Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-01-22, n. 201000216

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-01-22, n. 201000216
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201000216
Data del deposito : 22 gennaio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06300/2005 REG.RIC.

N. 00216/2010 REG.DEC.

N. 06300/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 6300 del 2005, proposto dal Comune di Padova, rappresentato e difeso dagli avv.ti C d S, A M e F L, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via del Viminale n. 43, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

A B, M B e R B e F B, rappresentate e difese dagli avv.ti F V e A Manzi, ed elettivamente domiciliate presso quest’ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5, come da mandato della comparsa di costituzione e risposta;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 775 del 28 febbraio 2005;


visto il ricorso in appello, con i relativi allegati,

visto l’appello incidentale proposto dalle parti controinteressate;

viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

visti gli atti tutti della causa;

relatore all’udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2009 il consigliere Diego Sabatino;

uditi per le parti gli avvocati Lorenzoni e Volpe, in proprio e su delega dell'avv. A. Manzi;

considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:


FATTO

Con ricorso iscritto al n. 6300 del 2005, il Comune di Padova proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 775 del 28 febbraio 2005 con la quale era stato accolto il ricorso proposto da A B, M B e R B per l’annullamento della deliberazione del consiglio comunale di Padova del 22 ottobre 2004 n. 125, recante variante al P.R.G. per la definizione del sistema dei servizi e delle norme (revoca parziale e nuova adozione parziale), nella parte d’interesse delle ricorrenti, in quanto diretta a disciplinare urbanisticamente il compendio di loro proprietà, catastalmente allocato al foglio 135, mappali 577, 576, 19, 17, 3, 6, 458, 604, nonché per il risarcimento del danno.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, le parti ricorrenti, ricostruita la singolare storia della destinazione urbanistica dell’area in questione, avevano sottolineato molteplici vizi della delibera gravata, sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di motivazione e per manifesta irragionevolezza ed incongruenza in relazione alla violazione dei principi sulla perequazione.

Costituitosi il Comune di Padova, il ricorso veniva deciso in forma semplificata con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le doglianze, sulla base della sostanziale reiterazione dei vincoli espropriativi e di inedificabilità, che sarebbe avvenuta in elusione dei principi che governano il modo di reiterazione di tali oneri.

Contestando le statuizioni del primo giudice, il Comune di Padova evidenziava, processualmente, l’insussistenza dei presupposti per l’emissione di una decisione in forma semplificata e, entrando nel merito, l’infondatezza delle ragioni della sentenza gravata per erronea ricostruzione del fatto, specialmente in tema di effettiva incidenza della previsione impugnata, di carattere conformativo e non espropriativo.

Nel giudizio di appello, si costituivano A B, M B e R B, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso, e proponendo altresì appello incidentale.

All’udienza del 27 settembre 2005, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 4522/2005.

Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2009, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

2. - Ritiene la Sezione di poter iniziare la disamina della questione sottoposta partendo dallo scrutinio del secondo motivo di diritto proposto dal Comune di Padova, in cui viene dedotta l’errata valutazione dei presupposti e la violazione di legge.

Nella ricostruzione operata, il Comune sottolinea come il T.A.R. abbia erroneamente affermato che l’indice di edificabilità sia riferito al solo 20% della superficie edificabile, mentre al contrario l’indice faceva riferimento all’intero lotto, fermo restando che la detta volumetria poteva gravare sul 20% della zona, con cessione del restante 80%.

2.1. - La doglianza è fondata e va accolta.

L’area della quale si verte risulta sottoposta ad una serie di vincoli urbanistici sin dal 1957, quando era stata destinata ad area per parchi pubblici e campi sportivi ed in parte a sede stradale. Con una successiva variante del 1977, veniva imposta una destinazione a verde attrezzato, nonché a parcheggio principale, a verde pubblico ed a sede stradale. Altre simili conformazioni venivano reiterate nel 1988 e poi nel 1997, quando si aggiungeva la previsione di percorso di interesse paesaggistico all’interno del parco urbano. Ancora altre previsioni di tale stampo si avevano con la variante del 2000 ed infine con quella del 2001 di “ridefinizione del sistema dei servizi e delle norme”, immediatamente propedeutica a quella qui gravata.

È pertanto palese che la zona in questione sia stata ininterrottamente sottoposta ad un regime vincolistico, sulla cui natura la Sezione non è chiamata a pronunciarsi, ma che evidenzia come la parte appellante non abbia mai goduto, di fatto, di una possibilità edificatoria dell’area della cui incisione possano dolersi.

Sulla base di questa considerazione iniziale, può valutarsi il contenuto della variante impugnata, in relazione alla sua capacità di aggressione del diritto di proprietà della parte appellante. Tale ragione, che ha indotto il T.A.R. ad accogliere l’appello, risiede nel fatto che la delibera impugnata imponga un indice di edificabilità di 0,25 mc/mq. sul 20% della superficie complessiva con obbligo di cessione dell’80% della superficie al Comune. Ciò determinerebbe una sostanziale espropriazione della capacità edificatoria, con violazione delle situazioni giuridiche soggettive delle parti appellanti.

Tuttavia, la ricostruzione del giudice di prime cure non è condivisibile, né in fatto né in diritto.

In merito alla questione di fatto, occorre evidenziare come le norme tecniche attuative del piano regolatore generale applicabili alla fattispecie in questione provino l’esistenza di una disciplina diversa da quella descritta in sentenza. Infatti, l’art. 16 delle NTA, relativo alla zona residenziale di perequazione, prevede che l’indice di edificabilità sia comunque riferito alla superficie territoriale di zona (Sz) e quindi all’intera area di proprietà dei soggetti interessati. Sempre alla superficie territoriale di zona si fa poi riferimento per individuare il quantum di superficie da cedere al Comune, articolando la quantificazione sia degli indici di fabbricabilità che della percentuale di cessione in modi diversi in relazione alle tre sottotipologie in cui si articola la nominata zona residenziale di perequazione (e quindi perequazione urbana, integrata o ambientale).

È pertanto non corrispondente al reale la ricostruzione operata dal giudice di prime cure. Infatti, al contrario di quanto indicato dal T.A.R., il privato non è obbligato a cedere la maggior parte della proprietà e ad edificare nel solo lotto residuo nei limiti dell’indice edificatorio applicato solo a questo ultimo ambito. È vero invece che la volumetria edificabile, rapportata alla superficie territoriale di zona e quindi alle dimensioni del lotto e commisurata all’indice edificatorio valevole per la zona di perequazione, viene calcolata sull’intero lotto e quindi comprendendo anche le superfici che saranno destinate alla cessione. Pertanto, la cessione dell’area non è elemento tale da incidere sul calcolo della volumetria realizzabile. Tale metodica permette infatti il trasferimento della capacità edificatoria del lotto originario nell’area destinata alla costruzione effettiva, senza alcuna espropriazione, palese o occulta, delle situazioni giuridiche attribuite ai privati.

In merito alla situazione di diritto, occorre evidenziare come, così delineato il contenuto della variante gravata, venga meno anche l’ipotesi, ritenuta fondata dal T.A.R., di una “sostanziale reiterazione dei vincoli espropriativi e di inedificabilità” che avrebbe eluso “l’applicazione dei principi che presiedono alle determinazioni che espressamente reiterano tali tipi di vincoli”. In primo luogo, infatti, non è per nulla pacifico che l’area fosse stata precedentemente sottoposta a vincoli espropriativi, atteso che, nella sommaria descrizione prima svolta ed evincibile dai documenti versati in giudizio, le prescrizioni già gravanti sull’area avevano un contenuto schiettamente conformativo. In secondo luogo, perché nemmeno la delibera gravata introduce elementi di ablazione dello ius aedificandi delle parti appellate. Va, infatti, evidenziato che, con il sistema sopra descritto, il privato continua a godere della capacità edificatoria dell’area di sua proprietà, subendo solo un mutamento del luogo in cui tale capacità potrà trasformarsi in concreta edificazione.

Né è possibile ritenere esistente la detta espropriazione solo per l’entità dell’indice edificatorio adottato, che le parti indicano come estremamente esiguo. Premesso che il carattere conformativo dei vincoli di piano non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli stessi (Consiglio di Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4662), va ricordato come i vincoli di piano regolatore, ai quali si applica il principio della decadenza quinquennale ai sensi dell'art. 2 L. 19 novembre 1968 n. 1187, sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che ne comportano l'inedificabilità assoluta e dunque svuotano il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale. Nel caso in specie, una tale circostanza non si verifica atteso che, sebbene conformata, una residua capacità edilizia continua a permanere, e ci si trova quindi di fronte ad una prescrizione diretta a regolare concretamente l'attività edilizia, in quanto inerente alla potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale.

3. - L’accoglimento delle ragioni dell’appello principale impone di valutare le questioni ritenute assorbite dal T.A.R. e riproposte, anche tramite appello incidentale, dalle parti appellate. Occorre peraltro evidenziare che, dei motivi di doglianza, il primo risulta già valutato nelle considerazioni pregresse, fondandosi sulla tesi della natura espropriativa dei vincoli in questione ed il secondo, che riguarda la violazione dei principi di legge in tema di perequazione, censura l’operato del Comune evidenziando ancora che si tratti di “cripto-vincoli”, e quindi sostanzialmente rifluendo nelle questioni già esaminate.

Pertanto, le doglianze proposte dalla parte appellante sono sostanzialmente ricomprese nell’ambito di giudizio sopra scrutinato. Vanno pertanto disattese e, conseguentemente, non può essere accolta la domanda risarcitoria riproposta in appello, venendo a mancare l’illegittimità del provvedimento gravato.

4. - Rimane da valutare il primo motivo di diritto proposto dal Comune, con cui si deduce l’illegittimità della decisione per insussistenza dei presupposti per l’emanazione, stante l’inesistenza del requisito della manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso. La questione processuale può peraltro essere disattesa, stante l’accoglimento del ricorso nel merito.

5. - L’appello va quindi accolto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla parziale novità della questione sottoposta.

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