso, richiesta sin dal 4 novembre 2010, poiché, afferma l’appellante, se l’attività amministrativa fosse stata corretta e tempestiva non potrebbe dubitarsi che le opere progettate sarebbero state ultimate al più tardi entro il 2007.

4. – In particolare, riproponendo il contenuto di una memoria depositata nel primo grado del giudizio che, però, sarebbe stata obliata dal T.A.R., l’appellante ricostruisce la complessa vicenda nei seguenti termini:

- ai sensi dell’art. 20 D.P.R. 380/2001, il rilascio del permesso di costruire doveva intervenire entro 75 giorni;

- nel 2006/2007 i lavori avrebbero potuto iniziare subito dopo il semplice deposito del progetto esecutivo e dei calcoli strutturali al Genio civile di Napoli, non essendo stata ancora modificata la legge regionale della Campania n. 19/2009 nel senso di prevedere anche per i garage interrati l’autorizzazione sismica preventiva;

- per evitare di subire il rigetto della richiesta di permesso di costruire del 4 luglio 2006, poiché all’epoca il Comune di Sant’Antimo, interpretando in maniera erronea le norme della legge n. 122/1989 e del D.M. 1° febbraio 1986 ( Norme di sicurezza per box posti al piano interrato di edifici residenziali ), non rilasciava permessi di costruire per garage interrati di altezza superiore, aveva indicato un’altezza interna di progetto pari a m. 2,40, riservandosi di presentare successivamente variante per una maggiore altezza;

- il permesso di costruire era stato rilasciato solo nell’ottobre 2009, dopo anni di serrato contenzioso innanzi al T.A.R.;

- la possibilità di avviare i lavori, a causa della normativa antisismica sopravvenuta, si è concretizzata solo il 20 ottobre 2010, sicché soltanto il 4 novembre 2010 è stato possibile chiedere la variante in corso d’opera per la realizzazione di un’altezza maggiore;

- tuttavia a questo punto sono intervenuti il provvedimento di decadenza del 4 novembre 2010 del permesso di costruire (in seguito annullato dal T.A.R.) e il provvedimento di rigetto del 24 novembre 2010 della richiesta di variante, motivato con la già pronunciata decadenza del permesso edilizio;

- anche dopo l’ordinanza cautelare del 25 febbraio 2011 di sospensione del provvedimento di decadenza e dopo la diffida notificata il 16 maggio 2011 al rilascio della variante, necessaria alla prosecuzione dei lavori, il Comune ha perseverato nel rifiuto di rilasciare il titolo in variante per la maggiore altezza di m. 3,10, sebbene sussistessero tutti i presupposti normativamente previsti.

5. – Il T.A.R. ha respinto la domanda risarcitoria in quanto non sostenuta dalle necessarie allegazioni in ordine al danno subito, in primo luogo, e siccome proposta in modo generico per quanto concerne l’accertamento della responsabilità dell’amministrazione, in secondo luogo.

Sul primo punto, in particolare, si legge nel capo di sentenza appellato:

Quanto alle singole voci di danno esse sono state dedotte in larga parte senza fornire un principio di prova tale da dimostrare quale pregiudizio effettivo sia scaturito dalla sospensione dei lavori.

Invero il ricorrente lamenta genericamente che la decadenza dal permesso di costruire avrebbe pregiudicato la possibilità di vendere gli appartamenti, avrebbe impedito i profitti derivanti da reinvestimenti finanziari del ricavato delle vendite, avrebbe inciso sul suo stato di salute, senza tuttavia indicare, per nessuna delle richieste, il relativo nesso di causalità con la condotta del Comune.

Per quanto concerne gli investimenti finanziari, peraltro, è nota la loro assoluta aleatorietà, che impedisce una valutazione in termini necessariamente positivi.

Allo stesso modo non risulta dimostrato il danno da incremento dei costi di costruzione.

Quanto alle spese legali queste non possono far parte di una autonoma richiesta di risarcimento, posto che le stesse sono liquidate dal giudice all’esito della controversia.

Allo stesso modo non risultano risarcibili le spese di manutenzione per i danni dovuti alla esposizione alle intemperie e all’usura del tempo, poiché non solo le stesse non sono state dimostrate, ma anche perché esse sono connesse all’ordinario decorso del tempo che rientra nel c.d. rischio di impresa e, comunque, gravano ordinariamente sul proprietario degli immobili.

Non risulta altresì dimostrata la perdita di valore degli immobili, come anche il danno da mancata locazione, considerato peraltro che i parcheggi risultavano destinati alla vendita e non alla locazione.

Inoltre, le caratteristiche stesse del mercato immobiliare (le incertezze da cui esso è connotato in termini di rendita, la variabilità del valore degli immobili, i diversi ricavi ottenibili dalla vendita degli immobili) impediscono di accertare la lamentata diminuzione del valore degli immobili e la conseguente perdita economica che sarebbe stata subita dall’interessato.

Del resto la stessa richiesta di risarcimento del danno, per il modo in cui è formulata, appare contraddittoria posto che essa è stata presentata sia in relazione alla asserita perdita di valore degli immobili (in sede di vendita) che alla mancata locazione dei parcheggi.

Non è stato fornito alcun principio di prova in ordine sia all’applicazione che al pagamento delle penali a carico del ricorrente, il quale, nelle memorie del 18 e 30.6.2011, si limita ad affermare che la somma di € 15.000, versata all’impresa Coppola per l’esecuzione di un contratto di appalto, è stata trattenuta a titolo di penale ”.

6. – Le critiche mosse col l’articolato ricorso d’appello non colgono nel segno e la sentenza impugnata merita conferma.

7. – Già si è detto che l’appellante ha prestato espressa acquiescenza al disconoscimento della voce di danno “ A1) Incremento dei costi complessivi di costruzione dell’opera ” (pagg. 19 e 35 dell’appello), mentre insiste per le rimanenti voci.

8. – Con riferimento al danno emergente, in primo grado l’appellante, oltre alla voce relativa all’incremento dei costi di realizzazione dell’opera, aveva indicato, nella domanda di risarcimento, le seguenti voci di danno: “ A2) Spese di assistenza e consulenza legale e tecnica ”;
A3) Costi a titolo di penale per sospensione lavori ”;
A4) Costi di manutenzione del fabbricato per civili abitazioni cui è pertinenziale il parcheggio interrato ”.

9. – Per quanto riguarda le “spese di assistenza e consulenza legale e tecnica”, quelle per la pratica relativa all’autorizzazione sismica (menzionate a pag. 36 del ricorso d’appello) e gli importi versati a titolo di imposta comunale sugli immobili per il periodo 2006-2011 per le unità immobiliari e le pertinenze che l’appellante non avrebbe potuto utilizzare e disporre (annoverati tra i danni ingiusti a pag. 37 dell’appello) non figurano nella originaria domanda risarcitoria proposta coi motivi aggiunti notificati il 10 gennaio 2011, la quale, ad vocem , si riferisce al solo danno che sarebbe stato patito dal ricorrente per essere stato “ costretto … a fare frequentissimo ricorso all’assistenza di professionisti legali e tecnici qualificati, per difendersi e fronteggiare le illegittime pretese comunali ” con la specificazione che “ in relazione a tali attività di assistenza e consulenza direttamente connesse all’adozione degli atti comunali … contestati ” il ricorrente si sarebbe “ impegnato ” per importi non inferiori a € 20.000,00 (pag. 23, sub A2).

La domanda non poteva essere ampliata con la sola memoria depositata il 20 giugno 2011 (richiamata a pag. 36 dell’appello) e le spese per l’autorizzazione sismica e le imposte versate, che nulla hanno a che fare con le attività di assistenza e consulenza che si sarebbero rese necessarie per difendersi e fronteggiare le pretese comunali, costituiscono voci di danno intruse.

Si comprende, allora, come mai il giudice di primo grado abbia concentrato l’attenzione sulle spese legali.

A tale riguardo deve aggiungersi, con riferimento a quanto sostenuto nell’appello in merito all’esistenza, oltre alle spese giudiziali liquidate dal giudice all’esito della controversia, di spese di assistenza stragiudiziale di cui costituirebbe prova la fattura n. 104/2011 del 29 giugno 2011, depositata il 30 giugno 2011 nel giudizio di primo grado, che l’oggetto della fattura, emessa dal medesimo difensore che aveva assistito l’appellante nel precedente giudizio definito dal T.A.R. con la sentenza n. 3138/09, si riferisce genericamente ad attività di assistenza e consulenza legale stragiudiziale in riferimento all’attività amministrativa tenuta dal Comune di Sant’Antimo, dal 2007, sull’iniziativa edificatoria de qua .

Ebbene, per condivisibile indirizzo giurisprudenziale, vero è che l’attività di assistenza stragiudiziale, anche se svolta da un avvocato, è qualcosa d’intrinsecamente diverso rispetto alle spese processuali vere e proprie, ma proprio per questo la liquidazione delle spese a essa relative “ resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo l’ordinaria scansione processuale, al pari delle altre voci di danno emergente. Il che comporta che la corrispondente spesa sostenuta non è configurabile come danno emergente e non può, pertanto, essere riversata sul danneggiante quando sia, ad esempio, superflua ai fini di una più pronta definizione del contenzioso, non avendo avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità (Cass. n. 9548 del 2017) ” (Cass., SS.UU., 10 luglio 2017, n. 16990).

Nel caso in esame, in difetto dell’allegazione, ancor prima che della dimostrazione, di specifiche prestazioni funzionali a evitare il giudizio o a risolvere un problema tecnico di una qualche complessità, garantendo al soggetto assistito una migliore e più rapida tutela, resta impedita, in radice, ogni valutazione sul fatto che la spesa di cui alla fattura in questione sia stata effettivamente necessitata e giustificata in funzione dell’attività di esercizio stragiudiziale delle ragioni dell’assistito.

Perciò la sottovoce di danno non può essere riconosciuta.

Infine, l’appellante insiste - sotto il versante, stavolta, delle spese di assistenza tecnica – sul riconoscimento degli importi di cui alla memoria di primo grado del 19 dicembre 2011 (relativa a una fattura del 5 dicembre 2011) che sarebbero stati versati al geom. Picone per la consulenza professionale prestata per contrastare i dinieghi di rilascio del permesso di costruire per il garage interrato e l’ordinanza comunale di decadenza del permesso di costruire n. 145/06.

Il giudice di primo grado non si è pronunciato in merito, pur trattandosi, in questo caso, di una precisazione della domanda proposta con riferimento alle spese per fronteggiare gli atti comunali contestati;
nondimeno, come più volte ribadito nella giurisprudenza civile, la quietanza, quale res inter alios acta , non gode del valore probatorio privilegiato di cui all’art. 2702 c.c., ma, avendo il valore probatorio meramente indiziario di una prova atipica, può essere liberamente contestata e contribuisce a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo (Cass., sez. III, 9 luglio 2000, n. 14599;
Cass., sez. VI, ord. 9 ottobre 2018, n. 24867;
Cass., sez. VI, ord. 21 marzo 2014, n. 6760);
difatti, “ le scritture private provenienti da terzi … sono inidonee a costituire, di per sé, l’unica fonte di convincimento per il giudice del merito, pur essendo suscettibili di integrare il fondamento della decisione nel concorso di altri elementi che ne confortino la credibilità e l’attendibilità ” (Cass., SS.UU., 23 giugno 2010, n. 15169).

Questi ulteriori elementi, tuttavia, mancano nel caso concreto, difettando l’allegazione di specifiche evidenze in merito alle prestazioni che sarebbero state effettuate dal professionista sopra indicato e che pure avrebbe dovuto essere agevole finanche documentare.

Anche su tale punto, pertanto, l’appello non merita accoglimento.

10. – Infondata è la critica rivolta alla sentenza di primo grado in relazione al disconoscimento, da parte del primo giudice, della voce di danno emergente relativa ai “ costi a titolo di penale per sospensione lavori” .

Poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo di cui all’art. 2697, comma 1, c.c. opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell’azione giurisdizionale di annullamento, l’appellante, soggetto all’osservanza dell’ordinario onere probatorio, avrebbe dovuto provare sia l’applicazione che il pagamento delle penali.

Come correttamente rilevato dal T.A.R., tuttavia, ciò non è accaduto, essendosi egli limitato ad affermare, nelle memorie depositate in primo grado e sulle quali sole si basa ancora il motivo di appello (pag. 38 s.), che la somma versata all’impresa Coppola per l’esecuzione del contratto di appalto sarebbe stata trattenuta a titolo di penale.

Da qui l’esattezza della conclusione raggiunta dal primo giudice circa il rigetto della domanda risarcitoria, nonostante abbia affermato che la parte non avesse fornito alcun “ principio di prova ”, anziché alcuna prova, del danno lamentato.

11. – Ancora con riferimento al danno emergente, è condivisibile la conclusione del T.A.R. che ha negato il risarcimento delle spese di manutenzione per i danni dovuti alla esposizione alle intemperie e all’usura del tempo sia perché non dimostrate, sia perché connesse all’ordinario decorso del tempo che rientra nel c.d. rischio di impresa.

L’appellante torna a sostenere che, se il permesso di costruire per la realizzazione del parcheggio interrato fosse stato rilasciato per tempo, avrebbe già proceduto alla vendita o alla locazione delle unità immobiliari coi rispettivi posti-auto pertinenziali tra il 2006 e il 2007, osservando criticamente che i costi di manutenzione sarebbero stati, allora, sopportati dall’acquirente in caso di vendita e dal locatario in caso di locazione.

Tuttavia, resta anzitutto insuperato il rilievo del T.A.R. sulla mancata dimostrazione dei danni in questione, che, diversamente da quanto sostenuto nell’appello, non possono trovare prova nel fatto che nel computo metrico della impresa Coppola figura l’ammontare del costo dei lavori di manutenzione (basti richiamare quanto già detto per le quietanze, a fortiori valevole per il computo metrico), il che già è sufficiente per confermare sul punto la decisione appellata.

Sull’affermazione che le unità immobiliari, se munite dei posti-auto pertinenziali, sarebbero stati alienati tra il 2006 e il 2007 si rinvia, invece, a quanto si dirà qui di seguito, a proposito della prima voce di lucro cessante, nel senso dell’assenza di valore probatorio della documentazione al riguardo prodotta.

12. – Con riferimento alla voce di danno “minor valore di scambio delle unità immobiliari del fabbricato con posti auto pertinenziali” l’appellante sostiene, infatti, che le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà prodotte nel giudizio di primo grado dimostrerebbero che nel 2006 vi erano numerosi soggetti interessati e con trattative in corso per l’acquisto dei sei appartamenti con due posti auto in garage interrato del fabbricato in questione, per il prezzo di € 330.000,00.

Sennonché, la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato esclude l’utilizzabilità della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nell’ambito del processo amministrativo, in quanto questa, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, non possiede alcun valore probatorio e può, al più, costituire soltanto un mero indizio (C.d.S., sez. II, 24 aprile 2020, n. 2615), che, in questo specifico caso, non è corroborato da elementi gravi, precisi e concordanti sull’esistenza di trattative per la vendita degli immobili al prezzo indicato.

Correttamente, allora, il T.A.R. ha rilevato che non risulta dimostrata la perdita di valore di questi ultimi.

A dimostrazione del contrario, l’appellante indica il documento n. 15 della propria produzione di primo grado, consistente in un’interrogazione del maggio 2011 del sito internet dell’Agenzia delle Entrate che, a suo dire, confermerebbe un decremento di almeno il 30% del valore di scambio delle abitazioni nella zona centrale del Comune di Sant’Antimo.

Il documento in questione, tuttavia, da solo non dimostra quanto si vorrebbe, poiché si limita a rappresentare la situazione del mercato immobiliare al secondo semestre del 2010 e non contiene alcun dato sul pregresso: manca, dunque, l’allegazione di dati di raffronto, che non possono essere ricavati, per quanto già detto, dalle dichiarazioni sostitutive in atti, mentre gli altri documenti citati nel motivo di appello (pagg. 43 ss.) riguardano tutt’altro.

13. – Insuperato è il rilievo del T.A.R. che ha disconosciuto la voce di lucro cessante relativa alla “mancata disponibilità e godimento di n. 6 unità immobiliari ed annessi posti auto” osservando che il danno da mancata locazione doveva ritenersi indimostrato “ considerato … che i parcheggi risultavano destinati alla vendita e non alla locazione ".

L’appellante stesso, infatti, riconosce che in primo grado era stata ben evidenziata la naturale destinazione alla vendita dei sei appartamenti e dei parcheggi pertinenziali, sicché è intrinsecamente contraddittoria con tale destinazione la richiesta di danni da mancata locazione.

14. – Per respingere la richiesta di risarcimento del danno per lucro cessante da “mancato rendimento per reinvestimento degli importi incassati”, il T.A.R. ha sostenuto, come si è visto, che “ Per quanto concerne gli investimenti finanziari … è nota la loro assoluta aleatorietà, che impedisce una valutazione in termini necessariamente positivi .

L’appellante lamenta che il primo giudice non avrebbe considerato quanto dedotto in primo grado sul fatto che il ricorrente, in ragione della sua alta qualificazione professionale in materia di investimenti finanziari quale funzionario di banca, avrebbe reinvestito gli importi incassati per la vendita, ovvero per la locazione degli immobili, con rendimenti, per ciascun anno dal 2007 al 2010, fluttuanti da un minimo del 6% ad un massimo del 13%, per una media di circa il 10% e richiama, a comprova dell’assunto, la documentazione prodotta in giudizio (lista movimenti bancari e note di eseguiti ordini di acquisto e vendita titoli).

Postulato, tuttavia, del tutto indimostrato, poiché i documenti richiamati non provano il rendimento che nel periodo considerato l’appellante sarebbe stato capace di ottenere dai suoi investimenti, mentre il rilievo del T.A.R. trova pieno supporto, viceversa, nel fatto notorio del crollo dei mercati azionari registratosi proprio in quegli anni in Europa e in Italia a seguito della crisi finanziaria dei mutui subprime negli Stati Uniti d’America.

15. – Venendo ai danni non patrimoniali, sostiene l’appellante (a pag. 49 dell’appello) che “ Nessuno specifico esame e statuizione ha riservato la sentenza alla voce di danno in questione, per cui deve qui riproporsi al Giudice di appello quanto dedotto nei motivi aggiunti del 28/1/2011 ”: affermazione cui fa seguito la testuale ripetizione dei quattro paragrafi di cui si compone l’originaria deduzione contenuta nei motivi aggiunti e, di seguito, quanto soggiunto nella memoria di primo grado del 20 giugno 2011.

Non corrisponde al vero, però, che il T.A.R. abbia omesso di decidere sulla voce di danno in questione, poiché il primo giudice ne ha negato in modo espresso il riconoscimento affermando, come visto in precedenza, che “ il ricorrente lamenta genericamente che la decadenza dal permesso di costruire avrebbe pregiudicato la possibilità di vendere gli appartamenti, avrebbe impedito i profitti derivanti da reinvestimenti finanziari del ricavato delle vendite, avrebbe inciso sul suo stato di salute, senza tuttavia indicare, per nessuna delle richieste, il relativo nesso di causalità con la condotta del Comune ”.

Sia pur muovendo dall’erroneo assunto del difetto di pronuncia, l’appellante non ha mosso alcuna critica alla motivazione del rigetto sul punto della sua domanda (il ricorrente non ha indicato il nesso di causalità tra la condotta del Comune e il preteso danno alla salute), ma si è limitato a riproporre acriticamente le tesi svolte in primo grado.

L’art. 101, comma 1, c.p.a., tuttavia, non consente una generica riproposizione dei motivi di ricorso respinti dal giudice di primo grado, ma richiede la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo sul quale si fonda la decisione appellata, poiché l’oggetto del giudizio di appello è costituito dalla decisione appellata e non dal provvedimento gravato in primo grado.

16. – Tanto basta a confermare la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria per difetto di prova del danno subito, con conseguente assorbimento dei restanti motivi di appello concernenti gli altri elementi costituitivi del diritto al risarcimento del danno.

17. – In conclusione, dunque, l’appello deve essere respinto.

18. – In difetto di costituzione delle parti intimate, non vi è luogo alla condanna dell’appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio.

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