Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-05-31, n. 201203263

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-05-31, n. 201203263
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201203263
Data del deposito : 31 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07577/2008 REG.RIC.

N. 03263/2012REG.PROV.COLL.

N. 07577/2008 REG.RIC.

N. 00766/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7577 del 2008, proposto da:
Concordia S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. F P, F C B, G P, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Comune di Varese, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. G F R, E R, con domicilio eletto presso G F R in Roma, via Cosseria N. 5;



sul ricorso numero di registro generale 766 del 2009, proposto da:
Cur.Fall.Soc.Mazzucchelli di Norberto Mazzucchelli e C. Snc, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. F P, F C B, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Comune di Varese, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. G F R, E R, con domicilio eletto presso Guido F. Romanelli in Roma, via Cosseria, 5;

per la riforma

quanto al ricorso n. 7577 del 2008:

della sentenza del T.a.r. della Lombardia – Sede di Milano - Sezione II n. 06545/2007, resa tra le parti, concernente REVOCA ASSEGNAZIONE DI AREE PER REALIZZAZIONE DI UN CENTRO CULTURALE POLIVALENTE

quanto al ricorso n. 766 del 2009:

della sentenza del T.a.r. della Lombardia – Sede di Milano- Sezione II n. 06546/2007, resa tra le parti, concernente REVOCA ASSEGNAZIONE AREE PER REALIZZAZIONE CENTRO CULTURALE POLIVALENTE


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2012 il Consigliere F T e uditi per le parti gli avvocati F C B, G P ed E R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Ricorso numero di registro generale 7577 del 2008;

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e con successivo ricorso per motivi aggiunti era stato chiesto dalla odierna parte appellante, nella qualità di impresa assegnataria di aree asseritamente lesa da un provvedimento di revoca di assegnazione delle aree medesime, l’annullamento della deliberazione revocatoria del Comune di Varese n. 119 del 27 giugno 1994 (con la quale era stata revocata la deliberazione consiliare n. 339/1990) e degli atti connessi, ed in particolare dei pareri espressi ai sensi della legge n. 142/1990 e della deliberazione del Comune di Varese n. 156 del 30 settembre 1994 con la quale era stato contro dedotto alla ordinanza istruttoria del Coreco dell’ 1 agosto 1994.

Essa aveva prospettato motivi di censura incentrati sui vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto numerosi profili sintomatici.

Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano - ha preliminarmente disatteso l’eccezione volta a sostenere la intervenuta estinzione del giudizio per omessa riassunzione del medesimo nel termine di sei mesi alla stregua della considerazione per cui nel procedimento di primo grado non era intervenuto alcun atto dichiarativo dell’avvenuto fallimento della originaria ricorrente.

Il primo giudice ha quindi esaminato il merito delle censure, ed ha in primo luogo respinto quella volta a stigmatizzare la omessa partecipazione di parte appellante al procedimento, siccome previsto ex art. 89 dello Statuto del Comune di Varese.

Ciò perché, da un canto, l’atto di revoca aveva contenuto e natura di atto programmatorio e, per altro verso, di esso era stato possibile prendere preventiva conoscenza in quanto con missiva del 3 dicembre 1993 era stata comunicata una esplicita riserva di revoca della predetta delibera di assegnazione.

Parimenti è stata respinta la censura incentrata sull’asserito malgoverno dell’art. 53 della legge n. 142/1990 in quanto proprio la predetta disposizione imponeva che i pareri fossero resi (non già sul testo finale delle delibere ma) su ogni proposta di deliberazione.

Del pari è stata disattesa la doglianza postulante l’obbligo di consultazione delle commissioni consiliari (in quanto nessuna disposizione di legge prevedeva tale onere) e le connesse doglianze di carenza di istruttoria e motivazionale.

Quanto al motivo incentrato sull’obbligo di attestare la copertura di spesa, l’odierna appellante, ad avviso del primo giudice, non aveva interesse a sollecitare la detta doglianza, mentre, con riferimento ai vizi prospettati nei motivi aggiunti se ne è dichiarata la infondatezza in quanto genericamente incentrati su supposizioni di eventi ipotetici attinenti alle conseguenze legate alle iniziative future eventualmente adottabili dalla Regione.

Avverso la sentenza in epigrafe parte ricorrente in primo grado, rimasta soccombente, ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata e formulando alcune istanze istruttorie.

Sono stati in primo luogo ripercorsi i momenti salienti della risalente vicenda procedimentale e del contenzioso processuale conseguitone (pagg.

1-69 del ricorso in appello) rammentando che gli atti del concorso per la realizzazione di opere finalizzate all’assetto urbanistico di Piazza della Repubblica ed alla realizzazione di un centro polivalente in Varese (delibere di indizione nn. 484 e 687 del 1989) che l’appellante si era aggiudicata (delibera n. 339/1990 e successiva delibera n. 521/1991 di approvazione del Piano urbanistico di recupero, che in precedenza era stato adottato con la delibera n. 189/1990 ) erano state impugnate dalle imprese Ircos SPA e Consorzio Centro Culturale ed i tre ricorsi proposti erano stati dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse e per rinuncia.

Sebbene nelle cause richiamate non fosse stato adottato alcun provvedimento cautelare sospensivo, il Comune non aveva dato corso all’impegno assunto di cedere all’aggiudicataria – quale corrispettivo della realizzazione del centro polivalente - la proprietà della rimanente area edificata (liberamente cedibile a terzi sul libero mercato).

Nel settembre 1992, mentre ancora tra le parti si susseguivano i contatti finalizzati a dare esecuzione alle citate delibere, a seguito di iniziative giudiziarie della magistratura penale (che però non avevano coinvolto gli amministratori delle società risultate aggiudicatarie del concorso) il Comune, con delibera n. 1112 del 7 settembre 1992 aveva deliberato di sospendere gli effetti delle deliberazioni consiliari n. 494/1989 647/1989 e 393/1990.

Con la detta delibera sospensiva si era, tra l’altro, dato incarico ad un giurista esterno affinchè depositasse un parere pro-veritate in ordine alla eventuale proseguibilità della procedura (e giovava rammentare che, in seno a quest’ultimo parere era stata esclusa la possibilità di procedere ad auto-annullamento degli atti ed ipotizzata una possibile responsabilità dell’amministrazione comunale ex art. 1337 del codice civile).

Con comunicazione del 3 dicembre 1993 prot. 38102 la Giunta Comunale aveva reso noto di riservarsi di sottoporre al Consiglio Comunale la proposta di revoca della deliberazione n. 339 del 1990.

Il Comune – senza di ciò fornire previo ulteriore avviso al legale di parte appellante che aveva sino a tale momento condotto le trattative con l’amministrazione comunale- aveva poi comunicato alla appellante che la detta delibera n. 339/1990 era stata revocata mercè la delibera del Consiglio Comunale n. 119 del 27 giugno 1994.

La sentenza gravata inesattamente aveva escluso la ricorrenza dei denunciati vizi.

In particolare, essa aveva errato nell’equiparare, sostanzialmente, la missiva del 3 dicembre 1993 con la quale era stata comunicata una esplicita riserva di revoca della predetta delibera di assegnazione, al precetto teso a garantire l’effettiva partecipazione del contraddittore del Comune, contenuto sub art. 89 dello Statuto. In ogni caso il Consiglio Comunale aveva deliberato sulla revoca senza conoscere quali fossero le argomentazioni dell’odierna parte appellante che militavano in senso contrario all’adozione della revoca, e tale vulnus non poteva dirsi “sanato” dall’inoltro delle dette osservazioni al CoReCo.

Anche la doglianza incentrata sul malgoverno dell’art. 53 della legge n. 142/1990 era fondata, in quanto i pareri erano stati rilasciati, tutti, prima dell’approvazione della Bozza di Schema Direttore del nuovo PRG: la deliberazione n. 99/1994 costituiva irrituale ed illegittima sanatoria di un vizio procedurale afferente alla delibera n. 95/1994.

Del pari il primo giudice non aveva colto che le delibere (n. 95/1994 n. 99/1994 e n. 119/1994) sulle quali il Consiglio Comunale si era pronunciato, in quanto prive dei prescritti pareri, non avevano chiarito che l’oggetto delle stesse non era la “rinuncia” ad eseguire opere pubbliche, ma l’onerosa rinuncia ad eseguire pattuizioni di diritto privato: ove le proposte di delibera fossero state corredate dalla prescritta documentazione non è dato preconizzare se, ugualmente, il Consiglio Comunale si sarebbe espresso in favore della revoca.

Anche la circostanza che la delibera revocatoria in oggetto non fosse stata corredata dalla previsione di spesa degli oneri risarcitori dalla stessa discendenti costituiva sicura dimostrazione della illegittimità della stessa e vizio che – contrariamente da quanto affermatosi nella gravata decisione- parte appellante aveva interesse a rilevare.

Quanto ai motivi aggiunti contenuti nel mezzo di primo grado e sbrigativamente esaminati dal primo giudice, gli eventi successivi ne avevano dimostrato la fondatezza posto che la destinazione dell’area era stata via via mutata nel corso del tempo, sino a “ritornare” alla scelta iniziale, tanto che sull’area era stato realizzata una struttura teatrale da 1200 posti (il che dimostrava la strumentalità della revoca, fondata, tra l’altro, sull’asserita inopportunità dell’accesso di spettatori al Centro Culturale Polivalente originariamente previsto).

Gli appellanti hanno poi puntualizzato le dette doglianze depositando una articolata memoria.

Il Comune di Varese ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del gravame perché infondato.

Ivi è stata ripercorsa la cronologia degli accadimenti ed evidenziato che mentre il mancato progredire dell’appalto-concorso era inizialmente dipeso dalla avvenuta impugnazione innanzi al Tar da parte di una ditta terza degli atti della procedura (il che, anche su segnalazione dell’appellante aveva determinato la sospensione della procedura), per altro verso la intenzione di revocare la delibera 339/1990 di assegnazione delle aree in proprietà alla RTI Schiavo-Mazzucchelli era stata preceduta da una nota del 3.12.1993 indirizzata al legale del RTI.

Questi peraltro con nota del 25.1.1994 era stato informato della iscrizione all’o.d.g. del Consiglio Comunale del progetto di revoca, che venne poi deliberato nella seduta del 27 giugno 1994.

E successivamente a tale delibera la difesa del RTI interloquì con il Coreco, tanto che quest’ultimo emise ordinanza istruttoria, cui il Comune contro dedusse, prima di apporre il visto di esecutività nella avversata delibera di revoca.

Nessuna lesione infraprocedimentale era quindi ravvisabile nell’operato dell’amministrazione appellata.

Il Comune ha quindi riproposto l’eccezione di tardività dei motivi aggiunti prodotti in primo grado (avversanti la delibera consiliare n. 233/1995 di approvazione della variante generale al PRG e la delibera consiliare n. 145/1997 recante approvazione preliminare di un nuovo progetto di riqualificazione avente ad oggetto anche l’allocazione sull’area di un laghetto di mq 500) e di sopravvenuta carenza di interesse.

Nel merito, la difesa dell’appellante era stata avvisata dell’avvio del procedimento di revoca ed aveva interloquito sul punto;
in ogni caso trattandosi di atto generale di pianificazione urbanistica (revoca di Piano di Recupero) la delibera n. 119 del 27 giugno 1994 non era soggetta ad onere di pubblicità.

Né la circostanza (del tutto ordinaria) che tra lo schema di proposta e la delibera consiliare approvata vi fosse qualche divergenza aveva minorato il diritto dell’appellante a partecipare alla procedura, chè quest’ultimo era stato assicurato dalla nota inviata al proprio legale.

Il secondo motivo di censura era palesemente infondato, in quanto ex art. 53 della legge n. 142/1990 (ora art. 42 del TU n. 267/2000) i pareri di regolarità contabile e tecnica dovevano essere resi sul progetto di delibera, e non sul testo finale.

Nessuna carenza istruttoria (come prospettato nel terzo motivo di censura) attingeva la revoca, ed i consiglieri comunali erano stati messi in condizione di visionare la documentazione a quest’ultimo progetto di delibera sottesa.

Il quarto motivo era formulato in termini generici: nessun vizio di motivazione era riscontrabile, e l’unico parere da assumere era quello della competente Commissione Urbanistica (il che peraltro era avvenuto anche quando si deliberò di esperire la procedura cui partecipò, vittoriosamente, il RTI).

Il Comune ha sostenuto poi la inammissibilità dei motivi da 5 a 9 del ricorso originario riproposti in appello posto che la sentenza aveva ad essi specificamente controdedotto, ma l’appellante non aveva confutato le deduzioni contenute nella motivazione della sentenza.

Degli stessi ha comunque chiesto il rigetto perché manifestamente infondati.

Con ulteriore memoria di replica parte appellante ha puntualizzato e ribadito le proprie censure, facendo presente che la revoca dell’assegnazione delle aree era stata causa – o quantomeno concausa- del fallimento dell’impresa (che di conseguenza non avrebbe mai comunque potuto eseguire le opere per cui è causa) non rilevando che non fossero stati impugnati gli atti successivi che hanno definitivamente regolato l’assetto urbanistico dell’area (e comunque e motivi aggiunti dimostravano la illegittimità della fase di adozione del detto assetto definitivo).

Alla odierna pubblica udienza del 4 maggio 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.


Ricorso numero di registro generale 766 del 2009;

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e con successivo ricorso per motivi aggiunti era stato chiesto dalla odierna parte appellante, nella qualità di impresa assegnataria di aree asseritamente lesa da un provvedimento di revoca di assegnazione delle aree medesime, l’annullamento della deliberazione revocatoria del Comune di Varese n. 119 del 27 giugno 1994 (con la quale era stata revocata la deliberazione consiliare n. 339/1990) e degli atti connessi, ed in particolare dei pareri espressi ai sensi della legge n. 142/1990 e della deliberazione del Comune di Varese n. 156 del 30 settembre 1994 con la quale era stato contro dedotto alla ordinanza istruttoria del Coreco dell’ 1 agosto 1994.

Essa aveva prospettato motivi di censura incentrati sui vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto numerosi profili sintomatici.

Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano - ha preliminarmente disatteso l’eccezione volta a sostenere la intervenuta estinzione del giudizio per omessa riassunzione del medesimo nel termine di sei mesi alla stregua della considerazione per cui nel procedimento di primo grado non era intervenuto alcun atto dichiarativo dell’avvenuto fallimento della originaria ricorrente.

Il primo giudice ha quindi esaminato il merito delle censure, ed ha in primo luogo respinto quella volta a stigmatizzare la omessa partecipazione di parte appellante al procedimento, siccome previsto ex art. 89 dello Statuto del Comune di Varese.

Ciò perché, da un canto, l’atto di revoca aveva contenuto e natura di atto programmatorio e, per altro verso, di esso era stato possibile prendere preventiva conoscenza in quanto con missiva del 3 dicembre 1993 era stata comunicata una esplicita riserva di revoca della predetta delibera di assegnazione.

Parimenti è stata respinta la censura incentrata sull’asserito malgoverno dell’art. 53 della legge n. 142/1990 in quanto proprio la predetta disposizione imponeva che i pareri fossero resi (non già sul testo finale delle delibere ma) su ogni proposta di deliberazione.

Del pari è stata disattesa la doglianza postulante l’obbligo di consultazione delle commissioni consiliari (in quanto nessuna disposizione di legge prevedeva tale onere) e le connesse doglianze di carenza di istruttoria e motivazionale.

Quanto al motivo incentrato sull’obbligo di attestare la copertura di spesa, l’odierna appellante, ad avviso del primo giudice, non aveva interesse a sollecitare la detta doglianza, mentre, con riferimento ai vizi prospettati nei motivi aggiunti se ne è dichiarata la infondatezza in quanto genericamente incentrati su supposizioni di eventi ipotetici attinenti alle conseguenze legate alle iniziative future eventualmente adottabili dalla Regione.

Avverso la sentenza in epigrafe parte ricorrente in primo grado, rimasta soccombente, ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata e formulando alcune istanze istruttorie.

Sono stati in primo luogo ripercorsi i momenti salienti della risalente vicenda procedimentale e del contenzioso processuale conseguitone (pagg.

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