Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-08-04, n. 201404134

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-08-04, n. 201404134
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404134
Data del deposito : 4 agosto 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02868/2011 REG.RIC.

N. 04134/2014REG.PROV.COLL.

N. 02868/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2868 del 2011, proposto da:
Comitato Ricostituzione Regola Comune di Gallio, rappresentato e difeso dagli avv. I C e C C, con domicilio eletto presso l’avv. I C in Roma, via Tacito, 41;

contro

Regione Veneto, rappresentata e difesa dagli avv. U P, E Z e F Z, con domicilio eletto presso l’avv. U P in Roma, via Ruggero Fauro, 43;
Comune di Gallio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 00202/2010, resa tra le parti, concernente ricostituzione della "Regola di Gallio" con conseguente attribuzione della personalità giuridica di diritto privato.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Veneto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° luglio 2014 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati C C e U P;


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sez. I, con la sentenza 29 gennaio 2010, n. 202 ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante per l’annullamento del provvedimento dd. 15 giugno 2004 n. 413959/4103, di rigetto dell’istanza di ricostituzione della Regola di Gallio.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che in base alla definizione data dalla l. r. 19 agosto 1996, n. 26, dedicata al riordino delle Regole, sono da considerare Regole le Comunità di fuochi famiglia (o nuclei familiari) proprietarie di un patrimonio agro-silvo-pastorale collettivo, inalienabile, indivisibile ed inusucapibile;
a tali soggetti è riconosciuta la personalità giuridica di diritto privato;
per le Regole che intendono ricostituirsi, l’art. 2 di detta legge regionale prevede uno specifico iter procedimentale.

Ha, quindi, osservato il TAR che l’attuale appellante Comitato Promotore ha provveduto agli adempimenti documentali richiesti dalla citata legge regionale, esibendo, per quanto riguarda il profilo soggettivo, una serie di autocertificazioni attestanti l’appartenenza dei soggetti ivi indicati alle antiche famiglie o fuochi proprietari dei beni anticamente di proprietà della Regola e rivendicando, per quanto attiene il profilo oggettivo, la proprietà esclusiva in capo a dette comunità dei beni amministrati attualmente dal Comune di Gallio per effetto del trasferimento dei suddetti beni operato a favore di quest’ultimo dal decreto vicereale n. 225 del 1806.

Tuttavia, ha sottolineato il TAR, il provvedimento impugnato ha avuto esito negativo in quanto non è stata fornita alcuna prova dell’antico laudo o statuto della ricostituenda Regola e il Comune non ha riconosciuto che i beni che si assumono costituire il patrimonio antico della Regola siano da questo amministrati in base al decreto vicereale del 1806, trattandosi di beni di origine feudale appartenenti dapprima alla “Reggenza dei Sette Comuni”, poi al “Consorzio Sette Comuni” e quindi suddivisi tra i singoli Comuni per effetto dell’atto divisionale redatto dal notaio dr. Serembe del 1925.

Il TAR ha, inoltre premesso, sotto il profilo delle qualificazioni giuridiche, anche richiamando un precedente giurisprudenziale di questo Consiglio (sentenza n. 1745-2009), che la Regola è un istituto ontologicamente diverso rispetto all’uso civico, in quanto mentre sulle terre di uso civico gli appartenenti alla comunità locale esercitano i relativi diritti di proprietà collettiva sulla base della sola appartenenza alla collettività medesima, nel caso della Regola viene rivendicata la proprietà privata delle terre ad esclusivo appannaggio degli appartenenti alle famiglie (cd. fuochi), con esclusione di tutti i soggetti che non appartengono per derivazione agnatizia a tale ristretta comunità.

Per il TAR, i citati requisiti soggettivi ed oggettivi dovevano essere attestati da parte del Comitato promotore, sul quale gravava l’onere di dimostrare che in Comune di Gallio esistevano dei terreni di proprietà esclusiva di antiche famiglie e che solo per effetto del decreto vicereale del 1806 detti terreni erano passati nella disponibilità del Comune, il quale a sua volta li ha gravati di uso civico a favore dell’intera collettività comunale.

Quindi, secondo il TAR, l’appartenenza alla categoria dei beni di uso civico, amministrati dal Comune, non è di per sé sufficiente ad affermare che detti beni fossero di proprietà delle antiche Regole, occorrendo la dimostrazione che gli stessi erano già appartenuti alle Regole.

Nel caso di specie, ha rilevato il TAR, in primo luogo non è stato prodotto alcuno statuto o laudo attribuibile alla ricostituenda Regola di Gallio.

Inoltre, il TAR ha ritenuto l’inidoneità dell’elenco dei regolieri allegato all’istanza di ricostituzione presentata dal Comitato Promotore, in quanto costituito unicamente dai capifamiglia di Gallio che hanno inteso sottoscrivere la propria adesione alla costituenda Regola, considerato che l’appartenenza dei beni alla comunione familiare deve derivare da un diritto ereditario e non dall’attuale volontà di aderire o meno all’istituto regoliero.

Il TAR ha anche valutato non sufficiente la prova di tale profilo fornita attraverso autodichiarazioni rese dagli interessati ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. n. 445-2000, nelle quali è stata affermata la discendenza diretta, per successione mortis causa da famiglia che “ab antiquo e a memoria d’uomo si è retta col sistema dei fuochi famiglia”, non potendo essere utilizzata come dimostrazione a tal fine una dichiarazione proveniente dai soli soggetti interessati all’ottenimento del riconoscimento di un diritto dominicale che comporta il rilevante effetto di sottrarre dei beni attualmente destinati ad uso civico.

Il TAR ha, pertanto, concluso che la pur pregevole ricostruzione storica dell’istituto regoliero fornita dalla difesa dell’attuale appellante non giunge a comprovare, nel caso di specie, l’esistenza dell’antica Regola di Gallio, come, peraltro, confermato dal fatto che non è stato possibile esibire alcuna documentazione comprovante tale assunto, essendo andato disperso ogni elemento documentale a seguito dei bombardamenti subiti nella zona durante la Prima Guerra Mondiale;
nessuna prova, quindi, è stata fornita in ordine alla identificabilità dei beni rivendicati rispetto a quelli oggetto del citato decreto vicereale del 1806, fermo restando che le valutazioni del Comune, che ha mutato atteggiamento dopo l’emanazione del provvedimento regionale qui impugnato, costituiscono un mero apporto istruttorio per la Regione, la quale non ne risulta certo vincolata.

Nel corso del giudizio di primo grado la Regione ha proposto regolamento di giurisdizione e la Corte di Cassazione, Sez. Un., con sentenza 2 dicembre 2008, n. 28542, ha ritenuto che correttamente la causa fosse stata proposta avanti al giudice amministrativo e che il provvedimento della Regione “comporti l’esercizio di discrezionalità non puramente tecnica”.

L’appellante contestava la sentenza del TAR, deducendo che la Prima Guerra Mondiale infierì sull’Altopiano e distrusse tutti gli archivi storici;
che il Comitato è riuscito a reperire, in raccolte ed archivi pubblici e privati, lacerti dell’antica documentazione, che inequivocabilmente dimostrerebbero l’esistenza di proprietà collettive amministrate in Colonnelli del Comune di Gallio;
che, fondamentalmente, il rinvio della citata l.r. n. 26-1996 al decreto vicereale del 1806 pone una presunzione di derivazione “regoliera” (nell’Altopiano dal Colonnelli) dei beni attualmente amministrati dal Comune, per cui in mancanza di diversa derivazione quei beni vanno attribuiti alla Regola.

Con l’appello in esame, si chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Si costituiva la Regione intimata, chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 1° luglio 2014 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, si deve rilevare che ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett.. a), l. n. 97-94 e dell’art. 2 della L. R. n. 26-96, l’eventuale ricostruzione di una Regola è subordinata alla verifica della sussistenza dei presupposti, da parte dell’Amministrazione regionale, in ordine ai fuochi famiglia (ovvero agli utenti aventi diritto) ed ai beni della gestione comunitaria.

Deve essere verificato, infatti, che ci si trovi in presenza dei discendenti di una antica collettività “chiusa”, individuabile con i fuochi famiglia originari, proprietari di beni collettivi indivisi assimilabili alle proprietà private (cd. proprietà allodiale, antico patrimonio regoliero di natura privatistica) e non di una collettività “aperta”, formata dall’insieme di tutti i componenti delle collettività residente nel territorio titolari dei demani civici universali (terre civiche collettive indivise di natura pubblicistica).

Il provvedimento di diniego di riconoscimento della Regola, impugnato in questo giudizio, (prot. n. 413959/41.03 del 15 giugno 2004) è basato, nella sostanza, sulla circostanza che non risulta prodotto alcun statuto o laudo dell’esistenza della “Regola di Gallio” e che il Comune di Gallo non ha riconosciuto che i beni che si assumono costituire il patrimonio antico della ricostituenda Regola siano amministrati dal Comune in base al decreto vicereale n. 225 del 25.11.1806;
i beni dei Comuni dell’Altopiano di Asiago di origine feudale sono appartenenti prima alla “Reggenza dei Sette Comuni”, poi al “Consorzio Sette Comuni” e successivamente ripartiti tra i singoli Comuni con atto divisionale notaio dr. Michelangelo Serembe in data 28.12.1925, rep. n. 2194.

Alla luce di tale motivazione del provvedimento impugnato ed in riferimento alle censure proposte nell’atto d’impugnazione della sentenza del TAR, il Collegio ritiene di poter considerare infondato nel merito l’appello, potendosi così prescindere dalla previa delibazione delle eccezioni di inammissibilità formulate dalla Regione.

Infatti, per il riconoscimento della proprietà allodiale dei beni rivendicati dall’appellante Comitato promotore della Regola di Gallio, manca certamente la prova decisiva e documentale, non risultando essere stati reperiti nei vari archivi esistenti atti di riconoscimento dichiarativo o di acquisto di terre a favore di una antica collettività chiusa stanziata sul territorio di Gallo.

Agli atti, dunque, non sussistono elementi documentali risolutivi che possano attestare l’effettiva sussistenza dei presupposti per la sottoposizione dei terreni oggetto del giudizio ad un regime giuridico privatistico con godimento a favore di una collettività chiusa composta di soggetti oggettivamente determinati quali discendenti dei fuochi famiglia originari.

Né tale prova può desumersi da altre idonee circostanze, come si tenta di dedurre nell’atto d’appello.

Infatti, per quanto riguarda la circostanza che i terreni già censiti come uso civico fossero gli stessi assegnati al Comune con l’atto del notaio Serembe del 1925, tale verifica, anche se positiva, non consentirebbe comunque di risalire, secondo un procedimento logico inferenziale, alla dimostrazione dell’origine regoliera dei beni e della provenienza al Comune degli stessi a seguito dell’entrata in vigore del decreto vicereale del 1806, anche in considerazione della distanza temporale tra tali due atti.

Nell’atto del predetto notaio è stata effettuata la divisione per transazione dei beni immobili appartenenti in comproprietà ai Comuni facenti parte del “Consorzio dei Sette Comuni” e prima della “Reggenza dei Sette Comuni”, ma nulla viene affermato circa la proprietà comunitaria di antichi originari piuttosto che di appartenenza della collettività generale dei residenti, uti cives.

Né, infine, tale dimostrazione può avvenire tramite delibera comunale che non può certo sortire l’effetto di un riconoscimento di proprietà privata (allodiale), in considerazione del fatto che la citata legge regionale, all’art. 2, specifica inesorabilmente che occorre (lett. a) “il laudo o statuto della Regola deliberato dall'assemblea” che, quindi, non può essere sostituito per equipollenza da una delibera comunale emanata nel tempo presente.

Sotto il profilo soggettivo, inoltre e per le stesse ragioni, è assente la dimostrazione specifica circa la precisa individuazione dell’elenco dei regolieri.

L’identificazione di detti soggetti avvenuta nell’istanza del Comitato di ricostruzione della Regola, nella quale i regolieri sono costituiti dai soggetti che hanno ritenuto di aderire all’istituto regoliero e che hanno poi presentato autocertificazione in ordine alla discendenza dei fuochi-famiglia degli antichi originari, non ha valore probatorio.

Deve rammentarsi, infatti, che secondo la giurisprudenza amministrativa nessun rilievo probatorio possono avere le dichiarazioni sostitutive di notorietà, né della parte interessata e né di terzi;
dette dichiarazioni, infatti, non hanno alcun valore certificativo o probatorio nei confronti della P.A. e non possono avere alcuna rilevanza, neppure indiziaria, nel processo civile o amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 maggio 2014, n. 2782).

Inoltre, come ha precisato la Suprema Corte di Cassazione nella citata sentenza Sez. Un., 2 dicembre 2008, n. 28542 che ha deciso il regolamento di giurisdizione, viene in rilievo in tale materia un aspetto relativo all’esercizio della discrezionalità che deve ravvisarsi nell’apprezzamento della P.A. circa l’idoneità probatoria dei documenti e degli altri elementi proposti dalle parti nell’ambito del procedimento di ricostituzione della Regola.

Pertanto, il giudice amministrativo, in coerenza con l’indirizzo ormai storico in merito al sindacato sulla discrezionalità amministrativa, è chiamato soltanto a verificare che l’apprezzamento dell’Amministrazione non sia affetto da palesi errori o vizi logici, non potendo certo sostituire la sua valutazione a quella compiuta dalla P.A. nella delibazione delle prove.

Nel caso di specie, alla luce di quanto esposto, non vengono in evidenza difetti di razionalità o di illogicità che consentono al giudice di ritenere viziato l’esercizio del potere discrezionale sul giudizio di sufficienza e idoneità delle prove proposte dal Comitato.

Peraltro, occorre ricordare che il procedimento di ricostituzione della Regola, sortisce l’effetto di assegnare in propriètà esclusiva (seppure comune a più persone) dei beni precedentemente di proprietà uti cives e, sotto questo profilo, è assimilabile (anche se ovviamente non coincidente, atteso il favor legislativo per la ricostituzione della Regola) ad un’azione reale di rivendica ex art. 948 c.c. per la quale la legge prevede una prova particolarmente onerosa (cd. probatio diabolica - cfr. Cass. civ., sentt. n. 1929 del 2009 e n. 4416 del 2007), attesa la delicatezza dell’individuazione di un soggetto proprietario, erga omnes, di un bene.

Pertanto, la prudenza dell’Amministrazione nel valutare le prove proposte che condurrebbero al riconoscimento di una proprietà privata esclusiva (collettiva) sono ampiamente giustificate alla luce di tale effetto finale del procedimento.

Tali argomenti appaiono decisivi anche in relazione alla pur brillante ed approfondita opera di ricostruzione storica proposta dal Comitato, valida sotto il profilo storico, ma non sotto quello giuridico, legato alla dimostrazione della proprietà esclusiva.

Infatti, come detto, è indubbio che, per quanto concerne la proprietà allodiale dei beni rivendicati dal Comitato promotore, non risultano essere stati reperiti nei vari archivi storici esistenti (Archivio di Stato, Archivi Vescovili, alti Archivi) atti di riconoscimento dichiarativo o di acquisto di terre a favore di una antica collettività “chiusa” stanziata sul territorio di Gallio;
inoltre, dalla documentazione acquisita agli atti in nessun modo è rinvenibile in modo certo l’istituto della regola, lasciando anzi spazio ad una diversa interpretazione dell’evolversi della realtà locale nel senso di un dominio collettivo su patrimonio comune (c.d. uso civico).

Pertanto, anche i documenti e le pronunce citate non portano a presumere con ragionevole certezza che la proprietà collettiva descritta si configuri come proprietà collettiva pubblica piuttosto che come proprietà collettiva privata.

Infine, per quanto riguarda la questione relativa ai cd. “Colonnelli”, connessa alla questione se i colonnelli presenti in passato possano configurarsi come vero e proprio istituto regoliero, cioè antica comunione famigliare proprietaria dei beni allodiali, e non piuttosto quali realtà coincidenti con le attuali frazioni comunali, si deve rilevare che i diversi termini utilizzati nel passato (Regola, Colonnello, Vicinia, Comunanza, Quadra, Comunella, Frazione) possono essere stati usati nel tempo in modo improprio, per descrivere realtà giuridiche analoghe o diverse ed è quindi necessario interpretare la loro effettiva natura giuridica, case by case attraverso la documentazione storica esistente.

Nel caso di specie, nessuna dimostrazione riconduce i Colonnelli di Gallio alla Regola e non può essere riconosciuta nessuna decisiva dimostrazione circa la proprietà dei beni in capo al Colonnello medesimo e circa la sua esatta individuazione sotto il profilo soggettivo.

Peraltro, si deve osservare che l’art. 38, comma 2, L.R. 6 aprile 2012, n. 13 ha modificato l’art. 1 L.R. n. 26 del 1996, stabilendo che “Le disposizioni di cui alla presente legge sono, altresì, da ritenersi applicabili alle Proprietà collettive dell’Altopiano di Asiago, dette Vicinie o Colonnelli, e agli Antichi Beni Originari di Grignano Polesine” e, quindi, anche ai cd. Colonnelli si applicano le norme relative alla ricostituzione delle proprietà collettive sopra citate, con i relativi oneri dimostrativi: infatti, il provvedimento di diniego impugnato in primo grado si è basato sulla mancata prova dei presupposti richiesti dalla legge, non ritenendosi, in particolare, dimostrato quali beni fossero appartenuti alla ricostituenda Regola (o Colonnello) e quali fossero le famiglie (o fuochi) originari come invece richiesto dalla legge.

E’ pur vero che il citato provvedimento regionale nega che i Colonnelli siano assimilabili alle Regole;
tuttavia, la P.A. ha rilevato la mancanza del laudo tout court, e non l’inesistenza di un laudo riferito alla Regola;
quindi, la circostanza che non ci fosse il laudo della Regola non è determinante, poiché non vi era neppure il laudo del Colonnello.

Se, invece, si assume che la nuova norma citata è applicabile solo a diritti collettivi sostanzialmente differenti dalle Regole, sarebbe inapplicabile al caso di specie perché non era dubbio che la disciplina vigente non dovesse applicarsi a istituti sostanzialmente differenti dalle Regole.

Né, infine, può dedursi da tale sopravvenienza normativa un’ipotesi di cessazione della materia del contendere che, nel processo amministrativo, come è noto, può essere prospettata come causa estintiva dello stesso, nel merito, solo quando la pretesa del ricorrente, ovvero il bene della vita cui aspira, ha trovato piena e comprovata soddisfazione in via extragiudiziale, sì da rendere del tutto inutile la prosecuzione del processo stante l'oggettivo venir meno della lite, e ciò indipendentemente dal carattere annullatorio del giudizio;
è quindi decisivo che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno ed irretrattabile il diritto o l'interesse legittimo esercitato, così che non residui alcuna utilità alla pronuncia di merito (cfr., di recente, Consiglio di Stato, sez. V, 23 aprile 2014, n. 2059);
situazione questa che palesemente, alla luce delle considerazioni sopra svolte, non si realizza.

Infatti, la cessazione della materia del contendere, di cui all’art. 34, comma 5, c.p.a., si determina quando l'operato successivo della parte pubblica si rivela integralmente satisfattivo dell'interesse azionato (Consiglio di Stato, sez. V, 23 aprile 2014, n. 2056), situazione che non coincide con quella in esame.

Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.

Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.

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