Consiglio di Stato, sez. P, sentenza 2022-12-29, n. 202200021

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. P, sentenza 2022-12-29, n. 202200021
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200021
Data del deposito : 29 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/12/2022

N. 00021/2022REG.PROV.COLL.

N. 00023/2022 REG.RIC.A.P.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. 23 del 2022 dell’Adunanza Plenaria, proposto dal Ministero dell’Istruzione, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il signor Alfredo Cullè, rappresentato e difeso dall’Avvocato A R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

e con l'intervento di

ad opponendum
dei signori Fabio Improta, Clara Abate, Melissa Agrillo, Gemma Alonzi, Annalisa Angelozzi, Antonio Angrisani, Brunella Antenucci, Antonietta Auriemma, Cecilia Balsamo, Michele Barba, Giusi Barbarisi, Simona Berardi, Loredana Birocci, Nelly Bonaccorsi, Giuseppe Bonomo, Gheorghita Marian Bostinru, Floreana Cacioppo, Cosima Caiazzo, Tonino Calandrino, Annalisa Candeloro, Raffaele Cangiano, Francesca Capacchione, Angelo Caputo, Giuseppe Carcone, Loretta Carrafelli, Fabiana Castiglione, Giuseppe Catapano, Daniela Cirelli, Wheberson Cocco, Raffaele Codispoti, Giuseppe Condemi, Silvia Cutillo, Nadia Cutolo, Nadia Cutolo, Dina D'Alessandro, Gianbattista De Fusco, Concetta De Nisi, Davide Del Gaudio, Anna Maria Demuro, Valeria Di Blasi, Federica Di Pucchio, Daniela Di Stefano, Giacoma Di Vieste, Leonarda Dicataldo, Gloria Facchini, Maria Rosaria Falcone, Zobeida Farini, Yuliet Marcela Fasolino, Fabiola Feola, Salvatore Ferrantelli, Rita Ferraro, Ilaria Ferro, Giuseppe Domenico Lucio Ficara, Francesco Filipponi, Giosuè Filizzola, Federica Filoni, Marcella Foddai, Daniele Forlenza, Angela Furtivo, Sebastiano Gagliardi, Paola Maria Galioto, Carmela Gallelli, Antonella Garofalo, Elena Garozzo, Carmela Gasparo, Carmelo Genovese, Carmela Grandola, Aniello Iacomino, Anna Serena Iannilli, Antonella Mandaglio, Alfredo Igrandi, Fabio Improta, Gaia Infantino, Maria Ionta, Gabriella Lanzillotti, Paolo Emanuele Lo Giudice, Barbara Lodato, Rocco Lucà, Maria Grazia Macone, Chiara Malpeli, Concetta Mancino, Francesco Manco, Valentina Mattiocco, Rita Mele, Giovanna Menditto, Grazia Rita Messina, Pierpaolo Miccolis, Emilia Napoletano, Annamaria Narese, Zaira Nicolosi, Simona Nocella, Morena Ortega, Jenna Ortega, Anna Maria Ostuni, Annalisa Paladini, Domenico Pangallo, Daniele Parisi, Ilaria Di Pucchio, Tiziana Perrucci, Delio Peschiulli, Serena Petricca, Simona Petrigna, Francesca Petronzi, Valentina Petrucci, Jlenia Piazzolla, Alessandra Piccionello, Aniello Pintauro, Guido Pizzi, Loredana Renna, Naomi Polidoro, Sara Polselli, Marta Polselli, Martina Maria Pugliese, Andrea Albino Puglisi, Lorena Quadrozzi, Francesca Ragni, Carmelina Re, Roberto Romeo, Rebecca Rosa Saladdino, Giuliana Santese, Francesco Santostefano, Raffaela Sarnataro, Melissa Schifano, Claudia Scifo, Giuseppe Servodio, Davide Scigliano, Rodolfo Serra, Giusi Sommantico, Annalisa Sorrentino, Andrea Marco Stabile, Giuliana Suppa, Michele Telera, Anna Rita Testa, Maria Vittoria Tilocca, Andreea Mihaela Tofan, Cosimo Tolomeo, Rosolia P. A. A. Tricani, Claudia Trombetta, Rossella Trovato, Roberta Vacca, Daniela Vasta, Valeria Vicidomini, Elide Visaggi, Silvia Maria Zaccanelli, Danila Incatasciato, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato A R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza n. 4773 del 6 maggio 2020 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. III- bis , resa tra le parti.


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

visto l’atto di intervento ad opponendum dei soggetti in epigrafe indicati;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2022 il Consigliere M N e uditi per il Ministero dell’Istruzione l’Avvocato G G e per l’appellato, nonché per gli interventori, in epigrafe indicati, l’Avvocato A R B;

viste le conclusioni delle parti come da verbale;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellato ha conseguito il titolo di formazione professionale relativo al ciclo di studi post-secondari presso un’Università rumena, ai fini dell’esercizio della professione di docente in Romania.

1.1. Il titolo conseguito era denominato “ Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II ” e l’appellato vi poteva accedere solo a seguito di riconoscimento della formazione accademica (laurea) non conseguita in Romania.

1.2. Successivamente al conseguimento, in Romania, del titolo di formazione professionale, l’appellato ha presentato al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca una istanza volta al riconoscimento del titolo in Italia.

1.3. Il Ministero, con la nota n. 5636 del 2 aprile 2019, fornendo informazioni ai cittadini italiani che hanno concluso, in Romania, i percorsi denominati “ Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II ” chiedendone il riconoscimento in Italia, ha comunicato che i suddetti titoli « non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica profesisonale di docente ai sensi della Direttiva 2205/36/CE e successive modifiche, e pertanto le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei suddetti titoli sono da considerarsi rigettate ».

1.4. Il Ministero ha spiegato che il presupposto necessario al fine di ottenere il riconoscimento professionale dei titoli consiste nel possedere una qualifica professionale che, in base alle disposizioni del Paese ove è stata conseguita, consenta l’esercizio della professione di docente abilitato all’insegnamento.

1.5. Il Ministero ha osservato che l’art. 13, comma 1, della Direttiva 2013/55/UE, che disciplina l’accesso alla professione regolamentata, prevede che, se in uno Stato membro ospitante l’accesso alla professione regolamentata o al suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro dà accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni dei suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’art. 11, richiesto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio.

1.6. A tal proposito, ha segnalato l’appellante che il Ministero rumeno dell’educazione nazionale e della ricerca scientifica ha emanato l’ordinanza n. 5414/2016 relativa alla metodologia da utilizzare per il rilascio dell’Attestato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali e si era avviata una interlocuzione con l’Amministrazione rumena, che nel novembre 2018 inviava una ‘nota ufficiale’ a firma del Segretario di Stato rumeno per l’educazione nazionale e la ricerca scientifica.

1.7. Il Ministero ha dedotto che la suddetta nota ha chiarito che « il possesso del certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania (…) essendo la condizione principale aver conseguito gli studi post liceali o universitari in Romania » (p. 2 della nota prot. n. 5636).

1.8. Posto che il Ministero rumeno non riconosceva la formazione svolta da cittadini italiani, quest’ultima non avrebbe potuto essere riconosciuta dal Ministero.

1.9. Il Ministero ha concluso per il rigetto delle richieste di riconoscimento della qualifica professionale basate su titoli conseguiti in Romania.

2. Con la nota impugnata in primo grado, il Ministero ha comunicato all’appellato l’impossibilità di accoglimento della avanzata richiesta di riconoscimento della qualifica professionale per « difetto dei requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli, ai sensi della Direttiva 2013/55/UE, per l'esercizio della professione docente, conseguiti in paese appartenente all'Unione Europea, Romania nel caso di specie ».

2.1. Il Ministero ha richiamato il contenuto dell’Avviso pubblicato in data 2 aprile 2019, in quanto il provvedimento di rigetto dell’istanza dell’appellato costituiva l’applicazione, al caso di specie, dell’ iter motivazionale espresso in via generale nell’avviso con riguardo a tutti i cittadini italiani che avevano conseguito in Romania i percorsi denominati “ Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II ” chiedendone il riconoscimento in Italia.

3. Con il ricorso di primo grado, proposto al TAR per il Lazio, l’interessato ha impugnato gli atti lesivi del Ministero.

3.1. Il Ministero intimato non si è costituito nel primo grado del giudizio.

3.2. Il TAR, con la sentenza n. 5669 del 28 maggio 2020, ha accolto il ricorso ed ha annullato i provvedimenti impugnati.

3.3. Il TAR, nel richiamare l’orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, ha rilevato che il focus del procedimento proteso a verificare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dell’abilitazione all’insegnamento di sostegno conseguita in Romania non è rappresentato dall’analisi sul livello di integrazione tra i due Paesi nell’erogazione del servizio pubblico in argomento, bensì dalla valutazione delle competenze complessivamente conseguite, in ossequio al d. lgs. n. 206 del 2007, agli artt. 11 e 13 della Direttiva 2005/36/CE, così come modificata dalla direttiva 2013/55/CE e ai precedenti della Corte di Giustizia UE in materia.

3.4. Secondo il TAR, una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro Paese UE, per il mancato riconoscimento del diploma di laurea conseguito in Italia e l’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana.

3.5. Per quanto riguarda l’insegnamento di sostegno, più in particolare, il tema, ad avviso del primo giudice, non sarebbe la perfetta coincidenza, o meno, tra l’ordinamento scolastico nazionale con quello rumeno, ma la possibilità che tale circostanza possa ergersi a nucleo centrale di un apparato motivazionale ex se idoneo a giustificare il rigetto, generalizzato e de plano , delle istanze di riconoscimento dei titoli di abilitazione al sostegno conseguiti in Romania dai cittadini italiani, senza che, come nel caso di specie, da tali provvedimenti traspaia il compimento di alcuna attività istruttoria protesa all’effettuazione di una verifica, effettuata in concreto, del livello professionale conseguito ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, ovvero di una effettiva valutazione delle competenze individualmente acquisite, come ritenuto necessario dalla stessa Corte di Giustizia già a partire dalla sentenza 13 novembre 2003 in C-313/01.

3.6. Piuttosto, ad avviso del TAR, le autorità nazionali sarebbero chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.

4. Avverso tale sentenza hanno proposto appello le Amministrazioni statali indicate in epigrafe, lamentandone l’erroneità, e ne hanno chiesto la riforma, con il conseguente rigetto del ricorso proposto in prime cure.

4.1. Per le appellanti, bisognerebbe considerare che, a differenza di quanto accade in Italia, in cui per ottenere l’abilitazione è necessaria la laurea e un corso di formazione post universitaria (laurea+ corso postuniversitario), in Romania la laurea rumena è già di per sé titolo abilitante (purché conseguita sempre in Romania all’esito degli studi universitari).

4.2. In sostanza, per un cittadino italiano che, una volta laureato, voglia abilitarsi all’insegnamento in Romania, non è sufficiente l’avere conseguito corsi di formazione psico-pedagogica (i c.d. “ Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II ”), ma egli deve avere svolto gli studi universitari in detto Paese (anche solo questi, visto che è la laurea rumena che abilita all’insegnamento).

4.3. Di conseguenza, la sentenza del Tribunale qui impugnata sarebbe errata e contraddittoria, nella parte in cui ha ritenuto che, una volta che la laurea italiana venga riconosciuta in Romania, la circolare impugnata – v., supra , § 1.3. – non sia applicabile, visto che – sbagliata o meno che sia la condotta delle autorità rumene – l’unico effetto, che consegue al riconoscimento della laurea italiana dalla Romania, è che il ricorrente può essere ammesso a frequentare il corso di studi universitari rumeni (al cui esito egli avrà titolo all’abilitazione)

4.4. In sintesi, il corso formativo rumeno che, secondo il Tribunale, dovrebbe passare per abilitativo, in realtà non ha questo effetto, perché in Romania non esistono corsi abilitativi al di fuori della laurea (rumena, ovviamente).

4.5. Il titolo rilasciato dalla Romania denominato “ Adeverinta ” attesta, sì, l’avvenuto svolgimento dei corsi denominati “ Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II ”, ma non fa alcun riferimento al livello della qualifica professionale richiesto dal sopra citato comma 3 dell’art. 13 della Direttiva 2013/55/UE.

4.6. La Romania riconosce, infatti, solo a fini accademici, e non, quindi, ai fini professionali, nei sensi richiesti dalla Direttiva 2013/53/UE ai corsi seguiti dagli italiani, in quanto questi corsi non hanno nessuna valenza abilitativa, in quanto, per il sistema didattico rumeno, solo la laurea rumena è titolo abilitativo.

4.7. Inoltre, pur ad ammettere che l’amministrazione possa supplire al mancato riconoscimento attivando una valutazione comparativa dei corsi rumeni c.d. abilitativi, rispetto a quelli abilitativi italiani, il relativo confronto presupporrà, necessariamente, che i corsi rumeni da valutare siano provvisti della qualificazione “professionale”, e, cioè, della certificazione rilasciata dall’autorità rumena che ne attesti la validità ai fini professionali (e non semplicemente accademici), precondizione che, invece, nel caso in esame, non si verifica affatto.

4.6. Le Amministrazioni appellanti hanno lamentato l’erroneità della sentenza impugnata, che ha riconosciuto efficacia abilitante alla frequenza di un corso che, invece, non abiliterebbe all’insegnamento in Romania.

4.7. Si è costituito con memoria depositata il 23 giugno 2020 l’appellato, che ha chiesto la reiezione dell’appello.

5. Con l’ordinanza n. 5308 del 27 giugno 2022, la Settima Sezione ha rimesso la controversia all’esame di questa Adunanza plenaria.

5.1. La Settima Sezione rileva che la sentenza appellata si è basata sull’orientamento giurisprudenziale della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato (v., ex plurimis , sez. VI, 3 novembre 2021, n. 7343, Cons. St., sez. VI, 17 febbraio 2020 n. 1198), che in materia di riconoscimento del valore dei corsi di formazione rumeni “ cd. Programului Nivelul I e Nivelul II ” ritiene che il provvedimento di rigetto, così come la nota generale del 2 aprile del 2019 del Ministero dell’Istruzione, siano in contrasto con principi europei oramai consolidati in giurisprudenza.

5.2. Alla luce di tale maggioritario orientamento, gli impugnati provvedimenti delle autorità italiane non avrebbero valutato che l’iter per conseguire l’abilitazione all’insegnamento in Romania si articola su due fasi, il conseguimento della laurea (esclusivamente in Romania, secondo l’ordinamento di quel Paese) e la frequenza dei corsi di formazione, i ridetti “ Programmuli ” per essere ammessi ai quali è necessario essere in possesso di laurea (anche non conseguita in Romania).

5.3. Di conseguenza – in base a tale interpretazione – il mancato riconoscimento nel diritto rumeno della laurea italiana al fine di ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle istituzioni scolastiche rumene non può e non deve avere un rilievo escludente automatico per l’ordinamento italiano.

5.4. Tuttavia, osserva la Settima Sezione che il richiamato orientamento giurisprudenziale finirebbe per riconoscere, in base alla normativa UE in tema di mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali e di libera circolazione dei lavoratori, valore abilitante ai fini dell’insegnamento a un titolo di formazione straniero che, semplicemente, nel Paese di origine quel valore abilitante non ha, disapplicando atti amministrativi di un ordinamento straniero asseritamente contrastanti con il diritto dell’Unione, ciò che neppure il giudice nazionale di un altro Stato membro può fare per assicurare la primazia di tale diritto.

5.5. Tanto premesso, ed anche per questi effetti potenzialmente distorsivi che un’interpretazione estesa e, per l’appunto, bidirezionale del principio di equipollenza è suscettibile di creare, la Sezione rimettente ha dubitato della correttezza di questo orientamento ed ha posto all’Adunanza plenaria i seguenti quesiti:

a) se, ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, sul riconoscimento delle qualifiche professionali (recepita nell’Ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 206 del 2007) e in particolare ai fini dell’accesso in Italia alla professione regolamentata di insegnante nelle scuole primaria e secondaria, sia necessario riconoscere in modo sostanzialmente automatico in Italia un percorso di formazione seguito da un cittadino dell’UE (nel caso in esame, italiano) presso altro Paese membro dell’UE (nel caso in esame, in Romania), soltanto previa verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta (e fatta salva la possibilità per le autorità italiane di disporre a tal fine specifiche misure compensative).

b) in particolare, se tale riconoscimento sia doveroso (o anche solo possibile) laddove:

- nel Paese membro di origine (i.e.: nel Paese in cui il percorso di formazione si è svolto – nel caso in esame, in Romania -) il completamento di tale percorso formativo non assume di per sé carattere abilitante ai fini dell’accesso all’insegnamento, ma presuppone altresì in via necessaria che l’interessato abbia conseguito nel Paese di origine (nel caso in esame: la Romania) sia studi di istruzione superiore o post-secondaria, sia studi universitari;

- all’esito di tale percorso di formazione le Autorità del Paese di origine (nel caso in esame: la Romania) non abbiano rilasciato un attestato di competenza o un titolo di formazione ai sensi dell’articolo 13, par. 1 della Direttiva 2005/36/CE .

5.6. Sono intervenuti nella fase del giudizio avanti a questa Adunanza numerosi interessati, che hanno frequentato i medesimi corsi di formazione in Romania, per opporsi all’accoglimento dell’appello delle Amministrazioni statali.

5.8. Le parti hanno depositato ai sensi dell’art. 73 c.p.a. numerose memorie, nelle quali hanno illustrato e specificato le rispettive posizioni.

5.9. Infine, nell’udienza pubblica del 16 novembre 2022, questa Adunanza ha trattenuto la causa in decisione.

6. Ritiene l’Adunanza Plenaria che il ricorso è infondato e va respinto.

7. In via preliminare va dichiarato inammissibile l’intervento ad opponendum degli interessati, in epigrafe indicati, che hanno seguito i corsi di formazione in Romania.

Tale interventi non sono riconducibili ad alcuna delle figure cui tipicamente si riferisce l’istituto dell’intervento nel processo amministrativo, disciplinato dall’art. 28 c.p.a. e, per il grado di appello, dall’art. 97 c.p.a.

Non è infatti sufficiente la sola circostanza per cui l’interessato sia parte in un altro giudizio in cui rilevi una quaestio iuris analoga o identica a quella dibattuta nell’ambito del giudizio principale, attesa l’obiettiva diversità degli elementi oggettivi di identificazione della domanda che distingue i due giudizi (diversità di provvedimenti impugnati;
diversità di motivi;
diversità di petitum formale e sostanziale).

Infatti, per il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, qualora si ammettesse la possibilità di proporre l’intervento volontario per l’analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, in toto scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce.

Nel processo amministrativo, l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale o del controinteressato (v. in tal senso, ex plurimis, Cons. St., Ad. Plen., 27 febbraio 2019, n. 5, Cons. St., Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 13, Cons. St., Ad. plen., 4 novembre 2016, n. 23, nonché, più di recente, Cons. St., sez. VI, 12 novembre 2020, n. 6965).

Tale principio va ribadito anche quando si tratti di giudizi pendenti innanzi all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, pur se il principio di diritto da questa affermato ha il particolare rilievo disciplinato dall’art. 99 del codice del processo amministrativo.

Rileva al riguardo un principio di carattere generale, applicabile per i giudizi pendenti innanzi alla Corte Costituzionale e innanzi a qualsiasi ‘giurisdizione superiore’ prevista dall’art. 135 della Costituzione, per il quale solo una disposizione di legge potrebbe consentire ad eventuali interessati – in queste alte sedi – di poter esporre le proprie tesi difensive, per l’affermazione di un principio di diritto di cui intendano avvalersi in un altro giudizio.

Mancando una tale regola nel codice del processo amministrativo, gli interventi vanno dichiarati inammissibili.

Va pertanto dichiarato inammissibile l’intervento ad opponendum di tutti gli interessati indicati in epigrafe, tranne quello di coloro che hanno rinunciato con atto depositato il 2 novembre 2022.

8. Passando all’esame dei quesiti, la Sezione rimettente si è basata su due presupposti fattuali, che però – ad avviso della Adunanza Plenaria - non risultano condivisibili e cioè che:

a) nel diritto rumeno il solo possesso del titolo conseguibile all’esito della frequenza dei corsi per cui è causa non consentirebbe l’accesso alla professione di insegnante, qualora manchi la previa frequenza di corsi di studi superiori ed universitari in Romania;

b) a prescindere dalla compatibilità della disciplina nazionale rumena col diritto europeo, al certificato di conseguimento della formazione rilasciato all’esito dei corsi per cui è causa non sarebbe riconosciuto né il valore di “ attestato di competenza ”, né quello di “ titolo di formazione ” rilevanti ai fini del riconoscimento ai sensi dell’art. 13, paragrafo 1, della Direttiva 2005/36/CE.

Ad avviso della ordinanza di rimessione, quel certificato e quel titolo non avrebbero rilievo sulla base della Direttiva UE sul riconoscimento delle qualifiche professionale, sicché non si potrebbe ammettere che tale valore possa essere riconosciuto in Italia, non potendo il giudice italiano disapplicare la disposizione preclusiva dell’ordinamento rumeno.

Per la Settima Sezione, l’appellato non avrebbe conseguito l’abilitazione in Romania e non potrebbe ivi accedere alla professione di insegnante, perché non ha ottenuto la laurea in quel Paese, con la conseguenza che - valutando il titolo “ programmuli ” unitamente al diploma di laurea in Italia – se si seguisse l’orientamento della Sesta Sezione di questo Consiglio deriverebbe un ‘circolo vizioso’: il cittadino italiano – ottenendo l’abilitazione in Italia attraverso questo percorso – potrebbe poi insegnare anche in Romania, nonostante non abbia conseguito la laurea in quest’ultimo Paese, ciò che non sarebbe consentito dalla legge rumena.

9. Osserva l’Adunanza Plenaria che questi presupposti di fatto – valutati dalla Settima Sezione – non trovano rispondenza negli atti depositati dal Ministero appellante e riguardanti l’organizzazione scolastica rumena, per come descritta dagli atti del Ministero rumeno.

9.1. Va sottolineato che la questione è stata già esaminata dalla Sesta Sezione la quale ha osservato come le argomentazioni del Ministero contrastino « con quanto attestato dalle autorità rumene, secondo cui deve riconoscersi il diritto di insegnare in Romania a livello di istruzione preuniversitaria in capo a coloro che, […] titolari di diploma/master conseguito in all’estero e riconosciuto in Romania, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione psicopedagogica, complementari di diploma, in settori e specializzazioni conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria » (v., ex plurimis Cons. St., sez. VI, 3 giugno 2021, n. 4227): si è anche formato il giudicato sull’illegittimità della nota ministeriale sopra citata n. 5636 del 2 aprile 2019.

Come è stato già accertato in altri giudizi, le Autorità amministrative rumene non pongono in discussione il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, da parte dei cittadini italiani, laureatisi in Italia, che siano in possesso del titolo rumeno in questione.

Le Autorità amministrative rumene hanno formalmente dichiarato che i laureati in Italia - che abbiano intrapreso e completato i corsi di formazione Nivel I e Nivel II in Romania – possano insegnare in Romania, anche se nell’attestato rilasciato all’esito del corso – c.d. Adeverinta – manca formalmente l’espressa dizione “ abilitante ”, sol perché in quell’ordinamento essa viene annotata solo per chi abbia espletato l’intero corso di studi – superiori e universitari – in Romania.

9.2. Come ha chiarito più volte la Sesta Sezione, l’avviso di data 2 aprile 2019 – che ha posto in dubbio la validità dei titoli conseguiti in Romania – si è dunque basato su un equivoco, derivante da una inadeguata lettura della nota n. 40527 del 26 novembre 2018 del Ministero rumeno, ove si legge – a p.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi