Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-05-13, n. 202003036

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-05-13, n. 202003036
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003036
Data del deposito : 13 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/05/2020

N. 03036/2020REG.PROV.COLL.

N. 09288/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9288 del 2017, proposto da
F P e F M, rappresentati e difesi dagli avvocati L R e S R, domiciliati presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

contro

Comune di Somma Vesuviana, in persona del legale rappresentane in carica, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Napoli (Sezione III) n. 02877/2017, resa tra le parti, concernente un’ordinanza di demolizione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Udita la relazione esposta dal Cons. Alessandro Maggio nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2020, svoltasi, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del D.L.n.18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare 13 marzo 2020, n. 6305 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ordinanza 9 maggio 2011, n. 69 il Comune di Somma Vesuviana ha ingiunto ai sig.ri F P e F M la demolizione di due opere abusive consistenti nella realizzazione di un cancello e nell’edificazione di un casotto destinato a deposito di attrezzi agricoli.

I sig.ri Piscitelli e Mele hanno, quindi, presentato istanza di accertamento di conformità sulla quale si è formato il silenzio rifiuto, che è stato impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato, tuttora pendente.

Costoro anno altresì gravato la citata ordinanza n. 69 del 2011 con ricorso al T.A.R. Campania - Napoli, il quale, con sentenza 30 maggio 2017, n. 2877, lo ha respinto.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i sig.ri Piscitello e Mele i quali, con successiva memoria, hanno meglio illustrato le proprie tesi difensive.

All’udienza telematica del 7 maggio 2020 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe errato a respingere la censura con cui si era dedotto che la misura sanzionatoria era stata irrogata senza una preventiva indagine circa l’effettiva compromissione degli interessi urbanistici e paesaggistici, sul presupposto che, ai fini dell’adozione dell’ordine di demolizione, non occorra “ … alcuna valutazione dell’interesse urbanistico, edilizio o paesaggistico inciso dagli abusi ”.

E invero, un corretto esame degli interventi eseguiti avrebbe consentito all’amministrazione comunale di appurare che la sostituzione di un cancello è subordinata a semplice D.I.A. e che il casotto è opera pertinenziale all’immobile principale e non contrasta coi vincoli paesaggistici gravanti sull’area.

La doglianza è infondata.

Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, per pacifica giurisprudenza l’ordine di demolizione è provvedimento di natura vincolata la cui adozione si giustificata sulla base del mero riscontro dell’abusività dell’opera senza che al riguardo occorra alcuna ulteriore valutazione (Cons. Stato, Sez. VI, 18/11/2019, n. 7872).

Col secondo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel disconoscere la natura pertinenziale del casotto.

Quest’ultimo, infatti, sarebbe accessorio all’immobile principale e avrebbe ridotte dimensioni.

La realizzazione dell’opera sarebbe, dunque, soggetta a mera D.I.A. con conseguente inapplicabilità della sanzione demolitoria.

La doglianza è infondata.

A fini urbanistico-edilizi il rapporto pertinenziale tra due beni presuppone la sussistenza di due essenziali requisiti: uno teleologico e uno strutturale.

In base al primo occorre che la cosa accessoria, per sua natura, non possa che essere destinata, in via esclusiva e durevole, a servizio di un bene principale, di modo che la stessa risulti priva di un autonomo valore di mercato.

Per il secondo è, invece, necessario che l'opera pertinenziale abbia dimensioni ridotte e modeste rispetto alla cosa cui inerisce, tali da non comportare ulteriore carico urbanistico o significative alterazioni dell'assetto territoriale (Cons. Stato, Sez. VI, 16/6/2016, n. 2658).

Nel caso di specie, pur ammettendo, per ipotesi, la sussistenza del primo requisito (quello funzionale), mancherebbe sicuramente il secondo, attese le non ridotte dimensioni del casotto realizzato (36 mq).

Occorre inoltre rilevare che le opere edilizie abusive, “ realizzate (come nella fattispecie) in zona sottoposta a vincolo paesistico, quand'anche per avventura si ritenessero opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera Dia, si considerano comunque eseguite in totale difformità dalla concessione il che comporta che l'applicazione della sanzione demolitoria è comunque doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna previa autorizzazione paesaggistica ” (Cons. Stato, Sez. IV, 26/9/2018, n. 5524).

Col terzo motivo parte appellante lamenta che il giudice di prime cure avrebbe errato a non accogliere la censura con la quale era stato dedotto che l’impugnata ordinanza avrebbe perso efficacia in virtù dell’avvenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380 e a non tener conto della pendenza del ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto contro il silenzio diniego formatosi sulla detta domanda.

Il mezzo di gravame è infondato.

Difatti, la presentazione della richiesta di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali e non determina, pertanto, alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell'ingiunzione di demolizione, comportando unicamente la temporanea sospensione della sua esecuzione (Cons. Stato, Sez. VI, 5/12/2019, n. 8319).

Nessuna incidenza sulla legittimità dell’avversata misura sanzionatoria può poi avere la circostanza che contro il silenzio formatosi sulla richiesta di sanatoria fosse ancora pendente l’impugnativa proposta in sede straordinaria, per cui bene ha fatto il Tribunale a non tenerne conto.

Col quarto motivo si deduce che il comune, avallato dal Tribunale, non avrebbe evidenziato prescrizioni e vincoli ostativi alla realizzazione degli interventi oggetto di contestazione.

In particolare, considerata la natura non residenziale delle opere eseguite le stesse non sarebbero precluse dalla normativa antisismica, mentre i vincoli paesaggistici gravanti sull’area non sarebbero di natura assoluta.

La censura non merita accoglimento.

Al riguardo è sufficiente rilevare che la misura sanzionatoria si basa sulla constatata mancanza di titolo edilizio e tanto basta ai sensi dell’art. 31, comma 2, del citato D.P.R. n. 380/2001, a giustificare l’esercizio dei poteri repressivi.

Col quinto motivo si censura l’impugnata sentenza per aver respinto la censura con cui era stata dedotta l’illegittimità della gravata ordinanza nella parte in cui estende la sanzione demolitoria al cancello.

La reiezione si basa sull’assunto secondo cui “ l’alterazione dello stato dei luoghi e la trasformazione edilizia del territorio che conseguono ad una pluralità di interventi edilizi, vanno valutati nel loro complesso, non essendo consentito operare una valutazione atomistica dei singoli interventi al fine di stabilire se essi siano o meno assoggettati a permesso di costruire e, cioè, a monte, se hanno determinato trasformazione urbanistico – edilizia del territorio, incremento di carico urbanistico e se hanno natura o meno di pertinenza ”.

Sennonché il giudice di prime cure non avrebbe considerato che l’apposizione di un cancello rientra tra le attività di edilizia libera ex art. 6 del D.P.R. 380/2001.

La doglianza è fondata.

E invero, l’apposizione di un cancello, funzionale alla delimitazione della proprietà, si inquadra tra gli interventi di finitura di spazi esterni di cui all'articolo 6, comma 2, lettera c) del D.P.R. n. 380/2001, applicabile ratione temporis , per cui rientra fra le ipotesi di edilizia libera (Cons. Stato Sez. VI Sent., 02/01/2020, n. 34), con la conseguenza che non risulta suscettibile di incidere su valori paesaggistici protetti, salva l’esistenza di specifiche prescrizioni particolarmente restrittive, nella specie non evocata (Cons. Stato, Sez.VI, 20/11/2013, n. 5513).

Né risulta corretta la tesi del Tribunale secondo cui la sanzione demolitoria si giustificherebbe sulla base dell’esigenza di giudicare i due interventi nel loro complesso, non essendo consentito operare una valutazione atomistica degli stessi.

E invero, il presupposto perché una pluralità di interventi edilizi possano essere considerati in maniera unitaria e complessiva al fine di apprezzarne la legittimità, è che oggettivamente esista tra loro un intrinseco collegamento funzionale che ne imponga la valutazione unitaria (Cons. Stato, Sez. V, 12/10/2018, n. 5887).

Nel caso di specie, tuttavia, non è ravvisabile tra i lavori oggetto di contestazione la sussistenza del suddetto nesso funzionale.

Col sesto motivo ci si duole dell’affermazione con cui il Tribunale ha escluso che nel provvedimento repressivo debba essere indicata l’area i sedime da acquisire per il caso in cui l’ordine di ripristino rimanga ineseguito.

La doglianza è infondata.

Un consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, insegna che non occorre che il provvedimento con cui viene ordinata la demolizione di un’opera abusiva, indichi l'area di sedime da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale per il caso di inerzia, ben potendo l’individuazione della detta area avvenire col successivo atto con cui si accerta l'inottemperanza all'ordine impartito ( ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 30/5/2019, n. 4277;
14/1/2019, n. 339;
26/11/2018, n. 6672;
6/2/2018, n. 755;
2/1/2018, n. 10;
Sez. IV, 11/12/2017, n. 5788).

Col settimo motivo si denuncia, infine, l’errore asseritamente commesso dal Tribunale nel respingere la censura con cui era stata invocata la lesione delle pretese partecipative degli odierni appellanti.

Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, infatti, l’adozione dei provvedimenti sanzionatori in materia edilizia dovrebbe essere preceduta dalla comunicazione di cui all’art. 7 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

La lagnanza non merita accoglimento.

Per pacifica giurisprudenza, che il Collegio condivide pienamente, i provvedimenti aventi natura vincolata, quali l'ordinanza di demolizione, non necessitano di previa comunicazione di avvio del procedimento, ciò in quanto non è consentito all'Amministrazione compiere valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI , 25/2/2019, n. 1281;
Sez. V, 12/10/2018, n. 5887;
Sez. IV, 27/5/2019, n. 3432;
Sez. II , 29/7/2019, n. 5317 e 26/6/2019, n. 4386).

L’appello va, in definitiva, parzialmente accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato in primo grado limitatamente alla parte in cui ingiunge la demolizione del cancello.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi