Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-02-02, n. 201000431

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-02-02, n. 201000431
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201000431
Data del deposito : 2 febbraio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09015/1998 REG.RIC.

N. 00431/2010 REG.DEC.

N. 09015/1998 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 9015 del 1998, proposto da D'Eustachio Enzo, rappresentato e difeso dall'avv. C N, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso V.Emanuele II, n.18;

contro

Comune di Firenze in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv. M A L e M S, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, via Dora, 1;

per la riforma

della sentenza del TAR TOSCANA -

FIRENZE

Sezione I n. 00599/1997;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2009 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Zanetti per delega di Narese;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Espone l’appellante che nel febbraio 1990 e nel settembre 1991 aveva comunicato al Comune di Firenze ex art. 26 della legge n.47 del 1985 l’esecuzione di alcune opere nell’abitazione di sua proprietà posta in Firenze via delle Conce n. 1.

Dalle relazioni di asseverazione dei lavori risultava che le opere nel loro complesso consistevano:

-nell’apertura di 3 lucernari nei muri di confine non visibili dall’esterno perché prospicienti su corti cieche e su un balconcino interno. I lucernari venivano realizzati con mattoncini vetro cemento della spessore di 8 cm a livello di parte verticale;

-nell’ampiamento del lucernario afferente il cortile per trasformarlo in porta finestra (m.2,20 per 2,25);

-nella creazione di una piattaforma fioriera sul tetto di un piccolo corpo di fabbrica di proprietà del signor D’Eustachio costruito in appoggio dell’edificio principale di cui è pertinenza, anch’esso prospiciente su corte cieca.

Dette opere definite opere interne ex art.26 della legge n.47 del 1985 venivano eseguite ed ultimate entro il 31.12.1991.

Il 27.1.1993 veniva notificato al signor D’Eustachio l’atto n.5110 del 22.12.1992 con il quale il Sindaco ordinava la demolizione delle opere nel termine assegnato.

Secondo il suddetto atto, l’interessato aveva posto in essere opere che non potevano considerarsi interne.

Ed infatti secondo il Comune le opere erano in contrasto con l’articolo 9 della legge n.47 del 1985;
con l’art.12 delle NTA adottate con delibera del CC di Firenze n.3146/91;
con l’art.17 della legge n.64/74;
con l’art.4 della legge n.1086/71;
con l’art. 2 della legge regionale n.88/82.

Avverso il richiamato ordine di demolizione il signor D’Eustachio proponeva ricorso al TAR Toscana, che con sentenza n.599 del 10.12.1997, respingeva il ricorso ritenendolo infondato.

Con l’atto di appello il signor D’Eustachio ripropone sostanzialmente tutti i motivi sollevati nel ricorso introduttivo del giudizio in primo grado.

Si è costituito il Comune di Firenze contestando analiticamente i motivi dedotti e chiedendo il rigetto dell’appello.

La causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione all’udienza del 18 dicembre 2009.

DIRITTO

1. L’appello non merita accoglimento.

2. Espone l’appellante che nel febbraio 1990 e nel settembre 1991 aveva comunicato al Comune di Firenze ex art. 26 della legge n.47 del 1985, l’esecuzione di alcune opere nell’abitazione di sua proprietà posta in Firenze, via delle Conce n. 1.

Dalle relazioni di asseverazione dei lavori risultava che le opere erano qualificate dal ricorrente come opere interne ex art.26 della legge n.47 del 1985 .

Il 27.1.1993 veniva notificato al signor D’Eustachio l’atto n.5110 del 22.12.1992 con il quale il Sindaco ordinava la demolizione delle opere nel termine assegnato.

Secondo il suddetto atto l’interessato aveva posto in essere opere che non potevano considerarsi interne in quanto in contrasto con l’articolo 9 della legge n.47 del 1985, con l’art.12 delle NTA adottate con delibera del CC di Firenze n.3146/91, con l’art.17 della legge n.64/74, con l’art.4 della legge n.1086/71.

3.Con il primo motivo di appello il ricorrente reitera il motivo già respinto dal primo giudice sostenendo che l’ordinanza di demolizione n.5110 del 22.12.1992 è illegittima in quanto il Comune di Firenze avrebbe dovuto preventivamente comunicare l’avvio del procedimento ex art. 7 della legge n.241 del 1990.

Osserva la Sezione che l’art. 26 della legge n.47 del 1985 ratione temporis consentiva al privato il quale intendeva realizzare esclusivamente interventi edilizi all’interno di un edificio, di avvalersi di una procedura semplificata senza necessità di conseguire un previo atto amministrativo di assenso.

Tuttavia il ricorso alla procedura semplificata (comunicazione con allegata relazione tecnica di asseveramento) era consentito dalla norma solo in presenza di opere interne “non in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati od approvati e con i regolamenti edilizi vigenti, che non comportavano modifiche della sagoma delle costruzioni, dei prospetti, né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, che non modificavano la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non recavano pregiudizio alla statica dell’immobile e, per quanto riguarda gli immobili compresi nelle zone indicate alla lettera A dell’art 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 pubblicato sulla G.U. n.97 del 16 aprile 1968, rispettino le originarie caratteristiche costruttive”.

Nella fattispecie in esame il ricorrente aveva presentato due comunicazioni con annesse relazioni tecniche di asseveramento nn.207/90 e 3487/91 per la realizzazione di opere edilizie consistenti:

a) nell’apertura di tre lucernari su pareti portanti esterne;

b) nell’ampliamento del lucernaio afferente il cortile per trasformarlo in porta finestra;

c) nella costruzione di una piattaforma-terrazza in calcestruzzo sul tetto di un corpo di fabbrica pertinenziale all’immobile principale di sua proprietà.

E’ indubbio che l’apertura dei tre lucernai e la trasformazione di un lucernaio in porta finestra comportavano una modifica dei prospetti esterni, mentre la realizzazione della piattaforma-terrazza sul tetto del corpo di fabbrica adiacente all’immobile principale, quanto meno non poteva qualificarsi come opera interna: conseguentemente le opere edilizie in questione non potevano considerarsi come rientranti nella comunicazione ex art. 26 della legge n.47 del 1985 ma dovevano considerarsi necessariamente abusive perché carenti del prescritto titolo abilitativo.

Si aggiunga poi che le opere stesse erano in contrasto con l’art. 12 comma 7 delle vigente Norme Tecniche di Attuazione del PRG trattandosi di interventi edilizi non consentiti nell’area del Centro Storico di Firenze: tale disposizione infatti vietava tassativamente nel Centro Storico qualsiasi trasformazione che comportasse demolizione e ricostruzione nonché aggiunte edilizie e modifiche delle coperture esistenti e dei lastrici solari.

Con l’effetto che la realizzazione di una piattaforma in calcestruzzo di non irrilevanti dimensioni (mt. 3,60 per 3,00) sovrapposta al tetto del corpo di fabbrica adiacente all’immobile di proprietà dell’odierno appellante non poteva che ritenersi vietata dallo strumento urbanistico generale con conseguente obbligo di rimessa in pristino.

Doveva ritenersi vietata anche l’apertura dei tre lucernari sulla parete portante esterna e la realizzazione della porta finestra atteso che tali interventi come si vedrà più oltre non potevano qualificarsi in termini di restauro conservativo, unico intervento consentito nel Centro Storico dall’art. 13 del PRG.

4. Alla luce di quanto sopra può esaminarsi il motivo di violazione dell’art.7 della legge 241 del 1990 dedotto dal ricorrente.

Osserva la Sezione che nella vicenda in esame, una specifica comunicazione dell'avvio del procedimento era oggettivamente superflua poiché il contenuto dell'atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

L’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 , aggiunto dall'art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, ha espressamente sancito che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" e che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Sulla applicabilità di tale norma anche al caso in esame questo Consiglio di Stato ha affermato che trattasi di norma processuale applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge n.15/2005 (Cons. Stato, VI n.4614/2007) avendo il legislatore inteso a fare prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell’amministrazione ( Cons. Stato, VI n.1167 del 2.3.2009).

Conclusivamente se il privato, come nel caso di specie, nulla può aggiungere a quanto accertato dalla Amministrazione, viene meno lo scopo dell’art.7 della legge n.241 del 1990 poiché la sua partecipazione non potrebbe in alcun modo incidere sulla determinazione finale del procedimento amministrativo.

Il motivo di appello pertanto deve essere respinto.

5.Assume ancora l’appellante che l’ordinanza impugnata sarebbe illegittima perché adottata a distanza di due anni dalla comunicazione effettuata ex art. 26 della legge n.47 del 1985.

In tale caso l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento sarebbe stato ancora più cogente non potendo ritenersi vincolata l’attività “che conduce all’adozione di sanzioni edilizie dopo lungo tempo dalla realizzazione delle opera che si affermano abusive.”

L’assunto non è condivisibile in quanto l’amministrazione non aveva alcun potere di scelta diverso dall’adozione della sanzione ripristinatoria non potendo riconoscere e dare prevalenza all’interesse privato a fronte dell’oggettivo interesse pubblico alla rimozione di opere non solo realizzate in assenza del titolo abilitativo ma anche in palese contrasto con lo strumento urbanistico generale.

6. Con il secondo motivo di appello il signor D’Eustachio contesta la mancata qualificazione da parte dell’amministrazione delle opere edilizie quali interventi di restauro o risanamento conservativo al preciso scopo di poterne sostenere l’assoggettamento al regime autorizzatorio con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria.

Occorre al riguardo tenere conto che l’art.31 lett. c) della legge n.457/78 classifica come interventi di restauro e risanamento conservativo “quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio ed ad assicurare la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio”.

Affinchè un intervento edilizio possa essere qualificato in termini di “restauro e risanamento conservativo” questo Consiglio di Stato ha richiesto che “siano rispettati gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio senza modificare l’identità, la fisionomia e la struttura dello stesso, né i volumi e le superficie delle singole unità immobiliari (Cons. Stato, Sezione V, n.897 del 23.7.1994) prevedendo altresì che tale intervento sia diretto “a conservare l’organismo edilizio, attraverso il consolidamento, il ripristino o il rinnovo di suoi elementi costitutivi ed a restituirgli una funzionalità non più esistente o compromessa (Cons. stato, Sez. V, n.3728 del 6.7.2002)

Nel caso di specie gli interventi realizzati non avevano affatto uno scopo conservativo, consistendo piuttosto in opere di modifica dei prospetti dell’edificio nonché in una aggiunta edilizia sulla copertura del corpo di fabbrica adiacente, interventi estranei comunque alla previsione normativa e suscettibili di alterare la originaria fisionomia e struttura dell’edificio.

Si è del tutto fuori pertanto dalla previsione normativa.

7. Sostiene il ricorrente nel secondo motivo di appello che l’amministrazione, una volta rilevata la inapplicabilità della comunicazione ex art. 26 della legge n.47/1985, avrebbe dovuto convertirla in istanza di autorizzazione edilizia con conseguente formazione del silenzio assenso per decorso del termine previsto dall’art.7 della legge n.94/1982.

L’assunto è infondato.

Poichè infatti, il privato si è avvalso della procedura semplificata prevista dall’articolo 26 della legge n.47 del 1985 il potere di controllo dell’amministrazione non poteva che essere circoscritto alla legittimità dell’intervento edilizio sotto il profilo della sua riconducibilità all’ambito di applicazione della norma.

Accertata la inapplicabilità della norma la pronunzia dell’amministrazione non poteva che essere quella della rimessa in pristino.

8. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia ancora la violazione e falsa applicazione dell’art.4 della legge n.1086 del 1971 e l’incompetenza degli organi comunali a disporre sanzioni in tema di opere realizzate con cemento armato.

Sostiene il ricorrente che l’art.29 della legge n.64/1974 affida le funzioni di vigilanza per il rispetto delle norme tecniche in essa previste a numerosi soggetti dal novero dei quali è escluso il Sindaco. Altrettanto fanno gli artt. .4 e 10 e segg. della legge 1086/1971: al Sindaco spetterebbe solo un potere di controllo ma non è a lui attribuita la funzione di adottare provvedimenti cautelari o repressivi che la legge affida ad altra autorità e segnatamente al pretore ed il prefetto.

La censura è infondata atteso che l’art.10 della legge n.1086/71 e l’art. 29 della legge n.64/74 attribuiscono sicuramente al Sindaco, agli ingegneri e geometri degli uffici tecnici comunali l’esercizio dei poteri di vigilanza relativi all’adempimento delle prescrizioni tecniche da esse imposte. Nell’esercizio dei suddetti poteri di vigilanza era emerso che il ricorrente non aveva mai presentato alcuna denunzia all’Ufficio del Genio Civile della Regione Toscana in relazione agli interventi edilizi realizzati nell’immobile di sua proprietà.

Tale motivo di illegittimità si aggiungeva a quanto accertato dall’amministrazione nell’esercizio dei poteri di vigilanza attribuiti al Sindaco ex art.4 della legge n.47/85 in ordine alla illegittima applicazione dell’art.26 della legge n.47 del 1985 al di fuori dei casi consentiti nonché delle prescrizioni del PRG.

9. In conclusione l’appello non merita accoglimento.

10. Tuttavia in relazione alla peculiarità della fattispecie spese ed onorari possono essere compensati.

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